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Biraghi è il formaggio scelto da “La 24° Corsa di Miguel”

L’azienda piemontese sarà partner ufficiale dell’evento che si svolgerà a Roma il 22 gennaio; la 10 chilometri più partecipata d’Italia.

Biraghi, azienda piemontese tra le più importanti realtà italiane della trasformazione casearia, rafforza la propria collaborazione con La Corsa di Miguel, patrocinata da Roma Capitale, Regione Lazio, Città Metropolitana di Roma Capitale, Sport e Salute, Coni, Fidal, Uisp, dall’Ambasciata Argentina e dall’Unar, la celebre 10 chilometri più partecipata d’Italia che si svolgerà a Roma il 22 gennaio 2023, confermandosi Fornitore Ufficiale.

L’azienda sarà quindi presente sia all’arrivo all’interno dello Stadio Olimpico di Roma, con la mascotte ufficiale Biraghi e con alcune hostess pronte a distribuire Biraghini snack agli atleti appena giunti al termine della competizione, sia allo Stadio dei Marmi con il proprio furgone brandizzato presso il quale si potranno acquistare ad un prezzo promozionale un pacco convenienza comprensivo di 7 prodotti Biraghi e un carnet di buoni sconto. Inoltre, per le prime 35 società più partecipate e per i primi 3 classificati, sia maschili sia femminili, Biraghi ha definito la fornitura di una serie di prodotti che saranno utilizzati come premio.

«Abbiamo scelto di supportare di nuovo La Corsa di Miguel perché crediamo che lo sport sia uno dei motori per uno stile di vita più sano e consapevole – spiega Roberto Milano, Direttore Eventi della Biraghi SpA –. Inoltre, portare di nuovo il nostro furgone brandizzato nella Capitale rappresenta per noi un’ulteriore opportunità per far conoscere a un pubblico sempre più ampio i Biraghini Snack, alimento ideale per chi pratica sport perché facile da consumare e ricco di proteine».

La foto di Vincenzo Solano

Magnifica Torino / La Regina dei Cuori. La Fontana di Piazza Carlo Felice (modella Francesca Dalmasso, stilista Lucia Simonis)

Il menù di Platti è firmato dallo chef Tesse

Grande novità per Platti, senza dubbio uno dei caffè più antichi e affascinanti d’Italia: il menù del locale di corso Vittorio Emanuele II 72 a Torino è firmato dallo chef Fabrizio Tesse.

Dopo aver assunto le redini de La Pista, sul tetto del Lingotto, Fabrizio Tesse raccoglie un’altra sfida tutta torinese e porta la sua idea di cucina nel menù di uno dei locali simbolo della città.

Platti è un’istituzione, punto di riferimento sociale e culturale di Torino e d’Italia per tutto il corso del ‘900. La storia del locale inizia nel 1870 quando nella prima capitale apre la liquoreria “Principe Umberto”, poi rilevata da Ernesto e Pietro Platti e ribattezzata Caffè Platti nel 1875Le sue sale liberty sono state il ritrovo di intellettuali, politici, poeti e imprenditori sabaudi che amavano trascorrere qui le loro giornate parlando d’affari e politica e festeggiando le ricorrenze. Sui divani rossi, tra stucchi e specchi, veniva a leggere Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica Italiana, a scrivere Cesare Pavese che incontrava qui l’editore Giulio Einaudi. È d’innanzi alle sue vetrine che, nel novembre del 1897, venne fondata la Juventus FC. Oggi il locale è proprietà di Gerla 1927.

 

Ad aiutare Fabrizio Tesse in questa nuova avventura una brigata attenta e preparata, guidata dallo chef Vincenzo Di Matteo. Responsabile di sala è Marisda Gashi, che si occupa sia del ristorante sia della caffetteria.

Il menù unisce la semplicità di un’offerta veloce, pensata per il pranzo, la piemontesità di ricette che sappiano valorizzare l’esperienza di essere seduti in un vero e proprio salotto del gusto e l’estro dello chef, che da sempre sa stupire il palato dei suoi clienti.

