CULTURA

Il Festival del Classico torna a Torino

Quattro giorni di dialoghi, dispute e riflessioni sulle radici della ricchezza e del potere

C’è un filo antico che attraversa Torino e la trasforma, per quattro giorni, in un’agorà contemporanea. È il Festival del Classico, che dall’11 al 14 dicembre torna nei luoghi simbolo della cultura cittadina per interrogare il nostro tempo attraverso il pensiero dei grandi autori del passato. Al centro dell’ottava edizione c’è il tema “Oikonomia/Plutocrazia”, un viaggio tra cura della comunità e potere della ricchezza, che il curatore Ugo Cardinale definisce «una bussola preziosa in un presente minacciato da una plutocrazia senza limiti». Prima ancora dell’inaugurazione ufficiale, però, sarà la voce delle nuove generazioni ad aprire il sipario: il 10 dicembre debutta infatti Superclassico, una giornata-laboratorio che il Politecnico dedica a Gen Z e Alfa. Dalle dispute al dialogo con l’avatar di Socrate, l’ateneo si trasforma in un vero terreno di incontro tra filosofia antica e linguaggi digitali.

MERCOLEDÌ 10 DICEMBRE – LA CITTÀ DEI RAGAZZI E DELLE IDEE


La mattina si apre nell’Aula Magna del Politecnico con l’attesissimo dialogo “Che cosa vale davvero?” (h 10), in cui Alessandro Barbero, insieme al gruppo Bookstock, conversa con studenti e studentesse sul significato della ricchezza e della povertà partendo dalla figura di San Francesco. A seguire, il campus si anima con una serie di incontri che portano il pensiero classico nel cuore del contemporaneo: Nicolas Lozito riflette sui nuovi modelli economici (h 11), Paolo Di Paolo esplora le narrazioni del potere (h 11.30), mentre Alessandro Aresu indaga l’élite finanziaria americana (h 12). La mattinata si chiude (h 12.30) con una conversazione sulle comunità digitali insieme a Beatrice Flammini e Riccardo Carnevale. Nel pomeriggio, la Sala Emma Strada diventa lo spazio della “grande agorà” delle giovani generazioni: Matteo Nucci racconta la città giusta di Platone (h 15), Matteo Saudino e Angelica Taglia danno vita a un sorprendente dialogo con un avatar socratico (h 15.30), e un laboratorio partecipato (h 16.30) invita gli studenti a misurarsi con i temi etici e sociali più urgenti.

GIOVEDÌ 11 DICEMBRE – DISPUTE E INAUGURAZIONE

La giornata inaugurale del festival si apre al Circolo dei lettori con “Sette brevi lezioni su Socrate” (h 10), un incontro dedicato alle scuole, seguito dalla Prima disputa classica (h 10.30), introdotta da una lezione di Raffaella Siracusa sui commercianti dell’Antica Grecia. Nel pomeriggio arriva la Seconda disputa classica (h 15), preceduta dal racconto affascinante di Valeria Parrella su Apollo e re Mida. È solo il prologo alla serata che segna l’avvio ufficiale del festival: Ugo Cardinale apre con un viaggio da Aristotele a Elon Musk (h 18), Luciano Canfora scava nelle radici economiche della guerra antica, e infine Francesca Mannocchi dialoga con il Pulitzer Nathan Thrall (h 21) sugli effetti dei conflitti sulla comunità globale.

VENERDÌ 12 DICEMBRE – I CLASSICI A CONFRONTO CON L’OGGI

La mattina è dedicata ai giovani creativi della Scuola Holden: alle 11, studenti e studentesse si sfidano nel concorso “Leggilo e raccontalo”, presentando interventi su narrativa, classici e saggistica davanti alla giuria guidata da Giuseppe Culicchia. Nel pomeriggio, la città diventa un laboratorio di idee. Mauro Bonazzi e Adriana Cavarero affrontano il pensiero di Hannah Arendt (h 15.30), Andrea Taddei esplora il dono in Omero (h 16), mentre Guido Alfani e Davide Calandra ripercorrono la storia della ricchezza dall’antichità al capitalismo globale (h 16.30). A seguire, il viaggio nella filologia economica con Sanchi e Brescia (h 17), la riflessione di Tito Boeri sul monopsonio (h 18) e, per chiudere, il reading di Riccardo Staglianò “Hanno vinto i ricchi” (h 19): un quadro serrato sulle disuguaglianze che segnano l’Italia.

