Rubriche- Pagina 76

“Svanite le speranze per i macachi del Progetto Light-up”

QUA LA ZAMPA / Il CONSIGLIO DI STATO AUTORIZZA LA SPERIMENTAZIONE SUI MACACHI

Caro direttore, il Tavolo Animali & Ambiente, costituito dalle associazioni ENPA, LAC, LAV, LEGAMBIENTE L’Aquilone, LIDA, LIPU, OIPA, PRO Natura e SOS Gaia, apprende con sgomento la decisione del Consiglio di Stato di autorizzare la ripresa, dopo alcuni mesi di sospensione, degli esperimenti sui cervelli dei macachi del progetto delle Università di Torino e Parma. Un progetto finanziato con 2 milioni di euro dei contribuenti, che implica secondo gli stessi ricercatori, “grave sofferenza”.

Un esperimento doloroso, inutile e senza ritorno, compiuto ai danni di creature senzienti. A dimostrazione che l’esperimento  è estremamente invasivo è prevista la soppressione dei macachi a fine progetto, ma chiediamo che comunque  vengano consegnati ad un centro di recupero.
E’ ormai nota l’elevata percentuale di fallimento dei test sugli animali. Sono trascorsi cinquant’anni da quando la sperimentazione sugli animali è stata giudicata non attendibile per l’innegabile diversità genetica fra uomo ed altri animali. Infatti la ricerca su nuove cure per persone ipovedenti ha compiuto ad oggi passi importanti grazie alle sperimentazioni su malati umani consapevoli.
Il Consiglio di Stato, nei mesi scorsi, sospese lo studio “Light-up” sottolineando che non era stata sufficientemente argomentata l’impossibilità di ricorrere ad altri metodi.
Il parere è però stato delegato ad un ente esterno che non ha minimamente considerato la documentazione presentata dalla LAV che smontava scientificamente il progetto in ogni punto.
Questo risultato non sorprende viste le gravi intimidazioni e pressioni che ha ricevuto persino il Presidente del più alto grado di giudizio.
Ha perso la ricerca scientifica nel nostro paese. Proseguiremo a rappresentare quei cittadini che hanno chiesto, con manifestazioni e firme, che venga abbandonata una ricerca fuorviante , eticamente inaccettabile e inutile a fini scientifici.
Il Tavolo Animali & Ambiente inoltre ribadisce la richiesta alla Giunta della Regione Piemonte di dare piena attuazione alla legge 9/2018 “Norme in materia di promozione dei metodi sostitutivi alla sperimentazione animale”
Il Tavolo Animali & Ambiente continuerà a sostenere una ricerca che non provochi sofferenza ad alcun essere senziente.

Per il Tavolo Animali & Ambiente:
Marco Francone
LAV Piemonte

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Daniela Raimondi  “La casa sull’argine”   -Editrice Nord-    euro 18,00

Per chi di voi adora le saghe, questa è superlativa; per trama, personaggi e stile di scrittura.

Daniela Raimondi ha vissuto a lungo in Inghilterra, ma è nata in provincia di Mantova, ed è alla sua terra che rende omaggio con questo magnifico romanzo dal sapore epico.

Tutto ha inizio nella dimora della famiglia Casadio che per due secoli abiterà in un casale a Stellata, vicino al Po. E’ una famiglia contadina, di quelle che lavorano sodo e grondano fatica, ma ha qualcosa in più …di quasi magico.

A inizio 800 il giovane Giacomo Casadio ha l’estro del visionario e coltiva non solo i campi, ma soprattutto il sogno di costruire un vascello ispirato all’Arca di Noè; ci proverà più volte ma regolarmente, poco dopo il varo, le imbarcazioni affonderanno.

E’solitario e malinconico, poi quando ha 45 anni una zingara incrocia il suo cammino. E’ Viollca Toska: corpo flessuoso e capelli neri, baldanzosa come le gonne colorate e le piume che ama indossare, abilissima nel leggere i tarocchi. Lo ferma, gli osserva i palmi delle mani ed esordisce: «Sei arrivato finalmente! Erano anni che ti aspettavo». I due non si lasceranno più e daranno il via a una numerosa discendenza in cui i caratteri dei due rami resteranno ben distinti.

Da quel momento la loro progenie -nel corso di quasi 200 anni- si divide in modo inconfondibile. Da un lato i sognatori con gli occhi azzurri e la pelle chiara, spesso vittime della propria natura eterea; dall’altro i sensitivi del ramo zingaro, con occhi neri e chiome corvine che predicono presagi, disavventure e morti.

Il loro primogenito lo chiamano Dollaro e già intorno ai 5 anni si siede sulle tombe ad ascoltare le voci dei morti.

Poi la condanna che alberga nell’animo dei sognatori inizia con il suicidio di Giacomo ed è l’inizio di una stirpe che annovera figli dai nomi singolari, come Neve e Radames, matrimoni e famiglie numerose, povertà e fame, gemelli e figli scambiati,  ma anche spiriti sognatori che s’innamorano dell’impossibile e finiscono per scontare solitudini sopportate con dignità o sciagure affrontate a testa alta.

Una miriade di personaggi incredibili, alcuni ancorati alla terra in cui sono nati, altri che solcano  l’oceano. Attraverso i loro vari destini leggiamo sullo sfondo anche pagine di  storia; dai moti rivoluzionari che portarono all’unità di Italia, le due Guerre Mondiali e il fascismo, il boom economico degli anni 60, fino a quelli di piombo del terrorismo che scagliano dolore e lutto in questa indimenticabile famiglia. E quasi indifferente alla fiumana del Po e alle varie traiettorie di vita, solo la casa sull’argine resterà al suo posto…….

 

Jón  Kalman Stefánsson  “Crepitio di stelle “  -Iperborea-   euro 17,00

L’autore 56enne è un mostro sacro della letteratura islandese e uno degli autori di punta della casa editrice Iperborea, che oggi lo pubblica in Italia; ma nel suo paese questo libro è stato dato alle stampe nel 2003.

In parte è autobiografico e per Stefánsson è stato un processo intimo e doloroso perché ha risvegliato emozioni e ricordi della sua infanzia. La voce narrante del protagonista oscilla tra capitoli di quando era un bimbo di 7 anni e poi adulto che cerca di ricomporre il puzzle del suo passato e della sua famiglia.

Inizia con i pensieri di un uomo 40enne che davanti al condominio a Reykjavik dove aveva vissuto da piccolo viene assalito dai ricordi e «..Chi irrompe nel proprio passato si trasforma in scassinatore. Ho smontato la serratura e sono riuscito ad entrare…».

