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“Finalmente” arrivano i corsi di guida per donne insicure al volante

Si tratta di un corso dedicato a tutte coloro che -ovviamente già in possesso della patente- non si sentono ancora sicure alla guida della loro auto, che sono stanche di sentirsi dire dal proprio marito o dal proprio fidanzato di non essere capaci a guidare

“Donne al volante..pericolo costante”. Quante volte abbiamo sentito, utilizzato e scherzato sopra a questa frase per commentare magari una donna alla guida di una vettura. Da dove nasca questo detto non si sa, il perché lo si usi è facilmente immaginabile: è un pensiero piuttosto diffuso e comune tra la maggior parte delle persone, che il gentil sesso al volante sia meno capace e per così dire più “pericoloso” rispetto ad un uomo. Ebbene su questa teoria (non ancora scientificamente provata ma attualmente in fase di studio), le autoscuole Solferino hanno cercato di trovare una soluzione e hanno proposto un vero e proprio “corso di recupero” per tutte quelle donne che vogliono dire addio alle paure che insorgono quando si trovano alla guida. Si tratta di un corso dedicato a tutte coloro che -ovviamente già in possesso della patente- non si sentono ancora sicure alla guida della loro auto, che sono stanche di sentirsi dire dal proprio marito o dal proprio fidanzato di non essere capaci a guidare; per tutte quelle donne diciamo un po’ più mature, che magari hanno preso la patente molti anni fa ma che poi per motivi personali, familiari e via dicendo, hanno parcheggiato l’ auto nel garage dimenticandosi, per così dire, come ci si comporta alla guida di una macchina. Il volantino con il suo disegnino un po’ d’altri tempi, volutamente stereotipato (vi è raffigurata una donna al volante con l’aria un po’ spaurita e con un buffo cappellino sulla testa) è molto chiaro e diretto : “Donne al volante..” recita il titolo. E poi più sfumato : “Sicurezza costante”. Più in basso ovviamente qualche domanda che lascia intendere lo scopo del corso : ” Paura di guidare?” e ancora : “Parcheggiare è il tuo incubo?”. Ovviamente gli ideatori del progetto hanno garantito che non esiste nulla di discriminatorio in tutto questo, anzi si dovrebbe considerare un vero e proprio kit di lezioni “in rosa” proposto dalla rete nazionale “La nuova guida” , e a cui le autoscuole Solferino hanno aderito. “La società ora è cambiata – spiega a Repubblica il titolare Mario Forneris- Un tempo la patente si prendeva, magari su consiglio dei genitori, anche in modo facile, poi però mancava il conseguimento dell’abilità alla guida. Le ragioni per cui una donna poteva smettere di guidare potevano essere tante. Molte ad esempio hanno abbandonato l’auto dopo un grave incidente” – E prosegue- “Ovviamente anche se la pubblicità è dedicata alle donne, il corso si rivolge anche a quegli uomini che vogliono combattere stress e ansia al volante”. Insomma, ripetiamo, non c’è nulla di discriminatorio, maschilista o retrogrado in tutto questo. Come hanno più volte sottolineato i sostenitori del progetto, il corso non è solo rivolto a tutte quelle donne che a causa di un incidente o per svariati motivi hanno dimenticato come si guida e non si sono esercitate abbastanza nel fare parcheggi o nello stare in mezzo al traffico, ma anche a tutti quegli uomini che sono affetti da un po’ d’ansia mentre si trovano alla guida della propria auto. D’altronde che importanza può avere il fatto che il volantino sia tutto al femminile e che sia rivolto direttamente alle donne, rappresentate per di più dallo stereotipo di una donnina spaurita, vestita anni 50′? Quindi caro gentil sesso, dopo anni di estenuanti battaglie per avere riconosciuti gli stessi diritti degli uomini, almeno adesso potrete ambire a saper guidare come loro.

 

Simona Pili Stella

Tentata rapina in uno studio ortopedico alla Crocetta. C’è uno sparo ma nessun ferito

Due uomini armati e con il volto coperto si sono introdotti nello studio medico del Dottor Celani in via Lamarmora.

 

Viso coperto da una maschera da sci e cappellino scuro in testa per nascondere il più possibile i tratti del volto. Corrisponde a questa la descrizione dei due rapinatori che ieri, intorno alle ore 19.00, hanno fatto irruzione nello studio ortopedico del Dottor Celani, al pianterreno di via Lamarmora 72. All’interno dello studio, oltre all’ortopedico, erano presenti anche la moglie e due pazienti in attesa della visita. I due uomini sono entrati armati e hanno intimato alla donna – puntandole la pistola addosso – di consegnare loro l’incasso della giornata. Celani, accortosi della presenza dei due ladri, ha cercato di difendere la moglie innescando così una colluttazione dalla quale è partito un colpo di pistola, che per fortuna, non ha ferito nessuno. I due rapinatori, probabilmente allarmati dall’attenzione che lo sparo avrebbe suscitato, hanno ferito il medico e sua moglie colpendoli alla testa con il calcio dell’arma e sono fuggiti senza riuscire a prendere nulla. Le due vittime se la sono cavata fortunatamente con ferite lievi e sono stati trasportati all’ospedale per ulteriori accertamenti. Sul posto sono giunti immediatamente i carabinieri che ora stanno indagando sull’accaduto cercando di risalire agli autori dell’aggressione e della tentata rapina.

Lo sport praticato in un “Caldo clima al freddo”

Sebbene si possa ragionevolmente far coincidere con il progresso alcuni notevoli passi avanti nella salvaguardia della salute, non sempre tale innovazione concede a tutti noi gli strumenti per una migliore opportunità di adattamento all’ambiente.

Se da una parte le stagioni soccombono agli eventi derivati dalle differenti situazioni degenerative ambientali, mutando improvvisamente da periodi piovosi a caldi asfissianti, da periodi di gelo a primavere inattese, possiamo però notare come negli ambienti cosiddetti “chiusi” si cerchi di mantenere una certa qual “omeotermia” che preveda sempre un clima “ideale”. Il problema sussiste nel valutare se tale “idealità” sia la stessa per tutti o se tale situazione non possa creare degli scompensi. Si possono osservare persone completamente infagottate al volante di una macchina con riscaldamento acceso d’inverno oppure in maglietta con aria condizionata in funzione d’estate. In entrambi i casi, all’apertura delle porte dell’auto e dal primo passo in poi, il mondo esterno presenterà una situazione diversa da quella vissuta fino ad un attimo prima. Se ragionassimo in modo adeguato, potremmo facilmente intuire che in uno dei due ambienti l’abbigliamento non dovrebbe essere adatto; eppure questa circostanza si realizza puntualmente.

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Cosa succederà al nostro corpo? Si adatterà o sarà semplicemente una passiva accettazione di tale situazione a renderci sempre più deboli? Questi sono problemi che sicuramente afferiscono a sfere più importanti del semplice campo sportivo di nostra competenza, ma anche negli ambienti sportivi si è sottoposti a stress climatici non da poco.Infatti, gli ambienti che si definiscono moderni sono costretti a dotare le sale dove si svolge attività fisica di impianti di climatizzazione che consentano alle persone di fare attività senza sudare… (sigh). Oppure di dotare le sale attrezzi di un clima che rassomigli a quello del proprio salotto di casa quando si è in inverno. Premesso che nulla di sbagliato vige nel ricercare un clima ideale che preservi la salute delle persone, è possibile intuire che il nostro corpo vive “protetto” salvo imprevisti… . Basta infatti dimenticare il cappellino, oppure non aver l’aria condizionata che funzioni in auto o il riscaldamento rotto a casa per mandare in tilt la nostra salute, ormai non più allenata agli “sbalzi di umore climatici”.L’attività fisica può permettere di reagire a quest’apatia reattiva del nostro adattamento fisiologico, stimolando i nostri organi a ricreare in maniera efficace e naturale le condizioni innate e forse dimenticate di assestamento personale.

