“Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada – Noi non facciamo lampade, signore – Vedrete che le farete. E così fu”. A profetizzarlo (e a raccontare l’accaduto) con buona cognizione di causa, sia pure in un contesto quanto meno bizzarro, fu il grande Bruno Munari (Milano 1907 – 1998), che proprio utilizzando una maglia elastica tubolare prodotta nel calzificio di cui sopra, e che prendeva forma mediante l’inserimento di anelli metallici di vario diametro, disegnò e realizzò – nel ’64 per Danese- la lampada da soffitto “Falkland”, ancora oggi fra le più note del design italiano. L’ennesimo lampo di genio di un Maestro dalla poliedrica attività creativa, fra le figure più significative della cultura artistica internazionale del XX
secolo, cui il Museo “Ettore Fico” di Torino dedica, fino al prossimo 11 giugno, un’importante rassegna espositiva curata da Claudio Cerritelli. Già il titolo – Bruno Munari. Artista totale – la dice lunga. In esposizione sono infatti oltre 300 opere che raccontano la multiforme ricerca e la mai doma voglia di sperimentazione di questo “leonardesco” artista. Al MEF, Munari viene infatti ricordato attraverso un ampio excursus delle sue operazioni creative: disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, i suoi divertenti “libri illeggibili” (dove le parole spariscono fra carte dai colori diversi, con strappi, fori e fili che attraversano le pagine), oggetti di industrial design
nonché esperienze di grafica editoriale e fantasiose proposte didattico- pedagogiche. Sono le tappe salienti di un lungo iter creativo, che corre dagli anni Trenta ai Novanta, solcate da un artista impossibile da etichettare in modo categorico e definitivo, pur raccontandone gli iniziali afflati astratti (nel ’48 fu fra i fondatori del MAC) e le premesse futuriste delle “tavole tattili” o della tempera “Futurista” del ‘31, sviluppate via via con fanciullesca lievità in “mirabilia” dal sapore quasi barocco: ecco allora le “sculture aeree” sospese nel vuoto, le “macchine inutili”, così come i “concavi-convessi” (nuvole in fil di ferro svolazzanti lungo i soffitti del corridoio museale), fino alle “sculture da viaggio” sfidanti la retorica della scultura monumentale. Opere in cui si fondono ironia, divertissement e quell’eterno spirito infantile che permette “di conservare– scriveva Munari – la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”. Ben documentata anche la famosa serie “matematica” delle “Curve di Peano” del ’74 e il ciclo dei
“Negativi-positivi” che lo impegna per quarant’anni, facendone una sorta di istrionico “operatore visivo”, creatore di effetti ottici mai univoci. Un autentico vulcano di idee. Ben attento, tuttavia, alla necessaria coesistenza di “regola” e “caso”, pur se capace di inventarsi qualcosa di sorprendente come le ludiche “Forchette parlanti”, o le “Scritture illeggibili di popoli sconosciuti” insieme a giochi grafici e ad altre “stramberie” quali la serie delle “cartoline modificate”. Un ricco campionario di oggetti che raccontano “meraviglie” mai più viste, inducendo a un sorriso che ci accompagna un po’ ovunque lungo gli spazi del Museo di via Cigna. In mostra c’è perfino un’improbabile “Sedia per visite brevissime”: nove esemplari progettati nel ’45 per la Zanotta, in noce lucidato a cera con intarsi e sedile in alluminio anodizzato. Particolarità più evidente: la seduta inclinata a 45° che probabilmente vuole proprio suggerire all’ospite poco gradito di non fermarsi troppo. Design? Gioco? O forse oggetto su cui impostare chissà quale diavoleria di disquisizione filosofica? Macché: la sedia di Munari “è intelligenza, è divertimento, è arte”. Poiché, come lui stesso ci insegna, “l’arte perde di significato proprio quando si cerca di capirla”.
Gianni Milani
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“Bruno Munari. Artista totale”
Museo “Ettore Fico”, via Cigna 114, Torino, tel. 011/853065, www.museofico.it
Fino all’11 giugno
Orari: merc. – ven. 14 – 19, sab. e dom. 11 – 19
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Nelle immagini:
I) Bruno Munari: “Positivo-Negativo”, 1995, collage e acrilico su cartone
II) Bruno Munari: “Scultura da viaggio”, 1959, cartoncino
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AL MEF ANCHE “PETROLIO” DI COSIMO VENEZIANO
Fino al 16 aprile il MEF ospita anche “Petrolio”, rassegna dedicata al giovane Cosimo Veneziano, moncalierese ma operante in Inghilterra, a Leeds. Ideate appositamente per gli spazi del Museo, le opere di Veneziano – presentate da Elena Forin – indagano il vasto universo di immagini del patrimonio sociale, architettonico e urbano, incentrandosi in modo particolare sulla natura dei monumenti e sulla loro identità contemporanea. Molto particolare é il corpus di disegni a china su feltro industriale che degli stessi monumenti prevedono la copertura parziale. Un atto di denuncia contro le barbarie umane e un invito al dialogo con la città.
g.m.




