
Quarant’anni fa, giovedì 29 luglio 1976, il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti nominava come ministro del Lavoro Tina Anselmi, partigiana, insegnante ed ex sindacalista. Era la prima donna a diventare ministro nella storia d’Italia, se si esclude Gisella Floreanini che svolse un ruolo di governo nell’autunno del 1944 in seno alla Repubblica dell’Ossola. Nata nel 1927 a Castelfranco Veneto in una famiglia cattolica, conobbe subito le angherie del regime fascista perchè il padre, aiuto farmacista di idee socialiste, fu perseguitato dalle camice nere. La madre, casalinga, gestiva un’osteria assieme alla nonna. Tina Anselmi frequentò il ginnasio nella sua città natale, quindi le magistrali a Bassano del Grappa. È lì che, il 26 settembre 1944, i nazisfascisti costrinsero lei e altri studenti ad assistere all’impiccagione di trentuno prigionieri per rappresaglia: un’esperienza terribile che la spinse a prender parte attivamente alla Resistenza. Con il nome di battaglia di “Gabriella” diventò staffetta della brigata “Cesare Battisti” per poi passare al Comando regionale veneto del Corpo Volontari delal Libertà. Nel dicembre dello stesso anno, matura la sua scelta politica e s’iscrive alla Democrazia Cristiana, partecipando attivamente alla vita del partito dello scudocrociato guidato da Alcide De Gasperi, arrivando nel 1959 al Consiglio nazionale. Entrata in Parlamento nel 1968, ci rimase per quasi vent’anni. La famiglia e la donna sono sempre stati al centro del suo impegno politico, che si è tradotto nella prima legge sulle pari opportunità (1977), grazie alla quale vennero abolite le discriminazioni esistenti in materia di lavoro e di salario tra i sessi. A Tina Anselmi sono stati riconosciuti da tutti dei grandi meriti per essersi battuta a favore dei diritti delle donne. Più volte indicata come possibile candidata alla Presidenza della Repubblica, una delle sue ultime battaglie fu quella contro la massoneria nell’ambito della commissione d’inchiesta sulla loggia P2.





Dal 25 al 30 luglio si svolgerà la 17° edizione di “Malescorto”, il festival internazionale di cortometraggi che si tiene a Malesco, in Valle Vigezzo, quasi sul confine tra i Piemonte e la Svizzera.
Angry Birds – Il film – Animazione. Regia di Fergal Reilly e Clay Keytis. Un’isola dove vi sono uccelli che quasi non sanno volare, tre di essi – il collerico Red, il velocissimo Chuck, l’esplosivo Bomb – vivono emarginati dal resto dei pennuti. Ma quando l’isola verrà invasa da una masnada di maiali verdi che la vorrebbero fare da padroni, non dovranno i tre dimostrare il loro coraggio e la disperata ricerca della salvezza comune? Durata 97 minuti. (Massaua, The Space, Uci)
bel po’ a convincere l’agente di colore della Cia di non essere coinvolto in un attentato di matrice terroristica: i cattivi, insospettabili, stanno altrove. Insieme i due dovranno collaborare per sventare una rapina alla Banca nazionale francese. Non soltanto prodotto estivo, teso, ricco di colpi si scena, con tutte le tessere del thriller al posto giusto (inseguimenti, doppiogiochisti, montaggio perfetto, c’è anche l’immancabile corsa sui tetti con vista su Notre Dame, mozzafiato). Durata 92 minuti. (Ideal, Lux sala 3, Massaua, Reposi, The Space, Uci)
Conspirancy – Thriller. Regia di Shintaro Shimosawa, con Al Pacino, Anthony Hopkins e Josh Duhamel. Esempio di legal Thriller, l’opera prima di Shimosawa vede un giovane avvocato mettersi nei guai quando una ex fiamma gli offre le prove per affondare il manager di un importante gruppo farmaceutico (Hopkins). Ma di mezzo c’è anche il socio del suo stesso studio legale (Pacino). Durata 106 minuti. (Greenwich sala 2)
Mother’s day – Commedia. Regia di Garry Marshall, con Jennifer Aniston, Kate Hudson e Julia Roberts. Dall’acclamato regista di “Pretty woman” e “Capodanno a New York” un film dedicato alle donne, o meglio alle mamme, nei giorni che precedono la loro festa annuale. Commedia corale: c’è la madre divorziata con figli cui non va proprio giù il nuovo matrimonio dell’ex, c’è chi va alla ricerca della propria vera madre, c’è chi deve risolvere i rapporti conflittuali con il proprio figlio, c’è anche il padre che deve rivestire le vesti di madre e badare alle due figlie adolescenti, c’è la figlia già cresciuta che riscopre il proprio rapporto con la madre non più giovanissima. Durata 118 minuti. (Reposi)
