Rigoni Stern viveva sull’altopiano d’Asiago in una casa ai margini del bosco. In prossimità della sua abitazione sorgevano due larici: “Me li vedo davanti agli occhi ogni mattina e con loro seguo le stagioni; i loro rami quando il vento li muove, come ora, accarezzano il tetto”. Così raccontava in “Arboreto salvatico”, libro semplice e bello, pubblicato da Einaudi ventitré anni fa, nel 1991. Rigoni Stern di alberi, in quel testo, ne scelse venti, illustrandone caratteristiche botaniche, ambiente naturale, l’uso che ne facevano montanari e contadini, gli influssi sulla cultura popolare, i miti e le tradizioni. Prendeva per mano il lettore, accompagnandolo sotto le piante per guardare la forma delle foglie, degli strobili,dei fiori, mescolando alle informazioni ricordi mitologici, letterari e familiari, come la quercia che il principe Andréj incontra in una pagina di “Guerra e pace” o il verso che Boris Pasternak dedica al tiglio: ” Il cerchio d’oro del tiglio / è come un serto nuziale” . Ai tempi in cui Mario era ragazzo si cercavano i rami di faggio “giusti”, ben inclinati “per costruire la ‘slitakufa’, la slittastorta” (dal tronco si ricavava lo scivolo, il ramo serviva da stanga). Lo stesso faceva mio nonno, sulla montagna tra i due laghi, il Mottarone.

Dalle betulle, “praticando un piccolo foro al piede del tronco”, si faceva colare una linfa che aveva virtù terapeutiche. Anche da noi s’usava piantare il sorbo nei pressi delle case perché i suoi rossi frutti attiravano gli uccelli e, come raccontava Mario “era facile così catturarli, o con il fucile o con le trappole o con il vischio ” (quando “pochi erano i denari, rara la carne e arretrata la fame”). Del mondo degli alberi mi parlava spesso lo zio Gùstin, montanaro che aveva imparato a leggere e far di conto. L’abete era l’albero della nascita ed a lui era dedicato il primo giorno dell’anno, mentre le querce (come la farnia, il rovere ed il leccio ) erano sacre. Tanto sacre che Tacito raccontava come persino le legioni romane di Cesare, in Gallia, avessero timore ad affrontarne il taglio:credevano che, usando le scuri contro quei tronchi, ne sarebbero usciti lacrime e sangue e i colpi si sarebbero, poi, riversati contro di loro sui campi di battaglia. Ed è dalle querce che i druidi celti, con il loro falcetto d’oro, recidevano il vischio,”seme degli Dei”. Questi “echi” di vita montanara spingevano ad un’immedesimazione spontanea nella natura, come quando lo stesso Rigoni Stern osservava, descrivendo un frassino : “. .da giovane la sua corteccia è liscia, di colore olivastro, con gli anni
diventa grigia, rugosa e fessurata. (con l’età gli umani assomigliano agli alberi!)”. Infatti, lo scorrere del tempo si può leggere nel numero dei cerchi nel tronco degli alberi ed anche nella corteccia, così come l’avvizzirsi della pelle e l’incedere degli anni “segnano” il nostro invecchiare. Nei boschi sul versante del Mottarone che guarda verso il Verbano dove, fin da piccolo ,sono andato “a far legna” con mio padre, s’imparava presto a conoscere virtù e difetti degli alberi. Dal nocciolo -lungo, dritto, uniforme nel diametro – si ricavavano il manico del rastrello e altri attrezzi. Lo stesso si faceva con il frassino, il faggio (per la “ranza”, la falce da fieno) e il duro corniolo, per i “denti” del rastrello. La casa era riscaldata dalla stufa a legna,ma dal taglio dell’albero all’imboccatura della stufa, ci si “scaldava” sei, sette volte. Dopo aver tagliato la pianta (faggi o o robinia, castagno o rovere) la si “sramava”, portandola, poi, fuori dal bosco, in spalla. A pezzi lunghi fino a tre metri, trascinati per un paio di chilometri sul sentiero fino