È del pittore Luigi Crosio (nacque ad Acqui nel 1835 e morì a Torino nel 1915, per anni insegnante all’Accademia) la più recente acquisizione della Galleria Aversa di via Cavour, una poetica tela (olio, cm. 65 x 76) dove i giardini Lamarmora sono ancora ambientati tra le antiche architetture torinesi, un paesaggio innevato dove si allineano una carrozza e in cerca di riparo popolani e borghesi. Del 1924 è l’opera di Matteo Olivero, il realistico
ritratto della madre rappresentata nel costume della Valle Po, immersa tra il verde dei frutteti e le nevi delle montagne sullo sfondo, autentico e affettuoso omaggio ad una terra e alla figura ritratta, come con altrettanta precisione e curiosità è posta dinanzi all’occhio dello spettatore la piccola folla che si muove dinanzi al “Palazzo del Khan”, una piccola tecnica mista di Carlo Bossoli, di gusto antico, pronta a tramandare al ricordo una variopinta realtà lontana. Conclude il gruppo dei nuovi arrivi la “Cittadina sulla costa bretone” del veronese Giuseppe Canella – morì a Napoli nel 1847, apprezzato rappresentante della pittura di
paesaggio, onorato nella Parigi di Luigi Filippo, al culmine del successo nella Milano degli anni Trenta con l’esecuzione di belle vedute cittadine caratterizzate dalla perfetta resa della descrizione della vita contemporanea -, ravvivata in quelle minuscole ombre dei pescatori intenti sulla spiaggia alla cura delle loro barche, delle donne e dei bimbi che passano e certamente illuminata da uno splendido cielo che si riversa con la sua luce sulle case del porto.
Elio Rabbione

Le pro loco di cinque comuni, in collaborazione con i rispettivi Comuni, della Valcerrina torinese sono al lavoro per l’organizzazione di una manifestazione che ormai è una classica non solo nella Città Metropolitana di Torino, ma anche dell’intera regione
“E’ stata davvero un’esperienza emozionante. Non avrei mai immaginato che il mio vestito avrebbe potuto fare il giro d’Italia con un libro”.
è andata al di là della semplice presentazione libraria, con una contaminazione di danza e musica, che hanno fatto rivivere le atmosfere di corte. Nel cortile dello storico palazzo che porta il nome della marchesa, sul sagrato della chiesa ed all’interno della stessa, l’autrice, stimolata dalle domande dei giornalisti Luigi Angelino e Massimo Iaretti e con il supporto di Manuela Meni, archivista della Diocesi di Sant’Evasio, ha anticipato, senza svelarne la trama, la struttura dell’opera, evidenziando che il racconto si articola soprattutto tra Casale e Crea, dove si svolge il momento culminante della storia. “Ho dovuto curare con molta attenzione l’ambientazione – ha detto – cercando di ricostruire la Casale e la Crea del tempo di Anna, una donna sicuramente di temperamento e di ingegno nel secolo difficile in cui viveva. Potrà apparire paradossale ma mi sono mossa con meno difficoltà nello scrivere cose d’Irlanda”. Alla “prima” ufficiale del romanzo, che ha avuto il patrocinio dell’associazione Santa
Caterina Onlus hanno assistito una novantina di persone, tra cui il vice sindaco di Casale, Angelo Di Cosmo ed il past sindaco, oggi consigliere, Giorgio Demezzi. “Anna che custodì il giovane mago”, Edizioni della Goccia di Davide Indalezio, farà anche da “ambasciatore” del Monferrato in terra mantovana. “Il 28 maggio prossimo, nell’ambito delle iniziative del Comune di Curtatone, in cui è stato edificato dai Gonzaga il Santuario della Beata Vergine Maria delle Grazie, con cui è stato siglato lo scorso novembre un protocollo d’intesa dal parte dell’Unione dei comuni della Valcerrina – spiega il consigliere delegato al turismo dell’Unione, Massimo Iaretti – avremo un spazio dedicato alla Valcerrina ed ai suoi prodotti. Accanto a questo ci sarà la presentazione del libro di Maura Maffei perché è proprio basandoci da questo che si sta lavorando a costruire un percorso devozionale e turistico che colleghi l’Irlanda e le terre dei Gonzaga passando attraverso Casale ed il Monferrato”.
Nella splendida cornice della “Sala da pranzo” del Castello Reale di Racconigi si è svolto nei giorni scorsi il convegno “La terra e l’agricoltura simbiotica” evento interclub organizzato dal Lions Club Scarnafigi Piana del Varaita e dal locale Lions Club Racconigi.