SABATO 13 DICEMBRE – TRA FILOSOFIA, TEATRO E ANTICHITÀ

La giornata si apre con la Finale della disputa classica all’Accademia delle Scienze (h 10), introdotta da Pietro Del Soldà con una riflessione su amore e libertà. Sempre alle 10, al Circolo, Aglaia McClintock e Maurizio Bettini indagano la ricchezza femminile nella Roma antica, mentre alle 10.30 il dialogo tra Marco Martinelli e Gennaro Carillo rilegge il Pluto di Aristofane. In parallelo, Federico Condello e Paolo Biancone approfondiscono la diffidenza aristocratica verso il denaro (h 10.30). A mezzogiorno il Teatro Gobetti ospita l’incontro tra Luciano Canfora e Vito Mancuso sulle Beatitudini evangeliche. Il pomeriggio prosegue con un viaggio fra capitalismo e schiavitù (h 14.30), il confronto tra Senofonte e Aristotele sull’economia (h 15.30), la riflessione di Ivano Dionigi sull’etica del denaro (h 16) e il dialogo tra Chiara Saraceno e Stefano Zamagni sulla povertà nelle società dell’opulenza (h 17). Chiude la giornata Mauro Bonazzi con una lezione sul desiderio in Platone (h 18).

DOMENICA 14 DICEMBRE – IL FINALE TRA STORIA, ECONOMIA E MITO


L’ultima giornata si apre al Teatro Carignano con Alessandro Barbero, che alle 11 affronta il tema della povertà attraverso la figura di San Francesco. Nel pomeriggio, Luciano Bossina (h 14.30) accompagna il pubblico nella storia dell’assistenza tra paganesimo e cristianesimo, mentre Maurizio Ferraris, Loretta Napoleoni e Alessandro Aresu analizzano il ruolo delle Big Tech nell’economia globale (h 15.30). La riflessione torna poi all’immaginario antico con Maurizio Bettini e l’“Economia dell’età dell’oro” (h 17), seguita da un’analisi dell’oligarchia secondo Platone (h 18) con Gennaro Carillo. A chiudere il festival, Luciano Canfora e Francesco Oggiano (h 19) affrontano le sfide del capitalismo digitale.
Valeria Rombolà

Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Torino, bellezza, magia e mistero   Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Nelle alte valli delle Alpi era usanza liberare una mucca prima di fondare una borgata; l’animale andava al pascolo tutto il giorno per poi trovare il punto in cui distendersi a terra e riposarsi. Quello sarebbe stato il luogo in cui i montanari avrebbero iniziato ad edificare il borgo: «la mucca può “sentire” cose che all’uomo sfuggono, se il posto è sicuro o meno e se di lì si irradiano energie benefiche o maligne».

Anche la fondazione di Torino potrebbe rientrare in una di tali credenze. Ma a questa versione, tutto sommato verosimile e riconducibile a qualche usanza rurale, fanno da controparte altre ipotesi, decisamente più complesse e letteralmente “divine”, poiché hanno come protagonisti proprio degli dei, Fetonte ed Eridano.  Avviciniamoci allora a queste due figure. Secondo il mito greco, Fetonte, figlio del Sole, era stato allevato dalla madre Climene senza sapere chi fosse suo padre. Quando, divenuto adolescente, ella gli rivelò di chi era figlio, il giovane volle una prova della sua nascita. Chiese al padre di lasciargli guidare il suo carro e, dopo molte esitazioni, il Sole acconsentì. Fetonte partì e incominciò a seguire la rotta tracciata sulla volta celeste. Ma ben presto fu spaventato dall’altezza alla quale si trovava. La vista degli animali raffiguranti i segni dello zodiaco gli fece paura e per la sua inesperienza abbandonò la rotta. I cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che si trasformò in deserto. Gli uomini chiesero aiuto a Zeus che intervenne e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde nelle acque del fiume Eridano, identificato con il Po. Le sorelle di Fetonte,, le Eliadi, piansero afflitte e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra. Ma precisamente, dove cadde Fetonte? In Corso Massimo d’Azeglio, proprio al Parco del Valentino dove ora sorge la Fontana dei Dodici Mesi.  In un altro mito, Eridano, fratello di Osiride, divinità egizia, era un valente principe e semidio. Costretto a fuggire dall’Egitto, percorse un lungo viaggio costeggiando la Grecia e dirigendosi verso l’Italia. Dopo aver attraversato il mar Tirreno sbarcò sulle coste e conquistò l’attuale regione della Liguria, che egli chiamò così in onore del figlio Ligurio. Attraversò poi l’Appennino e si imbatté in una pianura attraversata da un fiume che gli fece tornare alla mente il Nilo. Qui fondò una città, che dedicò al dio Api, venerato sotto forma di Toro.


