Un felice esperimento di graphic journalism alla maniera del fumettista romano, in cui il dramma della guerra si mischia ai tic e ai dettagli tipici del suo narrare

Tre viaggi nel corso di un anno. Turchia, Iraq, Siria, per documentare la vita della resistenza curda in una delle zone calde meno spiegate dai media. Un reportage in forma grafica del viaggio che ha portato Zerocalcare ( pseudonimo di Michele Rech , uno dei più autori di fumetto italiani ) a pochi chilometri dalla città assediata di
Kobane, tra i difensori curdi del Rojava, opposti alle forze dello Stato Islamico. Le storie , pubblicate in un primo tempo su Internazionale sotto il titolo “Con il cuore a Kobane “ vengono raccolte ora nel volume “Kobane Calling” ( 240 pagine, Bao Publishing, 20 euro) in cui sono presenti i racconti inediti dei viaggi tra Turchia, Iraq e Siria compiuti dall’autore. Un felice esperimento di graphic journalism alla maniera del fumettista romano, in cui il dramma della guerra si mischia ai tic e ai dettagli tipici del suo narrare.
Zerocalcare realizza un lungo racconto, a tratti intimo, a tratti corale, nel quale l’esistenza degli abitanti del Rojava (una regione nota anche come Kurdistan siriano o Kurdistan Occidentale , il cui nome non si sente mai ai telegiornali) emerge come un baluardo di estrema speranza per tutta l’umanità. Un libro per immagini, che offre un fortissimo coinvolgimento emotivo verso le persone e i volontari conosciuti da Zerocalcare. Un racconto che porta il lettore a conoscere i punti di vista di alcuni autentici testimoni di questa insensata fase storica, che oggi sentiamo più vicina e presente per gli attentati terroristici che sono ormai entrati a fare parte delle nostre vite, e per il problema dei profughi alle frontiere europee, ma che per anni è stata ai margini, avvolta in una nuvola di indifferenza, quasi fossimo di fronte ad una fiction televisiva e non ad una cruda e drammatica realtà. Quelli raccontati da Zerocalcare sono degli esseri umani, rappresentati in bianco e nero, impegnati a difendere la loro umanità, e in prospettiva anche la nostra, contro la più aberrante forma di estremismo dai tempi del nazismo.
Marco Travaglini
La città di Carmagnola dedica un importante tributo al pittore Guido De Bonis con la personale in programma dal 15 aprile al 15 maggio prossimi, ospitata a Palazzo Lomellini, in piazza Sant’ Agostino 17. Questa esposizione dedicata al pittore torinese raccoglie una selezione di opere provenienti dalla collezione privata di Dionisia Goss, compagna e collega del maestro, costituita non solo di opere pittoriche, ma anche di litografie, disegni, piccoli schizzi, tutti testimonianze grafiche di una personalità ancora oggi capace di affascinare e conquistare. De Bonis nacque a
Torino nel 1931, compì numerosi viaggi in Francia, dove visse per lunghi anni della sua vita, soprattutto verso la fine, dove è mancato nel 2013, quindi viaggi in Germania, in Iraq e India. La sua formazione artistica è avvenuta a Torino presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, a fianco di Italo Cremona, in un ambiente permeato di iniziative legate alla nuova arte internazionale e all’ Art Autre di Tapie’, fino a approdare all’arte povera di Celant. De Bonis entrò poi a far parte , seppur marginalmente, della corrente creata nel 1964 da Alessandri, detta ” Surfanta”, che inizialmente derivava da “Surrealismo e Fantasia”, poi da “Subcontinente Reale Fantastica Arte”, movimento sostenuto dall’omonima rivista. A questa nicchia la personalità dell’artista si allontanava e avvicinava con irriverenza e sovrano disprezzo, accanto a artisti presenti in questa mostra, amici e sognatori come De Bonis. Basti pensare a Raffaele Pontecorvo, che attrasse a sé un cenacolo di giovani allievi, dai quali si origino’ il nuovo filone surrealista torinese, in grado di elaborare un discorso di grande originalità. Altri amici furono Giuseppe Macciotta, che superò il surrealismo di maniera, approdando a un mondo tra il metafisico e il romantico, e Mario Molinari, uno dei primi aderenti a Surfanta, che si distacco’ dal gruppo per dedicarsi esclusivamente alla scultura; quindi Mario Gramaglia, che approfondi’ l’analisi dei misteri insondabili del subconscio; Enrico Colombotto Rosso, che, con le sue figure oniriche e spesso demoniache,
continuamente in bilico tra il fantastico e l’informale, riuscì a spogliare i suoi personaggi di ogni superficialità, cogliendone lo spirito e le debolezze. L’arte fantastica di Guido De Bonis rappresenta l’ultima frontiera della libertà, quella che gli ha consentito di scavalcare le barriere imposte dalla ragione, per continuare a attingere al mistero in cui sono racchiusi gli enigmi insoluti del nostro destino.” L’arte di Guido De Bonis – ha osservato il critico Marziano Bernardi – è un’arte raffinatissima che parla prima alla fantasia poi al cervello. È una pittura che “si sente” e ” si percepisce”, dal sapore di fiaba e di Oriente. Il mondo di questo maestro è un universo fascinoso che, come quello di Freud, a cui sarebbe sicuramente interessato, ci trascina al sogno e al sonno, mai all’incubo”.L’immagine che ricorre più frequentemente nella sua pittura, accanto a maschere, marionette, uccelli marini, è quella dell’ombrello. Un ombrello che il vento e le tempeste strappano e deformano, che si trasforma in aquilone, pipistrello o in conchiglia. Anche quando il significato simbolico appare evidente, rimane, però, celato il significato più profondo, quello del simbolo del simbolo. Le immagini dei quadri di De Bonis sono indistinte, spesso scavate nelle ore notturne, sfuggenti, ambigue, in continua metamorfosi, e immerse in una luce lunare, con una predominanza di azzurri e verdi.
