Cosa bolle in pentola

Lo chef, il corsaro e l’oca di Savigliano

2a parte

Fatte queste premesse (vedi la prima parte dell’articolo pubblicata lunedì 17 aprile u. s. su Il Torinese – ndr), vi devo raccontare che, qualche settimana fa, sono andato a Saluzzo all’inaugurazione di “Casa Pellico”, un nuovo ristorante aperto al n. 5 di Piazzetta dei Mondagli, nel palazzo storico dove il 25 giugno 1789 nacque lo scrittore e patriota italiano Silvio Pellico. Solo qualche parola per raccontare il contesto e Saluzzo. Ci troviamo in uno degli angoli più caratteristici di questa cittadina cuneese, non molto distanti dalla suggestiva Via Volta (l’antica via dei Porti Scur), che tutti i sabati ospita il cosiddetto “mercato delle donne” (el mercà d’le fômne), dove confluiscono le piccole produzioni tipiche delle aziende agricole locali.

Siamo nel centro storico su cui domina la Castiglia (l’antico castello), una volta capitale di un marchesato che ha saputo conservare la sua autonomia per oltre 5 secoli (dal XII° al XVII° secolo), resistendo all’espansionismo di Casa Savoia, a cui, in una certa fase, ha conteso il predominio sul Piemonte. La città vecchia è tutto un susseguirsi di viuzze acciottolate, ripide gradinate, eleganti palazzi nobiliari, chiese, campanili e la torre civica, che insieme compongono lo skyline caratteristico della città. Dall’alto della collina su cui è adagiato il borgo antico, la vista può spaziare dalle Alpi Cozie, sovrastate dal Monviso, alla pianura, ricca di frutteti ora in piena fioritura e che fra qualche mese si coloreranno di albicocche, pesche, “ramasin” e, quindi, mele, pere e kiwi. Nelle giornate terse, si arriva a intravedere Torino, lontana nella pianura.Entriamo nella cucina di “Casa Pellico”, dove troviamo lo chef Marco Roberto, trasferitosi qui dopo aver gestito per oltre vent’anni il Ristorante D’Andrea di Barge, assieme all’insostituibile Mara, che continua a curare la sala e la cantina. Conosco Marco da molti anni ed è un cuoco curioso, un attento esploratore delle risorse alimentare del suo territorio, alla continua ricerca dei produttori virtuosi che ne custodiscono la biodiversità: la sua cucina è il frutto di queste indagini, con la capacità di reinterpretare le ricette tradizionali e una giusta dose di innovazione. Ogni incontro con Marco è l’occasione per parlare di un nuovo produttore che ha avuto modo di scoprire e sedersi ai tavoli del suo ristorante è la piacevole opportunità di scoprire il risultato delle nuove collaborazioni.

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Uno chef che ama il suo territorio, sottolinea Marco, si trova nella posizione privilegiata per conoscere le nuove iniziative nella produzione agroalimentare sostenibile, diventa un riferimento autorevole per i piccoli produttori, è il crocevia tra chi produce e chi vuole conoscere l’anima, il gusto vero del luogo”. Il menù di “Casa Pellico” è coerente con questa filosofia e ti offre nel piatto lo scorrere delle stagioni, raccogliendo il meglio di quanto propongono i piccoli produttori locali (molti dei quali iniziano a essere certificati bio) e il vicino el mercà d’le fômne, proporrà sicuramente nuovi spunti. Mi permetto di dare qui un suggerimento a Marco: è utile indicare con buona evidenza sul menù il nome del produttore che fornisce la materia prima, per dare rilievo e visibilità al suo lavoro. Ogni prodotto da il meglio di sé nell’area dove è nato. Per questo occorre far conoscere la storia degli alimenti e chi lavora in cucina per cuocere il cibo, non può comprarlo all’ingrosso o magari al supermercato: deve scegliere e conoscere direttamente i produttori, farsi raccontare i loro piccoli segreti e la storia di ogni prodotto per poter a sua volta interpretarlo e presentarlo nel modo migliore. Se i ristoratori cercano localmente i prodotti principali per preparare i loro piatti, oltre a contribuire a ricostruire efficienti relazioni economiche, possono garantire preparazioni eccellenti, con materie prime fresche, legate alla stagionalità e con costi di trasporto ridotti, garantendo ai propri clienti la certezza di provare a tavola esperienze sensoriali uniche, con cibi controllati e rintracciabili.

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Noi siamo quello che mangiamo e, dunque, noi siamo anche quello che produciamo. Ogni città, assieme alla campagna con cui si relaziona, si riconosce in ciò che produce. L’identità di un territorio si forma e si manifesta attraverso il cibo, che è la sua anima più profonda. Pare che 4 italiani su 100, quando vanno al ristorante, non ricerchino piatti tipici, Gli altri 96 però si, cercano qualcosa per cui valga la pena andarci! Ecco allora un semplice suggerimento per chi fa ristorazione: interpretate il vostro territorio, date risalto alla ricchezza che ci sta intorno, offrite visibilità e collaborazione ai piccoli produttori virtuosi che possono fare la differenza per le vostre proposte. E’ bene continuare a cercare i prodotti che stanno scomparendo e proporli ai clienti, spiegando loro perché è così importante tutelarli. Il mercato non riconosce più alcun valore alle cose semplici e buone, tende a massificare tutto e a banalizzare il nostro cibo, difendiamo la biodiversità , fatta di razze e varietà locali e di prodotti frutto di saperi secolari.Resistete alle proposte sconvenienti della GDO e dell’industria: sarete, saremo tutti più felici!All’inaugurazione di “Casa Pellico” sono intervenuti in tanti, anche alcuni produttori di cui vi ho fatto cenno: tra questi, Marco mi ha presentato il “corsaro”, Edoardo Bresciano. Di lui vi parlerò nella prossima puntata, offrendovi anche una ricetta proposta dal nostro chef Marco.