Un giorno Eridano partecipò ad una corsa di quadrighe, purtroppo però, quando già si trovava vicino alla meta, il principe perse il controllo dei cavalli che, fuori da ogni dominio, si avviarono verso il fiume, ed egli vi cadde, annegando.  In sua memoria il fiume venne chiamato come il principe, “Eridano”, che è, come abbiamo detto, anche l’antico nome del fiume Po, in greco Ἠριδανός (“Eridanos”), e in latino “Eridanus”.  Questa vicenda ci riporta alla nostra Torino, simboleggiata dall’immagine del Toro, come testimoniano, semplicemente, e giocosamente, i numerosissimi toret disseminati per la città. Storicamente il simbolo è riconducibile alla presenza sul territorio della tribù dei Taurini, che probabilmente avevano il loro insediamento o nella Valle di Susa, o nei pressi della confluenza tra il Po e la Dora. L’etimologia del loro nome è incerta anche se in aramaico taur assume il valore di “monte”, quindi “abitanti dei monti”. I Taurini si scontrarono prima con Annibale e poi con i Romani, infine il popolo scomparve dalle cronache storiche ma il loro nome sopravvisse, assumendo un’altra sfumatura di significato, risalente a “taurus”, che in latino significa “toro”. È indubbio che anche oggi l’animale sia caro ai Torinesi, sia a coloro che per gioco o per scaramanzia schiacciano con il tallone il bovino dorato che si trova sotto i portici di piazza San Carlo, sia a quelli vestiti color granata che incessantemente lo seguono in TV. C’è ancora un’altra spiegazione del perché Torino sorga proprio in questo preciso luogo geografico, si tratta della teoria delle “Linee Sincroniche”, sviluppata da Oberto Airaudi, che fonda, nel 1975, a Torino, il Centro Horus, il nucleo da cui poi si sviluppa la comunità Damanhur. Le Linee Sincroniche sono un sistema di comunicazione che collega tutti i corpi celesti più importanti. Sulla Terra vi sono diciotto Linee principali, connesse fra loro attraverso Linee minori; le diciotto Linee principali si riuniscono ai poli geografici in un’unica Linea, che si proietta verso l’universo. Attraverso le Linee Sincroniche viaggia tutto ciò che non ha un corpo fisico: pensieri, energie, emozioni, persino le anime. Il Sistema Sincronico si potrebbe definire, in un certo senso, il sistema nervoso dell’universo e di ogni singolo pianeta. Inoltre, grazie alle Linee Sincroniche è possibile veicolare pensieri e idee ovunque nel mondo. Esse possono essere utilizzate come riferimenti per erigere templi e chiese, come dimostra il nodo centrale in Valchiusella, detto “nodo splendente”, dove sorge, appunto, la sede principale della comunità Damanhur. Secondo gli studi di tale teoria Torino nasce sull’incrocio della Linea Sincronica verticale A (Piemonte-Baltico) e la Linea Sincronica orizzontale B (Caucaso).Vi sono poi gli storici, con una loro versione decisamente meno macchinosa, che riferiscono di insediamenti romani istituiti da Giulio Cesare, intorno al 58 a.C., su resti di villaggi preesistenti, forse proprio dei Taurini. Il presidio militare lì costituitosi prese il nome prima di “Iulia Taurinorum”, poi, nel 28 a.C, divenuto un vero e proprio “castrum”, venne chiamato, dal “princeps” romano Augusto, “Julia Augusta Taurinorum”. Il resto, come si suol dire, è storia.
Queste le spiegazioni, scegliete voi quella che più vi aggrada.

Alessia Cagnotto

Per la prima volta a Torino il Forum di Italia Patria della Bellezza

Si è svolta a Torino, presso il Museo Nazionale del Risorgimento italiano, alla presenza della vicesindaca Michela Favaro e dell’assessora alla Cultura Rosanna Purchia la quarta edizione del Forum della Bellezza, organizzato dalla Fondazione Italia Patria della Bellezza che, negli ultimi cinque anni, ha erogato un valore complessivo di circa 3,6 milioni di euro, cifra che include anche oltre 90 prestazioni pro bono. Questo risultato è stato possibile grazie al modello di adozione del bene culturale. Quello del forum è un appuntamneto in cui musei, borghi e realtà culturali, da Nord a Sud, si riuniscono per scambiarsi buone pratiche, idee e strategie, e condividere progetti realizzati con 30 agenzie di comunicazione che li hanno adottati.

“Siamo felici di aver accolto a Torino il Forum della Bellezza – ha dichiarato la Vicesindaca Michela Favaro – che valorizza le istituzioni culturali del nostro Paese, e promuove un dialogo virtuoso tra impresa, cultura e comunità. Il sostegno della Fondazione alle realtà culturali, anche attraverso le agenzie di comunicazione che mettono a disposizione di questa realtà le loro competenze creative, rappresenta un modello virtuoso di cooperazione tra il mondo della cultura e quello professionale. Come Città siamo impegnati a valorizzare il nostro patrimonio immobiliare, anche come risorsa culturale e sociale: molti dei nostri spazi pubblici diventano luoghi di creatività, lavoro e inclusione, contribuendo alla rigenerazione dei quartieri e la creazione di nuove opportunità occupazionali. La bellezza è un motore di sviluppo e motore di coesione, un tema che sarà approfondito da una ricerca condotta dai Politecnici di Torino e Milano. Torino vuole continuare a essere un laboratorio di innovazione culturale e sociale, in cui cultura, lavoro e patrimonio dialogano per costruire una città sempre più viva e accogliente”.