Chi conosce la mia cucina – dichiara Fabrizio Tesse – sa che da sempre mi ispiro al Piemonte e alle Vie del Sale. In questo luogo storico ho scelto di lavorare molto su ricette della tradizione piemontese, sempre interpretate in maniera personale e moderna. Mi piacciono i piatti concreti ma non per questo meno affascinati e ricchi di sapore”.

Il ristorante, al primo piano, è aperto a pranzo dal lunedì al sabato mentre la cena è riservata ad eventi privati.

Al pian terreno, dalla colazione alla cena, Platti offre il meglio della tradizione torinese sabauda, dal bicerin alla pasticceria mignon al tramezzino, in un’atmosfera affascinante.

La colazione da Platti è un rito per tutti i torinesi: al bancone o seduti agli eleganti tavolini in marmo si possono gustare oltre 20 tipi diversi di lievitati, in abbinamento a caffè, cappuccino o al classico Bicerin, la bevanda torinese composta da una mescola di caffè, cioccolato e crema di latte tanto amata dai turisti.

Decisamente imperdibile, oltre che storica specialità della città, la piccola pasticceria. Bignè, chantilly, baci di dama, macaron e biscottini in formato mignon che solo a Torino si fanno così: piccolissimi concentrati di dolcezza. Specialità della casa la storica Torta Platti, un tripudio di cioccolato la cui ricetta è rigorosamente segreta.

Autentico vanto del locale la carta dei tramezzini, i tipici panini triangolari che vedono i loro natali proprio a Torino. Da Platti se ne possono assaggiare più di 25 tipi, dai più classici ai più innovativi, senza dimenticare quelli che omaggiano le specialità piemontesi: peperoni e acciughe, vitello tonnato, lingue e salsa verde, salsiccia di Bra…

Il pranzo è servito nelle sale del ristorante al primo piano con una scelta a la carte oppure che spazio da ricette della tradizione a proposte creative, oppure è possibile optare per il brunch.

Gli amanti del tè sono invitati al nuovo appuntamento pomeridiano del locale: l’Afternoon Tea, il rituale del tè all’inglese rivisitato in chiave sabauda. Tè bianco, verde o nero, speziato, legnoso, fruttato o erbaceo… Diverse qualità di tè da tutto il mondo, rigorosamente in foglia, preparate a regola d’arte e servite in abbinamento alla piccola pasticceria secca e ai tramezzini salati serviti sui vassoi d’argento.

La giornata da Platti si chiude con l’aperitivo, con cocktail preparati dallo storico bartender Piero, vino o champagne.

Caffè Platti – Corso Vittorio Emanuele II, 72 – Torino

Sauze d’Oulx, la cena del produttore sulla neve

Sauze d’Oulx, in provincia di Torino, autostrada Torino – Bardonecchia. I Torinesi che frequentano la località sciistica, da sempre , sono soliti chiamarla con la dicitura italianizzata di Salice d’Ulzio, dove Ulzio – Oulx appunto – è il paese che si deve attraversare prima di arrivare nella parte ” alta” di Salice.