La libreria antiquaria iniziò la sua attività al numero 30 di via San Nicolò, nel cuore di Trieste, nel 1904 con il nome del libraio-editore Giuseppe Mayländer e venne acquistata quindici anni dopo – nel 1919 – dal poeta Umberto Saba, diventando uno dei più importanti luoghi d’incontro gli intellettuali triestini.
Dall’arrivo a Trieste da Pola del croato Mayländer nel 1904 – che intraprese l’attività di libraio, acquistando la sezione antiquaria della libreria Quidde – al trasferimento al pianoterra al “30” di via San Nicolò e alla cessione a Umberto Saba ( pseudonimo di Umberto Poli), le vicende di quello che il poeta descrisse come “l’antro oscuro” si affiancano alla storia di questa città di confine da sempre contesa. Tra le pareti della libreria, l’andirivieni degli “strani clienti” – come Saba usava chiamare i frequentatori dell’Antiquaria –, le chiacchiere e le ricerche di volumi e documenti prese forma una parte molto importante della vita intellettuale triestina. Da Mayländer al signor Stock ( imparentato con il fondatore della nota ditta di liquori, che Saba accettò come socio al cinquanta per cento all’inizio degli anni Trenta), fino al “commesso” Carlo Cerne, che riuscì a gestire con talento e oculatezza la libreria, ereditandola nel 1958,questa miscela di
persone e storie ne ha fatto – in più di un secolo – un luogo di cultura unico e originale. Nella libreria, tra le varie pubblicazioni, non si può non acquistare la poesia “Trieste” , la prova del legame inscindibile del poeta con la città dal grande fascino, sospesa tra il mare e l’asprezza delle colline carsiche. Scritta tra il 1910 e il 1912, “Trieste” è stata tradotta in una moltitudine di lingue e rappresenta la quintessenza di questa città in terra giuliana, al tempo stesso italiana, slovena e mitteleuropea. E’ un modo giusto per approssimarsi o concludere una visita alla libreria di Saba, “nutrendosi” con i versi che raccontano le piazze e le vie, le rive e il mare, dove soffia la bora e “
TUTTE LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO
Waterston e Naomi Rapace. Il film è ambientato dieci anni dopo le azioni raccontate in “Prometheus” e racconta della missione di colonizzazione del pianeta Origae-6 da parte dell’astronave Convenant: raggiungerà a seguito di un’esplosione un luogo mai esplorato. Troveranno la carcassa di una nave aliena che nasconde al proprio interno il pericolo di mostruose creature. Durata 122 minuti. (Centrale V.O., Massara, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
Malkovic e Naomi Rapace. L’agente della CIA Alice Racine è stata relegata ad un lavoro di routine dopo che non è riuscita a sventare un attacco terroristico compiuto un paio di anni prima a Parigi. È durante l’interrogatorio di un terrorista che viene per caso a conoscenza di un nuovo attacco biologico che vedrà questa volta coinvolta la capitale inglese. Ha perso fiducia in se stessa, deve guardarsi da qualcuno che è pronto a eliminarla e soprattutto deve guardarsi dai colleghi che le stanno intorno per comprendere chi stia facendo il doppio gioco. Durata 98 minuti. (Ideal, Lux sala 2, Uci)
McConaughey, Edgar Ramirez e Bryce Dallas Howard. Ispirato a una storia vera, il film è la storia di un uomo, Kenny Wells, che nella giungla del Borneo in Indonesia stringe un patto con geologo, convinto costui di aver individuato una preziosa vena d’oro. Malaria e problemi con gli operai non lo distoglieranno dal suo sogno: ma dovrà ben presto accorgersi che non è certo tutto quell’oro a creare la sua nuova felicità. Durata 120 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)
Bana e Jude Law. Il regista che ha riletto il mito di Sherlock Holmes, nel suo personale e scanzonato modo di fare cinema, va diritto adesso al medioevo di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, dall’assassinio del padre, il buon re Uther, ad opera del cattivo fratello Vortirgern, alla crescita del ragazzo e del suo desiderio di vendetta, dagli insegnamenti dei maghi ai poteri della famosa spada Excalibur. Durata 126 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche in 3D e V.O.)
regista descrive la sua terra, dove tutto sembra essere violenza, dove si combatte e si tenta di sopravvivere: al centro lui, un poeta, che l’attraversa in una sorta di magica poesia a cavallo di un asino, e con lui la bellezza della Bellucci. Durata. 125 minuti. (Massimo sala 2 anche in V.O.)