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Consideriamo quindi, visto il periodo di fine inverno e ripresa primaverile che ci apprestiamo a vivere, quali possano essere le piccole strategie individuali di recupero naturale delle nostre facoltà di adattamento che possiamo realizzare in questo periodo. Innanzitutto, la prima regola di salute, oltre che funzionale, è quella di svolgere attività con la minor quantità di abbigliamento possibile (si intende tecnico, non per altre seconde e ben più variegate finalità,…). Questo permetterà al nostro organismo di adattarsi naturalmente alla temperatura degli ambienti in cui si opererà, senza l’opera di filtraggio creata da strati eccessivi di tessuti che permeano in maniera troppo sensibile il passaggio dall’aria alla pelle. Quando si comincia a svolgere attività fisica la temperatura corporea, innescata dal muoversi delle articolazioni e dei muscoli, si innalza, e quindi se ci si era coperti troppo in partenza, la termoregolazione corporea avrà difficoltà nel registrarsi in maniera adeguata. E’ necessario considerare un tipo di abbigliamento a più strati che consenta l’eliminazione di alcuni capi ogni qualvolta si abbia tale necessità. Molta attenzione dovrà essere posta non tanto ai capi superficiali ma soprattutto a quelli più aderenti alla pelle. Non sarà elegante parlarne, ma è necessario considerare che se dopo esserci scoperti per il calore, l’ultimo strato risulterà essere sudato, allora in questo caso la salute sarà a rischio: aria, correnti fredde o rallentamenti dell’attività potranno essere cause di raffreddamento e cosiddetti colpi d’aria.

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Il “colpo d’aria”, che è per sua natura leggendario, così come “l’accavallamento dei nervi” e altri impedimenti simili, altro non è che un periodo prolungato di esposizione di una parte del nostro corpo a situazioni di freddo che costringono il nostro organismo a reagire o contraendosi per riequilibrare la temperatura o soccombendo quando tale situazione è ingestibile. Crearsi un abbigliamento adatto al clima in cui si opera è necessario. Ma sarebbe importante “allenarsi” anche al freddo, intendendo proprio letteralmente quanto scritto. Alcune scuole cinesi hanno malamente interpretato tale concetto esasperando bambini molto piccoli a vivere per alcune ore in maglietta semplice al freddo delle montagne. Il principio ispiratore consisteva nel fortificare lo spirito ignorando le sofferenze del corpo (…) ma il principio che per noi sarebbe in grado di avere una valenza positiva potrebbe essere solo quello di rinforzare le proprie difese costringendo il corpo a reagire ad uno stimolo intenso. Correre ogni tanto all’aria aperta e non solo sul tapìs roulant potrebbe rappresentare una interessante innovazione per il nostro corpo.

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Così come non richiedere aria troppo calda in una palestra o in una piscina potrebbe contribuire a costringere il nostro organismo a rinverdire alcune primitive e salutari facoltà di adattamento all’ambiente.Sudare non fa male, semmai fa male agli altri non lavarsi se si è sudati o se si indossano abiti da troppo tempo “vissuti”, ma la ricerca anche dell’eccessivo caldo può condurre ad errori.E’ importante, piuttosto, predisporre un veloce ed adeguato cambio di indumenti se si opera in un ambiente freddo, una volta terminata l’attività. E’ questo infatti il vero problema. Il maratoneta che corre sotto la pioggia ed il vento non ha grossi problemi fin che corre, così come il ciclista che affronta la salita. Le preoccupazioni nascono o quando la gara termina o quando comincia la discesa. Paradossalmente non è svolgere l’attività fisica “scoperti” quando si è al freddo a creare potenziali nocumenti alla salute (ovviamente quando il freddo è ben tollerato con abbigliamento adeguato) ma è proprio quando questa termina o diminuisce l’intensità che si possono verificare problemi. Predisporre strumentazioni di copertura (felpe o asciugamani) e, soprattutto ricambi delle parti sudate può essere fondamentale. Il sudore che si “asciuga” addosso ha più di un effetto sgradito… . Terminiamo qui questa breve dissertazione con un pensiero finale: non sappiamo più quale sia il clima ideale, ma sicuramente possiamo considerare come la capacità di adattamento si possa “allenare” solo variando più o meno volontariamente clima. Tornare ogni tanto alla “natura” potrebbe essere un gran giovamento per tutti!

 

Paolo Michieletto

 

 

 

 

 

Walter Dang, nuova collezione stile Jackie

La presentazione degli abiti freschi e colorati primavera estate in occasione della premiere del film  al cinema Ambrosio giovedì 23 febbraio

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 Jackie Kennedy è stata indubbiamente una delle più grandi icone di stile non soltanto del Novecento, ma di tutti i tempi. Giovedi 23 febbraio prossimo lo stilista Walter Dang e il Cinema Ambrosio presenteranno “Jackie icona di stile”. Alle 19.30 Walter Dang sarà, infatti, protagonista di una performance di moda, con alcune modelle vestite con gli abiti dell’ultima collezione primavera estate 2017, che sfileranno nella storica hall del cinema, per celebrare l’intramontabile stile di Jacqueline Kennedy, una delle donne più eleganti del Novecento. L’occasione è data dalla premier di “Jackie”, alle 20.30, film biografico di Pablo Larrain, protagonista l’attrice Nathalie Portman, incentrato proprio sulla vita dell’ex First Lady e candidato agli Oscar per i migliori costumi, migliore attrice protagonista e migliore colonna sonora. Walter Dang celebra, con Jacqueline Kennedy come esempio di eleganza, il suo look fresco e colorato, segno di una donna dallo stile contemporaneo sempre attuale, che non ha paura di imporre il proprio modo di essere.

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Ci sono abiti di Jackie Kennedy che sono passati alla storia, come il celebre tailleur rosa Chanel, che la moglie dell’allora presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy indossava a Dallas, il 22 novembre del 1963, giorno dell’assassinio del marito. Divenne il “capo più leggendario della storia americana”, era accompagnato da un carattestico cappellino a tamburello dello stesso colore rosa dell’abito. Lo stile di Jacqueline è un “effortless style”, essere chic senza sforzi, la definizione che meglio lo rappresenta. Jackie Kennedy amava indossare spesso completi di un unico colore, anche il bianco totale, nei suoi mitici abiti bon ton, con cappotto e borsa in tinta, con scarpe basse molto chic. Spesso lei sapeva osare con dettagli importanti come cinture etniche o facendosi tentare dallo stile hippy chic degli anni Settanta, impreziosito di dettagli quali l’intramontabile filo di perle e gli orecchini pendenti.

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Amava anche le stampe geometriche e un accessorio che contraddistingueva il suo stile era il celebre occhiale rotondo, che ancora oggi le griffe di occhiali di moda continuano a proporre.L’evento sarà accompagnato da un concerto Live del quartetto di Valerio Signetto al sax, Fabio Gorlier al piano, Marco Breglia alla batteria, Alessandro Maiorino al contrabbasso e con la partecipazione speciale della voce di Elisabetta Coraini.

 

Mara Martellotta

Walter Dang, Palazzo Priotti, Corso Vittorio Emanuele II 52 A

La Signora della Laurasca

Di Marco Travaglini

La luce dell’alba rifletteva sui cristalli di neve colori teneri. Il silenzio che avvolgeva il paese ancora addormentato era talmente fitto che nemmeno il gallo di Fra’ Bernardo, sempre puntuale a lanciare i suoi chicchiricchì dal sagrato della chiesa, aveva trovato il coraggio di cantare il suo buongiorno. Quasi tutti dormivano a Malesco. E anche tra i pochi svegli mattinieri non c’era nessuno che pareva intenzionato a mettere fuori il naso dall’uscio di casa. Il freddo era pungente ma non nevicava più. Per tutta la notte, dal cielo gnomi5erano state distribuite delle generose pennellate di bianco che, a poco a poco, avevano coperto tutto: tetti, strade, alberi. Dapprima erano piccoli aghi di ghiaccio, portati dal vento di tramontana che scendeva dalle vette del Gridone; poi, col passare delle ore, le pennellate si erano fatte più robuste, con fiocchi larghi che scendevano mollemente con parabole verticali. Era l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre. E il grande abete nella piazza del municipio pareva, nel chiaroscuro di quella mattina, una sentinella ghiacciata sull’attenti. Anselmo, la guardia forestale, era tra i pochi ardimentosi che eran già svegli. Con gli occhi pieni di sonno, dopo aver ciondolato attorno al tavolo della cucina, si stava scaldando le mani stringendole attorno al bricco fumante del caffè. Ahi, se scottava!… Già si era vestito, infilandosi – uno sopra l’altro – due paia di pantaloni ed altrettanti maglioni di lana. Bastava uno sguardo dalla finestra per immaginare quel freddo cane che congelava all’istante il vapore del fiato. Doveva andare fino a Santa Maria Maggiore, il nostro Anselmo. Doveva andarci con il suo motocarro e non ne aveva gran voglia. Ma il dovere è dovere: e laggiù, al magazzino della Forestale, erano arrivati la sera prima gli alberelli di Natale. Li avevano mandati, come tutti gli anni, con la ferrovia vigezzina, (la stessa che gli svizzeri chiamavano “centovallina”).Una strada ferrata lunga 52 chilometri che collegava Domodossola con Locarno, passando su 83 ponti e infilandosi in 31 gallerie. La ferrovia, ogni anno, soprattutto d’inverno, era la via più sicura, evitando le strade ghiacciate.

