Da quella serata del 10 maggio del ’21, in cui l’autore sfuggì, imboccando una via laterale al romano teatro Valle, ad un pubblico inferocito che aveva preso a inseguirlo, troppo frastornato dall’eccessiva novità che aveva appena assaggiato, forse tutto è stato detto dei Sei personaggi in cerca d’autore, forse s’è inscenato in cento modi (anche in uno studio televisivo, come fece Buazzelli, come fecero De Lullo e Valli in un’edizione che rimane un esempio insostituibile), confermandosi – in casa nostra come all’estero – il campo adatto su cui possa giocare con intelligenza un attore di prima grandezza, dove si manifestino appieno la filosofia e la drammaturgia di Pirandello, dove si dispieghi inequivocabilmente il gioco (e il termine non vuol certo essere facile né riduttivo) del teatro nel teatro. Ognuno lo sa, mentre una compagnia d’attori sta provando Il gioco delle parti, un Padre, una Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina irrompono come per magia sul palcoscenico, lamentando il rifiuto dell’autore che ha dato loro vita: sulla pagina, loro la pretendono sulla scena. Quindi voglia il Capocomico dare ascolto al loro dramma e rappresentarlo. Per curiosità e per sfida, il teatrante accetta e i personaggi raccontano la loro vicenda, fino al crudele epilogo.
Luca De Fusco, proponendo questa edizione coprodotta dagli Stabili di Napoli e Genova, in scena all’Astra fino a domenica per la stagione in abbonamento, innesta un ulteriore tassello. Dando forma e rappresentabilità a questi signori, tutti vestiti di nero, con il loro trucco pesante, balzati fuori da una realtà altra dalla nostra e assai più reale se confrontata con i tiepidi risultati di una compagnia che non comprende e che non può interpretare, immersa in una finzione che è ben lontana dalla verità, individua un legame che stringe teatro e cinema, li raddoppia sin dal loro ingresso in filmati (ad opera di Alessandro Papa) che scorrono sulla parete di fondo del palcoscenico vuoto, immagini nuove che guardano al cinema muto che in quegli anni andava imponendosi sempre più. Una vicenda, dice il regista, “che si presta a essere rappresentata più attraverso l’occhio visionario del cinema che tramite quello più concreto del teatro”. Il connubio è visivamente felice ma questa volta sull’immagine continua a prevalere l’apparizione fisica, il rivivere la scena nel salottino di Madama Pace (Angela Pagano, un’apparizione) con il tavolinetto e la busta cilestrina, il dolore di una madre, i ragionamenti di un padre, la dabbenaggine di un capocomico (Paolo Serra, efficacissimo) in cerca dell’effetto. Il pensiero e le parole di Pirandello, da sole, riempiono ancora una volta, con la loro forza che sta raggiungendo il secolo, il palcoscenico, punteggiato qua e là dai pochi arredi inventati da Marta Crisolini Malatesta (firma anche i costumi) e chiaroscurito dalle luci di Gigi Saccomandi. Eros Pagni ha tutta l’autorevolezza e l’angoscia che quel Padre si porta appresso, la conferma ancora una volta di un grande attore, con la sua voce inconfondibile trattenuta e spiegata, al servizio di una grande lezione di teatro; ben salda, al sua fianco, come Figliastra, Gaia Aprea, sfrontata e appassionata, pronta a ridere delle finzioni degli attori, quella che più reclama il diritto a rivivere una vita piena di dolore e di schifo. Grande successo, e convinto.
Elio Rabbione
Le foto dello spettacolo sono di Fabio Donato