PROPOSTA AEROBICA-MUSICALE: IL TOP PER DIMAGRIRE

Il Centro di incontro del quartiere Borgo Uriola di via Tommaso Negro 12 a Rivoli si tiene, lunedì 10 aprile, alle ore 21, la seconda serata informativa sulle modalità di rimozione e confezionamento di manufatti in amianto
Inizierà da Condove (To), giovedì 6 aprile ( ore 21.00, Biblioteca Comunale “Margherita Hack”) il ciclo di proiezioni del docufilm “Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro
Roma. Anni Sessanta. In piazza del Popolo, intorno ai tavolini del celebre Caffè “Rosati” o del “Canova”, così come negli spazi della “Galleria della Tartaruga” di Plinio De Martiis (vero “collettore” di giovani promesse dell’arte italiana) o in quella vicina de “La Salita” di Gian Tomaso Liverani – in un clima di grande euforia da boom economico e da felliniana “dolce vita”- era solito ritrovarsi il gotha dell’intellighenzia capitolina, ma non solo.
(alcuni presentati in mostra dallo stesso De Martiis): dai vari Raushenberg ai Cy Twombly -che nel ’57 si trasferì definitivamente nella capitale- fino ai Rothko, all’italoamericano Scarpitta (che poi tornerà a New York con il gallerista Castelli), ai Franz Kline e ai De Kooning. E proprio qui, in questo clima di vulcanica ebollizione e contaminazione artistico-culturale, nasce la cosiddetta “Scuola di piazza del Popolo”, la cui esperienza (fatta di individualità e creatività operative assai diverse) viene, forse un po’ troppo semplicisticamente, catalogata sotto la voce generica di “Pop Art italiana”. Definizione da approfondire, come appare ben chiaro nella bella mostra che alla “Scuola” dedica, fino al prossimo 8 aprile, la Galleria “Accademia” di Torino. Curata da Francesca e Luca Barsi, che dal padre Pietro – raffinato gallerista, mancato nel ‘92- hanno ereditato tutta la passione per l’arte insieme alla storica Galleria aperta nel ’69 in via Accademia Albertina 3/e, la rassegna
ospita una ventina di opere a firma di un poker d’artisti ritenuti i veri iniziatori dell’importante “sodalizio” romano: dalle celebri “Finestre” e “Persiane” di Tano Festa ai singolari “paesaggi anemici” di Mario Schifano, fino agli “argenti” di Giosetta Fioroni (oggi 84ennne, la sola in vita del Gruppo) e alle tele di forte carica politico-simbolica di Franco Angeli. Figure eccentriche, “artisti maledetti”, grazie ai quali – dopo l’ubriacatura dell’informale – alla Biennale di Venezia del ’64 si ufficializzò la nascita della Pop Art italiana. Con tratti assai diversi e autonomi per specificità culturale rispetto alle similari esperienze americane, poiché “la capitale italiana – per dirla con De Martiis – durante gli anni Sessanta è una città aperta sul palcoscenico del mondo, che intrattiene una sorta di rapporto ‘eroico’ con l’America”. Concetto ben chiaro nei contenuti evidenziati in mostra, che superano i semplici fini estetici o banalmente provocatori propri di certa parte della Pop Art americana, per diventare “schermi” – come i quadri di Angeli – attraverso i quali abiurare le immagini del potere, delle dittature (aquile romane, svastiche e quant’altro), così come del più
generico consumismo e della violenza. Spesso mediante quella tecnica della “reiterazione” delle immagini che troviamo anche nei quattro “ritratti argentei” della Fioroni (sue anche le bellissime maioliche policrome di recentissima produzione), progetto per opera unica esposta alla Biennale di Venezia del ’64. Più “oggettuale” in genere la progettualità di Tano Festa, di cui la rassegna presenta anche una suggestiva rivisitazione in chiave pop – sulle orme del mitico Warhol – de “La primavera” del Botticelli. Davvero interessante, infine, il “Paesaggio”, smalto su tela del ’70, di Mario Schifano, leader del Gruppo: paesaggio “appiattito” (altro dalle prime prove pop di “Koka-Kola” del ’61), dove la memoria pare evocare con voluta parsimonia cromatica la rappresentazione di un’inquieta e inquietante natura. Degli stessi anni anche i primi film in 16 mm del “piccolo puma” (così Parise definiva Schifano per la sua eleganza felina), che ne faranno una delle figure centrali del cinema sperimentale italiano.
Domenica