Chiesa parrocchiale gremita per la funzione presieduta dal sacerdote cottolenghino Don Adriano Gennari
Chiesa gremita domenica 16 Giugno per la celebrazione eucaristica presieduta dal sacerdote cottolenghino Don Adriano Gennari insieme a Don Ottavio Sega e Don Tino Decca, con cui, nella storica parrocchia di Santa Maria della Pace alle pendici dell’antico castello, si è aperto ufficialmente il programma dei festeggiamenti per l’inaugurazione dell’attesa ‘Campana dei Tre Comuni’, 53 cm di diametro e 115 kg di peso donata dal giornalista, imprenditore e benefattore Maurizio Scandurra e fusa dalla ‘Pontificia Fonderia Marinelli’, in Molise, dall’anno Mille a oggi la prima e più antica fabbrica di campane e arte sacra al mondo.
Una grande folla di persone ha poi seguito i tre prelati in processione sino alla piazzetta del Municipio, per la benedizione del sacro bronzo, posto a imperitura memoria della storica ricorrenza su di un’elegante e pregiata incastellatura in ferro dedicata alla Divina Provvidenza all’interno dell’aiuola civica finemente riallestita dal green designer vercellese Marco Gorreri e intitolata alla memoria di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il primo grande Santo sociale piemontese, nonché precursore dell’assistenza ospedaliera.
E proprio davanti al Palazzo Civico adeguatamente ritinteggiato, il Sindaco storico di Montiglio Monferrato, Dimitri Tasso, ha tenuto un applaudito discorso istituzionale ripercorrendo i vent’anni che trascorsero da quel lontano e memorabile 1° Settembre 1998, giorno in cui, terzo in Italia e primo in Piemonte, “in attuazione alla Legge 8 Giugno 1990 n° 142, nasceva, dall’unione con le vicine comunità di Colcavagno e Scandeluzza, il nuovo Comune di Montiglio Monferrato”, ha spiegato il primo cittadino.
Che, con grande attenzione e altrettanto, evidente entusiasmo, ha dedicato “un affettuoso e riconoscente pensiero a ciascuna delle persone che hanno contribuito, prima e dopo quella data, a fare il bene del paese. Con una speciale menzione per lo scomparso Cavalier Angelo Lago, la cui consorte ha tagliato il nastro inaugurale della campana che, insieme ad Alfonso Pescarmona e Francesco Mattioli, invece entrambi presenti e autori di due toccanti discorsi, furono proprio i tre sindaci promotori della fusione fra i comuni fondatori“.
Moltissimi, inoltre, le autorità intervenute all’evento, tra cui il Sindaco di Asti Maurizio Rasero, il Vice Sindaco di Moncalvo Andrea Giroldo, il Sindaco di Castell’Alfero Angelo Marengo, il neoeletto Sindaco di Aramengo Giuseppe Marchese, il Presidente dell’ANCI Piemonte Alberto Avetta (già sindaco di Cossano, e ora anche Consigliere Regionale), il Presidente della Provincia di Asti Paolo Lanfranco e moltissimi altri.
Oltre a ospiti d’eccezione quali il noto architetto e designer Maurizio Chiocchetti, che ha disegnato la campana, la famiglia Nicola della storica ‘Nicola Restauri Srl’ di Aramengo che ha omaggiato al Comune il ripristino dell’antico stemma di Montiglio Monferrato presente sulla facciata del Municipio, l’imprenditore turistico Paolo Garrone, titolare dell’Holiday Resort Piccola Fonte di Cantoira che ha donato il leggio e le preziose targhe commemorative che fanno entrambe bella mostra di sé sull’aiuola e il muro d’ingresso del Palazzo Civico.
