Rubriche- Pagina 76

Il senso della storia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Andando a fare piacevolmente shopping  in centro, mi sono imbattuto in un gruppetto di persone attorno ad un assessore,  il gonfalone comunale e due bandiere piemontesi che ricordavano in piazza San Carlo i caduti dei moti di protesta contro il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, in vista di essere portata a Roma come avvenne 150 anni fa

C’era anche un Tenente dei Carabinieri che assai poco c’entrava con quella celebrazione che implicitamente ed anche esplicitamente coinvolgeva l’Arma benemerita in termini negativi. E‘ incredibile che Sindaco e Comune abbiano ignorato la data del 20 settembre e ricordino invece una data negativa e brutta della storia torinese, seguendo i luoghi comuni del più vistoso e banale piemontesismo ,incapace di guardare, andando oltre ai propri occhi, alla nuova Italia nata dal Risorgimento. Sono atteggiamenti che ricordano la virulenza antitirisorgimentale della Lega di Bossi.
Io a palazzo Carignano ho detto domenica scorsa, ricordando la Breccia di Porta Pia del XX settembre 1870, che noi viviamo nel mito del Risorgimento, opposto al mito e alla vulgata antirisorgimentale e antipatriottica di chi ha demonizzato la pagina più importante della nostra storia che segno’ il nostro riscatto nazionale. I pochi torinesi di piazza San Carlo dovrebbero leggersi qualche pagina di Croce, di Omodeo,  di Romeo per capire cosa fu il Risorgimento che Salvemini definì ciclopico. Ogni Nazione ha un suo mito e per noi il primo mito fondante, come diceva Luraghi, è il Risorgimento . Poi a debita distanza viene il mito resistenziale.
I facili revisionismi piemontardi e neo borbonici che si elidono a vicenda, riprendono cose non vere o enfatizzano alcuni errori che di fronte al grande disegno cavouriano, garibaldino e mazziniano di unire l’Italia sono davvero piccole cose.
E‘ strano o, al contrario, è  ovvio che Appendino non capisca il senso della storia, come diceva Omodeo.

Carcaveja, conosci il significato di questa parola piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Carcaveja. Non è un esercizio noioso curiosare tra le pagine dei dizionari: porta sempre a scoprire parole che da anni non capitava di sentire o di leggere. Facendo una ricerca sul REP (Repertorio Etimologico Piemontese, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015) mi sono imbattuta in Carcaveja: una parola che ricordo in uso in anni lontani e poi scomparsa, e per forse per questo conserva una specie di magia. La traduzione è: incubo, spettro, fantasma; miraggio; aria piena di vapori delle giornate di gran caldo estivo…. Leggiamo dal REP: “voce di uso domestico, versione piemontese dell’espressione ‘calca la vecchia’, derivata da un’antica e diffusa credenza secondo la quale l’incubo è l’anima di un mostro o di una strega che, nelle sembianze di una vecchia, ‘calca, schiaccia’ nel sonno il dormiente disturbandone la quiete…”.

L’esito del voto guardando a Torino

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / I risultati delle elezioni regionali rivelano che il Pd tiene le sue posizioni e anche il centro- destra  riesce ad ottenere buoni risultati, anche se non riesce a vincere in Toscana, in Campania e in Puglia. Le amministrative rivelano risultati a macchia di leopardo.

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La guida del centro – destra da parte di Salvini appare non condivisa dall’elettorato  liberale e moderato e la stessa Lega sembra aver perso attrattività, almeno al centro e al Sud. Le autonomie regionali appaiono molto rafforzate e i candidati presidenti  si sono rivelati determinanti, come rivelano Zaia, De Luca ed Emiliano.
Il contraccolpo sul governo è tale da stabilizzarlo, malgrado il crollo dei Cinque Stelle. Il risultato del referendum a favore del si’ appariva scontato perché la furia anti-casta ha avuto modo di esprimersi, al di là del ragionamenti dei sostenitori del No. Siamo di fronte ad un governo che non ha la maggioranza nel Paese, perché il cedimento dei pentastellati toglie un numero  consistente di consensi. In queste condizioni pensare ad un governo che duri fino alla scadenza della legislatura appare un fatto anomalo rispetto ad una maggioranza netta di regioni governate dal centro-destra. Sarà difficile trovare un’intesa tra governo centrale e governo regionale. Soprattutto preoccupa un governo che governa con con decreti legge che snaturano la lettera e lo spirito della Costituzione. Nel 2021 si voterà per il Sindaco di Torino. Appendino appare dopo la condanna fuori gioco. La lezione del 20 settembre andrà riletta per le elezioni torinesi. Occorrerà trovare candidati validi che finora non ci sono stati. Ma occorreranno anche e soprattutto  alleanze che sia nel centro – sinistra sia nel centro – destra siano diverse da quelle viste per le regionali. Torino ha sensibilità particolari. I partiti debbono riflettere e proporre idee e schieramenti capaci di far uscire dallo stagno la città.
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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