E’ così che si infila nel suo vecchio appartamento e scopre che molte cose sono cambiate dalla sua infanzia, cose semplici come la disposizione dei mobili o l’assenza del divano dove suo padre amava sedersi.

A toccare con potenza  le corde del ricordo è l’assenza della sua cameretta dove aveva trascorso giorni e notti con il suo esercito di soldatini. Non semplici e inanimati balocchi, ma veri e propri compagni di vita che conoscevano il nome di sua madre, gli chiedevano dei libri che leggeva, con i quali dialogo e confidenze erano costanti, e da loro si era sentito protetto.

Di lì in poi l’uomo riannoda la magnifica tela della sua famiglia.

Da suo padre, giovane apprendista carpentiere arrivato dai fiordi dell’Est, che trova l’amore della sua vita ma rimane presto vedovo e con un bimbo di 7 anni.

E sono struggenti le pagine in cui ritorna al funerale e ai suoi pensieri rivolti alla mamma: dapprima spera che lei urli per farsi aprire la bara ed uscirne, poi ne immagina sensazioni e  pensieri sotto gli strati di terra fredda della sua sepoltura. Un dolore fortissimo attraversato anche dall’autore e che ne ha determinato la vita.

Poi gli anni trascorsi con la matrigna che usa il silenzio come arma e mastica pinne di foca; con lei

ci sarà sempre la barriera di un muro di incomunicabilità.

Ma c’è anche la narrazione della storia turbolenta dei bisnonni a inizi 900, innamoratissimi: si sposano a 17 anni e, alla finestra di una soffitta, usano la loro incosciente giovinezza contro il mondo.

Poi le cose sono cambiate. Il bisnonno che sognava di solcare tutto il mondo, è morto senza aver mai valicato i confini  dell’Islanda e dopo essersi giocato tutto tra donne, sbronze e scommesse, e gesti un po’ folli. Mentre la bisnonna, donna bellissima, ha sopportato un matrimonio diventato difficile e infelice.

Ci sono anche  i nonni del protagonista ad abitare le pagine del romanzo, che racconta sottotraccia le vicende dell’Islanda dai primi del 900 fino agli anni 60, tra la città di Reykjavik e le sconfinate lande islandesi dei fiordi del Nord.

150 anni e 3 generazioni che, nella prospettiva più ampia dell’universo, sono solo un battito di ciglia rispetto alla vita di una stella…

E sono pagine piene di magia e poesia attraverso la narrazione di cose semplici e di vita quotidiana normale.

 

Mario Ferraguti  “La voce delle case  abbandonate”   -Edicicloeditore-  euro 8,50

E’ una deliziosa piccola chicca questo libriccino che ha come sottotitolo “piccolo alfabeto del silenzio” dello scrittore ed esploratore curioso che ci introduce nelle case abbandonate delle quali riesce a cogliere i misteri.

Lui tra le mura diroccate riesce a cogliere un silenzio che racconta storie lunghe una vita, perché dice: «bisogna entrare in una casa abbandonata per accorgersi…che le cose ci sopravvivono e restano ferme come le abbiamo messe ad aspettare niente….hanno il tempo passato assoluto, basta aprire la porta e ci sei dentro».

E ancora «E’ un passato che non scorre più come il tempo fuori, un passato fermo lì per sempre, tempo infinito in  cui …sono passati tutti; da quando l’hanno costruita la casa, e lei conserva ancora, in qualche angolo buio e nascosto, l’eco della prima voce».

Per Ferraguti le case abbandonate richiamano i vari organi del corpo umano e in una visione affascinante paragona «La testa ha il cervello nel solaio, magazzino del ricordo….nelle camere c’è il cuore, la paura della notte, e la pancia è giù in cucina….» e via di questo passo.

Si avventura in case cantoniere, antichi mulini dismessi, spazi diroccati assediati dalla natura, stanze dai soffitti crollati e in ognuno di essi rintraccia oggetti coperti di calcinacci e polvere che lo aiutano a immaginare la vita che li si era svolta in passato. Una sorta di viaggio filosofico che ha potentemente a che fare con la vita, gli abbandoni, gli echi di voci lontane.

 

Thomas Jorion  “Veduta”  -Édition de La Martinière-     euro  49,00

Quello che il libro precedente ci dice a parole, lo vediamo in tutto il suo misterioso fascino nelle magnifiche immagini del fotografo parigino Thomas Jorion, che della scoperta delle dimore lasciate all’incuria del tempo e della solitudine ha fatto la cifra stilistica della sua arte.

Questo è un volume prezioso e raffinato che segue il precedente “Vestiges d’Empire” nel quale Jorion si era concentrato sulle ex colonie francesi.

In “Veduta”, invece, ha percorso l’Italia e si è introdotto in ruderi dal passato sfarzoso, tra calcinacci  e crolli che ha immortalato in foto nostalgiche e bellissime. Perché poche cose sono intriganti  come ville e  palazzi abbandonati  a se stessi; però ancora capaci di raccontare storie passate attraverso i resti di un camino, stucchi, basso rilievi, affreschi sui quali il tempo e  l’incuria hanno lasciato il segno.

Jorion con la sua macchina analogica di grande formato è andato su e  giù per l’Italia, da nord a sud, dal Piemonte alla Sicilia, passando per Veneto e Toscana, e ha rintracciato dimore datate tra XVIII° e  XX° secolo.

Si è avventurato tra giardini inselvatichiti, macerie e crolli, e con sensibilità e attenzione ai dettagli, alla luce naturale ha fermato le immagini che sanno raccontarci stralci  di gloria e vita passata. Immagini di una decadenza assoluta che denunciano anche lo spreco di tanta bellezza e sfarzo, ville con affreschi magnifici che è un peccato lasciare alle intemperie della natura. Un prezioso patrimonio artistico che meriterebbe di essere restaurato e recuperato.

