Era l’estate del 1964 e Ken Kesey, Neal Cassady e Ken Babbs trainavano la sgangherata e chiassosa carovana della “Merry Band of Pranksters” su un ex scuolabus ricoperto di colori psichedelici, per realizzare un coast-to-coast pacifico-atlantico dall’area di San Francisco a New York, metafora del viaggio fisico e mentale della controcultura. Partivano da La Honda (sud di San Francisco, contea di San Mateo) e in territorio californiano toccarono San Jose, Los Angeles, San Juan Capistrano, per poi addentrarsi in Arizona e puntare a est Houston, Louisiana, nord Florida e risalire verso la Grande Mela. I Pranksters presero la direzione sud-est, aprendosi ad aree selvagge e “libere”; a nord-est c’era fin troppa presenza (anche militare) dell’Establishment, soprattutto verso Sacramento, in primis nell’area di Fairfield, sede della Travis Air Force Base. Era il 1964 e… proprio nel giro delle famiglie dei dipendenti della base militare sopra citata si costituì la band The Tears, che ebbe come nucleo originario i fratelli Robert (R.T.) e Richard Salazar (V, chit) e Jim Brackett (batt), cui si aggiunse presto Eddie Guillerme (b). I punti di
riferimento erano i “soliti noti”, ossia Beatles, Rolling Stones, ma anche Young Rascals e la realtà Motown. Il versante manageriale della band, dapprima “in proprio”, venne poi curato da Icon Studios e Trident Management (Fantasy Records); dopo il solito “allenamento sul campo” in teen clubs, concerti per eventi sportivi e veterans’ halls nelle aree di Fairfield, Napa, Vacaville e Davis, il raggio si allargò più a sud, specialmente nella Contea di Contra Costa (tra Concord, Richmond, Walnut Creek ed Antioch). La notorietà locale aumentò nel 1966 con l’affermazione dei The Tears alla State Fair Battle of the Bands di Sacramento e il radar delle esibizioni si estese a sud-est fino a Modesto, Merced e Fresno, con puntate in Nevada (anche Reno e Las Vegas); la band ebbe quindi l’opportunità di aprire concerti di Music Machine, Grass Roots, Mojo Men e Seeds. Praticamente in parallelo The Tears esordirono negli studi di registrazione. Ne derivò il primo 45 giri a fine 1966: “Weatherman” [Salazar – Brackett] (Scorpio 409; side B: “Read All About It” [Salazar]), inciso negli studi della Fantasy Records di San
Francisco, con arrangiamento di Eirik Wangberg; il sound è chiaramente di ispirazione Beatles e si notano i forti richiami a Rubber Soul uscito esattamente un anno prima. Per la band ci fu anche l’occasione di comparire in TV, in un evento musicale (presso il South Shore Mall di Alameda) organizzato dalla mitica KFRC di Bill Drake, radio che soprattutto tra 1966 e 1968 fu attivissima nella scena musicale di San Francisco e nel periodo sella Summer of Love. La cultura psichedelica era in pieno fulgore e la musica andava trasformandosi radicalmente, travolgendo stile, suono e modus operandi di quasi tutte le band in circolazione nell’area californiana. Non ne furono immuni nemmeno The Tears, che tuttavia proprio in quella fase di passaggio persero Brackett e Guillerme (il primo si sarebbe sposato, il secondo era tornato per motivi familiari in Portogallo) e tornarono al nucleo base dei fratelli Salazar. Il secondo 45 giri (uscito a fine 1967) ebbe carattere del tutto psichedelico e tra i cultori del genere è considerato un esempio importante della “psychedelia
minore” del periodo: “Rat Race” [Salazar – Brackett] (Onyx 2201; side B: “People Through My Glasses” [Salazar]), anch’esso inciso presso gli studi della Fantasy Records di San Francisco, prodotto da Paul Rose. In particolare Rat Race è il tipico rock psichedelico con uso diffuso di fuzzy tones contagiosi, armonie vocali stratificate e effetti eco avvolgenti. Il singolo segnò lo scioglimento definitivo della band, ma resta una chicca per gli appassionati…
Gian Marchisio







In Kansas non andava violato Burnett’s Mound, che i nativi locali dicevano essere luogo leggendario dal potere apotropaico e di protezione per la città di Topeka dal passaggio dei tornados.