David  Leavitt   “Il decoro”    -SEM (Società editrice milanese)-  euro 17,00

Prendete un gruppo di amici newyorkesi dell’alta borghesia intellettuale, collocateli in una lussuosa villa nel Connecticut e datate l’incontro a una manciata di giorni dopo l’elezione di Donald Trump Presidente degli Stati Uniti d’America…poi ecco l’incipit bomba che prelude a tutta la narrazione «Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?».

La domanda provocatoria è di Eva Lindquist, personaggio centrale, frigida anima progressista, presaga di sventura con il nuovo rozzo inquilino della Casa Bianca.

Il seguito del romanzo sciorina vite, viaggi, dialoghi serrati, ambizioni, snob cinquantenni eleganti e colti ma con qualche vuoto esistenziale, compravendite di case e arredatori al top della carriera. Leavitt è abilissimo nel raccontarci crucci, grandezze e miserie dei “liberal” intellettuali americani con soldi a palate e tempo per spenderli, tra località esclusive e abissi di banalità quotidiana.

Al centro c’è il capriccio di Eva che, angosciata dall’avanzare della volgarità presidenziale, si mette in testa di comprare ad ogni costo una casa nella laguna di Venezia, da ristrutturare ed eleggere a possibile via di fuga futura se le cose dovessero mettersi male in patria.

Il ricco marito Bruce, che lavora con successo nell’alta finanza, non sa dirle di no, da sempre si lascia avviluppare dalle tendenze superchic di Eva; ma a sua volta cerca di fuggire dal vuoto della vita aiutando segretamente la sua segretaria più sfortunata che mai.

Un magnifico romanzo che scava nelle contraddizioni e nelle inquietudini delle classi agiate e  progressiste che qui sembrano aver perso “il  decoro”.

 

 

 

Françoise  Sagan   “I quattro angoli del cuore”   -Solferino-   euro   17,00

Vale la pena riscoprire l’opera di Françoise Sagan, nata nel 1935 e morta nel 2044, diventata famosa giovanissima nel 1954 con lo strepitoso successo “Bonjour tristesse”. Il bestseller creò un certo scalpore e venne messo all’indice dal Vaticano; ma fu soprattutto un clamoroso caso editoriale e diventò anche un film diretto da Otto Preminger, interpretato da una seducente Jean Seberg e dai mostri sacri David Niven e Deborah Kerr.

Da quel romanzo, che la portò alla ribalta appena 18enne, la vita della Sagan cambiò di colpo. Le regalò la fama, ma aprì anche il varco ad una vita non scevra di sregolatezza: scrisse moltissimo, più di 50 libri, ma morì isolata dal resto del mondo e in ristrettezze economiche.

“I quattro angoli del cuore” risale a poco prima della morte per un’embolia polmonare a 69 anni; poi l’opera rimase a lungo in un cassetto e venne infine ritrovata dal figlio Denis Westhoff che facendola pubblicare ci regala un romanzo attualissimo.

Inquietudine, profondo male di vivere, menzogne, libertà sessuale e tanto altro sono al centro della storia, raccontata con un sotteso filo di umorismo intelligente e sottile.

Tutto si svolge nella sfarzosa e volgare villa padronale nella Turenna, di proprietà dell’arricchito Henri Cresson che deve la sua fortuna al commercio del crescione. Fervono i preparativi per festeggiare il ritorno alla salute e alla lucidità mentale del figlio Ludovic, vittima di un gravissimo incidente stradale provocato dalla guida spericolata della moglie Marie- Laure. Ludovic è stato a un soffio dalla morte, è finito in coma e poi ostaggio di medici e farmaci.