“È stato un onore per Torino ospitare il Forum della Bellezza al Museo Internazionale del Risorgimento Italiano, luogo simbolo della nostra identità nazionale – ha dichiarato Rosanna Purchia – il Museo è uno degli esempi più significativi del nostro sistema culturale, che la Fondazione Italia Patria della Bellezza ha voluto valorizzare in questa edizione. Tra i vincitori del bando 2025 figurano altre importanti istituzioni torinesi: la Fondazione Cesare Pavese, il MAO, Museo Civico della Città di Torino e la Fondazione per la Cultura Torino, Ente Partecipato del Comune, che promuove tante delle manifestazioni della Città. Questi riconoscimenti confermano la qualità e la coesione del nostro sistema culturale, capace di fare rete tra istituzioni, fondazioni e professionisti, per valorizzare la nostra identità e renderla accessibile a tutti. Il Forum della Bellezza è stato anche un momento di riflessione e confronto su come la cultura possa essere strumento di innovazione e coesione sociale. Torino, con la sua storia, ne è una testimonianza concreta, una città che continua a investire nella bellezza come crescita e benessere per la comunità”.

Per valutare l’impatto sono stati considerati modelli che analizzano il valore trasformativo della bellezza in termini di sostenibilità, benessere, coesione sociale e sviluppo culturale. Saranno coinvolti cittadini e comunità locali per comprendere la percezione della bellezza e il senso di identità territoriale. I dati finali sono attesi per settembre 2026.

“Il Forum è stata anche l’occasione per rinnovare l’impegno condiviso verso la cultura come infrastruttura civile – ha dichiarato Alessia Del Corona Borgia, direttrice della Fondazione – dopo gli interventi istituzionali della Città di Torino, la giornata si è aperta con il dialogo di ricerca tra docenti dei Politecnici di Torino e Milano. Si è svolto un panel dedicato alle strategie di comunicazione di branding territoriale, in cui comuni e territori hanno raccontato come la bellezza possa diventare una leva di identità e sviluppo locale. L’intervento di Amalia Elvina Finzi, dal titolo ‘La bellezza distorta’, ha affrontato il tema della bellezza come valore culturale e sociale, come spesso venga contrapposta all’intelligenza e usata come etiche5tabdi genere. Attraverso esempi tratti dalla natura, dalla tecnologia e dalla matematica, le relatrice hanno dimostrato che la bellezza permea anche la scienza e l’innovazione, ma i bias culturali continuano a limitarne la percezione. La riflessione è anche un invito a superare gli stereotipi che riducono la donna a sola apparenza e a valorizzare pensiero, talento e intuizione, restituendo alla bellezza il suo ruolo autentico, libero da distorsioni e capace di generare conoscenza e progresso”.

Nel pomeriggio il focus è stato sui temi della legalità, della memoria attiva e dell’impegno civile, e sul ruolo dei musei attivi come centri vivi di conservazione e ricerca. La giornata si è arricchita di case study di comunicazione, un momento musicale a cura della Fondazione Accademia Musicale di Imola.

Mara Martellotta

Mai Più! (Non) Sono Solo Parole

Al “Teatro Toselli” di Cuneo, l’“ACI” locale torna a dire “No” all’incessante fenomeno della violenza sulle donne

Domenica 23 novembre, ore 17,30

Cuneo

“Pare che quest’anno sia diminuito il numero delle ‘vittime donna’, ma i numeri sono ancora troppo alti. Festeggeremo davvero solo quando il numero sarà pari a ‘zero’. Fino ad allora, continueremo a fare rumore e cercheremo, anche quest’anno, di far sì che le parole ‘Mai’ e ‘Più’ non siano effettivamente solo parole”. Ma “Parole” ben chiare. Come quelle succitate, usate da Giuseppe De Masi, direttore dell’“ACI” di Cuneo, per raccontare le motivazioni alla base dell’organizzazione dello spettacolo “Mai Più! (Non) Sono Solo Parole!”, in programma domenica 23 novembredalle 17,30, presso il cuneese ottocentesco “Teatro Toselli” (via Teatro Toselli, 9), quale serata di sensibilizzazione, per l’appunto, contro il drammatico, inarrestabile fenomeno della criminale violenza sulle donne. A fianco di “ACI – Cuneo” nell’organizzazione dell’evento, ad ingresso gratuito (con prenotazione obbligatoria su “Eventbrite”), anche “Trs Radio Savigliano”.

Lo spettacolo si tiene in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” che si celebra ogni anno il 25 novembre e si svolge con il patrocinio della “Città di Cuneo”, inserendosi all’interno del calendario eventi di “8 marzo è tutto l’anno”, l’annuale rassegna di appuntamenti proposta dall’assessorato alle “Pari Opportunità – Servizio Parità e antidiscriminazioni” del “Comune di Cuneo”.

La serata, condotta da Davide De Masi (direttore artistico) e Simona Solavaggione (“Trs”), richiede, come detto, la prenotazione obbligatoria su “Eventbrite”. Per maggiori infoeventi@acicuneo.it

Ancora il direttore Giuseppe De Masi“Portiamo a Cuneo una nuova edizione di ‘Mai Più! (Non) Sono Solo Parole”, lo spettacolo/talk show sull’importanza del fare rete nella lotta alla violenza contro le donne, attraverso gli strumenti dell’arte, della danza, della musica e delle parole. Per questa edizione il ‘Comune di Cuneo’ ci ha concesso l’onore di poter calcare il ‘Teatro Toselli’: da questo importante palco cercheremo, nel nostro piccolo, di portare avanti un messaggio chiaro e preciso: ‘basta con la violenza di genere!’”.