Nonché lo stimato regista Roberto Gasparro, che a Montiglio ha appena terminato le riprese del suo nuovo film ‘Qui non si muore’, e il famoso psichiatra, criminologo e opinionista tv Alessandro Meluzzi, cui è spettata la chiosa finale ai discorsi delle autorità, che ha ricordato con gusto e dovizia di particolari storici come “le campane sono di certo tra i più antichi strumenti musicali della storia delle civiltà. E come esse, da quelle tibetane di matrice orientali, a quelle cristiane nate nell’anno Mille in Italia a percussione con il batacchio, siano indissolubilmente legate all’umanità, scandendone momenti epici, felici e infelici, da quelle che annunciavano incendi, lutti, nascite e allarmi sino a quelle che passarono alla storia attraverso memorabili personaggi come Pier Capponi che resistette al re Carlo VIII“.
A impreziosire la giornata di festa, il concerto jazz del ‘Luciano Bertolotti Quartet’, le note avvolgenti del duo Griot Folà del Maestro Marco Di Cianni e Marzia Grassi, e il ricco rinfresco finale generosamente offerto dalla Pro Loco di Montiglio Monferrato.




faccio la mia scelta e a quel punto, tempo un quarto d’ora, prescindendo dal programma – film,documentario,talk show o altro – m’addormento come un ghiro. Al “cine”, confesso, è tutt’altra cosa. Il grande schermo m’affascina, mi coinvolge e bisogna proprio che incappo in un film veramente brutto e lento per annoiarmi. In passato i cinema si trovavano un po’ ovunque, dalle città ai più sperduti paesi. Le sale, grandi o piccole che fossero, erano frequentate soprattutto nelle sere del fine settimana o la domenica pomeriggio. Nomi strani, legati ai proprietari o a personaggi illustri si alternavano ai più frequenti “Moderno”, “Lux”, “Italia”, “Ariston”, “Impero”, “Excelsior”, “Sociale” e così via. Per non parlare poi delle sale parrocchiali o delle Case del Popolo che spesso, con programmazioni diverse, ospitavano serate in onore della
magica invenzione dei fratelli Lumière. Oggi gran parte di quelle sale sono tristemente chiuse. Ricordo che, accanto al “Nuovo Lux” c’era l’Apollo che, pochi anni prima d’ababsasre definitivamente la saracinesca, si era specializzato in pellicole “scollacciate” o, come s’amava dire, “senza veli”. Un luogo proibito dal quale stare alla larga, più per evitare la vergogna d’esser visti varcare l’entrata che per il giudizio sulla qualità di quanto appariva su quello schermo. Più raramente puntavamo alla sala d’Essai dove, con aria da incalliti cinefili, c’intrufolavamo per vedere film in lingua originale il più delle volte nemmeno sottotitolati. Al vecchio e dimenticato Splendor si arrivava dopo un viaggio di poco più di un’ora. Partivamo all’avventura con il treno e, giunti a destinazione, a due passi dalla stazione ferroviaria, ci aspettava la sala cinematografica. Lì, insieme a “Tex” Rabitti e al compianto Giulio Scirocchi ( detto “Tom Mix”), abbiamo visto i più bei western all’italiana, girati da Sergio Leone. Al paese dove siamo nati e cresciuti , per un bel po’ di anni il “Cinema”, quello con la “c” maiuscola, c’è
stato eccome. Il pomeriggio della domenica ,preferibilmente d’inverno e in alternativa alla partita di calcio al campo sportivo, ci si avviava con il solito gruppo di amici verso il “cine” (dove oggi c’è una birreria), richiamati dalla promessa di un paio d’ore di svago. All’entrata, fatti gli scalini che portavano al piano rialzato, c’era ad attenderci – nel botteghino del bigliettaio – la signora Alida, una gran bella donna. Truccatissima, con i capelli biondi cotonati e un seno che dire prominente