 

 

 

 

Dopo piazza San Carlo è ora che Torino volti pagina

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

E’ sceso in campo anche l’ottantenne ex ministro Bassanini a sostenere la Appendino, oltre a sua sorella che le ha preparato una colazione speciale per affrontare il nuovo giorno dopo la condanna con rinnovata energia

Ricordo che Bassanini ha sconquassato la pubblica amministrazione per parare il culo ai politici, senza grandi successi, se i politici continuano ad essere condannati per le loro malefatte. Salvo una lineare dichiarazione di Enzo Ghigo che ha ricordato il giustizialismo feroce dei grillini i quali dopo aver seminato vento per anni non possono che raccogliere tempesta, ho solo letto reazioni scomposte e stupide alla sentenza di condanna di Appendino a 18 mesi per fatti gravissimi, con due morti e un numero altissimo dei feriti. La casta dei politicanti fa quadrato con frasi prive di significato giuridico. Consiglieri comunali, deputati, aspiranti sindaci si sono lasciati andare ad osservazioni che rivelano ignoranza giuridica e ignoranza tout – court. Lor signori pretendono di fare i sindaci, scaricando sui sottoposti le responsabilità, affidando a capi di gabinetto strampalati poteri incredibili. I cittadini hanno eletto i sindaci che devono quindi anche rispondere penalmente dei loro errori. Ricordate cosa accadde alla sindaca Vincenzi di Genova e nessuno si mosse? Appendino si è servita persino dell’avvocato della Fiat e della Juventus. Questo argomento meriterebbe un approfondimento, considerando che il sindaco e’ volata in Inghilterra a vedersi la partita della Juve, invece di rimanere a Torino a lavorare. Ciò che è accaduto non lo avrebbero fatto neppure i peggiori sindaci del passato. Vogliamo ricordare le cose non fatte ? I mancati controlli agli ingressi, le bottiglie di vetro, la troppa gente in piazza, il non sgombero del sotterraneo della piazza, le transenne che hanno impedito la fuga Ripeto, i teppisti hanno
fatto la loro parte e sono stati condannati , ma le omissioni e gli errori di sindaco e questore ed altri andavano sanzionati. Hanno scelto il rito abbreviato per evitare pene più dure. Chi è innocente non lo fa.
Mentre apprezzo la dignità del Questore, non posso non condannare i piagnistei del Sindaco sui social. Dicevano che era tanto meglio di Raggi, i fatti le hanno dato torto. Applichi le norme grilline e faccia le valigie. Fassino ha voluto generosamente difenderla, ma anche lui ha sbagliato. Torino deve davvero voltare pagina. Questo e’ un episodio che resterà nella storia  più buia della città .

Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi

Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

2 Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi

La strada che parte dall’Accademia di Platone e arriva alla temutissima Didattica a Distanza è lunga e tortuosa, fatta di riforme e controriforme, di miglioramenti e di tagli, di innovazioni e ripensamenti. La storia della scuola è intricata e complessa, al punto che ogni tanto sembra ci si scordi dei pezzetti. Qualche volta si ha l’impressione che anche lo scopo principale della scuola passi in secondo piano, poiché la burocrazia, sempre più arzigogolata, pare mettere in ombra l’unica vera missione dell’istituzione, che è quella di educare. La storia della scuola è in realtà la storia dell’“imparare”, o meglio, di quanta importanza le varie epoche conferiscono all’istruzione.

Nell’attuale sistema formativo assistiamo ad una sorta di involuzione. La scuola di massa, nell’intento di allargare l’istruzione alle fasce sociali più deboli, ha in realtà prodotto una scuola pubblica sempre più “facilitata”. La scelta della scuola media unificata nel 1962, la liberalizzazione degli accessi all’Università nel 1969, l’abolizione degli esami di riparazione sono elementi volti a rendere uguali gli allievi per non discriminare nessuno. Buone intenzioni che però hanno suscitato l’effetto contrario, in realtà l’elevazione per tutti del livello d’istruzione ha comportato l’abbassamento qualitativo delle materie.

Seduti dietro ai banchi, tra il lancio di un bigliettino e un’interrogazione sono tante le competenze –per utilizzare un termine assai di moda- che gli studenti acquisiscono; tali apprendimenti vanno, a mio parere, tutti posti sullo stesso piano, non ci può essere qualcosa di più o meno importante. Le nozioni e i saperi delle varie discipline accompagnano e supportano la socializzazione, d’altro canto come si fa a pretendere che gli studenti imparino a relazionarsi e a rispettarsi senza dar loro la possibilità di studiare a fondo gli insegnamenti dei grandi della storia, della filosofia, della letteratura? Com’è possibile accompagnarli nella crescita e nella formazione della propria persona senza spiegare loro e approfondire le azioni dei pionieri, degli uomini di scienza e di tutti quei coraggiosi che hanno sfidato il mondo in nome di un’idea? Come si può credere di affinare l’animo dei giovani senza educarli in modo adeguato all’amore per l’arte e la creatività?
“Non intendo rimpiangere una scuola ideale che non è mai esistita. Però so che nessuno vuole che la nuova scuola affronti il futuro semplificata e impoverita non soltanto nei soldi ma nei contenuti” queste le parole di Gian Luigi Beccaria, professore emerito dell’Università di Torino, parole che a mio sentire andrebbero soppesate con particolare attenzione, perché è questo il rischio che la nostra scuola sta correndo: una scuola “smart”, lezioni che possono essere seguite dal cellulare, insegnanti che devono improvvisarsi tecnici informatici e “counselor” familiari, studenti che devono sapere un po’ di tutto senza approfondire nulla.

“Se abbasso il livello della scuola di tutti, la scuola di tutti diventa deteriore” altro monito di Luciano Canfora (docente di Filologia greca e latina presso l’Università di Bari).
C’è da chiederselo, stiamo andando davvero nella direzione più giusta? Riforma dopo riforma i vari ministri dell’istruzione hanno proposto ciascuno una propria versione di come dovrebbe funzionare la scuola, lamentandosi dei precedenti interventi ma mai andando a modificare proprio quelle “decisioni sbagliate” tanto sottolineate in campagna elettorale.
“Something is rotten in the state of Denmark” e forse non solo lì “c’è qualcosa che non quadra”.

La domanda che ora ci possiamo porre è: nella nostra società liquida, in cui le conoscenze trasversali si trasmettono attraverso internet, quasi come se le nozioni si assorbissero toccando un pc, quanto è importante l’istruzione? In quest’epoca del “problem solving”, che ruolo può ricoprire il luogo in cui fare domande non solo è consentito ma dovrebbe essere d’obbligo?
La storia della scuola non è solo l’evoluzione del sistema scolastico e delle istituzioni, è anche storia dell’insegnamento, di come da sempre e per fortuna, alcuni si sentano votati a guidare le nuove generazioni verso il futuro, a consigliarle affinché tentino di sistemare le cose che non vanno o semplicemente ad aiutare gli studenti a diventare degli adulti preparati, capaci e con le menti aperte.
L’argomento è assai vasto, complesso, ricco di suggestioni, e vediamo allora, sia pur velocemente, che cosa è accaduto al sistema scolastico nel corso delle varie epoche storiche.
Con la caduta dell’impero romano le istituzioni scolastiche pubbliche chiudono i battenti e per molto tempo l’istruzione e la scolarizzazione vengono gestite interamente dalla Chiesa. Le scuole parrocchiali, la cui presenza è attestata dal VI sec., forniscono un’alfabetizzazione di base, sono le uniche accessibili a tutti; le scuole vescovili o cattedrali, aperte anche ai laici, offrono un medio livello di istruzione, mentre le scuole monastiche consentono una formazione universitaria.