Who Sell Out“. Poteva essere il trampolino di lancio definitivo ma paradossalmente fu il punto d’inizio di una frattura interna, con Gucker (anima rock e principale songwriter) che iniziò espressamente a non condividere la tendenza blues del resto del gruppo. La band sfornò ancora alcune demos su brani di Byrds e Yardbirds (“I’ll Feel A Whole Lot Better” e “Stroll On”) e tenne una veloce sessione di registrazione agli Audio House Studios di Lawrence; Gucker uscì e passò ai White Clover, band di orientamento progressive che in seguito a fusioni darà origine nei primi anni Settanta ai Kansas. 
e Don Harney (chit) e Jim Price (b); a questi si aggiunsero, dopo alcune sostituzioni, Wayne Groves (batt), John Parisi (org) e Tom Vorhauer (V). Le esibizioni coprirono soprattutto l’area nord-est della Virginia e la zona di Washington; fra le venues si segnalano “Mac’s Pipe and Drum”, la “Firehouse” di Fairfax e la famosa “Roller Rink” di Alexandria (qui The Apollos furono support band di gruppi quali The Vogues, The Mad Hatters, The British Walkers). Un’affermazione ad una “Battle of the Bands” locale consentì, presso gli Edgewood Studios di Washington, la registrazione di una demo di 4 brani; due di questi erano originali (scritti da Vorhauer-Parisi e Don Harney) e sarebbero poi stati il materiale del primo 45 giri. “That’s The Breaks” [T. Vorhauer – J. Parisi] (Delta MM 183; side B: “Country Boy”, 1965) uscì con etichetta Delta [Music Company] e con la produzione del manager della band, Bill Mosser. Il brano divenne presto una hit locale, ma diede visibilità anche ad ampio raggio, tanto che la MGM records si fece avanti per acquisire i diritti del pezzo; The Apollos tuttavia rifiutarono la proposta, in quanto scettici sulla convenienza di cedere subito i diritti del brano che li aveva fatti emergere con tanta rapidità.
nonostante il buon livello, ebbe scarso riscontro nelle classifiche e purtroppo scomparve presto dai radar. Dopo l’estate 1966 Vorhauer, Price e Groves dovettero lasciare per motivi personali e di studio; subentrarono Doug Collis (V) e Wayne Goubilee (batt), che con i fratelli Harney cercarono di proseguire un’avventura ormai già segnata da un mercato musicale non più favorevole. La parabola de The Apollos si chiuse probabilmente entro l’inizio del 1967; tuttavia non ha impedito agli Harney, a Price, Vorhauer e Groves di incidere nel 2013 un album celebrativo del cinquantennio e di organizzare nel 2017 un’ultima reunion a Hot Springs in Arkansas, ricordando ancora le origini a McLean e Falls Church e le feste alla George C. Marshall High School.