Il suo ritorno alla vita, però,  non sarà per niente facile; mentre intorno a lui si muovono personaggi e sentimenti che lascio a voi scoprire.

 

Gabriella  Kuruvilla  “Maneggiare con cura”   -Morellini-    euro   14,90

L’autrice, pittrice e illustratrice Gabiella Kuruvilla, nata a Milano da madre italiana e padre indiano, racconta le insicurezze soprattutto affettive di 4 personaggi che hanno dai 30 ai 40 anni e si dibattono nella vita e nei sentimenti, tra capoluogo meneghino e India.

Tutto ha inizio in un assolato 11 agosto 2001 a Milano con una ragazza che ritrae su un quaderno i partecipanti a un funerale, quello di Ashima, docente di scultura di origine indiana.

Lei è Carla e fa la disegnatrice, ad attrarre la sua attenzione sono Diana (figlia della defunta), Pietro (suo ex studente, trentenne in camicia, jeans scoloriti e scarpe sportive alla moda) e Manuel (ragazzo vestito da rapper, ex amante di Ashima).

Sono figure isolate e non si conoscono, ma 10 anni dopo il destino li unisce e la Kuruvilla racconta le loro storie in prima persona, rintracciandone il passato, le scelte fondamentali, i problemi relazionali, le loro radici e il loro vissuto. Quattro  percorsi familiari diversi tra loro, soprattutto  quelli di Diana, Manuel e Pietro che si sono barcamenati tra genitori problematici, rigidi, anafettivi o  assenti che hanno in qualche modo determinato la precarietà emotiva dei protagonisti. Dal puzzle delle loro esistenze emerge anche chi era Ashima, personaggio affascinante che infrange un bel po’ di stereotipi collegati all’idea della tipica donna indiana.

Bocca di rosa

Music tales, la rubrica musicale

C’è chi l’amore lo fa per noia

Chi se lo sceglie per professione

Bocca di rosa né l’uno né l’altro

Lei lo faceva per passione”

Pubblicata nel 1967, Bocca di Rosa è diventata una delle canzoni più conosciute della Storia della musica italiana. L’autore era Fabrizio De André, il cantautore genovese di cui cade l’anniversario dei 20 anni dalla morte.

Bocca di Rosa” racconta la storia di una donna che “metteva l’amore sopra ogni cosa”…fatevelo bastare.

Considerato ormai uno dei padri del cantautorato italiano, De André ha percorso varie strade, ispirandosi, inizialmente ai cantautori francesi, e in particolare a George Brassens da cui si dice – ma si dicono tante cose – avesse preso spunto anche per questa canzone, ispirandosi, in particolare a “Brave Margot”. La canzone è ormai un classico mandato a memoria da intere generazioni di amanti della musica: nel brano si racconta proprio la storia di Bocca di Rosa: “La chiamavano Bocca di rosa, metteva l’amore, metteva l’amore. La chiamavano Bocca di rosa, metteva l’amore sopra ogni cosa” è l’incipit di un brano che racconta dell’arrivo nel paesino di Sant’Ilario di una donna che non faceva l’amore per noia, né per professione, ma per passione. Oggi il termine viene spesso associato a quello della prostituta ma, stando alle parole del cantautore, l’associazione non è proprio giusta.

Ma si sa, siamo un popolo che non accetta una donna possa “farlo” per passione, pertanto, se desiderabile, beh…è sicuramente una poco di buono.

Ma chi era Bocca di Rosa!?!??!

Si è discusso tanto su chi potesse essere la Bocca di Rosa di cui parlava De André, c’è chi parlò di Liliana Tassio, chi, come Dori Ghezzi che si trattasse di una fan che gli aveva raccontato la sua vita e chi, invece, di opera di finzione, eppure proprio il cantante disse in un’intervista a Repubblica che “è un fatto vero, un episodio che è accaduto a me personalmente nel 1962 a Genova.

Il paesino di Sant’Ilario citato nella canzone è in realtà la stazione di Nervi.

Fu lì che sbarcò la mia Bocca di rosa (…).

Proprio come nella canzone, lei lo faceva per piacere, per passione, non per denaro”.

Facciamocene una ragione: l’amore si può fare anche solo per passione, e Dio solo sa, quanto sia bello, mettere l’amore sopra ogni cosa. (Meglio che per noia).


E Vanoni lo sa . . . e pure io, e ne vado fiera.