Nel 614 in Italia viene fondata la celebre abbazia Bobbio, che grazie alla biblioteca, allo “scriptorium” e alla scuola annessa, diviene uno dei principali centri culturali monastici d’Europa. Presso i cenobi vi sono due scuole, quella “interior” per i novizi e quella “exterior” per i laici. In tali strutture si impara a leggere, scrivere e fare di conto; le materie base sono le stesse dell’epoca tardoromana, organizzate secondo il “trivium” (grammatica, retorica, dialettica) e il “quadrivium” (aritmetica, geometria, astronomia, musica) . Questa sistemazione del sapere medievale si deve a Marziano Capella (IV-V d.C.), che non ignora comunque la tradizione classica. Le sette arti sono poste a fondamento dell’istruzione superiore, e divengono le basi dell’educazione dell’uomo colto medievale.

Dopo l’anno Mille si attesta l’apertura degli “studia”, istituzioni scolastiche private, gestite da maestri liberi, in cui si insegnano principalmente materie giuridiche, teologiche e mediche.
Tra l’XI e il XII secolo nascono le università, evoluzione di un modello di insegnamento impartito nelle scuole delle chiese cattedrali e nei monasteri, a seguito di una sempre maggiore richiesta di istruzione. Prima fra tutte quella di Bologna (fondata nel 1088), famosa per il diritto, e anche Salerno, con la sua antica Scuola medica, Padova e Montpellier per la medicina; Parigi e Oxford per la teologia e la filosofia.

Nel XII secolo si assiste ad un primo grosso cambiamento: le scuole parrocchiali chiudono, altri ordini monastici si affiancano ai benedettini per impartire l’istruzione superiore e i singoli stati sembrano interessarsi al fenomeno dell’alfabetizzazione, sovvenzionando l’apertura di strutture che potremmo paragonare alle nostre scuole primarie, secondarie ed universitarie.
Aumentano piano piano le scuole elementari private e comunali, ogni scuola impegna un unico maestro, che può avere un numero di scolari che oscilla tra i cento e i centocinquanta. Quando il numero degli allievi supera un limite massimo il maestro può assumere un “ripetitore”.

Nel corso del XIII secolo vengono aperte scuole laiche secondarie, per alunni già alfabetizzati, si tratta delle scuole d’abaco, nelle quali si apprendono le tecniche di calcolo con le cifre arabe e i metodi della matematica mercantile e delle scuole di grammatica, incentrate sullo studio della lingua latina, della letteratura e sull’approfondimento di autori classici e medievali.
In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimane fondamentalmente quello che si era delineato nel corso del Duecento. Il numero delle scuole aumenta notevolmente, così come il livello di alfabetizzazione, soprattutto in centri come Firenze e Venezia.

L’essenziale novità dell’epoca cinquecentesca è l’apertura di scuole comunali gratuite. A Lucca, ad esempio, nella prima metà del Cinquecento, si attesta la presenza di ben sei maestri comunali di latino ai quali era stato proibito esigere pagamenti dagli alunni.
Altrettanto rilevanti sono le modifiche dei programmi d’insegnamento delle scuole di grammatica, in cui, grazie al diffondersi degli “Studia humanitatis”, vengono approfonditi autori quali Cicerone, Cesare o Sallustio.

Vengono istituite delle vere e proprie scuole umanistiche, di livello superiore a quelle di grammatica, all’interno delle quali lavorano umanisti di fama, si tratta nella maggior parte dei casi di scuole-convitto private, come la celebre Casa Giocosa fondata e diretta da Vittorio da Feltre. È opportuno sottolineare come le scuole d’abaco non fossero un’alternativa agli studi umanistici, bensì un’aggiunta, come dimostra la formazione di Niccolò Machiavelli, il quale le dovette frequentare entrambe.

Durante il Settecento è lo Stato e non più il Comune a promuovere e gestire le scuole pubbliche.
È stata la Repubblica di Sardegna a inaugurare per prima la nuova politica scolastica: Vittorio Amedeo II di Savoia, tra il 1717 e il 1727 promulga varie riforme inerenti alle scuole laiche statali di vario grado, inoltre istituisce un’apposita figura, il “Magistrato”, incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia.
Nel 1774 Maria Teresa d’Austria diviene promotrice della più importante riforma scolastica del periodo. La regina appoggia il progetto dell’abate Giovanni Ignazio Felbiger, progetto che prevede oltre all’obbligatorietà scolastica per bambini dai sei ai dodici anche l’apertura di “Normalschulen”, scuole normali per la preparazione dei maestri.

Tale riforma in Italia interessa soprattutto la Lombardia, grazie anche all’intervento del padre somasco Francesco Soave; a Milano infatti, nel 1788, viene fondata la prima scuola pubblica per la preparazione dei maestri, chiamata Scuola di Metodo.
Nel Gran Ducato di Toscana Pietro Leopoldo I espelle i gesuiti e i barnabiti e affida la gestione delle scuole agli Scolopi, sacerdoti regolari appartenenti alla congregazione delle Scuole pie; il fine principale dell’ordine è l’educazione e l’istruzione della gioventù; Leopoldo ordina inoltre l’apertura di numerose scuole elementari pubbliche.

All’interno dello Stato pontificio la gestione dell’istruzione rimane integralmente affidata agli istituti religiosi.
Nel Regno di Napoli Carlo III e suo figlio Ferdinando si occupano di istituire la prima istruzione scolastica pubblica nei Regni di Napoli e di Sicilia.
Nel 1766 Antonio Genovesi, su richiesta del ministro Tanucci, elabora un sistema che prevede l’istituzione di scuole pubbliche gratuite per i figli dei contadini e dei meno abbienti. Il piano viene attuato solo parzialmente.