a valle (grazie ad una corda legata all’anello fissato ad un cuneo di ferro che si”piantava” nel tronco) gli alberi “scendevano” e, successivamente, con il tronco di nuovo a spalla, percorrevamo un altro chilometro fino alla cascina vicino casa dove c’erano la legnaia e la sega “circolare”. Azionata con un sistema di pulegge collegate ad un motore di Vespa V 98 “farobasso” del 1948, la sega serviva a tagliare il tronco a tocchi che poi, in ultimo, con un colpo d’ascia ben assestato venivano spaccati a metà. Per il taglio ci si regolava con la luna. L’influenza dell’astro d’argento apriva gli occhi su di un’infinità di regole e di “buone pratiche”.Il legname del tetto andava tagliato ai primi di marzo così, in caso d’incendio, le travi sarebbero rimaste sì scure, annerite, affumicate, ma sane e riutilizzabili. Se non si voleva che il legno marcisse sotto le intemperie andava tagliato,indipendentemente dalla luna, gli ultimi giorni di marzo, in modo da risultare quasi impermeabile. La legna da ardere si tagliava d’inverno, da novembre in poi, solo inluna calante. Se, poi, si voleva un bosco sano e forte, il taglio andava organizzato per ottobre, in luna crescente. Questo lo potevamo far noi, per le nostre necessità ma c’era anche chi seguiva un’altra logica. Ricordo un racconto di Mauro Corona,lo scultore-alpinista-scrittore di Erto, nella valle del Vajont. Scriveva che, tagliando in quel periodo il bosco, questo si rigenerava, rapidamente, ma la legna tagliata in quel momento pesava meno e, quindi, i boscaioli storcevano il naso (“minor peso,meno guadagno”). La stessa linea di crescita di un albero era ed è importante. Dipende da tante cose e non è uguale per tutti, anche se tutti crescono in verticale. L’andatura può andar su dritta, ma anche girare a destra o a sinistra.

Se si vuol lavorare il legno per delle scandole o una grondaia, bisogna lasciar perdere quello dalla corteccia che si “avvita”: prima o poi si torcerà. Anche i fulmini “scelgono” gli alberi dove cadere. Mai su quelli ad andatura diritta, sempre su quelli che “girano” tant’è che la “lésna”, la saetta, provoca uno squarciamento che va giù, dalla cima al piede, a spirale. Se un albero soffre, non “butta” più, fa crescere poche foglie,occorre mozzargli subito la cima, e farlo in luna piena. Se si è attenti e rapidi, se non è troppo compromesso, si riprenderà, mentre con certe lune anche il solo taglio di un ramo potrebbe essere esiziale e condurre la pianta a morte certa. Anche per eliminare le erbacce, i nonni non usavano i diserbanti: estirpandole in luna giusta, alla fine d’aprile, non ricrescevano più. Un cespuglio intralciava il passaggio su di un sentiero? Per non averlo più tra i piedi bastava tagliarlo in luna crescente, a febbraio. La cura del bosco, le fasi lunari, le buone pratiche hanno fatto della montagna uno straordinario contenitore di culture e di saperi. Ai tempi di mia nonna non c’era il servizio meteo e se ci fosse stato non avrebbe saputo di che farsene. Lei gettava lo sguardo al “bossolo” del sale grosso (quante volte mi e capitato di sentirle dire”.. Deve piovere, il sale è umido!”) o alla Carlina spinosa nel prato, le cui brattee interne sono sensibili all’umidità e quanto l’aria n’è satura la “sentono” fino a chiudere il fiore. I tempi giusti per tagliare la legna, la Carlina, l’impasto di colla e cloruro di cobalto per colorare il santino segnatempo, le tavole della lunazione e lo sguardo che si perde alla sera nel cielo, non sono lontani ricordi, impastati di nostalgia. Offrono la possibilità per riflettere, seriamente, sul nostro tempo e sul bisogno di far “valere” i nostri tempi. E avere un tempo per noi.