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Quando qualcosa o qualcuno doveva arrivare a destinazione, eccola pronta: i vagoncini caracollavano sui binari scintillanti verso la destinazione. E così era stato anche per i quaranta piccoli abeti di Anselmo. Calcatosi in testa il berretto di pelo e infilati gli stivaloni, Anselmo era pronto all’avventura. Non si era sbagliato: fuori faceva un gran freddo e l’aria pungente l’aveva svegliato del tutto. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, con uno scoppiettio, il piccolo motocarro si mise in moto. La scatoletta di lamiera procedeva lentamente sulla strada innevata. Ad ogni curva il vecchio Ape rischiava di mettersi su di un fianco e pareva che solo gli improperi di Anselmo (che non menzioniamo, per carità) gli facessero tener dritta la rotta. Dopo quasi un’ora, tempo record per poco più di tre chilometri, Anselmo era davanti al portone del magazzino. Un po’ sbuffando, un po’ brontolando, gli alberelli furono sistemati a dovere e legati con una robusta corda. Sulla via del ritorno ad Anselmo venne una gran sete. A quel punto fermarsi all’osteria dell’Alpino era quasi un obbligo. Dentro il locale, nel tavolo davanti al banco della mescita, trovò due vecchie conoscenze: il Giuanon di Finero e il Calisna di Zornasco. L’incontro mattiniero con due vecchi compagni di sbornia, con i quali aveva girato in lungo e in largo tutta Vigezzo per bere e farsi quattro salti in balera, andava festeggiato. Sarà stato perché gli “scappava da bere”, sarà stato per il freddo boia, i litri cominciarono a scorrere allegramente. Nessuno dei tre si faceva pregare ed a turno si riempivano i bicchieri, senza aspettare che diventassero vuoti. Presi dall’euforia e dall’alcool, intonarono con voci sguaiate i loro canti, tanto che la Maria, ostessa di notevoli proporzioni fisiche, brandendo una scopa, li cacciò fuori dall’osteria. In strada, Anselmo fece un’amara scoperta che lo lasciò senza fiato. Il motocarro, parcheggiato sul ciglio della via, era vuoto. La corda, tagliata, era l’unica cosa rimasta. Degli alberelli nemmeno l’ombra. “Dio Santo”, imprecò Anselmo. “Mi hanno fregato il carico. I miei alberi… mi hanno fregato gli alberi!”. Urlava forte a tal punto che la guardia forestale, il maresciallo Zamponi, camminando con la bicicletta al passo, lo udì e accorse. “Cosa c’è da strillare, Anselmo?”, chiese il graduato dei Carabinieri, ansimando per la corsa. “Sciur Maresciallo, c’è che mi hanno rubato gli alberi di Natale che dovevo portare a Malesco. Guardi, guardi anche lei. Mi hanno portato via tutto: solo la corda hanno lasciato quei delinquenti”.

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gnomi-2Insieme, con aria da investigatore il Maresciallo, con le mani tra i capelli il disperato Anselmo, fecero un giro tutt’attorno al motocarro e… videro delle tracce. Erano tante. Tante piccole orme lasciate da piccoli stivali. Erano fitte, ben segnate nella neve, chiaramente visibili. Alcune leggere, altre più nette, come se le avessero lasciate corpi di diverso peso. O forse qualcuno, o qualcosa, che portava un peso, dei pesi. “I miei alberi: ecco che cosa mi hanno fregato, quei banditi. I miei alberelli…”, disse, quasi piangendo, il povero Anselmo. “Certo. La traccia è chiara. Hanno davvero rubato gli alberi”, pronunciò pensoso, il Maresciallo. E non aggiunse altro, incrociando lo sguardo severo di Anselmo che non potè trattenersi dal mugugnare..”Bella scoperta. Va là che c’è arrivato anche lui. Intanto quelli mi hanno fregato gli alberi”. “Ho capito, ho capito” gli rispose il Maresciallo, “non sono mica tonto. Ma chi sarà stato? Guarda un po’ questi segni”. E indicò le orme che continuavano per decine di metri. Incolonnate, disciplinate. Le seguirono con lo sguardo. Andavano via dritte, verso il bosco, all’imbocco del sentiero che saliva in Val Loana. Il caso era strano. Chi mai aveva potuto compiere il furto? E quelle tracce misteriose? Sembravano piedi di bambini. Ma era una pazzia solo pensarlo. Bambini così piccoli, di quattro – cinque anni che, in fila indiana, si dirigevano verso il bosco portandosi a spalla degli alberelli che pesavano quasi il doppio di loro? Suvvia, non era logico. L’unica cosa da fare era seguire quelle impronte. I pensieri del Maresciallo erano in sintonia perfetta con quelli di Anselmo e, senza scambiarsi una parola, limitandosi a pochi cenni, decisero di battere quella pista. Del resto gli alberelli dovevano essere ritrovati, ad ogni costo: chi poteva immaginare un Natale senza gli alberi addobbati di ghirlande e lucenti di palline di vetro colorato? I due si misero a camminare di buona lena. Come segugi tenevano gli occhi fissi verso il basso, scrutando la neve calpestata. Cammina, cammina giunsero alle ultime case. Più avanti c’erano i boschi. Dopo una sosta di pochi minuti, tanto per riprendere il fiato, si avviarono sul sentiero che saliva sul fianco della montagna. Un paio d’ore dopo erano all’alpeggio di Severino, il guardiaboschi di Scaredi che viveva lassù tutto l’anno. Ma quel giorno non c’era (seppero in seguito che era sceso fino a Malesco per far compere alla Cooperativa…).Da quel terrazzo naturale, guardando in basso, potevano scorgere le case nella piana. Piccole chiazze scure in un mare bianco. Il freddo si faceva sentire con morsi sempre più decisi. I giacconi, già ruvidi per loro conto, erano diventati ancor più legnosi. Dalle bocche uscivano nuvole di fiato.

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Ma Anselmo Baracca e Tarciso Zamponi erano due tipi tosti, testardi più dei muli. Salirono ancora e quasi allo scoccare del mezzogiorno, giunti in un largo spiazzo tra i larici, videro uno spettacolo incredibile. Disposti in un circolo perfetto, c’erano dei piccoli abeti che sembravano proprio gli stessi che Anselmo si era visto volatilizzare sotto il suo naso. Ad occhio, fatti due conti, tornava anche il numero: eran proprio quaranta.Non uno di più, e neanche uno di meno. Si guardarono l’uno in faccia all’altro, increduli. Chi poteva aver giocato loro questo scherzo? Farli salire per la montagna fin lì per poi metter loro davanti al naso un girotondo di abetini che sembravano tenersi la mano come fanno i bambini all’asilo. Le piccole orme, evidentissime attorno al cerchio degli alberi, avevano ripreso la loro fila svoltando sulla destra per una ventina di metri e finivano nel nulla davanti ad un grande albero cavo. Anzi, a dire il vero non finivano nel nulla ma proprio diritte nel cavo dell’albero. Il primo a muoversi fu il maresciallo, seguito subito da Anselmo. Attraversarono la radura e puntarono decisi verso il punto dove le tracce s’infilavano nell’albero. Avvicinatisi con cautela, girarono attorno al grande tronco. Niente di niente: le tracce finivano proprio dentro il cavo. Anselmo si chinò sulle ginocchia. Prese coraggio e infilò la mano nel tronco, tastando nel buio. L’unica cosa che riuscì a trovare erano delle bacche. Anche Tarcisio si inginocchiò e mise il naso dentro il tronco. Con grande sorpresa riuscì ad intravedere dei piccoli scalini, intagliati nel legno, che salivano verso l’alto.