piemontese del lago Maggiore – del tutto simile, per finalità e caratteristiche, all’Atelier di Novazzano che quest’anno l’ha accolto per incontrare il pubblico ticinese sabato 9 aprile alle nella sala di lettura della stessa biblioteca. In un suo scritto svela l’emergere di una passione crescita nel tempo e che sempre più ha preso ispirazione dai luoghi della vita, tra monti e lago: “Spesso mi sono chiesto e ho provato a ricordare quando e come fosse nato dentro di me l’interesse per l’incisione. Forse devo partire da ricordi molto lontani,interpretando i toni e i mutamenti dell’ambiente acquatico. E’ lo stravolgimento e il ribaltamento di molte delle tecniche apprese che a mio parere giustificano il linguaggio dell’incisione, passando per la necessaria e vitale reinterpretazione al fine di dare forma a ciò che, come un’ombra, si è depositato a livello intellettuale”.
La guerra di Liberazione delle Forze Armate Italiane
A due anni dall’uscita di “E nessuno viene a prendermi”, l’aperitivo letterario con cui l’autore Simone Cutri festeggia la ristampa del libro “E nessuno viene a prendermi”
personaggi ritratti nelle sculture di Paolo Troubetzkoy. Si tratta di personaggi finora sconosciuti o poco conosciuti dei quali è stato possibile ricostruire la biografia e la storia che li ha visti rappresentati nella produzione dello scultore. E’ questo un nuovo contributo alla conoscenza dell’ artista e dei suoi rapporti con i personaggi da lui ritratti dei quali sino a oggi studiosi e pubblico non si erano mai occupati in modo particolare. Da vero cosmopolita il principe, di origini russe e americane ma cresciuto in Italia, aveva committenze anche in Europa, America e Russia e, come soggetti, i membri di quell’alta società internazionale appartenente alla così detta Gilded Age, con dimore lussuose in ogni parte del mondo in grado di assecondare ogni passione, dal mecenatismo al collezionismo d’arte, dalle corse automobilistiche, all’allevamento di purosangue e quant’altro. Troubetzkoy, aristocratico e semplice nello stesso tempo, ritraeva i personaggi di questo ambiente senza lasciarsi condizionare e il più delle volte non metteva né titoli né nomi alle sculture perché come lui stesso diceva:
giocattoli. Il giocattolo in lamiera, materiale scadente e facilmente deformabile, aveva molti punti a suo favore: un costo contenuto ( che si rifletteva sul prezzo del giocattolo:dalle 12,90 lire della Torpedo alle 18,20 dell’aeroplano),una “bella faccia”, grazie a disegni e colori molto belli, durava a lungo ed era riproducibile in serie. Così,in meno di dieci anni, la Cardini, utilizzando anche le pagine pubblicitarie del Corriere dei Piccoli, propose tredici giocattoli, del tutto originali e innovativi per il loro tempo. Il catalogo ufficiale comprendeva: il camion 18BL, la torpedo 50 HP, la limousine 509, l’automobile da corsa, la locomotiva gruppo 690, il tram elettrico N.12, la giostra dei cavalli, la giostra volante, la giostra dei dirigibili, la giostra aereo, la motonave Saturnia, la corriera e la cucina a gas N.10. I giocattoli si distinguevano per l’alto grado delle finiture e il loro movimento era garantito da una molla in acciaio, che caricata, permetteva al giocattolo di muoversi per un tempo sufficientemente lungo.Le automobili potevano addirittura girare in cerchio, sia a destra che a sinistra, tramite lo sterzo a scatto,oppure proseguire in rettilineo. Questi giocattoli, tutti di ugual misura, erano inseriti in scatole di cartone rappresentanti i fondali o gli edifici necessari per
completare il gioco: l’hangar per l’aeroplano, il garage per la limousine, la rimessa per il tram, il tunnel per la locomotiva, un porto dove attraccare la motonave e così via. La Cardini affidò il compito di eseguire le illustrazioni per le scatole ad Attilio Mussino, uno dei più brillanti disegnatori del “Corrierino”, noto per aver dato una nuova, moderna interpretazione grafica delle “Avventure di Pinocchio”, da lui illustrate per l’editore Bemporad. C’erano persino dei personaggi che si potevano staccare dalla scatola, ritagliandone le figure. Nel Dicembre del 1924, Ettore Cardini depositò il brevetto completo di disegno anche negli Stati Uniti, consapevole che la sua invenzione fosse un miglioramento. E disse: “La mia invenzione consiste in una scatola per giocattoli, rappresentante persone, animali,albero o qualunque oggetto, caratterizzato dal fatto che un pezzo di cartone abbastanza grande è applicato in corrispondenza in uno dei lati della suddetta scatola e provvisto, nel caso richiesto, da un buco in corrispondenza dell’apertura della scatola. Nell’altra parte del