Con la Rivoluzione Francese si afferma una concezione nuova della scuola, che trova la sua formulazione più chiara e completa nel “Rapport et project de décret sur l’organisation génerale de l’Instruction publique”, redatto da Condorcet nel 1792 e presentato all’Assemblea Nazionale a nome del “Comité d’instruction publique.”
L’istruzione primaria deve essere pubblica, obbligatoria e gratuita: tutti i cittadini, sia maschi che femmine, “devono” accedervi. Gli studi successivi hanno l’obbligo di valorizzare i talenti degli studenti e garantire uguaglianza di opportunità. Va da sé, la scuola in generale deve essere laica, basata sulla trasmissione di capacità professionali utili, di contenuti verificabili e metodi razionali e sulla formazione civile.

Le indicazioni di Condorcet rimangono a lungo un punto di riferimento, fino al periodo napoleonico, quando nascono quattro livelli di istruzione nettamente distinti: elementare, medio-inferiore, medio-superiore e universitario. È in questo periodo che, a fianco alle scuole normali per la preparazione dei maestri e all’istruzione professionale, nascono i “lycées”, i licei.
I primi licei italiani ideati sul modello francese sono introdotti con la legge del 4 settembre 1802, tali istituzioni si affiancano ai ginnasi di stampo austriaco. “Il Piano d’istruzione generale”, varato nel 1808 decreta di istituire nel Regno d’Italia un liceo in ogni capoluogo di dipartimento e un ginnasio in ogni comune con più di 10.000 abitanti. In un primo momento le scuole sono gratuite ma poi vengono introdotte delle tasse scolastiche. Nel regno di Napoli sorgono collegi governativi in ogni provincia, il cui corso di studi viene poi articolato in un ginnasio propedeutico e un successivo liceo con due indirizzi, uno umanistico e l’altro scientifico.

Nel 1810 Gioacchino Murat decreta l’obbligatorietà della scuola primaria.
Durante la Restaurazione in Italia le innovazioni scolastiche subiscono dei rallentamenti, anche se numerosi pedagogisti ed educatori continuano a lavorare a favore dello sviluppo di un moderno sistema scolastico. Un esempio per tutti è il marchese Basilio Puoti, il quale apre nella sua nobile abitazione una scuola libera, di carattere laico e classicista, con lo scopo di educare le giovani menti del regno. (Frequenta la scuola del grande purista Basilio Puoti -1782-1847 – il nostro critico letterario più autorevole, Francesco de Sanctis, 1817-1883).
Nel Regno Lombardo Veneto, sotto la dominazione austriaca, risulta di particolare importanza il “Regolamento normale per le scuole elementari” redatto nel 1818, e riguardante le norme di funzionamento di una capillare rete di scuole elementari pubbliche.

Altri personaggi degni di nota sono Raffaello Lambruschini (1788-1873) e il pedagogista Vitale Rosi (1782-1851), il quale è figura essenziale nel porre le basi per una scuola più moderna. Un’ultima menzione merita il movimento iniziato da Ferrante Aporti (1791-1858) a proposito del funzionamento degli asili infantili.

Caro lettore, all’alba della terza pagina si ha l’impressione di essere a metà dell’opera e invece siamo solo alla premessa. Le notizie che vi ha raccontato altro non sono che le radici nascoste e profonde della nostra scuola, e forse è proprio grazie alla loro robustezza che ancora essa non crolla sotto i colpi del livellamento della cultura di massa. È ora il caso che mi fermi, poiché sarebbe il momento di trattare delle revisioni scolastiche, a partire dalla Legge Casati (1859), la Legge Orlando (1904), la Riforma Gentile (1923), poi ancora delle innovazioni degli anni del dopoguerra fino alle riforme dei cicli scolastici in epoche decisamente più recenti. Tali argomenti saranno affrontati prossimamente, intanto vi lascio riflettere su come la storia stessa ci insegni quanto nelle epoche passate sia stata ritenuta essenziale l’educazione, quanti sforzi siano stati fatti affinché tutti potessero usufruire del sistema scolastico. I documenti attestano la costruzione degli edifici, ma non sempre ci parlano delle difficoltà degli studenti e dei docenti, delle piccole vittorie e delle grandi delusioni degli uni e degli altri. Non cadiamo nel tranello dei tempi moderni, ricordiamoci dell’essenziale: “L’insegnante non si deve abbassare al livello del ragazzo, ma è vero il contrario in quanto il ragazzo non vuole rimanere prigioniero del suo mondo ma è alla ricerca di strade per uscirne. E l’insegnante deve offrirgli l’opportunità.” (Pier Paolo Pasolini).

Alessia Cagnotto

Piazza San Carlo, le responsabilità

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Sono stato tra i primi a scrivere nella notte del 3 giugno 2017 delle responsabilità della signora Appendino per il disastro in piazza San Carlo, ancor prima di sapere degli spray urticanti che hanno creato panico. Ero in zona ed ho visto con i miei occhi.  E non parlo solo della Appendino, sindaco con la delega al turismo, ,ma di tutto lo staff dei suoi collaboratori, dal capo di Gabinetto all’ineffabile portavoce, campioni di cattiva amministrazione anche successivamente e cacciati forzatamente con ignominia dai loro uffici per altri motivi
.
Una equa  e forse troppo mite condanna a 18 mesi, meno di quanto richiesto dal PM, per tutti questi signori, compreso il questore pro tempore di allora, dimostra che c’è un giudice equilibrato non solo a Berlino. La Magistratura si è mossa con cautela, in silenzio, senza passi avventati in termini mediatici, ma alla fine le responsabilità sono apparse nettissime. Un Sindaco non può lavarsene le mani, andando a vedere la partita in Inghilterra, disinteressandosi dell’evento torinese. Chi organizza deve prevedere l’imprevedibile, altrimenti si deve  mettere  a fare un altro mestiere. Le vie di fuga dalla piazza erano insufficienti, le persone lasciate affluire erano in numero non ragionevole, la vendita di bibite in bottiglie di vetro che  erano una minaccia grave alla incolumità delle persone non è stata interdetta. Ci sono due persone morte e un numero altissimo di feriti .Qualcuno doveva rispondere e la difesa degli avvocati è  apparsa davvero quella di chi non sa dove appigliarsi. Non avevano neppure bloccato il garage sotterraneo di piazza San Carlo, pensando alla possibilità di un attentato dinamitardo che la signora Appendino e i suoi solerti collaboratori non hanno neppure ipotizzato in tempi di terrorismo. Questa è la macchia più vistosa del grillismo in assoluto, ma anche un segno della inefficienza degli apparati statali e comunali.
Una persona seria avrebbe dovuto dare subito le dimissioni. Il questore, ad esempio, venne subito rimosso. La leggerezza dimostrata non ha scusanti e rivela incompetenza assoluta  anche nella scelta dei collaboratori. In questa Italia dilaniata dal Covid e distrutta dalla crisi economica non ci può essere spazio per i piagnistei del sindaco via social.  Occorrono scuse e occorre silenzio contrito, senza giutificazionismi ridicoli. Gli unici titolati a parlare sono i cittadini, le vittime, i loro parenti. E i primi doversi rammaricare sono quegli elettori di destra che da veri stupidi autolesionisti votarono al ballottaggio Appendino ,senza neppure porsi il problema che una grande città non va affidata in mani insicure di persone del tutto impreparate ad esercitare un ruolo pubblico di quel genere. Non tirino fuori gli spray per difendersi, perché tutta la manifestazione in piazza San Carlo era una minaccia foriera di disastri e di morte ,come poi si è tristemente rivelata. La Appendino non aspetti la fine del mandato: se ha ancora un po’ di dignità, torni a casa sua. Quanta gente dovrebbe tornare a casa!  I Torinesi vi sono reclusi senza aver fatto nulla per creare il disastro di piazza San Carlo.
.
scrivere a quaglieni@gmail.com