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Forse a questo punto, è bene lasciare i due soli con i loro dubbi e fare un salto all’indietro di qualche ora. Anselmo era ancora con gli amici nell’osteria a bere e cantare quando una strana e minuta figura si avvicinò con fare furtivo al suo motocarro lasciato incustodito. Era un omino, con la barba bianca che gli scendeva fino alla cintura dei pantaloni, alto poco più di mezzo metro. I suoi vestiti erano di fustagno marrone e sulla testa portava un cappellino a punta color panna. Dopo essersi guardato intorno senza scorgere anima viva, fischiò tre volte. Dal ciglio della strada comparvero, come d’incanto, altri omini come lui. Suppergiù una quarantina, contati male, a colpo d’occhio. Lesti come dei furetti, con delle piccole asce, tagliarono la corda che legava il carico di alberelli e, in quattro e quattr’otto, si caricarono sulle spalle i piccoli abeti, incamminandosi in direzione del bosco. Erano i folletti della Val Loana. Venivano chi da Cortevecchio, chi dalle Fornaci, chi dalla Testa del Mater. Ma da circa novecento anni vivevano all’Alpe Cortino, avendo trovato dimora in un vecchio albero cavo che consentiva l’accesso ad una caverna sotterranea. Era un posto fantastico anche se non molto grande. Nei secoli avevano costruito una scala che, dall’apertura alla base dell’albero, saliva fino a quasi metà dl tronco per poi ridiscendere fin sotto le radici dove, attraverso un cunicolo scavato nella roccia, si raggiungeva la grotta. Vederla, illuminata con luce fioca delle torce, era uno spettacolo unico. Alle pareti brillavano quarzi, cristalli rosa e azzurrini, minerali argentati e color dell’oro (forse gnomi-3era proprio una vena d’oro). In quel caleidoscopio naturale i folletti avevano costruito, con pazienza, il loro povero ma funzionale arredamento. Lettini di faggio, piccoli sgabelli di legno d’abete, un grande – per quelle dimensioni – tavolo di larice intarsiato. Era lì che Zippo e Zappo, figli di Maggiociondolo, erano nati e cresciuti, insieme agli altri folletti. La loro era una vita felice. Padroni dei boschi, erano cresciuti, come si usa dire qualche volta anche nel mondo degli uomini, “all’aria aperta“. Avevano imparato a conoscere le erbe e le loro proprietà. Si erano costruiti da soli e con pazienza i primi giochi di legno e già da piccolissimi, quand’erano alti non più di venti centimetri (i folletti, durante la loro vita non diventavano mai più alti di una volta e mezza la statura di quando erano nati),si erano procurati da soli il cibo: radici, bacche, piccoli funghi, frutti selvatici del sottobosco. I folletti, per chi non lo sapesse, sono vegetariani. Quando Zippo e Zappo raggiunsero la maggior età che, tra i folletti, consiste nell’avere circa 450 anni, Maggiociondolo regalò loro la sua borsa di cuoio nero. Non che fosse qualcosa di particolarmente prezioso, a ben guardarla. Anzi, era proprio una comunissima borsa a tracolla di cuoio. Ma tra i folletti aveva un significato speciale: era il segno di distinzione della più antica famiglia, quella dei Loanini, che abitavano quelle terre da più di cinque millenni. Possederla non significava esercitare qualche forma di potere sugli altri. Anzi, l’intera comunità di folletti della Val Loana viveva di comune accordo, in perfetta uguaglianza e ciò che era degli uni lo era anche degli altri. Insomma: erano uniti e felici. E questa era la ricchezza più evidente di cui potevano disporre. Nel corso della loro lunghissima vita, Zippo e Zappo con tutti i loro amici avevano percorso in lungo e in largo tutto il corridoio della Val Vigezzo, arrampicandosi sulle montagne e ridiscendendole mille e mille volte ancora. In quell’ambiente si trovavano a loro agio.

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Avevano tutto ciò che la natura poteva offrire loro. Passavano ore e ore con il naso all’insù nelle faggete, ad ammirare quei maestosi alberi dalla corteccia liscia, color grigio metallo. Nel sottobosco, pulito e terroso, raccoglievano le foglie per i loro giacigli, il biancospino selvatico e il brugo per le tisane e, quand’era stagione, facevano una gran messe di funghi, dei quali erano golosissimi. A volte salivano ancor più in alto per sdraiarsi nelle foreste di conifere dove spadroneggiavano degli splendidi esemplari di pino silvestre e di abete rosso, il famoso “peccio”, dal tronco rossobruno e dalle pigne cadenti. E anche qui erano gran scorpacciate di lamponi e mirtilli neri. I folletti amavano anche le escursioni. In fila per due, cantando vecchie canzoni e antichi ritornelli, salivano sui fianchi del monte Limidario. E ballavano per giorni e notti intere, tutti in circolo attorno agli abeti bianchi e, qualche volta ancor più in su, tra i larici che innalzavano la loro chioma verso il cielo gareggiando con le vette. Gli animali, incrociandoli, non fuggivano spaventati come quando sentivano la presenza dell’uomo: anzi, si avvicinavano festanti all’allegra comitiva. Erano amici,da sempre. Tra di loro c’era un tacito patto che, col tempo, era diventato qualcosa di più: un’amicizia vera, sincera. Zippo e Zappo si divertivano un mondo a giocare a nascondino con gli animali che popolavano i boschi. “Guarda la”, diceva Zappo, “su quel ramo d’abete c’è uno scoiattolo dalla lunga coda a pennacchio”. E questo, agilissimo, rapido come la folgore, spariva in un battibaleno sui rami più alti, nel fitto fogliame. “E qui natale travaglinisotto? C’è un topo quercino”, gli rispondeva Zippo, indicando il simpaticissimo roditore notturno dalla coda che terminava con un ciuffo bianco. Andavano avanti così per ore. Era un mondo davvero speciale. A tarda sera la luna era già alta nel cielo. Bianca, color del latte, illuminava la foresta. Gli animali si preparavano per la notte. Il ghiro, tutto indaffarato alle prese con una nocciola da aprire con i suoi denti aguzzi, non si accorgeva che più in là, sporgendo la testa da un cespuglio, era spiato dalla lepre variabile: una vera signora, rapida e aggraziata nei suoi movimenti, con un’aria timida anche se c’era chi la giudicava un po’ snob per la sua abitudine a cambiar colore della pelliccia durante i mesi d’inverno. E il tasso? Dov’era il tasso?