Marco Travaglini
Mercoledì 1 marzo, alle ore 21, nell’auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo, inaugura il ciclo di letture TRENT’ANNI DOPO. PRIMO LEVI E LE SUE STORIE, a cura di Giulia Cogoli
guerra. La seconda storia, meno nota, ma altrettanto avvincente, riguarda le invenzioni di Levi come narratore di talento: i suoi racconti ispirati a una peculiare fantascienza o fanta-biologia o fanta-tecnologia, le sue poesie dal linguaggio ricco e arguto, chiare come cristalli e costruite a loro volta come racconti. Infine, la terza storia da ripercorrere riguarda la passione che Levi testimoniò per il proprio mestiere di chimico e per l’avventura del lavoro in generale: che ci parli degli elementi della tavola periodica legandoli alla propria vicenda personale, o ci racconti le peripezie di un operaio giramondo, al suo lettore-ascoltatore giungerà inalterata – e inconfondibile – la pronunzia della sua voce morale. Gioele Dix, attore, autore e regista, milanese. La sua formazione e la sua carriera sono di origine teatrale, inizia con grandi maestri come Antonio Salines e Franco Parenti. Intraprende poi la carriera di solista comico: diventando protagonista in televisione con Mai dire gol e Zelig. La sua grande creatività e la sua capacità interpretativa unica si esprimono al loro massimo in teatro. Di grande interesse alcune sue interpretazioni fra classico e comico: Edipo.com, La Bibbia ha (quasi) sempre ragione; di assoluto rilievo gli spettacoli, in tournée per anni, come: Dixplay e Nascosto dove c’è più luce; attualmente è in
tournée con Vorrei essere figlio di un uomo felice e Il malato immaginario. Fra le sue regie: Oblivion show, Sogno di una notte di mezza estate, Matti da slegare, Fuga da Via Pigafetta. Tra i suoi libri: Cinque Dix (Baldini e Castoldi, 1995); Manuale dell’automobilista incazzato (2007), Quando tutto questo sarà finito (2014), per Mondadori. Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato l’edizione delle Opere di Primo Levi presso Einaudi (1997) e la nuova edizione Opere complete (Einaudi, 2016), Domenico Scarpa, consulente del Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino, per il quale cura la collana «Lezioni Primo Levi», pubblicata da Einaudi, e curatore di diverse pubblicazioni dello scrittore torinese.
vita della città, aperti agli appassionati dell’ingegno e della bellezza e a chi cerca nuove prospettive verticali. La hall del piano terra, aperta sul Giardino Grosa, completamente riqualificato nel 2014, conduce con due scale mobili all’Auditorium sospeso. Attraverso un sistema meccanizzato la sala, che può ospitare fino a 400 posti a sedere, assume in breve tempo tre diverse configurazioni: sala conferenze, concerto e spazio espositivo. La qualità acustica è assicurata da un sofisticato sistema di controllo dei rivestimenti a parete


È uno dei vincitori dell’edizione 2015 dell’Europäischer Kulturpreis conferito dalla Pro Europa Stiftung di Dresda,
Lunedì 27 febbraio 2017, ore 11 ai Musei Reali di Torino (con ingresso in piazza Castello 191 esclusivamente per questa occasione) si terrà la presentazione del RESTAURO DELLA CAPPELLA DI CARLO ALBERTO
Si apre sabato 25 febbraio alle 15, nelle sale del Castello di Miradolo, la mostra Tiepolo e il Settecento veneto, curata da Giovanni Federico Villa, un percorso tra i capolavori – circa cinquanta opere in esposizione, tra tele, incisioni, acqueforti e disegni – di un artista che ha pressoché attraversato un intero secolo
pubblico dei visitatori, come la Decollazione del Battista dovuta a Giandomenico Tiepolo, capace oggi di esplodere nel contrasto tra gli incarnati del santo e quelli del boia, le vesti sgargianti e le ombre profonde della passione. 