La paranoia della politica che ha distrutto l’Italia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Finalmente Conte, che sintetizza nel suo volto il dramma della pandemia e del governo più a sinistra della storia italiana, ha dato le dimissioni.

Ma la crisi diventa un altro problema altrettanto irrisolvibile: si evidenzia un clima di sfascio che solo
Marco Pannella avrebbe la forza di denunciare con un digiuno. Gli ascari, i venduti diventano protagonisti di un governo che si rivelerà comunque inadeguato. L’Italia non garantita si trova allo stremo e nessuno si muove. E vengono fuori  vere e proprie follie come Berlusconi futuro presidente della Repubblica ad 85 anni,
con un mandato settennale. Una boutade che rivela la non serietà di Salvini, un demagogo politicamente squallido e cinico che non sarebbe mai in grado di essere un premier. In questa crisi gli ex comunisti (in effetti sono rimasti comunisti) esaltano in modo sfacciato, anzi a volte osceno il Centenario del PCI  che, dopo la sventura del fascismo, fu l’esperienza politica più nefasta della storia italiana. Noi cittadini sopportiamo tutto, anche i cretini che sono tornati protagonisti. Abbiamo un’informazione indecente e falsa che, combinata ad una tv pubblica e privata spregevole, incrina la stessa democrazia.  E’ significativo che Travaglio e Ferrrara siano gli sponsor più accaniti di Conte. Siamo reclusi in casa come dei vecchi imbecilli che vengono considerati un problema da “risolvere” con sistemi che fanno pensare ai campi di sterminio, come dimostra un gravissimo episodio in un ospedale lombardo in cui sono stati ammazzati dei degenti per liberarne i letti. C’è gente che continua a circolare senza mascherine o le tiene abbassate, attentando alla vita altrui oltre che alla loro. Di fronte a questo sfascio dobbiamo trovare la forza morale e civile per ribellarci. Pensare che Casini sia un possibile  salvatore della Patria , fa piangere . Farebbe sghignazzare se fossimo a Carnevale. L’Italia del COVID e del governo Conte  sta  andando  a sbattere . Bisogna reagire e reagire subito. Per la salvezza d’Italia !

Una petizione che non convince

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  A regolare certe materie esistono ben due leggi: la legge Scelba del 1952 e a legge Mancino del 1993. Quella voluta da Scelba intendeva colpire la ricostituzione del disciolto partito fascista, dando attuazione a una norma transitoria della Costituzione, e a sanzionare l’apologia del fascismo . Il risultato fu legittimare il MSI  che aveva eletti in Parlamento e che, al di là della propaganda, nessuno pensò di mettere seriamente  al bando, se si eccettuano gli estremisti del terrorismo rosso durante gli anni di piombo che arrivarono ad ammazzare dei missini.

.
Con la presenza di una sinistra forte appare del tutto naturale in qualsivoglia sistema democratico la presenza di una destra alla luce del sole che raccoglie più o meno  consensi. Il pericolo per la democrazia consiste, al contrario, nel condannare alla clandestinità ,dandole anche  un’aura  di persecuzione,  gente che va lasciata nel suo  brodo. Negli anni di maggiore faziosità del Pci e della sinistra  il movimento sociale crebbe nei consensi, a parte il fatto che oggi Fratelli d’Italia è cosa diversa, come lo fu Alleanza Nazionale, dal Msi storico. Gli odierni piccoli gruppi che  raccolgono  insignificanti consensi elettorali sono oggi  quelli contro cui si vuole montare una campagna del tutto spropositata, partendo dai souvenir venduti a Predappio. Vietare un calendario di Mussolini o una bottiglia di vino con l’etichetta del duce appare stupido e ridicolo. La vigilanza democratica va fatta nei confronti delle azioni e di eventuali covi, applicando le leggi esistenti che bastano ed avanzano. La legge Mancino ha, tra l’altro, dei risvolti profondamente illiberali non condivisibili perché viola la libertà di opinione. Pochi magistrati l’hanno applicata perché giuridicamente poco fondata. I democratici praticano la tolleranza delle opinioni e la ferma repressione delle illegalità  nell’agire politico. Che adesso i sindaci di Stazzema e di Carpi lancino una petizione per inasprire le leggi vigenti appare del tutto strumentale e fuori luogo. Stazzema e Carpi, per ciò che rappresentano nella storia italiana,  sono simboli anche morali  troppi alti per mettersi a raccogliere firme che non avranno conseguenze pratiche in particolare in un momento come questo in cui il Parlamento è stato sequestrato dal governo. In una democrazia non è possibile costringere tutti a pensarla alla stessa maniera perché altrimenti ci troveremmo da un giorno all’altro, in una dittatura. Le battaglie culturali e politiche si vincono con il serrato confronto storico , con la funzione educativa della scuola, con l’esempio del buongoverno . Il modo approssimativo di governare  e’ infatti il più forte richiamo all’uomo forte e alle soluzioni autoritarie che vedono nella democrazia una debolezza inefficiente e inadeguata. Il Governo democratico deve essere forte ed efficiente. Una versione contraria di governo è la vera  e più pericolosa propaganda al fascismo o comunque all’autoritarismo in genere. L’antifascismo non è fatto di petizioni ripetitive retoriche  ed inutili, ma di atti di governo che diano vigore alle libere istituzioni democratiche. Sono convinto della buona fede dei due sindaci in questione, ma non aggiungerò la mia firma alla loro, soprattutto non unirò il mio nome  a quello  di tanti autoritari più o meno inconsapevoli  che non  hanno  mai capito che l’antifascismo vero è la libertà.