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Eccolo là ad un palmo dall’acqua della sorgente, in animata discussione con un porcospino. Non doveva esser stato uno scambio di vedute del tutto cortese visto che se ne andavano, ognuno per la sua strada, voltandosi le spalle: a destra, con la sua andatura un po’ goffa, il riccio; a sinistra, bofonchiando, il grosso tasso dal mantello striato. Della volpe non c’era traccia. O meglio, una traccia c’era ma non pareva opportuno indagare troppo a fondo visto che – a sentire il commento del vecchio gufo – se n’era andata per i fatti suoi con le sue amiche. E non occorreva aver tanta fantasia per immaginare una scorreria notturna giù al piano, magari a far visita a qualche pollaio. In compenso c’era lei, la regina delle Alpi. Sullo sfondo del cielo terso e stellato, roteando davanti alla luna pallida, l’aquila reale compiva, con un volteggio lento e sicuro, il suo rito propiziatorio prima di tornare al suo nido sulle rocce alte del Gridone dove, con il suo sguardo magnetico, dominava la valle intera. A notte inoltrata, come accadeva spesso, Zippo e Zappo e l’intera compagnia, ormai stanchi, si coricavano sugli aghi di pino guardando il cielo e addormentandosi contando le stelle più luminose. Ma, tornando a noi e agli alberi di Natale, occorre sapere anche il perché dell’ormai noto furto. Cosa che è subito detta. Narra un’antica leggenda che, nella notte della vigilia di Natale, ogni mille anni, i folletti dispongono quaranta giovani abeti – uno a fianco all’altro – fino a formare un cerchio perfetto, nel mezzo del quale viene acceso un falò con rami di larice, allo scopo d’invocare un altro millennio di pace e prosperità per loro, per gli abitanti del bosco e per la gente della valle. Con i loro canti e i loro balli, in un crescendo di allegria, il rito propiziatorio consisteva nello strappare un sorriso alla serissima Signora della Laurasca, protettrice dei folletti dalla notte dei tempi. La Signora, per compensarli dell’attimo di felicità, avrebbe garantito loro per altri dieci secoli, salute e fortuna. L’ultima volta che accadde questa specie di miracolo era stato nell’anno Mille, anzi – per la precisione – nel 1015, dopo una notte di follie alle Fornaci. Papà Maggiociondolo l’aveva descritta tante volte ai suoi piccoli nelle notti d’inverno, cullandone il sonno. Ora toccava loro far rivivere l’antica tradizione. Anselmo e Tarcisio, la guardia forestale e il maresciallo dei carabinieri, incuriositi dalla scoperta e un po’ frastornati per le emozioni della giornata, decisero di lasciare i piccoli abeti dove stavano, ripromettendosi di tornare il giorno dopo per proseguire le ricerche e cercare di venire a capo del mistero delle piccole orme e dell’albero cavo. Rossi in volto e ciondolanti dalla fatica, ripresero la via del ritorno verso il paese, affondando fino alle ginocchia nella neve fresca.

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Ormai la luce del giorno si faceva più fioca e di lì a poco, il tramonto avrebbe lasciato il passo alla sera. La mattina dopo, vigilia di Natale, Anselmo, dopo una notte di sonno agitato, era uscito di buonora per recuperare altri quaranta alberelli direttamente alla stazione della ferrovia Vigezzina, dove erano stati sollecitamente recapitati dal comando della forestale di Domodossola, al quale Anselmo aveva inoltrato una nuova richiesta. Questa volta il buon uomo non fece sosta in nessuna osteria e tirò dritto, con il suo carico, fino a destinazione. Consegnati gli alberi nelle case, la guardia forestale si diresse verso la caserma della “Benemerita” dove, ad attenderlo, c’erano il maresciallo Tarcisio Zamponi e il brigadiere Augusto Marino. Quest’ultimo, che godeva della piena fiducia del maresciallo, era stato messo al corrente per filo e per segno di quanto i due avevano scoperto il giorno prima. Era ormai pomeriggio inoltrato quando i tre uomini, sbuffando per la salita, dopo l’ultimo strappo, si affacciarono sulla radura. Gli alberelli erano ancora lì, disposti a cerchio. E in mezzo a lorognomi-1 c’erano delle grandi fascine di rami di larice. Tarcisio, Anselmo e Augusto si guardarono in faccia: questa era nuova! Quelle fascine il giorno prima non c’erano e adesso, eccole là, nel bel mezzo del girotondo degli abeti. Questa volta, dopo aver confabulato tra loro, decisero di rimanere ai margini della radura, nascosti dietro agli alberi. Se qualcuno si fosse avvicinato, da lì l’avrebbero visto senza farsi a loro volta vedere e, forse, avrebbero finalmente trovato risposta al mistero. Per non stancarsi inutilmente decisero dei turni di vedetta che però, un po’ per euforia, un po’ per paura di lasciarsi sfuggire qualcosa, non rispettarono. Sei occhi guardavano senza posa verso il circolo degli abeti e l’albero cavo, avanti e indietro,su e giù. Scorrevano, intanto,le ore. Verso sera, al primo calar del buio, dal vecchio albero spuntò una figurina. Ci mancò poco che ad Anselmo non prendesse un colpo. Stava per lanciare un grido. E l’avrebbe fatto se non fosse stato per la prontezza di riflessi del maresciallo che, con uno scatto, gli tappò la bocca con la mano.

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Un omino, vestito in maniera un po’ buffa, con una barbetta bianca che gli scendeva lunga fin sulle ginocchia, era uscito dal cavo del tronco, guardandosi attorno. Passò un minuto, forse meno, ma per i tre esterrefatti spettatori, parve lungo un’eternità. Assicuratosi che non ci fosse nessuno lì attorno, l’omino mise due dita in bocca e lanciò due fischi, uno lungo e l’altro corto. Al segnale di via libera, tutti i folletti uscirono. Il brigadiere Marino si lasciò scappare un “Ooooh…” di stupore. Ma per fortuna, nessuno dei folletti lo udì.I piccoli omini erano indaffarati a trafficare attorno ai piccoli abeti. Stavano preparando, a quanto si poteva intuire, un falò. In un clima di gran frenesia, il lavoro andò avanti per delle ore. Ormai era buio e nel cielo le stelle sembrava facessero a gara per stabilire chi tra loro fosse la più luminosa. Mancavano suppergiù dieci minuti allo scoccare della mezzanotte quando uno dei folletti, salito su di un ceppo, iniziò a parlare.“…Amici, il momento tanto atteso è ormai giunto. Ancora una volta, con ogni millennio, invocheremo la gratitudine della Signora della Laurasca. Se riusciremo,com’è nell’augurio di tutti noi, a farla sorridere con la nostra allegria, per mille anni vivremo felici e in pace. Ed ora, avanti con le torce! Accendiamo il grande falò e che la festa cominci….”. Le parole di Zappo furono accolte da un corale “Evviva!” e i folletti accesero un gran fuoco con i rami di larice. La piccola radura s’illuminò del riverbero di quelle lingue di fuoco che s’alzavano, convulse e tremanti, verso il cielo. Anselmo, Tarcisio e Augusto avevano assistito alla scena a bocca aperta. Pur udendo la voce di Zappo non avevano capito un’acca perché il folletto aveva pronunciato il suo breve discorso nell’antico idioma dei Loanini. E non compresero, i tre sbalorditi spettatori, nemmeno il dialogo che vide protagonisti Zappo e un altro folletto più giovane (aveva infatti “solo” 470 anni…). Quest’ultimo si chiamava Corteccia di Betulla e, a differenza di tutti gli altri suoi compagni che, appena terminato il discorso di Zappo, avevano avviato le danze con volteggi indiavolati, se n’era stato da solo in disparte, un po’ mogio. Con entrambe le mani, continuava a tormentarsi la corta barbetta. Alla vista del pensieroso folletto, Zappo gli si era fatto incontro, informandosi se c’era qualcosa che non andava. “Beh,sì. Ecco, io..insomma: non ho capito bene una cosa..” disse, arrossendo, l’impacciato Corteccia di Betulla. “Su, dimmi pure. Se posso esserti utile..”, lo invitò Zappo, prendendolo sottobraccio. Entrambi si sedettero su una grossa radice sporgente e, a quel punto, messo a suo agio, Corteccia non si fece pregare. “Ecco, tu prima dicevi che con questa festa, ogni mille anni, cerchiamo di guadagnarci la benevolenza della Signora che, in cambio di un attimo di allegria, ci assicurerà dieci secoli di pace e tante altre belle cose. Non riesco però a spiegarmi perché abbiamo dovuto rubare gli alberelli agli uomini. Non mi sembra un gran bel gesto: dopotutto, nei nostri boschi, potevamo trovare dei giovani abeti in quantità. E’ proprio questo che non riesco a capire…”.