Nel tempo, nonostante gli evidenti cambiamenti climatici che  hanno diminuito notevolmente la presenza della neve, é riuscita a mantenere la veste di una stazione turistica vigorosa, frequentata sia in inverno che in estate, anche ma soprattutto da turisti inglesi e francesi  e che trovano nella zona molte attività diverse nel loro genere; una fra tutte la cena in quota, sabato 21 gennaio, che vede la presentazione della storica azienda vinicola altoatesina Kettmeir presso Capanna Mollino. Lo chalet, raggiungibile partendo da valle con il gatto delle nevi, é stato progettato e realizzato in località Lago Nero dal celebre architetto Carlo Mollino tra il 1946 e il 1947, a 2.286 metri di quota . Questo famoso chalet, nato come rifugio per i sciatori e al suo apparire oggetto di attenzioni di autorevoli riviste di architettura, sino alla metà degli anni ’60 del Novecento, portò  milioni di appassionati dello sci sotto il monte Triplex a quota 2.300. Per i suoi caratteri innovativi, strutturali e dinamici, questa originale struttura è considerata una delle più importanti opere d’architettura moderna presenti nel nostro paese. L’edificio, lasciato per molto tempo in stato di grave abbandono, oggi finalmente è tornato a rivivere grazie all’impegno del Comune di Sauze d’Oulx.
Nel suggestivo contesto delle Alpi Occidentali e immersi nel silenzio delle piste da sci della Vialattea, la serata Kettmeir si propone come un momento eno gastronomico e culturale molto interessante: i 4 vini di punta dell’azienda – Athesis Metodo classico Brut 2018 Doc, Alto Adige Pinot bianco 2021 Doc, Alto Adige Pinot nero 2021Doc, Athesis Metodo classico Rosè Brut 2018 Doc – verranno proposti in abbinamento a piatti di pesce – uno fra tutti un sontuoso tris di salmone crudo, sotto sale e abbinato a un miele di origine sarda – ma in generale a ricette regionali da nord a sud. Un menù degustazione, dunque, studiato appositamente dallo chef di Capanna Mollino completato dagli abbinamenti dei vini di questa famosa azienda altotesina fondata nel 1919 da un enologo lungimirante, il Signor Kettmeir per l’appunto,  che nei primi anni ’60 riconosce il potenziale delle “bollicine” e per primo cominció a “spumanteggiare” le famose uve del Pinot Bianco.
Nel 1986 la Kettmeir entra a far parte dell’azienda Santa Margherita ed in pochi anni il “metodo classico” diventa il loro punto di forza. Ambiziosi e coraggiosi, nel 2000 decidono di “buttare” sul mercato il primo rosè metodo classico, che riscontra subito un grande successo, visibile tuttora.
A questa serata, se ne aggiungeranno altre, allo scopo di dare vita a un trait d’union eno gastronomico tra le montagne piemontesi e le culture vinicole regionali.
CHIARA VANNINI
Per info sulla serata e prenotazioni :
Tel. 0122 858585

Festa di Sant’Antonio. Benedetti gli animali e i prodotti della terra

Domenica 22 gennaio 2023, in occasione della festività di Sant’Antonio Abate si terrà la XV edizione della “Benedizione degli animali, dei prodotti della terra e dei mezzi agricoli” presso la Precettoriadi Sant’Antonio di Ranverso.

La manifestazione verrà realizzata con il concorso della Fondazione Ordine Mauriziano ed in collaborazione con i Comuni di Buttigliera Alta e di Rosta e la Coldiretti.                                                                                            Programma:

– ore 10,30, raduno presso la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso,

– ore 11,00, Santa Messa officiata dal Parroco di Buttigliera Alta e Rosta Don Franco Gonella. Nel corso della celebrazione si procederà alla benedizione dei pani e dei prodotti agricoli, come da tradizione. (Non sarà consentito portare animali all’interno della Chiesa).

– ore 12,00 c. benedizione degli animali, dei prodotti della terra e degli attrezzi agricoli, all’esterno.

Tagliatelle, sì… ma al cioccolato!

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Non tutto è ciò che sembra….

Infatti, queste non sono tagliatelle al sugo d’arrosto ma… crepes con salsa al cioccolato !
Un peccato di gola irresistibile. Adatte ad un’insolita merenda per i vostri bimbi o un originale fine pasto.

Ingredienti

3 uova intere
250gr farina
500ml di latte intero
1 bustina di vanillina
Burro q.b.
Nutella q.b.
Cocco grattugiato q.b.