La manifestazione vedrà la partecipazione di Giuseppe De Masi (direttore “ACI Cuneo”), Elena Banin (avvocato esperta di “diritto delle donne”) e Chantal Milani (antropologa forense, esperta in casi di violenza e rappresentante dell’Associazione “Mai + Sole”).

Sul palco saliranno inoltre professionisti e volti noti del mondo dello spettacolo, come Cecilia Gayle (che interpreterà i suoi celebri successi da “El Pam Pam” a “El Tipitipitero”), Mauro Villata, direttamente da “Colorado Cafè” ed Athena Priviterainfluencer e attivista contro la violenza sulle donne.

Momenti chiave dello spettacolo anche suggestive performance di danza. Ad esibirsi saranno “Palcoscenico Performing Arts Center” (Sezione di Ginnastica Ritmica “ISEF” di Torino), “Out of Dance”“Julie’s School” e “La Maison de la Danse”.

  1. m.

Nelle foto: Un momento di una precedente edizione dello spettacolo e Giuseppe De Masi, direttore “ACI Cuneo”

Stefano Tempia, workshop sulla musica e il canto corale

Giovedì 20 novembre, alle ore 17, presso la biblioteca civica Italo Calvino, a Torino, si terrà un workshop sulla musica e il canto corale di un maestro diviso tra innovazione e tradizione, Stefano Tempia

Nel 150⁰ anniversario della fondazione dell’Accademia Corale Stefano Tempia, la più antica associazione musicale del Piemonte, nonché la prima Accademia Corale nata in Italia, è in programma giovedì 20 novembre un incontro dedicato alla riscoperta dell’opera e del mondo musicale del suo fondatore, che ha dato avvio a una tradizione corale viva ancora oggi. Al workshop partecipano Aldo Salvagno, direttore d’orchestra e saggista, Giuliana Maccaroni, docente al Conservatorio di Torino, Luigi Cocilio, direttore artistico e maestro del Coro dell’Accademia Stefano Tempia.  Interviene e coordina il giornalista e musicologo Nicola Gallino. Dopo il workshop, le celebrazioni dei 150 anni dell’Accademia culmineranno giovedì 4 dicembre al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino con la prima esecuzione, in tempi moderni, delle opere di Stefano Tempia, custodite dal Fondo Tempia del Conservatorio di Torino. Giovedì 20 novembre, alle 17,

biblioteca civica Italo Calvino: Lungo Dora Agrigento 94, Torino

“Riscoprire Stefano Tempia” – ingresso libero

Prenotazioni: info@stefanotempia.it

MARA MARTELLOTTA

Accreditamento regionale dei musei non statali

La Giunta regionale del Piemonte ha approvato la procedura di accreditamento regionale degli istituti museali non statali, in coordinamento con il Sistema Museale Nazionale (SMN) promosso dal Ministero della Cultura.

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L’iniziativa rappresenta un passaggio fondamentale per la conoscenza, la valorizzazione e il rafforzamento del sistema museale piemontese, in linea con quanto stabilito dal decreto ministeriale n.113/2018, che definisce i Livelli Uniformi di Qualità (LUQ) validi per musei, monumenti e aree archeologiche, al fine di garantire standard minimi omogenei su tutto il territorio nazionale.

Grazie a questa delibera anche i musei piemontesi non statali potranno avviare il percorso di autovalutazione e accreditamento attraverso la piattaforma nazionale www.museiitaliani.it, con l’obiettivo di entrare a far parte del Sistema Museale Nazionale e beneficiare delle relative opportunità in termini di visibilità, formazione e reti collaborative.

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Per accompagnare gli enti interessati la Regione Piemonte, in collaborazione con il Ministero della Cultura e la Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali, organizzerà un incontro informativo online rivolto ai musei non statali del territorio, in programma giovedì 4 dicembre 2025. Durante l’incontro verranno illustrate le finalità del Sistema Museale Nazionale, il funzionamento della piattaforma digitale e le modalità operative per la compilazione del questionario di autovalutazione.

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«Con questa iniziativa – dichiara l’assessore regionale alla Cultura Marina Chiarelli – la Regione Piemonte compie un passo importante verso una gestione sempre più moderna, partecipata e qualificata dei nostri musei. L’accreditamento rappresenta non solo un riconoscimento di qualità, ma anche un’occasione per rafforzare le reti territoriali e valorizzare il ruolo della cultura come motore di crescita, innovazione e sviluppo sostenibile».