Autobahn – Fuori controllo – Azione. Regia di Eran Creevy, con Nicholas Hoult, Anthony Hopkins e Felicity Jones. Casey è diventato un corriere della droga. Non riuscendo a portare a termine una truffa ai danni di una banda rivale, è costretto a fuggire lungo le strade tedesche e a tentare di mettere in salvo la fidanzata Juliette, che rischia di essere sequestrata. Viene contattato per proteggerla il contrabbandiere Geran fino a quando la situazione non degenera a causa del pericoloso boss Hagen. Durata 99 minuti. (Uci)
Premio Pulitzer per l’autore August Wilson, successo a Broadway nel 2010, già interpretato dagli stessi attori che si guadagnarono un bel Tony Award ciascuno, è la vicenda amara e sconnessa di Troy nella Pittsburg della fine anni Cinquanta. Anni di prigione, aspirazioni nel mondo del baseball interrotte dopo esser stato respinto dalla squadra perché afroamericano, un legame coniugale con Rose ferito dalle infedeltà, una vita familiare che si rivale su uno dei figli con velleità sportive, un lunario sbarcato grazie al lavoro di netturbino. Film di chiaro impianto teatrale, una delle punte d’eccellenza di questa stagione cinematografica che vede in primo piano una rivincita del cinema all black. Quattro candidature agli Oscar. Durata 139 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Uci)
La Battaglia di Hacksaw Ridge – Drammatico. Regia di Mel Gibson, con Andrew Garfield, Sam Worthington e Vince Vaughn. Tornando dopo dieci anni dietro la macchina da presa dall’ultimo “Apocalypto”, Gibson narra la vicenda pacifista di Desmond Doss, cresciuto secondo la fede degli Avventisti del Settimo Giorno, che all’indomani di Pearl Harbor decise di arruolarsi, con il netto rifiutare di imbracciare le armi. Insultato e osteggiato e umiliato fisicamente e moralmente dall’opinione pubblica come dai propri compagni, Doss riuscì sulle scogliere di Okinawa a far prevalere le proprie convinzioni, mettendo in salvo in una sola notte 75 tra i suoi commilitoni. Grandi emozioni, un credo senza se e senza ma, guardando a Hawks e a Kubrick, a Eastwood e a Malick. Sei candidature che guardano agli Oscar, in primo luogo al Garfield già ammirato in “Silence” di Scorsese. Durata 131 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Lux sala 1, The Space, Uci)
primo chiuso nelle proprie tradizioni e contrario a quanto l’uso della Rete gli possa offrire, il secondo è perennemente connesso al web, sempre a caccia di colleghe, adorato dagli alunni. Un passato non facile da dimenticare ha anche visto una donna indecisa tra i due. E se oggi il gioco delle parti cambiasse e le idee e gli interessi dell’uno diventassero quelli dell’altro? Durata 102 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Reposi, The Space, Uci)
Cinquanta sfumature di nero – Erotico. Regia di James Fooley, con Jamie Dornan, Dakota Johnson e Kim Basinger. Sono cambiati sceneggiatore e regista per questo secondo capitolo della saga erotica inventata ad onor del proprio portafoglio dalla signora E.L. James, continua la ginnastica erotica di Christian e Anastasia, si preannuncia un nuovo grande successo grazie alle resse degli aficionados, tutto un gran mercato assai redditizio sulla scia dell’exploit dei 125 milioni di copie vendute del romanzo. In attesa delle sfumature di rosso. Durata 115 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