 

Chiara De Carlo 

Qual è il momento migliore per mangiare la frutta?

MANGIARE CHIARO /  Qual è il momento migliore per mangiare la frutta?Nessuno. O meglio, tutti! Immagino avrete già sentito dire innumerevoli volte che la frutta va mangiata solo lontano dai pasti. Altra diceria o falso mito sentito e stra sentito. Partiamo da questo presupposto: la frutta va mangiata. Punto. Quando volete, come volete.

Ma allora, perché si è diffusa questa diceria? In questo caso sarebbe per via delle testimonianze di chi dice che dopo aver mangiato frutta dopo il pasto si sente gonfio, eccessivamente sazio, con “aria nella pancia”.

Questo succede perché la frutta ha diversi componenti, tra cui fibre e oligosaccaridi, e questi possono effettivamente rallentare (di molto poco) il transito del cibo attraverso lo stomaco e l’intestino, dare luogo a processi di fermentazione e creare un accumulo di gas a livello intestinale (ecco il gonfiore di cui sopra). Ma, e qui attenzione c’è un grosso ma, questo capita a chi, sfortunatamente, ha una problematica intestinale conclamata, come colite ulcerosa, sindrome dell’intestino irritabile, meteorismo. Se escludiamo queste condizioni, generalmente non si riscontrano fastidi dopo aver ingerito la frutta a fine pasto e non ci sono studi scientifici o linee guida che lo sconsigliano.
Anzi, possiamo trarne diversi benefici: gli zuccheri che contiene vengono rilasciati nel sangue più lentamente rispetto a quando si mangia lontano dal pasto, l’acidità e la vitamina C facilitano l’assorbimento del ferro contenuto il alcune verdure e alimenti di origine vegetale, il sapore acidulo dà all’organismo il segnale di fine pasto.
Ah, e di certo non sarà la frutta a farvi ingrassare, a meno che non esageriate con le quantità (come per qualsiasi altro alimento, d’altronde).
In sostanza, il concetto è: mangiate 2-3 porzioni di frutta (da circa 150 g) al giorno, dopo i pasti, lontano dai pasti, quando preferite. Purchè le mangiate.

Fonti: https://www.issalute.it

Vittoria Roscigno

Vittoria Roscigno, classe 1995, laureata con lode in Dietistica presso l’Università degli studi di Torino e con il massimo dei voti nella Magistrale in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università degli studi di Firenze. Ha conseguito i titoli di “Esperta in nutrizione sportiva” e “Nutrition expert” mediante due corsi annuali e sta attualmente frequentando un Master di II livello in Dietetica e Nutrizione Clinica presso l’Università degli studi di Pavia. Lavora in qualità di dietista presso le strutture Humanitas Gradenigo e Humanitas Cellini, oltre a svolgere attività di libera professione a Torino.

-“Che la scienza e la buona forchetta siano sempre con te”.
Sito: vittoriaroscigno.it
Instagram: @dietistavittoriaroscigno
Facebook: Dott.ssa Vittoria Roscigno – Dietista

La visione liberale sconosciuta ai novelli Robespierre

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Il Presidente della Commissione Parlamentare antimafia Morra, a due giorni dal voto, denuncia 13 casi di candidati impresentabili ai sensi della Legge Severino, una delle leggi meno eque, come e’ stato dimostrato dai fatti, e più giacobine:

una triste eredità del governo Monti. Inoltre si rifà a a casi di infrazione del codice di autoregolamentazione dei partiti che non tocca all’antimafia far rispettare.  Morra riecheggia Rosi Bindi che anche lei alla vigilia del voto fece una cosa analoga, ma almeno formalmente un po’ più corretta.

La Commissione antimafia ha compiti differenti che riguardano appunto la mafia e non la generica lotta alla corruzione e la denuncia di reati connessi.  A due giorni dal voto significa intervenire in modo pesante nella partita del voto nella sua fase conclusiva e più delicata, sollevando polveroni. Morra doveva semmai agire con tempestività, sempre però attenendosi alle sue competenze specifiche in relazione a reati di mafia. In questa Italia infestata da giacobini che vogliono tagliare teste come fossero cavoli (uso una metafora del grande Hegel)  non c’è affatto bisogno di un nuovo grande inquisitore. Il 20 e 21 i cittadini voteranno. Poi si vedranno le ineleggibilità per chi, eletto, non gode dei requisiti di eleggibilità stabiliti dalla legge. Questa è la regola a cui anche Morra – Robespierre deve sottostare. Morra si lascia andare anche a valutazioni etiche che debbono essere estranee a valutazioni giuridiche. La morale deve restare fuori, ma l’integralismo manicheo grillino non permette di capire le ragioni profonde di una distinzione fondamentale in uno Stato di diritto, propria di una visione liberale che è del tutto estranea a Morra, come lo era alla Bindi.