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Le modalità di partecipazione all’incontro e il programma dettagliato saranno disponibili nei prossimi giorni sul portale istituzionale della Regione Piemonte, nella sezione dedicata alla Cultura www.regione.piemonte.it/web/temi/cultura-turismo-sport/cultura

È torinese la prima opera LGBTQ+ in italiano

Di Renato Verga

Nel melodramma le amicizie virili non sono certo una rarità: da Achille e Patroclo e poi Oreste e
Pilade nelle due Ifigenie gluckiane, fino a Zurga e Nadir dei Pescatori di perle, passando per Carlo e
Rodrigo del Don Carlos. Molto più rari, invece, i casi in cui l’amore omosessuale diventa motore
esplicito della vicenda: gli esempi recenti come il folgorante Lessons in Love and Violence di
George Benjamin (2019) o gli Edward II firmati da Cilluffo (2006) e Scartazzini (2017). Poi c’è
Britten, naturalmente, che meriterebbe un capitolo a parte.

In questo solco s’inserisce Davide e Gionata, di Marco Emanuele che tre anni fa aveva presentato la
sua “tragédie biblique” italiana proprio a Torino, nel giorno dedicato alla storia del movimento
omosessuale credente e ai cinquant’anni del F.U.O.R.I. Ora l’opera torna al Teatro Vittoria, anche
questa volta in forma di concerto. Si tratta un soggetto antichissimo — l’amicizia/amore tra Davide
e il figlio del re Saul – già affrontato nel 1688 da Charpentier in David et Jonathas, ma qui la
rilettura è esplicita, contemporanea, dichiarata: «Amo te solo…» cantano i protagonisti, e raramente
nel repertorio italiano tali parole si sono udite così nitide.

Il libretto, dello stesso Emanuele, parte dal Saul del Romani per montare con abilità un collage
poetico che attraversa i secoli: Metastasio, Landi, Goldoni, Cernuda, Testori. Un pastiche colto e
spregiudicato che trova nella musica un equivalente estetico: il compositore guarda al belcanto
primo Ottocento, con recitativi, pezzi chiusi, cabalette, strette, ma si diverte a disseminare echi
vivaldiani, ombre settecentesche e perfino pulsazioni da Piazzolla in un’opera “antica” ma
pienamente di oggi.

La storia è nota, ma assume qui una forza diversa. Il re Saul ha allontanato Davide, sospettoso del
suo legame col figlio Gionata, che intanto tenta di conformarsi al volere paterno sposandosi e
generando eredi. Davide torna, vuole smettere di nascondersi. Saul, accecato dalla gelosia politica e
paterna, trama di eliminarlo. In battaglia Gionata scambia l’armatura con l’amato e paga con la vita:
è il padre stesso a colpire suo figlio credendolo Davide. Solo davanti al cadavere, Saul comprende la
tragedia.

Emanuele costruisce una drammaturgia vocale di grande intelligenza. Davide e Gionata sono due
controtenori: timbri chiari, Davide più sopranile, Gionata più contraltile. Un omaggio al teatro
barocco e alla coppia soprano/contralto del belcanto rossiniano. Abner è un basso “villain”, mentre
la figura contprta del re Saul è affidata a una voce femminile en travesti, scelta che introduce un
gioco di rispecchiamenti e ambiguità molto contemporaneo: l’amante e il Padre condividono,
simbolicamente, lo stesso registro.

La partitura, per quattro voci e otto strumenti, è un cantiere di idee. Simone Lattes dirige con
precisione e trasporto l’Accademia dei Solinghi formata da Flavio Cappello al flauto, Gianluca
Calonghi al clarinetto, Stefano Arato alla fisarmonica, Lucia Caputo e Paola Nervi ai violini, Magda
Vasilescu alla viola e Massimo Barrera al violoncello. Al clavicembalo, festeggiatissima, Rita
Peiretti. I venti numeri musicali offrono una tavolozza sorprendente: cavatine rossiniane, arie “di
tempesta”, recitativi secchi, canzoni pastorali. Spicca la pagina tanghera dell’aria «Fra l’orror della
tempesta», con la fisarmonica in veste di bandoneón: un lampo ironico e geniale.

Fra i momenti più intensi, la scena del sonno di Saul, vegliato con struggimento da Gionata, che
intona l’aria metastasiana «Mentre dormi». Nel finale, la follia del re — un turbine virtuosistico —
e il lamento sul corpo del figlio portano l’opera verso un epilogo di sorprendente pathos.
Il soprano Marina Degrassi delinea un Saul complesso e sofferto, brillano i controtenori Angelo
Galeano (Gionata) e Maurice Beack (Davide), mentre il basso Yulin Wang (Abner) mostra margini
di crescita. Pubblico calorosissimo per tutti, e soprattutto per Marco Emanuele.

Questa seconda esecuzione in forma di concerto — arricchita dalla sobria mise en espace di Pietro
Giau — lascia il sospetto che Davide e Gionata meriterebbe una piena realizzazione scenica. Per
idee, qualità musicale e coraggio drammaturgico, sarebbe ora che la trovasse.