Ignazio Garau

Presidente Italiabio

ciao@italiabio.net

 

 

Lo chef, il corsaro e l’oca di Savigliano

Il torinese Mario Soldati, scrittore e regista, ebbe a rispondere “a un disperato ricercatore di cibi genuini, che la sua ricerca non era più così disperata se lui soltanto si fosse dato la pena di lasciare l’asfalto e di inoltrarsi qualche chilometro per le strade secondarie, di breccia o di terra battuta.” A mia volta, se dovessi incontrare “un disperato ricercatore di cibi genuini” (e il loro numero è cresciuto), utilizzando ancora le parole e le indicazioni di Mario Soldati, gli darei una risposta ancor più rassicurante: il percorso è breve, non c’è bisogno di andare lontano, basta allontanarsi di poco dalle vie di traffico, grande o piccolo, dall’industria, piccola o grande, e dai messaggi ingannevoli della Grande Distribuzione (solo grande e basta!).

Occorre guardarsi intorno, superare le barriere delle nostre abitudini consolidate di acquisto e di consumo, decidere di essere informati e stabilire un rapporto più attento, interessato e vero con il nostro cibo quotidiano per guardare oltre le apparenze e allora scopriremo persone appassionate e progetti da sostenere con la nostra scelta convinta. Stanno vicino a noi i molti che hanno intrapreso il percorso per salvare la qualità della nostra alimentazione: gli agricoltori biologici, gli artigiani, i ristoratori, i negozi biologici e le botteghe dedicate alle produzioni agroalimentari di qualità, troppo rare e preziose per finire sulle “gondole” della Grande Distribuzione.

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Anche se non sempre ce ne rendiamo conto, il rapporto che abbiamo con ciò che mangiamo è tra i più intimi in assoluto, lo introduciamo nel nostro corpo, diventa parte di noi stessi, fino a essere tra i primi responsabili del nostro stato di salute immediato, ma ancor più per gli anni che dobbiamo ancora vivere, Per non parlare dell’impatto che il cibo ha sulla qualità del nostro ambiente, sia per la metodologia di coltivazione e produzione, che per quella di trasformazione e distribuzione. E’ necessario essere più consapevoli e coinvolti nella filiera del nostro cibo, sapendo che il modo in cui ci alimentiamo, e facciamo la spesa, ha un’enorme influenza sui comportamenti e le scelte di tutti gli attori dell’agroalimentare (produzione, trasformazione e distribuzione del cibo), oltre che sugli equilibri sociali ed economici del pianeta.

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Le catene della grande distribuzione organizzata (GDO) da tempo hanno scelto di abbassare i prezzi al consumatore come principale elemento della propria strategia di marketing: il basso prezzo, il sottocosto sono l’ultima frontiera per mantenere disperatamente le loro quote di mercato. Abbagliati dai messaggi altisonanti che promettono convenienza e risparmio, non ci interroghiamo più su come sia possibile acquistare qualcosa a un prezzo indicato come inferiore al costo di produzione, ci sembra normale e non ci sforziamo di capire cosa comporti una politica di questo tipo. Così le promozioni impazzano, tanto che oltre il 30% dei nostri acquisti viene effettuato solo in presenza di un’offerta. Questo meccanismo ha avuto la conseguenza di alterare la percezione del giusto valore di un prodotto alimentare, tanto che ormai siamo convinti che il prezzo corretto sia quello scontato, che non è più un’eccezione, ma la regola. E l’industria alimentare si allinea e asseconda questa tendenza, preoccupandosi poco del rapporto con la produzione locale, con la convinzione che sia conveniente delocalizzare anche la produzione agroalimentare. Peccato se, con la delocalizzazione della produzione manifatturiera, abbiamo già avuto riscontro di quanto tale scelta sia deleteria!

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E’ giunto il momento di smettere di chiedere quanto costa il cibo e di domandare piuttosto: quanto vale? George Orwell sosteneva che per vedere ciò che sta sotto il nostro naso occorre un grande sforzo, ma vi assicuro che vale la fatica ed è una scelta che molto presto riserva le sue gratificazioni!E’ conveniente impegnarsi per sostenere un sistema di resistenza alle offerte sconvenienti dell’industria e della GDO, è l’inizio di un cammino per ricostruire nuovi circuiti economici locali, un percorso obbligato se vogliamo costruire un’economia sostenibile!

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FINE PRIMA PARTE continua

Ignazio Garau

Presidente Italiabio

ciao@italiabio.net