tra Illinois ed Indiana e, tuttora, sembra che lì attorno “tutto” sia Chicago. Figuriamoci 50 anni fa… Anche allora poteva essere considerato originario della “Windy City” chiunque fosse nato a Calumet City o Hammond, al di là o al di qua del confine. Non facevano eccezione The Omens, band garage “meteora” tra il 1964 e il 1966, formatasi a Hammond (Indiana) eppure a lungo ritenuta originaria di Chicago. Come per molti altri gruppi nascenti, l’età media dei componenti (Don Revercomb, V, chit; Gene Cooper, chit; Larry Allen, b; Tim Jones, batt; Al Patka, org) era attorno ai 17 anni e il raggio d’azione insisteva particolarmente nell’ambito dei teen clubs o delle feste delle high schools della zona. Si esibirono specialmente tra Chicago, Gary, Blue Island, Calumet City, Hammond, Lake Station, Glen Park e Portage; in un concerto a Cedar Lake (Indiana) furono support band degli Yardbirds e in una “Battle of the Bands” ad Hammond affrontarono, senza fortuna, nientemeno che i futuri The Jackson 5. Come nel caso di tante altre bands “meteore” del garage rock, la produzione discografica fu ridottissima (due 45 giri dell’etichetta Cody records di Tom Cleary incisi entro l’autunno 1966), sebbene significativa del suono garage di quegli anni. Non a caso “Searching” [D. Revercomb – L. Allen] (Cody records C007; side B: “Girl Get Away”, luglio 1966) è diventato brano emblematico e quasi archetipico del genere, caratterizzato da un insistente riff introduttivo di chitarra che apre al succedersi di voci frenetiche e screamings, assolo di organo e i tipici effetti di chitarra ottenuti tramite l’allora diffusissimo Gibson Maestro Fuzztone. Non è raro scoprire che proprio in quel periodo nacquero brani “tipici” e caratterizzanti che, indipendentemente dalla notorietà o dalla longevità di una band, ebbero la forza di riemergere anche a distanza di anni, quando ormai di una band “meteora” si conserva a malapena qualche informazione biografica o discografica. L’altro 45 giri targato The Omens di etichetta Cody records, probabilmente inciso poco dopo il precedente, omaggia anche la “British Invasion” (come era d’altronde frequente). La cantante solista è Carol Buehler (allora fidanzata del band leader Don Revercomb) che esegue l’originale “September” [D. Revercomb – C. Provenzano] e la cover di As Tears Go By di Jagger-Richards; l’assenza di numero di catalogo del disco indica la natura essenzialmente promozionale dell’incisione. Dall’autunno 1966 gli impegni, gli studi, il rischio di licenziamento dal lavoro per gli eccessivi permessi e le dolci attese di fidanzate e future mogli chiusero la breve parentesi della band, che tuttavia nell’arco di un biennio seppe movimentare e scuotere il nord-ovest dell’Indiana e buona parte dell’area nord-est del “Prairie State”.
1965, grazie ai concerti di quei “Fab Four” e “Stones”, la strada era già chiaramente tracciata; l’area del Midwest americano (tra Ohio, Michigan, Minnesota, Iowa, Illinois, Indiana, fin quasi al Colorado e all’Oklahoma) divenne terreno fertile per la nascita di una nuova forma di rock dai toni più crudi, grezzi e “home made”: il garage rock. Prendeva le mosse dalla scia del rock & roll e inglobava
l’apporto del British Invasion rock, ma trasformandolo in un prodotto realizzabile da un vasto bacino di musicisti e fruibile da un variegato pubblico; le chitarre diventavano aggressive e distorte, la voce ringhiante, i testi più graffianti, sfacciati e diretti. La fiammata fu veloce ed improvvisa, l’ascesa travolgente; ma altrettanto rapido fu il declino, tanto che molte bands ebbero carattere di meteore ed entrarono nell’oblio già al giro di boa degli anni Settanta. In parallelo, la metà degli anni Sessanta vide l’affermarsi del movimento psichedelico, che impregnava il rock di particolari caratteristiche: la forma musicale ed il rapporto testo-musica assumevano fattezze fluide, venivano assorbiti suoni dell’area indiana e orientale, si sperimentavano novità pionieristiche nelle sale di registrazione, si ricorreva anche all’uso di chitarre “fuzz-toned” e alla stratificazione sonora con effetti di eco e di riverberi multipli. L’area californiana irradiò il verbo dello psychedelic rock in tutti gli Stati Uniti, tramite Doors, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Big Brother and The Holding Company, Quicksilver Messenger