Il tesoro alla fine della solitudine: la letteratura del ritorno

L’Angolo della Poesia

Di Gian Giacomo Della Porta

“Mi trovo gettato sopra un’isola orribile e desolata senza alcuna speranza di uscirne, sono in un certo modo separato e isolato dal resto del mondo, infelice e per sempre”.

Così scrive Robinson Crusoe nel suo diario, battezzando la piccola terra dove si è salvato “Isola della disperazione”. Su quell’isola dovrà percorrere, da solo, tutte le tappe dell’evoluzione della civiltà umana, con la conquista del fuoco, l’agricoltura, la memoria. L’isola di Robinson è luogo di punizione e redenzione di un uomo colpevole di essersi avventurato per mare contro il volere della comunità, espresso perentoriamente dalla figura del padre.

A differenza della storia che si svolge su un’altra isola, dove la redenzione opera diversamente, per sortilegio, incanto, amore, e dove gli spiriti e i demoni dialogano con i personaggi, unificati alla fine dalla magia di Prospero, a differenza dell’isola della “Tempesta” di Shakespeare, dove si svolge una vicenda teatrale sinfonica, la storia di Robinson Crusoe e della sua solitudine è espressa nella forma del monologo. Non c’è concorso di voci ma una sola voce che parla nel deserto di un’isola sperduta nel mare.

La letteratura del secolo trascorso, e quella contemporanea, leggono prevalentemente il mondo come l’isola di Robinson, un luogo di prigionia e solitudine, e tendono a dimenticare il finale, il ritorno. Sembra esserci un tentativo di smitizzazione del mito d’avventura, conoscenza e mistero su cui si basa la letteratura d’Occidente: illusorie Penelope e Itaca, risibili le apparizioni delle dee e delle ninfe marine, sgraziate le voci che incantarono Ulisse, immotivato il viaggio e insignificante il ritorno. Dopo molto più di duemila anni il mondo legge il poema di Omero, non so se tra cento anni si leggerà l’”Ulisse” di Joyce. Certo la pensano diversamente dallo scrittore irlandese, in merito al mito di fondazione della nostra avventura letteraria e conoscitiva, gli autori che re immettono il passato nel presente, come Borges; certo prendono molto sul serio Odisseo e le sue avventure gli scrittori che gettano i semi della letteratura dal duemila in avanti, come l’africano Wole Soyinka o il caraibico Derek Walcott.

Più in generale, credo che la metafora della navigazione sia quella che esprime con maggiore potenza la nostra avventura umana nel mondo e la natura metafisica della letteratura: andare oltre, verso terre lontane, per tornare e restituire l’esperienza vissuta in forma di racconto, la visione tradotta in poesia. Il viaggio per mare, la partenza per l’isola, microcosmo perfetto, la discesa agli inferi che la memoria mantiene in vita come legame con il passato e unione della specie: queste grandi esperienze non sono morte perché la letteratura ha saputo preservarne il senso e il mistero, e la presenza nella nostra vita, se vissuta poeticamente, che non significa in modo sovreccitato o enfatico, ma guardando gli accadimenti nella luce che meritano.

Forse nessuna opera letteraria può esprimere il senso della nostra vita e della letteratura come la storia di quel ragazzo che salpa alla ricerca di un tesoro, seguendo una mappa, avventurandosi in mari lontani. La storia dell’uomo che dopo mille prodigi scopre che il vero miracolo è il ritorno. Perché solo il ritorno consente racconto, memoria, narrazione. Rendere comune a chi ascolta, a chi legge, l’avventura del tesoro, la sua ricerca, gli ostacoli, i misteri, ma anche la certezza che sotto qualche strato di terra, nascosto, sepolto, il tesoro esisteva.

Dalla Regione più fondi per lo spettacolo dal vivo

LE RISORSE COMPLESSIVE DIVENTANO COSÌ 3 MILIONI

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Gli assessori Chiarelli e Tronzano: «Investire nello spettacolo dal vivo significa investire nella comunità e nella vitalità culturale dei nostri territori»

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La Giunta regionale del Piemonte ha approvato l’incremento di 1 milione di euro della dotazione finanziaria della misura “Aiuti allo spettacolo dal vivo”, portando a 3 milioni il totale delle risorse destinate al sostegno delle imprese culturali che operano in questo settore.

La misura, attivata nell’ambito del Programma regionale FESR 2021-2027, sostiene gli interventi di realizzazione, ampliamento, riqualificazione e ammodernamento tecnologico di teatri, sale e spazi destinati allo spettacolo dal vivo, oltre al miglioramento delle dotazioni tecniche e impiantistiche delle imprese professionali con sede in Piemonte.

L’incremento di risorse si è reso necessario a seguito del grande interesse e dell’elevato numero di domande pervenute in occasione del primo bando, che aveva già impegnato quasi integralmente la dotazione iniziale di 2 milioni di euro. Le nuove risorse permetteranno di sostenere ulteriori progetti e rafforzare la competitività del comparto culturale piemontese, favorendo la transizione sostenibile e digitale del sistema produttivo regionale.