che gli avrebbe fatto vincere l’Oscar, McCarthy ha dato vita a questa favola di radici yiddish, con un Adam Sandler in stato di grazia. Lui è Max, non più giovanissimo, calzolaio da sempre chiuso nel negozio di famiglia alle prese con un lavoro che davvero non ama. Un giorno s’imbatte per caso in una macchina per cucire le suole delle scarpe, miracolosa: potrà rivestire i panni di chiunque, a patto di indossarne le scarpe. E da quel giorno la sua vita cambierà. Durata 99 minuti. (Ideal, Massaua, The Space, Uci)
La pazza gioia – Commedia drammatica. Regia di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, Tommaso Ragno e Marco Messeri. “Clinicamente pazze”, Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli sono ospiti di Villa Biondi, un centro per malattie mentali sulle colline pistoiesi, l’una egocentrica e logorroica, l’altra tatuatissima e fragile, solitaria, cui la legge ha tolto il figlio per affidarlo in adozione ad una coppia. Nonostante le diversità che le dividono, le due donne fanno amicizia, sentono il bisogno l’una dell’altra, fuggono, vivono appieno “una breve vacanza”, provano a inseguire una vita nuova sul filo sottile della “loro” normalità. Grande successo alla Quinzaine di Cannes per le interpreti e per l’autore del “Capitale umano”. Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 1)
Yorktown, ma l’astronave viene attaccata da misteriosi alieni e distrutta. L’equipaggio riesce a salvarsi su un pianeta sconosciuto, in cerca di aiuto. I membri dell’equipaggio sono separati e i soccorsi sembrano essere impossibili. Durata 122 minuti. (Ideal, Lux sala 2, Massaua, The Space, Uci)
The legend of Tarzan – Avventura. Regia di David Yates, con Alexander Skarsgard, Christoph Waltz, Samuel J. Jackson e Margot Robbie. Ennesima rivisitazione del personaggio creato poco più di un centinaio di anni fa dalla fantasia di Edgar Williams Burroughs. Come Lord Greystock, su richiesta del Primo Ministro inglese, deve tornare in Africa (gli esterni sono stati realizzati in Gambia) con l’amatissima Jane, al seguito di una importante missione istituzionale: ma dovrà ben presto abbandonare gli abiti civili per abbracciare perizoma e liane e combattere un losco traffico che si nasconde tra i cattivi della spedizione, il perfido capitano Rom (Waltz) in primo luogo. Durata 109 minuti. (Ideal, Massaua, F.lli Marx sala Groucho e Chico, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)
Alla caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, ci fu una grande festa nella casa colonica dei Cervi, ai Campi Rossi di Gattatico, un podere di circa sedici ettari collocato nel mezzo della pianura Padana
liberazione sarebbe venuta solo ventun mesi dopo, al prezzo di molte sofferenze. Ma quel 25 luglio, alla notizia che il duce era stato arrestato, c’era solo una gran voglia di festeggiare. I Cervi , insieme ad altre famiglie del paese, portarono la pastasciutta in piazza, nei bidoni per il latte. Con un rapido passaparola la cittadinanza si riunì attorno al carro e alla “birocia” che aveva portato la pasta. Tutti in fila per avere un piatto di quei maccheroni conditi a burro e formaggio che, in tempo di guerra e di razionamenti, erano prima di tutto un pasto di lusso. C’era tanta fame, ma c’era anche la voglia di uscire dall’incubo del fascismo e della guerra, il desiderio di “riprendersi la piazza” con un moto spontaneo, dopo anni di adunate a comando e di divieti. Di quel 25 luglio, di quella pagina di storia italiana è rimasto poco
nella memoria collettiva. Eppure c’è stato, in tutta Italia e in quell’occasione, uno spirito genuino e pacifico di festa popolare: prima dell’8 settembre, dell’occupazione tedesca, della Repubblica di Salò. Prima delle brigate partigiane e della Lotta di Liberazione. Una data simbolica della nostra storia contemporanea, quella del 25 luglio 1943, quando i Cervi diedero vita – e sono parole di Alcide, papà Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore Cervi che vennero poi fucilati dai fascisti- “in un unico sparo” – il 28 dicembre di quell’anno al poligono di Reggio Emilia – al “più bel discorso contro il fascismo: la pastasciutta in bollore”.