suddetto foglio di cartone, l’interno o l’esterno di un palazzo, un paesaggio, può essere illustrato in relazione alla natura del gioco contenuto nella scatola. Il cartone in oggetto dovrà essere prodotto in una maniera per la quale, quando si piegano le due parti e dopo la parte alta sarà parte integrante del gioco stesso. Per esempio un garage, un hangar, un porto, una galleria, una stazione, una stalla o simili“. Un colpo di genio, un tocco d’artista. La vocazione imprenditoriale dei Cardini risaliva al nonno e al padre di Ettore.Il primo, Giovanni, costruiva attrezzi agricoli nella frazione omegnese di Cireggio mentre il papà, Candido Cardini, si dedicò alla produzione di oggetti di uso domestico in ottone nella zona di Bagnella. Il giovane Ettore, compiuti i suoi studi al Collegio Industriale di Vicenza, lavorò a Torino alla Chiribiri, nota fabbrica automobilistica e, successivamente, come direttore tecnico, alla Metalgraf di Lecco, specializzata in scatole di latta litografata. Dopo essersi “fatto le ossa”, tornò sulle rive del lago d’Orta dove,
mettendosi alla prova, fondò una sua attività. Da principio poté contare sull’impegno dei parenti più stretti e di un paio d’operai, ma quando la fabbrica raggiunse il suo picco di vendite,a metà degli anni Venti, spinta dalla moda per i giocattoli già diffusa all’estero, la manodopera comprendeva un’impiegata, tre operai, dieci ragazzi, cinquantadue donne e quattro apprendiste. La Cardini rappresentava una delle prime esperienze di produzione seriale dei giocattoli, grazie alle nuove tecniche di produzione. Il metallo veniva litografato a colori a Milano da una stamperia e veniva inviato a Omegna, dove gli operai montavano i giocattoli incastrandone i vari pezzi inserendo le piccole linguette nelle corrispondenti fessure. La Cardini, che si estendeva su di una superficie di ottomila metri quadri, era un’azienda all’avanguardia per quei tempi: generatori autonomi di corrente,ambienti luminosi, spazi razionali. All’ultimo piano della fabbrica in via Comoli c’era persino una scuola di formazione professionale dove venivano progettati i giocattoli e veniva realizzato il prototipo. La produzione si concentrò in meno di un decennio,dal 1921 al 1930. Una vita breve per questi giocattoli che venivano anche esportati all’estero,soprattutto in Argentina, dove i Cardini aveva dei parenti. In quegli anni vennero prodotte anche scatole di latta pubblicitarie per altre ditte, come l’autobus Perugina del 1925, utilizzato come scatola di cioccolatini. L’azienda omegnese, inventò anche il motto “Fate i capricci“, rivolgendosi idealmente ai bambini d’ogni età, e fu la prima in Italia a servirsi della stampa per pubblicizzare i propri prodotti. La pubblicità, attraverso le pagine della «Domenica del Corriere» e del «Corriere dei Piccoli», proponeva il gioco come un premio, un incentivo : “Papà, se tu comperi un giocattolo Cardini, il più bravo, il più studioso diverrò tra i bambini”. Ma, come si dice, le cose belle non durano a lungo, e anche la storia della Cardini – sul versante dei giocattoli- ebbe vita breve. Alla fine degli anni venti l’economia entrò il crisi. L’ingranaggio della crescita si inceppò a causa della speculazione finanziaria che si materializzò in tutto il suo dramma nell’ottobre del 1929 con il crollo di Wall Street. I consumi precipitarono ovunque e i giocattoli , non certamente assimilabili ai beni di prima necessità, non si vendevano più. Così Cardini fu costretto a riconvertire la produzione, occupandosi – per conto della FIAT e dell’industria
automobilistica – di fari, fanali e altri accessori. Finiva così un epoca, con i suoi giocattoli di latta dal fascino straordinario. Fra il 1937 e il 1940 la ditta venne suddivisa in due “rami” d’attività: l’Officina Meccanica Ettore Cardini e la fabbrica di mobili in ottone Alfredo Cardini. L’Officina Meccanica, durante il secondo conflitto mondiale, produsse caricatori di mitragliatrici


Si trattava di dettare l’azione in base alle leggi della stessa musica.