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«La Regione Piemonte rinnova così il proprio impegno a sostegno della cultura e dell’impresa, due dimensioni che sempre più spesso dialogano e si rafforzano a vicenda – evidenziano gli assessori alla Cultura, Pari Opportunità e Politiche giovanili Marina Chiarelli, e al Bilancio, Finanze e Sviluppo delle Attività produttive Andrea Tronzano – Lo spettacolo dal vivo è un settore strategico, non solo per il valore artistico delle produzioni, ma anche per l’impatto economico, occupazionale e sociale che genera sui territori. Investire nello spettacolo dal vivo significa fatti investire nelle persone, nelle competenze e nella capacità del Piemonte di produrre cultura e innovazione. Con questo incremento vogliamo dare continuità a un percorso che valorizza teatri, compagnie, maestranze e professionalità, sostenendo la filiera culturale in tutte le sue componenti. La cultura è un motore di sviluppo e coesione: favorire la crescita delle imprese creative significa rendere più forte e competitivo l’intero sistema regionale».

«Queste risorse aggiuntive – concludono Chiarelli e Tronzano – sono un segnale concreto dell’attenzione della Regione verso chi, con professionalità e passione, anima palcoscenici grandi e piccoli, contribuendo alla crescita economica e sociale del Piemonte».

“Bianco al Femminile”. In mostra sei secoli di autentici capolavori tessili

Appartenenti alle Collezioni di “Palazzo Madama”

Fino al 2 febbraio 2026

Occasione contingente, il riallestimento della “Sala Tessuti”. Da questa pratica incombenza, nasce una mostra di notevole valore culturale, storico e didattico che racconta, attraverso sei secoli di altissima arte tessile una storia che passa per ricami minuti e intricati e preziosi merletti, arrivando al più iconico degli abiti femminili di colore bianco, il colore naturale della seta e del lino: l’abito da sposa. Si presenta così la mostra dal titolo (non per nulla) di “Bianco al Femminile” curata da Paola Ruffino e allestita nella “Sala Tessuti” di “Palazzo Madama” fino a lunedì 2 febbraio 2026. In rassegna, trovano adeguato spazio cinquanta manufatti tessili, appartenenti alle Collezioni del Palazzo che fu “Casa dei secoli” per Guido Gozzano, di cui sei restaurati per questa precisa occasione e quattordici esposti per la prima volta: autentici capolavori nati dal sorprendente lavoro (più che artigianale) passato, per tradizioni secolari, attraverso “mani femminili” che hanno operato con minuta diligenza sul “ricamo in lino medievale”, così come sulla lavorazione dei “merletti ad ago” o “a fuselli” o ancora sul “ricamo in bianco su bianco”. Donne artigiane, donne artiste, donne “autrici, creatrici, nonché raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda”. Comune fil rouge, per tutte, il colore bianco, colore “in stretta connessione, materiale e simbolica, proprio con la donna”. E che trova il suo massimo apice in Francia e in Europa, sul finire del XVIII secolo, complice il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana su una moda che guarda, affascinata non poco, all’antico. “Le giovani – si legge in nota – adottano semplici abiti ‘en-chemise’, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del ‘cingulum’ delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent’anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè”.

Dal XIV – XV secolo fino al Novecento (dietro l’angolo) l’iter espositivo prende avvio dai primi “ricami dei monasteri femminili”, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza (lavorati su tela di lino naturale e poi diffusisi, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, anche in ambito domestico – laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini) per poi passare a documentare la lavorazione del “merletto” nell’Europa del XVI e XVII secolo che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle “merlettaie veneziane e fiamminghe”. In rassegna una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest’arte “esclusivamente femminile”, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in “manifatture”. E proprio l’inizio della “produzione meccanizzata” causò, nel XIX secolo, la perdita di quell’insostituibile virtuosismo nell’arte manuale del “merletto”, che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili “tele batista” (in trama fatta con filati di titolo sottile) e sulle “mussole” dei “fazzoletti femminili”. Quattro splendidi esemplari illustrano l’alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che restò sempre un’attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.

L’esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l’ “abito da sposa”, con un abito del 1970, corto, accompagnato non dal velo ma da una avveniristica cagoule (cappuccio), scelta non scontata “che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l’immagine della donna e il candore del bianco”.

La selezione di tessuti è accostata nell’allestimento a diverse “opere di arte applicata”, fra cui miniature, incisioni, porcellane e legature provenienti dalle Collezioni del “Museo”. 

In occasione del nuovo allestimento delle Collezioni Tessili, “Palazzo Madama” propone, inoltre, un laboratorio di cucitura in forma meditativa” a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo, 5 12 aprile,  dalle ore 10 alle ore 13. Tutte le info su: www.palazzomadamatorino.it

Gianni Milani

“Bianco al Femminile”

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino al 2 febbraio 2026

Orari: lun. e da merc. a dom. 10/18; mart. chiuso

 

Nelle foto: “Sala Tessuti” (Ph. Studio Gonella); Caracò, Italia 1750-60; Corpetto, Germania sud-occidentale, 1750-75