Sospesi tra storia e invenzione in un Medioevo che sembra vero, sono raccolti in un unico volume i tre romanzi di Laura Mancinelli, in cui la scrittrice da poco scomparsa, ci ha consegnato una visione fantastica e ironica della tradizione e della società medievale
bella. E infine, conclusione ideale di questa metafora, la vicenda narrata ne
di avventure e sentimenti. “Non avevo mai pensato di fare la scrittrice, né lo avevo mai desiderato”, disse di se Laura Mancinelli. “Amavo la mia professione, che mi dava molte soddisfazioni e non mi costava fatica: ero docente di germanistica con particolare specializzazione nella letteratura tedesca medievale, un campo poco o nulla studiato in Italia, nel quale mi ero avventurata con grande entusiasmo scoprendo cose assai interessanti. Mi ero dedicata alla traduzione di poemi in antico tedesco – I Nibelunghi, il Tristano -, che rendevo in versi italiani e che riempirono la mia vita fino a un certo momento”. Poi, quasi per caso, la svolta, quando venne ricoverata agli Ospedali Riuniti di Venezia per un disturbo alla vista (a quel tempo viveva nella città della laguna, dove insegnava all’università, prima di trasferirsi a Torino). “
ospedale due settimane, per analisi, benché il disturbo fosse totalmente scomparso dopo tre soli giorni. Nell’inerzia forzata di quelle notti insonni ripassai nella mente tutta una trama di romanzo che avevo abbozzato per scherzo molti anni prima. Una volta dimessa dall’ospedale, ne feci una stesura corretta e completa: era il 1981 quando uscirono I dodici abati di Challant. Pensavo, allora, che sarebbe stato il primo e l’ultimo romanzo della mia vita. Invece poi la narrativa mise radici in me come una necessità. O forse un vizio?”. Per fortuna dei lettori, quel “vizio” continuò ad indurla a scrivere, lasciandoci più di trenta volumi tra romanzi storici, saggi letterari, memorie, racconti per ragazzi, traduzioni e la serie di detective-story del capitano di polizia Florindo Flores.

formazione di Corto Maltese, dove emerge quel suo spirito di “imprevedibile meticcio mediterraneo”, apparentemente cinico, dotato di grande ironia, rispettoso alla legge di lealtà e amicizia. In quelle pagine tre ragazzi amanti dell’ avventura e tre strani individui stretti in un patto esoterico di vendetta, si confrontano tra Venezia, Malta e la Sicilia in una vicenda dove la posta in gioco è un tesoro nascosto dall’enigma di una piccola statua che rappresenta un corvo di pietra. Nel secondo romanzo (pubblicato come il primo da
Mediterraneo e la grande terra che si estende misteriosa e affascinante verso Oriente, il luogo dove nasce il sole. Quando a Marco Steiner è stata posta la domanda delle domande ( “Perché a un altro Corto?”)
un grandissimo complimento, ha definito il “mio” Corto Maltese”.
Non esistono soltanto le produzioni e la programmazione degli spettacoli di prosa. Un Teatro Stabile si deve far carico di altri compiti. “L’attività formativa della Scuola per attori – sottolineava nei giorni scorsi il direttore dello Stabile torinese – Teatro Nazionale, Filippo Fonsatti, presentando nello spazio dell’Auditorium Vivaldi di piazza Carlo Alberto il prossimo “Torinodanza”
Canada e Italia -, l’utilizzo di luoghi d’eccellenza come il Carignano ed il Regio senza dimenticare di allargare lo sguardo alle periferie o ai centri minori, dal momento che verranno interessati anche la Lavanderia a Vapore di Collegno e le Fonderie Limone di Moncalieri. Senza dimenticare la voglia di rapportarsi con altre realtà europee, attraverso percorsi comuni o intercambiabili, nella continua ricerca di una valorizzazione sempre maggiore. Pensiamo alle relazioni pluriennali con Les Halles de Schaerbeek di Bruxelles, con la Scene Nationale de Chambéry e de la Savoie nell’ambito di un progetto triennale transfrontaliero, con la Biennale de la Danse de Lyon per “Défilé” giunto alla sua seconda edizione, che vedrà occupate piazze di Torino, Biella, Casale e della stessa Lione da un considerevole gruppo di danzatori e musicisti piemontesi, professionisti e non, pronti a eseguire le coreografie di Roberto Zappalà, ispirate alla tradizione partenopea.
Denis Plassard porta “A.H.C. – Albertine, Hector et Charles”, uno curioso sguardo sulla e nella danza attraverso le marionette, e Itzik Galili con il Balletto Teatro di Torino presenta “L’ombra della luce”, un programma in due parti dove si citano individualità, natura e linguaggio, metamorfosi, seduzione, pace e lacerazione. “Cold blood” (22 ottobre) è firmato da Michèle Anne De Mey e da Jaco van Dormael (acclamatissimo sugli schermi per “Dio esiste e vive a Bruxelles”), dove visionarietà, parole, gesti e perfezione tecnica “filmano” mani, mentre danzano, mentre s’inseguono, mentre s’amano; “Annonciation” (28 ottobre) poggia sulla scenografia e sulla coreografia del francese Angelin Preljocaj, dove le musiche di Stéphane Roy si uniscono a quelle di Vivaldi, “Bones in pages” (in chiusura il 3 ottobre), suggestiva installazione del giapponese Saburo Teshigawara. Ancora un consiglio: non perdetevi, il 30 settembre alle Fonderie, “Auguri” – provate a far cadere l’accento sulla prima o sulla seconda vocale, come vi piace – del talentuoso Olivier Dubois alle prese con 24 danzatori, tra forze della natura e presagi e gesti benauguali, tra vento, marcia, corsa, in un continua estenuante movimento.