non basta a render l’idea di quella taglia veramente “super”(credo portasse la sesta).Nell’aria il suo profumo alle violette,piacevolmente garbato, si mescolava alla fragranza dei pistacchi abbrustoliti che stavano là, ancora tiepidi, nei loro sacchetti di carta sul tavolino, pronti per essere comprati per un ventino.Quando finivano nelle nostre mani sparivano in un attimo, sgranocchiati senza pietà,dal primo all’ultimo. A quei tempi si beveva la gazzosa, e la bottiglietta era chiusa con una pallina di vetro verde, più pesante e più grossa delle normali biglie: quella pallina, nel gergo milanese che –grazie ai villeggianti– condizionava anche la nostra parlata, era la “gagna”,parola intraducibile ma evocativa. Più grande era la sete e più lentamente t’obbligava a bere poiché la pallina – se alzavamo troppo il gomito – “tappava” il collo della bottiglietta. Dopo il rito dello “strappo” del biglietto ad opera della “maschera” ( il signor Tullio, fratello di Alida, svolgeva questa e tutte le altre
funzioni), scostato il pesante tendone rosso scuro ci si accomodava sui sedili cigolanti delle lunghe panche di legno. Che emozioni nell’antro buio del vecchio cinema, dove “Via col vento” aveva fatto sognare un’intera generazione. Ricordo i sussulti, gli “ohh!” di stupore per il dramma con Clarke Gable e Vivien Leigh, nella parte di Rossella O’Hara. Con “Lawrence d’Arabia” fummo risucchiati nell’avventura, sotto il caldo sole del deserto, immaginando di montare i dromedari con Peter O’Toole e Omar Sharif. E che dire delle risate per il susseguirsi di gag nei film-parodia del duo Franchi-Ingrassia? Nelle ultime file ci si baciava mentre nelle prime, i più giovani, quasi sotto lo schermo facevano caciara. E nell’aria galleggiava la nuvola del fumo delle sigarette che, incrociando il fascio di luce del proiettore, diventava azzurrina. Si usciva, durante la stagione fredda, che era già buio e si tornava a casa, fischiettando qualche motivo appena imparato, dando calci ai sassi. Se penso a quel tempo, a quegli anni , riesco a immaginare i più impensati e piccoli particolari:i bambini che giocavano al “Giro d’Italia” con le biglie di plastica raffiguranti i ciclisti o con il Meccano,le calze di nylon con la riga e le gonne strette ai fianchi e gonfie di crinolina, Amedeo Nazzari , Mastroianni e gli attori del momento sulle copertine dei rotocalchi, il “Corriere dei Piccoli” e “L’Avventuroso“, i prodotti e le figurine della Mira Lanza e l’Idrolitina, sapientemente sciolta nella bottiglia d’acqua prima di cena. Non so dirvi se erano bei tempi ma certo erano un briciolo più spensierati di oggi. Non foss’altro perché nelle vene ci scorreva la gioventù.



























ovvero album con forme e sagome da riempire con matite colorate, sono diventati molto popolari e la loro diffusione è in aumento anche qui in Italia. Nati nel nord Europa sono diventati una vera e propria tendenza e sono oramai venduti in moltissimi paesi, soprattutto in occidente. Possiamo scegliere i soggetti che ci piacciono di più: mandala, quadri famosi, motivi orientali, paesaggi, oggetti particolari, possiamo colorare quello che vogliamo attivando aeree del cervello molto importanti come quella relativa alla logica, quando ci occupiamo delle forme da riempire, e quella
legata alla creatività quando combiniamo i colori. E’ una vera e propria tecnica di rilassamento che ci fa distendere e abbandonare al fluire dei colori, alla possibilità di creare qualcosa di gradevole ma, cosa più importante, rallenta il circolo vizioso dei nostri pensieri. L’azione antistress del “coloring” deriva dalla capacità che questo esercizio ha di farci concentrare sul momento presente, una pratica molto vicina alla meditazione, una sospensione che ci permette di percepire meglio le nostre emozioni, spesso soffocate dai meccanismi e doveri quotidiani, attraverso un viaggio nella nostra interiorità favorito dalla calma e dall’ attenzione. Perché non provare dunque, 10 minuti al giorno accompagnati preferibilmente da una tazza di te, musica distensiva in un ambiente sereno, tempo dedicato a noi e al nostro benessere, un intervallo lieve e vivace che ci riporta indietro in quel periodo in cui le azioni semplici erano la cura per la nostra felicità.