In una ciotola sbattere le uova, unire il latte, la farina setacciata e la vanillina, mescolare bene per evitare la formazione di grumi. Passare al colino l’impasto e lasciar riposare in frigorifero per 30 minuti.
In una padella antiaderente unta di burro, versare un mestolino di impasto sino a coprire il fondo, cuocere per un minuto per parte, riporre in un piatto e proseguire sino a esaurimento dell’impasto.
Tagliare le crepes a striscioline, otterrete così le “tagliatelle”. Diluire la Nutella con poco latte tiepido. Disporre le tagliatelle nei piattini, condire con salsa al cioccolato e una spolverata di cocco grattugiato

Paperita Patty

Luce rossa ad est

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A Firenze, in occasione del 17° congresso del Pci, nella prima metà dell’aprile 1986, erano stati invitati quasi tutti i veterani.

A loro erano stati riservati anche degli eventi  “collaterali”  pensati per il gruppo di iscritti che avevano condiviso le sorti del più grande partito della sinistra italiana fin dal 1921, anno della fondazione del Pcd’I a Livorno. Erano i reduci della pattuglia che il 21 gennaio di quell’anno, abbandonando il teatro Goldoni dove si teneva il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano per raggiungere il Teatro San Marco con la frazione comunista capitanata da Amadeo Bordiga (alla presenza, tra gli altri, di Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti) avevano contribuito alla nascita del Partito comunista d’Italia che di lì a poco entrò in clandestinità a causa della vittoria del fascismo. In molti, sopravvissuti alle guerre del ‘900 e a mille peripezie, era rimasto nitido il ricordo di quell’evento che si consumò nel cuore del vecchio quartiere livornese della Venezia dove sorgeva il teatro San Marco, distrutto durante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, del quale rimanevano solo i resti della facciata principale e di alcuni muri perimetrali. C’era sempre chi, nelle ricorrenze, depositava qualche fiore davanti alla lapide commemorativa che era stata collocata nel 1949 dai comunisti livornesi per il 28° anniversario. Come già detto, il 17esimo congresso nazionale comunista al Palazzo dello sport fiorentino (oltre mille delegati, 105 delegazioni estere, 1500 invitati, 586 giornalisti accreditati), aperto dalla relazione di Alessandro Natta che aveva assunto la guida del partito dopo la tragica morte di Berlinguer, aveva riservato alla “vecchia guardia” delle iniziative specifiche. Dibattiti, visite guidate alla città che ospitava i capolavori dell’arte e dell’architettura rinascimentale e sui celebri colli che la circondavano, appuntamenti gastronomici e mostre. Il folto calendario prevedeva anche una proiezione di un film cecoslovacco semiclandestino che celebrava la primavera di Praga. Mario ( useremo un nome di fantasia, celando la vera identità del protagonista – NdR) , classe 1899, comandante partigiano che a dispetto dell’età non aveva scordato il suo passo garibaldino, terminata la cena imboccò il viale che portava al cinema Moderno dove era prevista la visione della pellicola.

Il cartellone davanti al cinema non riportava titolo o immagini ma solo una grande scritta rossa in campo bianco sul manifesto 70 x 100: Luce Rossa. Mario che era stato l’ultima volta al cinema un bel po di anni prima per assistere alla proiezione di Riso amaro, spettacolare capolavoro del neorealismo girato interamente con le mondine  nelle risaie vercellesi. Un film-culto, diretto da Giuseppe De Santis nel 1949, con una superba e sensuale Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Raf Vallone. Evidentemente anche questa pellicola aveva un tratto sociale ben marcato e lo stesso titolo, quel Luce Rossa che nella sua disarmante semplicità faceva intravedere l’inequivocabile messaggio politico che la trama senz’altro avrebbe offerto al pubblico che già s’immaginava ben folto e ancor meglio orientato. Appena varcato la soglia del cinema, incontrò nell’atrio una signora bionda che non aveva certo risparmiato il trucco sul suo volto non più freschissimo. Vedendo Mario puntare deciso verso il pesante tendone verde scuro che chiudeva l’accesso alla sala, la signora uscì dal botteghino rivolgendogli un acuto “Senta un po’ , lei. Dove crede di andare, senza il biglietto?”. Mario, sfoderando un largo sorriso, rispose: “Mi hanno detto che il biglietto non serve, bella signora. Sono un veterano!”. La bionda rimase di stucco, incapace di reagire. E lui entrò, salutandola con un garbato inchino. Il giorno dopo, a chi gli chiedeva come fosse stato il film, non ebbe dubbi. “ Ci sono stati molti cambiamenti in Cecoslovacchia. Ho intravisto grattacieli altissimi ma soprattutto delle scene che non avrei mai pensato che fossero possibili in un film. Ho ottantasette anni ma così tanti seni e sederi, in vita mia, non ne avevo mai visti e per di più tutti insieme. Se quella è stata la primavera, chissà come sarebbe stata calda, anzi torrida, l’estate da quelle parti”. Nessuno osò ribattere. Nemmeno per comunicare al malcapitato che aveva sbagliato posto e serata.