Sanremo: è lecito far festa?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Uno degli infiniti segni di degrado anche morale oltre che intellettuale di questo paese è il festival di San Remo che vogliono che venga fatto ad ogni costo e con la partecipazione del pubblico.

Capisco che il festival muove forti interessi e che la città di Sanremo vive per il festival e il casinò. Capisco che occorre cautela prima di decidere, ma occorre ancora più cautela per un’ eccezione che riguarda le canzonette. Non ho nulla contro le canzonette, anzi mi piacciono.
Ma la tutela della salute delle persone supera ogni altro discorso, a partire da quella dei Sanremesi. Un rinvio del festival non provoca disastri in un’ Italia disastrata in cui teatri sono chiusi e tutto il mondo dello spettacolo è fermo.
Oppure una versione in tv senza pubblico in sala può’ essere la soluzione più ragionevole e praticabile ,lasciando al mezzo televisivo il compito preminente che poi ha sempre avuto nella storia del festival la cui fama è legata alla televisione .
Le polemiche di chi pretende che di fronte al Festival si debba fare un’eccezione sono chiaramente pretestuose. La Scala ha rinunciato alla prima , la Fenice al pubblico di Capodanno, soprattutto rinunciano e hanno dovuto rinunciare tutti gli operatori turistici ed alberghieri dopo un’estate scriteriata e senza regole che non è stata governata come sarebbe stato necessario.
Si ignora completamente il fatto che la cultura in Italia sta morendo per colpa anche di un ministero inetto che non fa nulla.
Il patrimonio culturale, quello tutelato dall’articolo 9 della Costituzione, è abbandonato a se’ stesso e c’è invece chi si occupa del Festival, adoperando argomentazioni capziose ed arroganti. Silenzio attorno alla cultura,  il festival in prima pagina. Vogliamo continuare a passare anche in questa occasione come un popolo di mandolinisti, per di più portati al suicidio?
Chi pensate che sia tanto scemo da andare a riempire le poltrone dell’Ariston con il rischio del Covid? O vogliamo trasformare un teatro in un edificio di culto o in un ospedale?
Stiamo proprio perdendo il senso delle proporzioni anche di fronte a cose che non dovrebbero neppure essere oggetto di discussione. E anche in questo caso la politica è silente o dice stupidaggini. Ovviamente, senza chiamare in causa il rispetto dovuto ai Morti del Covid, rispetto che mal si concilia con il clima festaiolo di Sanremo. Un clima festaiolo falso ed apparente perché quando c’è gente ricoverata negli ospedali che soffre e muore e c’è’ gente che non ha il vaccino per l’insipienza di chi doveva provvedere, non è lecito fare festa.  In questa Italia viene istintivo piangere, non cantare le canzonette. A volte viene anche qualche altra tentazione, ma poi la responsabilità democratica, finché sarà possibile, prevale.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Elizabeth Jane Howard  “Perdersi”    -Fazi Editore-   euro  20,00

E’ di una bellezza struggente questo romanzo della scrittrice inglese (nata a Londra nel 1923, morta a Bungay nel 2014), famosa soprattutto per la sua saga dei Cazalet. E’ ispirato ad una brutta esperienza realmente vissuta dalla Howard che ha metabolizzato il dolore di una relazione illusoria mettendosi a scrivere questo libro.

Nel 1995, superati i 70 anni, raggiunto il successo, con una vita sentimentale travagliata alle spalle, problemi di salute e in piena crisi personale, incappa nelle lettere di un ammiratore che si fa insistente fino al punto di riuscire ad incontrarla. E’ l’inizio di una relazione sentimentale in cui lui, abile manipolatore, si annida subdolamente laddove lei ha i nervi più scoperti; quanto più lei soffre e ha bisogno di aiuto, consolazione e perché no, anche amore, tanto più lui fiorisce e prospera. Ma sarà solo una mastodontica finzione, greve di bugie e foriera di pericoli, nonché un’immane delusione.

Ricalca dunque l’autobiografia la vicenda della protagonista Daisy, affermata commediografa 60enne. E’ stata sposata due volte e non è andata per  niente bene.

Dal primo marito ha avuto una figlia, Katya, arrabbiata con lei da quando ha lasciato suo padre, (poi scoprirete perché) e ancor più inasprita quando ha sposato un uomo molto più giovane e senza né arte né parte.

E ‘ il bellissimo Jason, che fa il balzo verso il successo, diventa un attore famoso anche grazie al matrimonio e alle conoscenze di Daisy; salvo poi lasciarla poco signorilmente e in modo decisamente codardo per sposare un’attrice molto più giovane.

In piena crisi, Daisy cerca di voltare pagina e darsi alla vita bucolica e appartata comprando un piccolo cottage circondato da un giardino inselvatichito.

E’ così che finisce nel diabolico mirino di un sedicente giardiniere, l’ultra 60enne Henry Kent. E’ povero in canna, nullafacente, vive a sbafo su una barca di conoscenti e ha in mente un piano ben preciso.

Senza raccontarvi  troppo, anticipo solo che vi aspettano pagine intriganti che vi terranno col fiato sospeso perché, grazie alla bravura della Howard, capirete molto prima di Daisy cosa alberga nell’animo torbido e truffaldino di Henry. Abilissimo nell’inventarsi una vita di finzione, in cui appare più vittima che aguzzino. Calcolatore e privo di scrupoli sa però vendersi benissimo perché «Gli uomini come Henry Kent…tra la testa e i genitali non hanno niente».

E anche voi vi chiederete come sia possibile lasciarsi ingannare così tanto da un uomo senza cuore o scrupoli…un autentico pericolosissimo borderline.

 

Simona Siri con  Dan Gerstein  “Mai Stati così Uniti”  -Tea –  euro 15,00

L’idea del titolo è semplicemente geniale perché allude non solo alla coppia formata dalla scrittrice e giornalista italiana Simona Siri e dal marito americano Dan Gerstein, ma in senso più ampio alle diversità tra due culture e due paesi divisi dall’oceano.

Loro sono un team ad alto quoziente intellettivo: lei è planata in America, al MIT di Boston la prima volta nel 1999 a 26 anni con una laurea in Psicologia, poi si è trasferita a New York in pianta stabile, dove vive da 7 anni, e racconta l’America in varie collaborazioni giornalistiche.

