Il giovane cercava lavoro ed era disposto a fare il portiere di notte. Il suo nome era Joseph, Vissarionovich Djugashvili. Per gli amici, Koba. Quel georgiano dallo sguardo glaciale era Josif Stalin
Ci sono avvenimenti storici che sembrano così incredibili da essere considerati leggende. Una di queste mi è stata raccontata ad Ancona, durante l’attesa per l’imbarco verso Spalato, dall’altra parte dell’Adriatico. Una storia che si svolse proprio lì, accanto al porto Vecchio. Una storia raccontata, molti anni dopo, da un anziano portiere dell’Hotel Roma e Pace, il signor Pallotta . Dalle finestre di quell’albergo, a due passi dai moli, si scorgeva il mare. La pubblicità che ne decanta l’ospitalità narra di proposte di “riscaldamento a termo-sifone senza aumento di prezzo, ottimo restaurant a tutte le ore, omnibus a tutte le ore”. E’ lì che, in una fredda giornata d’inverno del 1907, un giovane russo dagli abiti eccentrici e dallo sguardo glaciale entrò nella hall dell’austero “Roma e Pace”. Indossava una blusa russa di satin nero sotto la giacca, grigia come il logoro soprabito; gli unici segni di eleganza erano la vistosa sciarpa rossa di seta ed un ampio cappello di feltro nero. Un amico italiano lo aveva accompagnato in via Leopardi, dopo un viaggio lungo e scomodo a bordo di una nave carica di grano proveniente da Odessa. Il giovane russo cercava lavoro ed era disposto a fare il portiere di notte. Il suo nome era Joseph, Vissarionovich Djugashvili. Per gli amici, Koba. Solo alcuni anni più tardi tutto il mondo lo conobbe con un altro nome. La storia dice che il giovane, sulla trentina, fosse già ricercato per estorsione e rapina in Georgia. Il portiere di giorno al “Roma e Pace”, Paolo Pallotta, non era molto convinto di assumere quel giovane dall’aspetto dimesso, la barba rada e i baffi neri. E forse non si sbagliava. Koba era un ragazzo troppo timido e poco intraprendente. Rimase poche settimane, prima di essere congedato e riprendere il suo viaggio in direzione Venezia, dove svolse la mansione – seppure per un breve periodo – di campanaro al convento di San Lazzaro degli Armeni, sull’omonimo isolotto della laguna. Un’esperienza fugace, durata poco perchè suonava le campane con decisione e forti rintocchi, secondo il rito ortodosso, e questo non andava a genio agli abati mechitaristi.Una storia intrigante di cui si trova traccia anche nelle tavole di Corto Maltese, il personaggio dei fumetti creato dal Hugo Pratt. Ne “La casa dorata di Samarcanda”, lungo la mitica Via della Seta, il marinaio Corto – figlio di una prostituta di Gibilterra e di un marinaio della Cornovaglia – impegnato nella ricerca del tesoro di Alessandro il Grande, caduto in mano ai bolscevichi della città dalle cupole blu, si salva da un’esecuzione grazie ad una telefonata con quel “portiere di notte”, rammentandogli i tempi di Ancona. Corto, scavando nei ricordi di quel 1907, gli disse,tra l’altro: “evidentemente non eri tagliato per fare il portiere di notte”. Chi era il giovane russo con cui s’incontrò nel vecchio porto della città marchigiana? Il mistero si svela subito: quel georgiano dallo sguardo glaciale si chiamava Josif Stalin. Il punto di congiunzione tra la storia e l’immaginazione lo offre un volume di Raffaele Salinari, “Stalin in Italia ovvero Bepi del giasso” ( che, tradotto, suona come “Giuseppe dal freddo”)– pubblicato a Bologna qualche anno fa, ma rimasto tagliato fuori dai circuiti di distribuzione nazionali e forse per questo poco conosciuto. Medico e docente universitario, Salinari ha voluto ricostruire un pezzo di storia italiana (e russa) della quale si è sempre saputo ben poco. Secondo le informazioni che Salinari ha raccolto, Stalin si sarebbe imbarcato in seguito ad una rapina ad un portavalori zarista. Per finanziare l’ala bolscevica del partito socialdemocratico operaio russo, Josif/Koba si dedicò agli assalti alle diligenze malgrado la pratica fosse stata disapprovata dalla dirigenza interna. Così Stalin, in fuga, passò da Ancona per raggiungere la Svizzera dove Lenin era in esilio e si mantenne come poteva. Del suo arrivo nel capoluogo marchigiano resterebbero due testimonianze: un articolo del Candido di Giovannino Guareschi del 1957 e una lapide commemorativa nell’albergo (il “Roma e Pace”,appunto) chiuso ormai da qualche anno, i cui arredi sono stati acquistati da un anonimo collezionista, lapide inclusa. Nelle stanze ormai vuote di quel vecchio albergo hanno soggiornato altri personaggi importanti per la storia del nostro Paese: Luchino Visconti, membri di Casa Savoia e addirittura una coppia di amanti da gossip, come Benito Mussolini e l’ucraina Angelica Balabanoff. Dietro alle serrande abbassate e alle imposte chiuse pare proprio che il “Roma e Pace” conservi storie e misteri che aleggiando sulle sponde del Mediterraneo orientale. Che siano vere o presunte poco importa, perché in tempi dove tutto è a portata di smartphone, leggende e suggestioni ci restituiscono il piacere dell’immaginazione. E poi, diciamolo, il pericolo è passato e nessuno trema più davanti al minaccioso motto “adda venì Baffone”.
Marco Travaglini