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Zappo sorrise e, con calma, appoggiando le mani sulle ginocchia, iniziò a parlare. “Vedi Corteccia, c’è un particolare che forse tu non conosci. Un tempo gli alberelli li prendevamo da soli, scegliendo i migliori per il rito della festa. Così è stato fino all’ultimo millennio e i folletti hanno potuto vivere in pace, indisturbati. Ma già da molto tempo abbiamo pensato che forse si poteva fare di più e, prima ancora che tu nascessi, fu presa un’importante decisione. Il nostro vecchio mago, Naso di Legno, pensò che se gli alberi fossero stati procurati dagli umani, a loro insaputa, i benefici si sarebbero estesi anche a loro. Io credo sia stata una scelta giusta. Pensa a quante guerre, sofferenze, odio e dissidi che si potrebbero evitare. L’unico modo per avere quegli alberi che gli uomini hanno fatto crescere per la festa che chiamano Natale, era rubarli da quello strano carro che cammina da solo. Anche se all’apparenza può esserti sembrata una brutta cosa, adesso sai che l’abbiamo fatto a fin di bene. Solo così la Signora della Laurasca penserà questa volta anche a loro. Ma adesso va, Corteccia. Raggiungi gli altri, divertiti”. La guardia forestale e i due carabinieri, provati dalla fatica e natale-orta-4dalle emozioni, si erano appisolati dopo essersi avvolti ben bene nei loro cappotti. Il ballo, intanto, proseguiva con ritmi vertiginosi. Una volta preso l’abbrivio era un crescendo di salti, capriole, girotondi. I folletti saltavano come grilli e cantavano con tanta foga che la loro voce saliva dritta fino in cielo. Le chiome scure degli abeti, mosse da una leggera brezza, parevano voler fare il solletico alle stelle. Il gran fuoco, con le sue lunghe lingue rosse e arancio, aveva man mano lasciato il posto ad una brace purpurea. Quanto tempo passò? Un’ora, forse due, magari solo poche decine di minuti. Sta di fatto che, quando Anselmo e Tarcisio si destarono dal loro torpore era ancora notte. Una luna lattea inondava la foresta di vivida luce. Nella radura regnava il silenzio. Si udiva solo il respiro pesante di Augusto che venne svegliato con una brusca scrollata dal suo Maresciallo. Nel mezzo del cerchio il fuoco era spento. Degli omini non c’era traccia. Spariti, quasi si fossero dissolti nell’aria. La neve, tutt’attorno al falò e nei pressi dell’albero cavo, era intatta. Bella, bianca, compatta. Senz’ombra d’impronta. Tarcisio si stropicciò gli occhi; Augusto tremava dal freddo che gli era entrato nelle ossa; Anselmo non capiva più niente. Eppure non avevano sognato, non potevano aver fatto tutti e tre lo stesso sogno. Sgranchendosi le gambe con un robusto massaggio, si alzarono in piedi e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata agli alberelli, presero la via del ritorno. S’incamminarono verso il paese, scendendo dal sentiero del monte tra gli alberi carichi di neve. Nei pressi delle prime case del paese, incontrando Giuanon e Calisna, entrambi reduci da una nottata di bisbocce, non si fecero ripetere due volte l’invito a bere “una volta in compagnia”. Ma anche davanti al vino, così come durante il viaggio, nessuno fece parola di quanto avevano visto. E nemmeno gli altri manifestarono particolare curiosità e non fecero domande sul perché e il percome di quell’incontro mattiniero. Anselmo, fra sé e sé, pensò: “se dicessi cos’ho visto, chi mi crederebbe? Nessuno. Mi prenderebbero per matto. Anzi: ci prenderebbero per tre matti…”. Tanto valeva, a quel punto, tenersela per loro questa storia. Svuotati i bicchieri e salutata la compagnia, tornarono a casa, ognuno per la sua strada. L’orologio del campanile segnava le 7,30 del 25 dicembre. La mattina di Natale. Nella notte la Signora della Laurasca aveva sorriso.

Marco Travaglini

 

COSTANTIN, OMAGGIO “ANTI-CRISI” AD OGNI RIFORNIMENTO 

constantinOrmai è una tradizione. La Costantin spa conferma anche per quest’anno il dono “anti-crisi” per i propri clienti. Il gruppo, marchio leader nella commercializzazione di prodotti petroliferi grazie alle sue 72 stazioni di servizio sparse in tutto il Nord Est, offrirà ad ogni rifornimento una confezione di pasta. L’iniziativa è partita a inizio settimana e terminerà domani, vigilia di Natale, o comunque fino ad esaurimento scorte. Niente accendini, cappellini o magliette, dunque, ma un pensiero che sicuramente più di qualche famiglia gradirà. La pasta, oltre a richiamare l’unità familiare a tavola, sono prodotti dall’azienda Dalla Costa, realtà di Castelminio di Resana che vanta una tradizione ventennale nel settore. La Costantin spa, nata nel 1967 a Taglie di Santa Margherita d’Adige (Padova), ha aperto la sua prima stazione di servizio a Minerbe (Verona) nel 2006. Oggi vanta 270 milioni di fatturato (contando l’intero gruppo), 50 dipendenti, 300 lavoratori nell’indotto, sette tra società controllate, collegate e correlate e soprattutto 72 stazioni di servizio diffuse in mezza Italia.

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La pasta verrà distribuita nelle  stazioni di servizio aperte recentemente in Corso Traiano e Corso De Nicola a Torino.

 

Ecco il super-abbonamento musei Piemonte/Lombardia

PALAZZO MADAMAEcco l’Abbonamento Musei Extra che abbina  l’offerta museale di Piemonte e Lombardia, con un paniere di 300 musei. La presentazione al Circolo dei Lettori di Torino da parte degli assessori alla Cultura di Torino, Piemonte e Lombardia, Francesca Leon, Antonella Parigi e Cristina Cappellini. Una iniziativa sorta dal successo dell’Abbonamento Torino Piemonte ideato 21 anni fa e oggi in tasca  a 130.000 persone, e da quello Lombardia Milano che in un anno ha registrato 20.000 persone. Ha detto l’assessore  Parigi che non è vero che “la carta musei faccia perdere soldi agli organizzatori delle grandi mostre: anzi, aumenta il pubblico”.

 

(foto: il Torinese)

Lavori in corso: la mappa dei cantieri in città

La Polizia Municipale comunica la mappa dei cantieri in città

 

cantiere castello

LAVORI
– lavori di costruzione parcheggio sotterraneo piazza Carlina
– per alcuni mesi per lavori di completamento cavalcaferrovia corso Romania/Falchera chiusura tratto che passa sotto l’autostrada Torino/Milano; si tratta del collegamento viario tra Falchera nei pressi della Stazione Stura e stada Cebrosa di Settimo Torinese intitolata a Tazio Nuvolari
– lavori di riqualificazione su piazza Baldissera
– sino a sabato 8 ottobre chiusura al traffico della corsia di collegamento tra le due carreggiate di corso Galileo Ferraris,  nel tratto di viale compreso tra  via Cernaia e via Promis. Si evidenzia che la corsia è una piccola bretella di collegamento tra le due carreggiate ma, per tutta la durata dei lavori, per i veicoli provenienti da ovest in via Cernaia non sarà  possibile svoltare a sinistra  in corso Siccardi, consigliato corso Palestro in alternativa, così come i mezzi provenienti da corso Siccardi non potranno svoltare a sinistra in via Cernaia. Questo potrà provocare un considerevole rallentamento del traffico)
+ dalle ore7 alle ore 21 chiusura via Brissogne da via Ozieri a via Bionaz per montaggio gru

LAVORI GTT
– sino al 30 settembre lavori in corso Tassoni ang. corso Appio Claudio e in via Madama Cristina ang. via Valperga Caluso
– sino al 7 ottobre lavori in corso Tassoni ang. via Cibrario

LAVORI IREN
– sino al 30 settembre lavori in via Candiolo, via Olivero, corso Re Umberto, via Marocchetti, via Cellini, via Canova, via Pollenzo, via Principessa Clotilde, piazza Campanella, corso Francia 212, via Buenos Aires, via Vassalli Eandi, via Medardo Rosso
– sino al 30 settembre lavori in via Cherasco 10, corso Caio Plinio 54
– sino al 7 ottobre lavori in via Tripoli 85
– sino al 7 ottobre lavori in via Peyron, via Re, via Arduino
– sino all’8 ottobre lavori teleriscaldamento in via Paconotti, via Cappellina, corso Regina Margherita da via Industria, via Timavo, via Sagra di San Michele, corso Regina Margherita 308, via Spano, via Rey, corso Francia 225, via Clemente, via Digione, corso Peschiera con chiusura controviale sud tra via Spalato e in corso Ferrucci controviale ovest tra corso Peschiera e via cantieriD’Annunzio
– sino al 10 ottobre lavori in via Pio VII 104
– sino al 12 ottobre lavori in via Pio VI 61
– sino al 14 ottobre lavori in via Monfalcone, via Rieti, via Vandalino
– sino al 14 ottobre lavori in piazza Villari
– sino al 15 ottobre lavori in corso Regina Margherita 239
– sino al 15 ottobre in via Bainsizza
– sino al 21 ottobre lavori in via Germonio 27