Lui studi ad Harvard, mille interessi tra Storia, letteratura e Scienze  politiche; una brillante carriera come scrittore di discorsi e assistente politico al Senato, e come senior strategist in 2 campagne presidenziali. Poi ha voltato pagina e da Washington è approdato nella Grande Mela.

Le loro strade s’intersecano e sfociano in un matrimonio in cui la battaglia culturale inizia già con la colazione mattutina.

Così il diario di questa coppia diventa specchio di due popoli che si confrontano anche sulle  piccole cose e le vertenze del quotidiano. Ma è anche un illuminante reportage a 4 mani della vita americana, in particolare a New York dove i due combattono con il caro affitti, vivono con l’adorato cane e una bimba in adozione..

Lei sottolinea «Siamo diversi in tutto. E’ un miracolo che stiamo insieme. Alle volte è così americano  che lo detesto».  E lui risponde spiegando la mentalità a stelle e strisce.

Sono tanti gli spunti che danno il via alle due versioni della stessa cosa in questo menage che sa far tesoro delle differenze anche attraverso litigate, incomprensioni e continui aggiustamenti agevolati dall’amore.

Dan è razionale, positivo, estroverso, lei emotiva, introversa e tendente al drammatico; lui è mattiniero, lei nottambula; lui è un “social butterfly”, una farfalla sociale che vola di conoscenza in  conoscenza, con un’ intensa vita sociale mentre lei ama starsene a casa tranquilla.

In Usa poi c’è un modo diverso di vivere l’amicizia; al di là del networking che permette di costruire una rete di conoscenze  molto estese -ma superficiali- gli amici veri sono spesso quelli del college (anni formativi), spesso con carriere diverse in altri stati, con i quali l’intesa resta intatta nonostante la lontananza. Lei fatica a comprendere questa alchimia e le dinamiche insite in un Paese gigantesco in cui la mobilità è un must.

Diverso è anche il rapporto con il denaro; spendere in America è facilissimo, la corsa allo shopping sfrenato è favorita anche dall’abuso di carte di credito.

Insomma, dalle loro diversità capiamo meglio tante cose dell’America: come il complesso sistema sanitario che discrimina tra ricchi  e poveri, il sistema scolastico che forma persone altamente indipendenti e competitive, la tendenza a cambiare lavoro con una certa scioltezza…e tanto altro tra vicende privatissime e l’odio condiviso per Trump.

 

Maylis de Kerangal   “Un mondo a portata di mano”    -Feltrinelli-    euro 16,50

La scrittrice francese che ci aveva toccato il cuore con “Riparare i viventi” (sulla donazione degli organi), ora ci regala un romanzo di formazione che ha per sfondo il mondo dell’arte.

Protagonisti assoluti sono i colori, i trompe-l’oeil e le illusioni della vita attraverso le vicende di 3 giovani.

Paula Karst, parigina con gli occhi di colore diverso e appena divergenti; Jonas, secco, sfuggente e talentuoso; Kate, una sorta di Anita Ekberg dalla pelle bianchissima. Sono tutti alle prese con la preparazione della prova per il diploma. Parlano di arte, sognano in grande e stanno per catapultarsi nel mondo del lavoro.

Paula riesce a iscriversi al prestigioso Istituto superiore di pittura a Bruxelles dove impara la delicata e affascinante arte del trompe-l’oeil; ovvero la tecnica dell’inganno ottico che simula la realtà.

I 3 amici che si ritrovano 5 anni dopo – trascorsi in vari cantieri in giro per il mondo- alle prese con opere a volte molto più grandi di loro, per lo più legati a contratti temporanei, a volte deludenti.

In un bistrot parigino si raccontano esperienze, lavori svolti, persone incontrate, soddisfazioni  e delusioni.

Paula ha dato prova della sua bravura in grandi cantieri, soprattutto in Italia, tra Museo Egizio e Cinecittà dove ha riprodotto la loggia papale e la Cappella Sistina per il film di Nanni Moretti “Habemus Papam”. Ed è  appena tornata da Mosca dove ha dipinto gli scenari di “Anna Karenina”  negli studios della Molfin.

Kate ha lavorato tutto il giorno, abbarbicata su una scaletta, al lussuoso atrio di un palazzo in Avenue Foch.

Jonas racconta che sta per consegnare a committenti arabi un Eden tropicale di 8 metri per 3 e 50, inutile dire che il compenso sarà munifico.

Ed ecco ancora una volta la de Kerangal puntare su personaggi giovani, in divenire, alle prese con ambizioni, talento e incertezze. Sono spiriti liberi che si spostano dove il lavoro chiama, imbastiscono storielle sentimentali passeggere e dipingono alberi, marmi, pietre preziose e tanto altro per dare forma all’illusione.

 

Mathijs Deen  “Per antiche strade”   -Iperborea-    euro 18,50

Come recita il sottotitolo questo libro è un viaggio nella storia d’Europa, perché oggi transitiamo sulle orme di chi ci ha preceduti nei secoli vicini e in quelli più lontani. Lo scrittore e giornalista olandese ha composto un affascinante iter, tra racconto, diario di viaggio e puntigliosa ricerca storica.

Parte da un suo ricordo d’infanzia e poi ci conduce in un’affascinante scoperta continua e nella storia europea. Lo fa scandendo 11 tappe, ricostruendo le vicende di personaggi vari che hanno camminato sull’intricato reticolo di vie e strade, a piedi, con carri, in cerca di cibo o salvezza. E ci dimostra come quelle strade hanno una vita pluricentenaria.

Così incontriamo uomini della preistoria, come il primo uomo partito dall’Africa e arrivato su suolo europeo nel Pleistocene; poi le incursioni dei Cimbri; la drammatica fine del brigante romano Bulla  Felix che rubava ai ricchi patrizi per dare ai poveri e liberava gli schiavi. O ancora la storia di una giovane donna battezzata, che dalla natia Islanda arrivò fino al Papa con una domanda essenziale.

Via via conosciamo un’umanità variegata in cui troviamo esploratori, conquistatori, profughi, mercanti, banditi e pellegrini.

Sono loro che nel corso dei millenni hanno percorso, tra mille difficoltà, quelle arterie che oggi noi usiamo in lungo e in largo.

Attraverso le loro biografie -ricostruite magistralmente da Deen e scorrevoli come racconti- possiamo capire più a fondo anche le varie trasformazioni della cultura europea, i contrasti politici, religiosi, economici e culturali. Perché in questo libro le strade ci possono parlare in un iter da scoprire a  poco a poco, a piccole tappe e grandi conquiste.