La mostra è esposta in un luogo-simbolo della storia del Novecento: la Casa della Resistenza di Fondotoce, a Verbania. In quelle immagini, rigorosamente in bianco e nero, sono riassunti dieci anni di guerre, di speranze e di cambiamenti di confini
“Per me i Balcani, oltre a guerre e secessioni, richiamano note bastarde, voci e frequenze che bucano i confini, ignorano i visti, i passaporti e le lingue, per andare dritti al cuore dell’uomo”. Così descrive le terre ad est, oltre l’Adriatico, Paolo Rumiz, giornalista e scrittore. Ed è più o meno lo stesso per Paolo Siccardi che però non usa le parole ma le immagini delle sue fotografie. “Balcani, oltre i confini” è il titolo della mostra esposta in un luogo-simbolo della storia del Novecento:la Casa della Resistenza di Fondotoce, a Verbania. In quelle immagini, rigorosamente in bianco e nero, sono riassunti dieci anni di guerre, di speranze e di cambiamenti di confini nei Balcani attraverso un viaggio itinerante che parte dalla rete di Gorizia e corre lungo un sottile filo virtuale unendo queste terre ad un unico destino. Un viaggio attraverso linee di confini che non rappresentano solo cicatrici nella geografia dei luoghi ma un grumo d’emozioni, gioie e soprattutto dolore che pesano nell’anima della gente che abita e abitava queste regioni. Soprattutto a cavallo del millennio, nell’ultimo decennio del “secolo breve”.
Tempo di guerre e dissoluzione, raccontato da Siccardi, photoreporter freelance noto per i suoi reportage dalle zone di guerra più “calde” del mondo, fissando ogni tappa del viaggio con le immagini più significative, corredate da un brevissimo scritto a commento. Un progetto visivo che si apre con una fotografia simbolica del riflesso in una pozza d’acqua della rete di Gorizia abbattuta nel 2004 che divideva i quartieri periferici della città italiana con quella slovena di Nova Gorica. Le fotografie che seguono sono un flash-back all’indietro del lavoro proposto, cioè alcune immagini dei clandestini che negli anni novanta,per sfuggire alle guerre balcaniche, attraversavano come oggi quella frontiera. Fermati dalla Polizia, schedati e rimandati ai loro paesi di origine, lasciando per terra lungo le maglie bucate della rete la propria memoria storica dei ricordi (fotografie dei propri cari, documenti ed oggetti personali per non essere identificati dalle autorità di frontiera). Quella rete per i migranti diventava la porta per l’Europa di Schengen come oggi il passaggio a nord di Subotica, in Ungheria. Il percorso segue poi la linea della complessa geografia dei confini nella ex-Jugoslavia negli ultimi vent’anni, con le singole popolazioni stritolate da u conflitto pazzesco con i propri vicini di casa e con la propria storia.
Tutte le fotografie sono tratte da un lungo lavoro nell’arco degli anni del conflitto, spostandosi sui vari fronti della guerra e toccando non l’aspetto militaristico, ma bensì quello sociale delle popolazioni della ex-Jugoslavia. Siccardi, in quegli anni, scatta immagini dalla Croazia alla Bosnia, dal Kosovo alla Serbia e dedica un intenso capitolo al lungo assedio di Sarajevo. Una di questa straordinanza testimonianza fotografica include l’Albania, “il paese delle Aquile”, prima del grande esodo di Bari del 1991 e chiuso per quart’anni da un regime nel cuore dell’Europa, per giungere alla rivolta dei Comitati Spontanei Rivoluzionari nel 1997 con la caduta delle società finanziarie albanesi creando il “caos” tra la popolazione e una guerriglia di bande rivali all’interno dello stesso territorio. La Romania, con la pesante eredità lasciata dal “Contucator” Ceausescu si propone con i suoi tremila ragazzi di strada che vivono nelle fogne di Bucarest, sniffando colla. Gli orfanotrofi e ospedali dove sono ricoverati i bambini sieropositivi, usati al tempo del dittatore come cavie umane dalle case farmaceutiche straniere per la sperimentazione medica. Le storie raccontate in questo capitolo sono il vissuto personale dell’autore con i ragazzi di strada, vivendo sotto terra nei cunicoli a Bucarest per ottenere la loro fiducia ed essere accettato all’interno dei loro clan.
Così come il racconto all’interno dell’ospedale “Babes” di Bucarest e nella Casa Famiglia di Mino D’Amato dove vivono i bambini colpiti da HIV. C’è poi a Moldavia, piccola parentesi all’interno della Romania, attraversata dal Danubio che solo in terra balcanica ritorna con il nome al maschile “Die Donau”; una regione considerata, dopo il crollo del socialismo, la nuova frontiera occidentale, ma attualmente dopo vent’anni si trova ad essere “l’est più ad est” che si possa immaginare di quelle terre. Lo stesso si può dire per la Bulgaria, dove le immagini narrano la lenta trasformazione del paese che dal socialismo passa alla privatizzazione delle piccole e medie industrie tra mille contraddizioni. Un viaggio che, nella quarta ed ultima sezione, comprende la Macedonia, triangolo di terra conteso tra Albania e Grecia, dove nel ’99 scoppiarono alcuni tumulti da parte dalla minoranza kosovara albanese contro il governo centrale per l’indipendenza di alcune parti del territorio. E qui, l’esistenza dell’ultimo capo spirituale del sufismo nei Balcani, consente d’imprimere una boccata di spiritualità alla complessità del lavoro fotografico che incontra poi la Grecia a Salonicco, l’antica Tessalonica, dove si mescolano le popolazioni di diverse etnie migranti, considerata la porta tra occidente ed oriente, sul bordo di un confine inesistente.
L’ultima immagine del percorso fotografico (riassunto nella sua totalità dal video che accompagna l’esposizione) ci porta in riva al mare, a quell’Adriatico che, simbolicamente, si propone come linea virtuale che corre in uno spazio obliquo infinito, a volte quasi irraggiungibile per i clandestini che affrontano un viaggio per la fuga. E’“il mare dell’intimità”, come lo definisce Predrag Matvejevic, uno dei più grandi intellettuali europei dei Balcani .Lo stesso specchio d’acqua su cui s’affacciano genti diverse per genere e provenienza, le cui storie sono inesorabilmente destinate ad intrecciarsi, come ci suggerisce Paolo Siccardi che, con le sue immagini, ci regala forti emozioni e un potente richiamo alla realtà della storia.
Marco Travaglini