Il povero Sparagnetti, che di nome faceva Gaudenzio, sacrestano pio e devoto di San Rocco, inorridì alla notizia. “Oh, mamma mia, che vergogna! Che vergogna per tutto il paese!”. Il pover uomo si teneva la testa tra le mani, scuotendola a destra e sinistra, disperato e sconvolto. L’ultima trovata del Borlazza era davvero scandalosa: trasformare Brovello Carpugnino in un set per un film di quelli scollacciati, con le attrici che interpretavano quelle signorine che un tempo praticavano il mestiere al riparo delle mura di quelle che venivano chiamate “case chiuse”. Roba da matti, da non credere alle orecchie. E già in giro c’era chi sogghignava, chi – tra amici – si dava di gomito strizzando l’occhio e chi biascicando qualche preghiera, tra un singhiozzo e l’altro, immaginava già di finire sulla bocca di tutto il Vergante. Lo Sparagnetti se li immaginava già, i discorsi ai mercati o nei bar dei paesi vicini: “Avete sentito la notizia? Quelli di Brovello metteranno su un gran casino. No, non una gazzarra..proprio un casino, di quelli dove i militari e quelli che avevano quell’abitudine andavano a dar prova della loro virilità”. E giù risate. “Una gran bella figura di emme”, sospirava il sacrestano. Intanto il Borlazza, vicesindaco factotum con l’ambizione di far le cose in grande e rimanere ( si esprimeva con queste parole..) “inciso nella memoria dei miei concittadini”, non stava più nella pelle. Nessuno aveva capito come mai la scelta del regista Amleto Ciaccorelli fosse caduta proprio su Brovello Carpugnino come set per le riprese del film ma sta di fatto che il piccolo comune aveva “bagnato il naso” alle più titolate concorrenti, da Verbania a Stersa, da Baveno ad Arona. Così, in quattro e quattr’otto Brovello, per i più ardimentosi, era diventata “Brovellowood” mentre per i critici , i bacchettoni e i benpensanti era assurta al poco edificante ruolo di “paese delle puttanate”. Eppure, a ben vedere, i più erano attratti – per curiosità ma soprattutto per ammirazione – dalle belle donne che interpretavano le “signorine” di Villa Morlini, la casa di tolleranza che dava il titolo alla pellicola. “I bei tempi di Villa Morlini” poteva vantare un cast di prim’ordine, con le due protagoniste – Silvietta Tocca e Melania Cantuccini – dotate di grande talento artistico ma anche di un notevole “personale”. Soprattutto la Cantuccini, ragazza dalle grandi misure del tutto naturali, non lasciava indifferente nessuno dei brovellesi di sesso maschile. Anche gli amministratori erano coinvolti nel film. Il sindaco Mariano Contatto e l’assessore Tripelli figuravano come semplici comparse mentre al Borlazza era stato proposto un ruolo un tantino più importante: quello del cliente abituale. Persino allo Sparagnetti era stata offerta una particina, da ragioniere contabile, prontamente e segnatamente rifiutata dal sacrestano che, a scanso d’equivoci, accompagnò il suo no con una decisa sgranatura del rosario e un imprecisato numero di segni della croce. In breve tempo e per qualche settimana, non si parlò d’altro sulle due sponde del Lago Maggiore.
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E anche sul lago d’Orta, nella zona di Mergozzo, in Ossola e giù, giù, a ridosso delle risaie della “bassa” novarese. Brovello, grazie al film, era sulla bocca di tutti. Nella ricostruzione scenica, accurata fin nei dettagli, nulla è lasciato al caso. Semmai si dava spazio alla fantasia di coloro che – scrutando le ragazze che si presentano in fantasiose combinazioni di veli , merlettature o deshabillé , in calze nere o guêpières – immaginavano di frequentare le stanze dei bordelli di lusso, affrescate di dipinti erotici con angeli caduti in pose peccaminose e donne semivestite, mollemente sdraiate sui divani. Per i più anziani non era necessario un gran sforzo di fantasia ma semmai un rivangare lontani ricordi , rinverdendo episodi autobiografici, mentre per i giovani come il Borlazza era un tourbillon di novità ad alta tensione. Sì, perché il vicesindaco, costretto in un abito di foggia sartoriale anni cinquanta, rosso in volto come un peperone, si era talmente immedesimato al punto che il regista più volte dovette sospendere le riprese per calmarne gli ardori. E soprattutto per tagliare quel fastidioso e ripetuto “Cavolo, cavolo” che il Borlazza non riusciva a disciplinare, intercalandolo ad ogni pur breve frase. Al vicesindaco il copione riservò anche una lunga battuta, fortemente critica nei confronti della senatrice Lina Merlin, veneta e socialista, firmataria della legge che chiuse i bordelli. Rivolgendosi alla sua foto su di un giornale aperto sul banco dietro il quale sedeva la maîtresse Margherita, , la tenutaria della casa di tolleranza “Villa Morlini “ , nell’ultima sera d’apertura prima che chiudesse per sempre i battenti, la sera di sabato 20 settembre 1958 il Borlazza, sospirando a lungo, citava il senatore Pieraccini, uno dei più fieri avversari della Merlin, parlando delle anguille. Le anguille? Sì, le anguille. Infatti, il politico fiorentino disse “ Le anguille quando entrano in amore fanno un lunghissimo viaggio di migliaia di chilometri; vanno tutte quante a trovare il loro letto di nozze. Consideri, onorevole Merlin, quanto è potente lo stimolo sessuale!”. Solo che, detta dal Borlazza, la frase suonò ben altra, soprattutto quando aggiunse.. “Cavolo, altro che balle! Le anguille sì che ci danno dentro”. E così, tra uno stop e l’altro, prima che il regista e il cameraman dessero in escandescenze, la battuta venne cancellata, con il vicesindaco che non se ne faceva una ragione, masticando amaro ( “Che sfiga, che sfiga..”) e il resto della troupe esasperata. Così, in breve, le riprese terminarono, con grande sollievo dello Sparagnetti, di Don Tullio e della maggior parte della comunità brovellese di sesso femminile. Un po’ d’amaro in bocca rimase, invece, al vicesindaco perché maturò il sospetto, senza capirne le ragioni vere, che l’esperienza della “Brovellowood” era quasi del tutto “andata a puttane”. Esito al quale, inconsapevolmente, aveva contribuito da protagonista, aggiungendo l’ultimo “tocco” di classe quando – rivolgendosi alle due protagoniste – le apostrofò con un sonoro “saprei io come farvi contente se vi avessi tra le mani, gallinelle”. Amleto Ciaccorelli e la sua troupe se ne andarono da Brovello pronunciando un “grazie” piuttosto freddo e maldisposto. E al vicesindaco non restò che il pensiero, a metà tra l’incuriosito e l’invidioso, di quelle incredibili creature che, dalle acque dolci risalivano fino al Mar dei Sargassi all’unico scopo di copulare e riprodursi.
Marco Travaglini