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Scrivere a quaglieni@gmail.com

“Ombra giaja”, conoscete quest’espressione piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Ombra giaja. Anche: ombra gaja (vedi Renzo Gandolfo, Da ‘n sla riva…, Torino, Centro Studi Piemontesi- Ca dë Studi Piemontèis, 1998, p. 37). Riposarsi a l’ombra gaja o giaja, significa cercare un luogo sotto gli alberi, dove può filtrare tra le foglie qualche raggio di sole: un’ombra “chiazzata”.  Giaj vuol dire anche lentigginoso, striato, cosparso di chiazze, variegato, maculato…. Alla voce Giaja, il vocabolario di Gianfranco Gribaudo (Ël Neuv Gribàud. Dissionari piemontèis, Torino, Daniela Piazza, 1996), dà varie indicazioni tra cui: “aggettivo e nome dato alle vacche di pelo nero”; “creta, terra secca e bruciata”. Da Giaj poi derivano giajèt, giajolà, giajolura…un mondo di parole e di cose. Chi vuole approfondire etimi e significati deve prendere i diversi dizionari a partire dal REP, che sempre citiamo in questa rubrica, e sfogliarseli con calma all’ombra giaja.

I Principi di Piemonte

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Oggi ricorrerebbe il compleanno che per un reale si dice genetliaco, di Umberto di Savoia, Principe di Piemonte e futuro Re d’Italia con il nome di Umberto II. Umberto  regnò poco tempo, ma seppe anteporre le ragioni dell’ Italia agli interessi dinastici, partendo nel giugno del 1946 per l’esilio in Portogallo, per evitare una probabile guerra civile che avrebbe ulteriormente insanguinato il Paese appena uscito da una guerra che era diventata anche guerra civile al Nord.

Nel lungo esilio affrontato con grande dignità e rassegnazione cristiana, il Re non interruppe mai il suo legame con milioni di italiani che avevano votato per lui e che lo ritenevano il loro Re. Ma anche tanti giovani si entusiasmarono per la causa del Re che seppe praticare il suo motto: “ L’Italia innanzi tutto“. Mori’ in terra straniera perché gli fu negato di morire in Italia ed oggi riposa ad Altacomba, l’abbazia benedettina tomba di parte dei suoi avi, restaurata da Carlo Felice dopo le devastazioni della Rivoluzione francese.
Fu un Re esemplare ,tanto che molti dissero che sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica. Ma Umberto che non era uomo di parte perché educato ad essere il Re di tutti gli Italiani, era qualcosa di più perché discendeva dalla più antica casata europea con una nobiltà che trovava le sue radici nel Medio Evo con  il capostipite Umberto Biancamano. Per molti italiani il Re rappresento’ la Patria e la sua unità acquisita per merito dei Savoia durante il Risorgimento.
Sono stato nei giorni scorsi ospite dell’ Hotel Principe di Piemonte di Viareggio costruito negli anni Venti quando Viareggio incominciava ad essere l’attrattiva prediletta di tanti che fecero della città la perla della Versilia. Non ci sono segni sabaudi di sorta, neppure uno stemma. Vorrei proporre alla direzione di porre in evidenza un ritratto del giovane Principe di Piemonte Umberto. Ricordare anche ai tanti stranieri l’origine di quel nome mai richiamato neppure  nel sito dell’ Hotel sarebbe un modo bello per ricordare la storia d’Italia e del bellissimo albergo viareggino.
Umberto II non è un nome divisivo, se non per i faziosi che fraintendono la storia e vogliono che le colpe dei padri ricadano in modo barbaro  anche sui figli. E anche l’ hotel torinese “Principi di Piemonte“ potrebbe riandare alla sua storia, esponendo i ritratti degli ultimi Sovrani d’ Italia che furono sposi felici proprio a Torino.
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