Marco Travaglini

Distillerie Berta, la migliore grappa d’Italia si produce in Piemonte

Amaretti di Mombaruzzo e grappa: abbinamento classico, elegante e sempre molto apprezzato. 

Io ho avuto modo di goderne con la grappa più premiata d’Italia, inserita in una delle guide più autorevoli in materia vini e distillati, la guida Bibenda 2023.

La grappa invecchiata della Distilleria Berta –  situata a Casalotto Mombaruzzo ( At) – ,  selezione 2002 del Fondatore Paolo Berta , si è infatti aggiudicata il titolo “Miglior Grappa d’Italia 2023, ottenendo così il massimo riconoscimento che viene assegnato ogni anno dalla Fondazione Italiana Sommelier.
La visita alla distilleria è stata un viaggio nel tempo, tra profumi di grappa, sbuffi di vapore e antiche foto che hanno sottolineato come la distillazione sia un’arte a tutti gli effetti, che ha bisogno – come la vendemmia e la successiva lavorazione per il vino – di attenzioni, cure e tanto studio, per rendere le tecniche di produzione al passo coi tempi. 
L’azienda, aperta al pubblico, dispone di tre grandi aree, che si affacciano davanti alle  colline dolci e maestose del Monferrato e che scandiscono esattamente le fasi di produzione della grappa.   Una parte dedicata  alla lavorazione vera e propria delle uve, nel loro lungo e interessante percorso all’interno dei  caratteristici ” vasi comunicanti ” di acciaio ; una seconda, suddivisa sua volte da due ulteriori sale: una prima, dove le grappe così prodotte riposano e invecchiano in ampissime botti di legno – la cantina dei Tini –   e l’altra , in stile più moderno,  con luci soffuse e dagli effetti cromatici e suggestivi.  Oltre ad annusare le note tipiche della grappa, si respira quell’aria secolare che attraversa i lunghi corridoi caratterizzati da pavimenti in cotto e muri di mattoni,intervallati da  piccole insenature con all’interno i ” tester ” in vetro delle grappe iconiche dell’azienda.

La terza area è quella adibita alle degustazioni e alla vendita non solo di grappe, ma anche delle tipicità dolciarie della zona ( come, appunto, gli amaretti di Mombaruzzo) . 
In particolare, ho avuto il privilegio anche di degustare la grappa ” Riserva 1947 – 2022″ , prodotta proprio per il 75°anniversario dell’azienda e della quale il Presidente Chicco Berta va particolarmente fiero: viaggia in maniera positiva la sua produzione e questa bottiglia si configura di buon auspicio per l’anno lavorativo in corso. 
Gusti e intensità vellutate, molto ampie al naso, che evidenziano aromi stratificati, in cui frutta secca e aromi tostati si alternano a sensazioni speziate e tabaccose.
Un privilegio sensoriale ed olfattorio che mi auguro possa essere goduto da tanti di voi: perchè la grappa non è cara, è costosa.
CHIARA VANNINI