LAVORI IRETI
– sino al 30 settembre lavori in via Valgioie, via Salbertrand, corso Moncalieri 271, via Cravero, via Saorgio 16, via O.Vigliani
– sino al 30 settembre lavori in corso Unione Sovietica 585, strada Comunale Pecetto 132, strada Comunale di Val San Martino 26, via Gastaldi, via dei Colli, via Valeggio, via Mottalciata, via Rivalta 28, via Martiniana, via Viterbo, corso Toscana 26, via Ventimiglia int. 16,
– sino al 7 ottobre lavori in via Asinari di Bernezzo, via Mogadiscio, via Gaglianico, via Spano int. 14, via Montevideo, via Monginevro, via Sostegno
– sino al 7 ottobre lavori in via Asinari di Bernezzo, via Mogadiscio, via Gaglianico, via Spano, via Montevideo, via Monginevro, via Sostegno
– dal 3 al 7 ottobre lavori in corso Agnelli controviale tra corso Traiano e via Pernati
– sino al 12 ottobre lavori in strada val Pattonera con regolazione traffico alternato con semaforo, in strada San Vito Revigliasco 70
– sino al 14 ottobre lavori in via Filadelfia e in corso Agnelli
– sino al 14 ottobre lavori in via Breglio, corso Toscana, corso Francia 170, piazzetta Jona, via Thonon, va Bizzozero, strada comunale Pecetto
– sino al 14 ottobre lavori in via Breglio, corso Toscana, corso Francia 170, piazzetta Jona, via Thonon, via Bizzozero, strada Comunale Pecetto
– sino al 21 ottobre lavori in via Vibò
– sino al 21 ottobre lavori in piazza della Vittoria, via Fornelli
– dal 3 ottobre all’11 novembre in via Tunisi e in via Spano

LAVORI ITALGAS
– sino al 13 ottobre lavori in via Coppino, via Mosca, via Palli, via Sospello
– sino al 20 ottobre lavori in via Sineo 10
– sino al 28 ottobre lavori in via Marsigli
– sino al 31 ottobre lavori in via Sommacampagna 5
– sino al 31 ottobre lavori in via Ornavasso 17
– sino al 1° novembre lavori in corso Casale 375, in via Avogadro, via Maria Ausiliatrice 7
– sino all’11 novembre lavori in corso Novara, via Regaldi,
– sino al 15 novembre lavori in via Pola, via Felice Romani 15
– sino al 23 novembre lavori in via Vallarsa
– sino al 23 novembre lavori in via Desana 9
– sino al 25 novembre lavori in largo Giulio Cesare 100
– sino al 26 novembre lavori in corso Casale 71
– sino al 30 novembre lavori in via delle Pervinche 37
– sino al 2 dicembre lavori in via Valprato 23
– sino al 3 dicembre lavori in via Roppolo 11
– sino al 30 dicembre lavori in via Coppino, via Roccavione, via Campiglia
– sino al 30 dicembre lavori in via Cardinal Massaia, via Ghiberti, via Sospello, via Madonna di Campagna, via Coppino 116 int.

LAVORI LL.PP. CITTA’ DI TORINO
– in piazza Bengasi, via Genova, via Nizza… lavori di costruzione delle nuove stazioni della metropolitana
– sino al 30 settembre lavori in via Kerbaker
– sino al 28 febbraio lavori in corso Galileo Ferraris tra corso Matteotti e via De Sonnaz

cantieri torino strade lavoriLAVORI METROPOLITANA
– sino a Natale, circa, nell’ambito della realizzazione della tratta “Lingotto-Bengasi” della linea 1 della Metropolitana estensione delle aree di cantiere su via Nizza, dal numero civico 371 al numero civico 373. L’ampliamento del cantiere è necessario per permettere lo svolgimento delle attività per la
realizzazione del limitrofo pozzo di ventilazione. Sarà comunque garantito l’accesso ai passi carrai ed il passaggio pedonale sul
marciapiede

LAVORI SMAT
– sino al 30 settembre lavori in piazza Pasini, ponte Sassi, lungo Po Antonelli ang. corso Belgio
– sino al 30 settembre lavori in via Vanchiglia tra i civici 34 e 44, in via Parma tra i civici 29 e 31, in via Pergolesi tra i civici 86 e 89 e tra i civici 91 e 93, in via Galliari1
– sino al 30 settembre lavori in strada Cascinette, in corso Giulio Cesare vicino strada Cascinette, corso Romania
– sino al 30 settembre lavori in via Sant’Ambrogio
– sino al 7 ottobre lavori in via Beinasco
– sino al 29 ottobre lavori in via San Francesco d’Assisi, strada comunale Mongreno, via Bionaz, via Brissogne, via De Maistre, via Castellino

IL POLITECNICO DI TORINO TORNA A PEDALARE

poli biciNuove sfide attendono il Team studentesco Policumbent del Politecnico di Torino: il record italiano di 116,19 km/h stabilito nel settembre 2015 da Andrea Gallo sul prototipo PulsarR è stato infatti solo il punto di partenza per un percorso di crescita che gli studenti e i loro tutor stanno portando avanti con serietà ed entusiasmo. L’obiettivo è diventare, entro il 2018, i più veloci in Europa (record 133,78 km/h) e al mondo (record 139,45 km/h), con il supporto dei partner aziendali che continuano a collaborare con la squadra.

 

Lo scorso ottobre il Team ha reclutato 28 nuovi studenti che si sono affiancati a 4 “veterani” e al ciclista Andrea Gallo, coordinati da Paolo Baldissera e da Cristiana Delprete del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale. La squadra ha avviato un doppio percorso parallelo: da un lato migliorare PulsaR per portarlo al suo potenziale massimo nel 2016 e dall’altra sviluppare da zero un nuovo progetto da realizzare e mettere a punto nel biennio 2017-2018. “I nostri compagni che hanno partecipato alla scorsa edizione dello Speed Challenge in Nevada ci hanno trasmesso molte informazioni essenziali in termini di esperienza e cura dei dettagli. Per questo abbiamo valutato che PulsaR avesse ancora del potenziale da esprimere migliorando alcuni dettagli costruttivi e aggiungendo alcune parti essenziali per il corretto funzionamento della ventilazione interna e dell’aerodinamica complessiva”, racconta Danilo, uno studente del Team, che aggiunge: “Stiamo inoltre implementando e sperimentando alcune soluzioni tecniche che anticipano ciò che è già a progetto per il prossimo prototipo, come ad esempio il sistema di visione digitale camera-bike, indispensabile per eliminare il policarbonato anteriore e garantire la massima estensione laminare allo strato limite dell’aria sulla superficie”.

Il nuovo progetto è ancora coperto da riservatezza, ma i risultati delle simulazioni fluidodinamiche promettono molto bene. “Abbiamo prima messo a punto i modelli di simulazione sulla base delle misurazioni in pista su PulsaR e successivamente abbiamo disegnato e calcolato oltre venti versioni della nuova carena. Stiamo ormai limando gli ultimi dettagli, ma la resistenza aerodinamica è stata abbassata oltre ogni aspettativa e, se sapremo rispettare le specifiche di progetto in fase di costruzione, il prossimo veicolo avrà tutto il potenziale per superare i 140 km/h con le gambe di Andrea”, spiega Matteo, studente dell’ultimo anno che fa parte del gruppo aerodinamico della squadra. Attualmente si stanno definendo i sottosistemi di trasmissione e telaio, per poter avviare la costruzione dal prossimo autunno.