Jackie – Drammatico. Regia di Pablo Larraìn, con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Billy Crudup e John Hurt. I giorni che seguirono all’uccisione di Kennedy a Dallas, la ricostruzione dell’attentato, i ricordi e le immagini che invasero il mondo, il tailleur rosa di Chanel sporco di sangue, il ritorno a Washington e il trasloco dalla Casa Bianca, la lotta di una donna ormai sola contro l’establishment e la sua volontà indomita perché al presidente venissero fatti grandi, imponenti funerali di stato. Al centro della vicenda, di ogni inquadratura è la Jackie di Natalie Portman, in corsa per l’Oscar, a raccontare quei giorni ad un giornalista di “Life Magazine”. Durata 99 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Grande, Reposi, The Space, Uci)
Lion – La strada verso casa – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Dev Patel, Rooney Mara e Nicole Kidman. Il piccolo Saroo, disubbidendo alla madre e cercando di seguire il fratello più grande, si addormenta su di un treno, nel buio della notte, e si ritrova a Calcutta, solo e incapace di spiegare da dove venga e quel che gli è successo. L’adozione da parte di una coppia australiana gli risparmia l’orfanotrofio: ma una volta arrivati i venticinque anni, il desiderio di rintracciare la sua vera famiglia lo condurrà ad una lunga ricerca. Tratto da una storia vera. Durata 120 minuti. (Romano sala 1)
sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Eliseo Rosso, Nazionale sala 1, Uci)
Rhodes. Corsa agli Oscar anche per “Moonlight” con otto candidature. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, poi spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Nazionale sala 2)
Sperandeo. Votazioni per l’elezione del sindaco a Pietrammare. Ma le cose vanno davvero male se quello in carica è maneggione e colluso e quello candidato i comizi li pronuncia al grido di “Onestà, onestà”. Persino il parroco, prima convinto di un cambiamento radicale, diviene avversario senza se e senza ma quando il vincitore gli impone di pagare l’IMU sulla chiesa che lui ha trasformato in albergo. Durata 90 minuti. (Massaua, Reposi, The Space)
Smetto quando voglio – Masterclass – Commedia. Regia di Sidney Sibilia, con Edoardo Leo, Lorenzo Lavia, Valeria Solarino e Pietro Sermonti. Seconda puntata per le avventure della banda di precari universitari volti per necessità alla produzione della droga. In attesa di una terza già messa in cantiere a furor di popolo, per adesso il gruppo di antropologi, latinisti, archeologi, chimici e quant’altro stringe un patto con una ispettrice di polizia al fine di stroncare il traffico di smart drug, non ancora illegali e non ancora perseguibili. Durata 118 minuti. (Reposi, The Space, Uci)
confezionatore di spuntini veloci per altrettanto pubblico frettoloso e dal poco spendere, il signor Ray Kroc pensa di allargare, in qualità di socio, l’attività dei pionieri su scala nazionale. Sappiamo tutti com’è andata a finire, successo successo successo, unendo artigianato e voglia di sperimentazione unita a una fragorosa mania di grandezza. Un avventura americana, una sfida e il sogno sempre ricercato, un’altra bella prova per il resuscitato Keaton, già pedina vincente di titoli quali “Birdman” e “Il caso Spotlight”. Durata 115 minuti. (Classico)
T2 Trainspotting – Drammatico. Regia di Danny Boyle, con Ewan McGregor, Robert Carlyle, Jonny Lee Miller e Ewen Bremmer. Il precedente “Trainpotting” aveva lasciato Mark Renton scappava con il malloppo, abbandonando i compagni in un un mare di rabbia, di droga e di sballo. Non tutti l’hanno digerita. La nuova puntata di quel film che è diventato un cult vede il nostro nel tentativo di riallacciare i contatti, e per quanto si può in vera pace, con loro rimettendo piede a Edinburgo. Quello che non ha proprio voglia di incontrare è Begbie (Carlyle), appena uscito di galera, il più legato al mondo di un tempo. Durata 117 minuti. (Ambrosio sala 2, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)