 

Dopo le modifiche apportate su PulsaR durante l’inverno, i primi test su circuito si sono svolti a partire dalla fine di maggio e hanno confermato i miglioramenti previsti. La velocità massima sullo stesso tracciato è salita da 86 a 95 km/h e ci sono ancora margini di miglioramento in fase di implementazione. Proiettando questo incremento sulle velocità raggiunte in Nevada l’anno scorso, dove le condizioni ambientali e dell’asfalto sono più favorevoli, si potrebbero superare i 125 km/h. Qualche km/h in più potrebbe aggiungerlo inoltre lo stesso Gallo, forte dell’esperienza accumulata e di una preparazione più specifica per il tipo di prova oltre che motivato a guadagnarsi l’ambito “cappellino” delle 80 miglia orarie (128.75 km/h). Anche sull’andatura regolare si è guadagnato molto, abbassando da 6:03 a 5:33 il giro più veloce sul circuito, per una media di 85.5 km/h a soli 163 battiti cardiaci. Un incremento più che significativo, al punto che il Team comincia a pensare ad un futuro tentativo di record dell’ora con questo tipo di veicoli, per sfidare il primato di 92.439 km di percorrenza dello svizzero Francesco Russo.

Il prossimo test si svolgerà sul circuito di Balocco sabato 27 agosto prossimo.

Conclusi i test, si sta riverniciando il prototipo. Quindi, un gruppo di studenti partirà alla volta di Battle Mountain, dove, dal 12 al 17 di settembre, PulsaR cercherà di brillare ancora una volta durante il World Human Powered Speed Challenge.

AI MUSEI REALI DI TORINO È FESTA: SABATO APERTI FINO ALLE 22

Per la prima Festa dei Musei, tanti eventi e sabato 2 luglio Musei Reali aperti fino alle 22 con prezzo speciale di 1 Euro dalle 19
coda musei reale


La prima edizione della festa dei musei contagia Torino e il 2 e 3 luglio arricchisce di eventi, visite guidate e attività per famiglie il programma dei Musei Reali in occasione delle giornate dedicate ai “Musei e paesaggi culturali”.

Un appuntamento ideato dal MIBACT che inaugura così una nuova tradizione con lo scopo di celebrare il patrimonio culturale del nostro Paese.

Tanti gli appuntamenti in programma al Museo di Antichità, Galleria Sabauda e Giardini Reali, oltre all’orario prolungato alle 22 sabato 2 luglio l’orario dei Musei Reali con l’ingresso al prezzo speciale di 1 euro dalle 19 alle 22 (chiusura biglietteria alle 21).

Tutte le informazioni sul sito www.museireali.beniculturali.it

 

SABATO 2 LUGLIO

 

Il bestiario fantastico

Museo di Antichità, Sala del Papiro di Artemidoro- Ore 11

La partecipazione è gratuita. L’attività è consigliata per bambini tra 6 e 12 anni. Durata 1 ora.

Una breve visita al Papiro di Artemidoro seguita da un laboratorio didattico per scoprire le tre vite del Papiro, i contenuti geografici e i soprattutto i “fantastici” disegni di animali.

 

Storie di paglia

A cura di Gabriella Pantò e Cinzia Oliva

Museo di Antichità, sala conferenze – Ore 17

La partecipazione è gratuita. Durata 1 ora

Durante gli scavi archeologici di una delle torri del Castello di Moncalieri,colma di materiali di rifiuto scaricati nel corso dei secoli,tra gli avanzi delle cucine, avviene il ritrovamento di un cappello di paglia da giardiniere, databile al tempo della duchessa di Savoia Cristina di Francia (prima metà del XVII secolo).

Le storie della scoperta del fragile copricapo, della sua eccezionale conservazione nei secoli e del suo mantenimento sono illustrate dal direttore del Museo di Antichità, Gabriella Pantò, e da Cinzia Oliva, restauratore esperto in materiali tessili, autrice del restauro conservativo.Il cappello, conservato nei depositi del Museo di Antichità, sarà esposto in via straordinaria per questa occasione.

 

Intervista a Guglielmo

A cura di Paola Greppi in collaborazione con l’associazione Speculum historiae

Museo di Antichità, settore Territorio piemontese – Ore 20.30

La partecipazione è gratuita. Durata 30 minuti.

Fondata in “deserto loco”, da Guglielmo da Volpiano, nel 1003, l’abbazia di Fruttuaria (S.Benigno Canavese, TO), uno dei più antichi e importanti complessi monastici dell’Italia settentrionale, sorge ai margini delle selve in un’area scarsamente abitata che presto muta in un fiorente borgo agricolo. Artefici del grande cambiamento sono Guglielmo da Volpiano, monaco e architetto, fondatore dell’Abbazia, e Arduino d’Ivrea, primo re d’Italia, che appoggia la costruzione del grandioso edificio. In un gioco di ruoli attraverso il tempo, l’archeologo intervista, alla presenza di Re Arduino, Guglielmo da Volpiano confrontando il proprio sapere con la perizia dell’architetto.

L’evento prosegue la serie di attività proposte per celebrare i mille anni dalla morte di Arduino di Ivrea.

Alle ore 19 e alle 21sarà possibile assistere alla proiezione del film-documentario “Re Arduino – Sans despartir”, del regista Andry Verga,che ricostruisce i momenti centrali della vita del Marchese d’Ivrea e Re d’Italia, scomunicato antagonistadel potere vescovile, eppure fondatore di chiese e abbazie. Durata 50 minuti.

Dalle 19 alle 22i rievocatori di Speculum historiae faranno rivivere in museo le atmosfere del tempo di Arduino.

DOMENICA 3 LUGLIO

 

Pittori in erba

Giardini Reali – Ore 10 e ore 16.30

Durata 1 ora. Consigliamo di munirsi di cappellino e crema solare!

 

polo reale cavalloNella cornice unica dei Giardini Reali, i piccoli ospiti del Re con i loro genitori avranno l’esclusivo privilegio di realizzare un’opera d’arte per sua Maestà!Come pittori del Grand Tour in visita nelle città più belle d’Italia, daranno prova della loro maestria nel disegno e nell’antica arte del colore riproducendo, o reinventando con la fantasia e l’emozione suscitate dal paesaggio, una veduta o uno scorcio pittoresco dei Giardini e dei magnifici palazzi che li circondano. Gli scorci e le interpretazioni del paesaggio così realizzate si ricomporranno un’unica grande ‘veduta’ en plein air allestita nei Giardini.

 

Venezia a Torino: Ricci e Tiepolo

Galleria Sabauda – Ore 11

A cura di Anna Moretti

 

Una visita per conoscer edue opere di grandi artisti nelle collezioni della Galleria Sabauda. Protagonisti della narrazione biblica e storica prendono vita negli ampi spazi e nelle tinte brillanti delle tele Susanna davanti a Daniele e Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia di Sebastiano Ricci e Il Trionfo di Aureliano di Gianbattista Tiepolo.

Venezia a Torino: Bernardo Bellotto

Galleria Sabauda – Ore16

A cura di Serena Manfredi

Una visita per conoscere il paesaggio urbano di Torino nel Settecento. Passato e presente si incontrano in Veduta dell’antico ponte sul Po a Torino e Veduta di Torino dal lato dei Giardini Reali di Bernardo Bellotto:un viaggio nel tempo alla riscoperta di luoghi e persone.

 

giardini reali2Dentro e fuori: il museo e il suo paesaggio

Museo di Antichità – Ore 17

a cura di Patrizia Petitti – Fabrizio Zannoni

Una visita guidata gratuita promossa dall’Associazione Amici del Museo di Antichità. Non occorre prenotazione, ma è necessario essere provvisti del Biglietto di ingresso.

Un focus sul paesaggio storicizzato “dentro e fuori il Museo” in cui antiche e nuove strutture si affiancano e si innestano. Partendo dai progetti degli architetti per connettere in un unico sistema il teatro romano, la Manica Nuova e la Citroniera del Palazzo Reale, suggerendo il nesso tra “tema e luogo” anche attraverso la creazione della sala ipogea a più livelli, “metafora della stratigrafia archeologica”, gli archeologi vi accompagneranno in una vera e propria lettura stratigrafica del museo e delle sue pertinenze, con una speciale attenzione alle mura e al bastione cinquecentesco visto dai Giardini Reali Inferiori e Superiori.

(foto: il Torinese)

Eventuali variazioni saranno comunicate sul sito dei Musei Reali di Torino www.museireali.beniculturali.it