Rooney Mara, Natalie Portman e Cate Blanchett. Nella cornice di Austin, la storia del discografico Fassbender, del compositore Gosling e della giovane Mara che scrive canzoni, un triangolo amoroso, il coinvolgimento della giovane cameriera Portman, il mondo musicale a far da cornice, Patti Smith e Iggy Pop compresi, i sentimenti, la religiosità, ancora uno studio sull’amore. Il tutto nello sguardo rarefatto del regista di “Tree of Life” e si “Knight of Cups”. Durata 145 minuti. ( F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 1, ReposiThe Space, Uci)
Finocchiaro e Andrea Carpenzano. Tratto liberamente dal romanzo “Poco più di niente” di Cosimo Calamini, è la storia del giovane Alessandro, romano di Trastevere, che vive le proprie giornate tra il bar, lo spaccio e l’amante che è la madre di un suo amico. Sarà l’incontro con un “non più giovane” poeta dimenticato a fargli riassaporare socialmente e culturalmente il gusto per la vita, in un bel rapporto che si va a poco a poco costruendo, senza lasciarsi alle spalle tutta la rabbia e quella speranza che i due si portano inevitabilmente appresso. Durata 106 minuti. (Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Reposi, Uci)
“Proteggere i migranti è un imperativo morale”. Accoglierli, proteggerli, promuoverne l’integrazione: rimbalzano tristemente a vuoto le parole pronunciate da Papa Francesco al recente Forum Internazionale su “Migrazione e pace”, di fronte agli scatti in bianco e nero di Paolo Pellegrin, raccolti in anteprima mondiale nella mostra “Frontieres”, ospitata al Forte di Bard
e paesaggi perduti per sempre! L’orrore delle traversate del Mediterraneo in balia delle onde e trafficanti di essere umani senza scrupoli, l’esperienza degli sbarchi dopo le operazioni di salvataggio di “Medici senza Frontiere” e la problematica permanenza nei Centri di accoglienza: su questi tre aspetti si sofferma il reportage esclusivo di Paolo Pellegrin realizzato nel 2015 e prodotto site specific per le sale espositive dell’“Opera Ferdinando”, il nuovo “Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere” inaugurato lo scorso 30 aprile al primo livello della rocca fortificata di Bard. Fra i più importanti fotoreporter a livello mondiale, Pellegrin
(che oltre ad essere membro di Magnum Photos, lavora con le più affermate testate internazionali e può vantare, in un palmarés d’eccezione, ben dieci “World Press Photo” oltreché la Medaglia d’oro “Robert Capa”) documenta nei suoi scatti i fatti di cui è testimone con acuto taglio giornalistico, ma soprattutto vuole interpretare la tragicità del fenomeno migratorio – che non si
arresterà, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, prima del 2050 – attraverso la sua esperienza di essere umano. “Quella che mi interessa di più – ricorda – è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di cominciare un proprio dialogo…Io presento la domanda che mi sono fatto davanti ai morti, alle guerre, alla sofferenza, poi lascio spazio ad ognuno perché si interroghi, perché si faccia un’idea”. E questa
ha da essere la giusta chiave di lettura della mostra al Forte, dove la maggior parte delle foto esposte racconta la situazione sull’isola greca di Lesbo, in cui, secondo i dati dell’ “Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati” (UNHCR), sono sbarcati più di 500mila degli 850mila migranti arrivati in Grecia nel corso del 2015. Senza possibilità di ritorno per molti. E con prospettive future assolutamente incerte. Emblematico, in questo caso, lo scatto dedicato al giovane Walid, 24enne fuggito da Raqqa in Siria, ritratto a Kos, con i pugni stretti ai fianchi ed incappucciato per non essere riconosciuto, evitando così ripercussioni sulla sua famiglia, rimasta a casa. Metterci di fronte a Walid e alla sua storia dovrebbe indurci a
riflettere, e non solo (quando va bene) ad elargire facili pietismi, sul senso di “responsabilità” cui ognuno di noi è chiamato a rispondere al cospetto del dolore e del bisogno altrui. “Incontrare l’altro – scrive giustamente Enzo Bianchi – non significa farsi un’immagine della sua situazione, ma assumersi una responsabilità senza attendersi reciprocità, fino all’ardua ma arricchente sfida di una relazione asimmetrica, disinteressata e gratuita. Solo così la vicenda dell’incontro con lo straniero si fa occasione di umanità per tutti”. E su questa linea, la mostra di Pellegrin potrebbe indurci non solo a considerazioni puramente tecnico-estetiche sulle opere esposte, ma anche all’assunzione di concetti mentali e decisioni esistenziali assolutamente imprevedibili. Forse impensabili.
Direttore editoriale e curatore del programma del Salone Off, Marco Pautasso, che ha illustrato il ricco cartellone della manifestazione. Ha introdotto la Presidente della Circoscrizione 6 della Città di Torino, Carlotta Salerno. Il Salone Off 2017, come l’ha definito l’Assessora Leon, è un vero «Salone parallelo», con oltre500 eventi in tutte le otto Circoscrizioni di Torino e 10 Comuni della Città Metropolitana: incontri con l’autore, reading, concerti, dj set, spettacoli teatrali, presentazioni e dibattiti. Quasi tutto a ingresso
gratuito. Da quest’anno il Salone al Lingotto chiude i battenti alle ore 20.00. E la festa si sposta immediatamente in tutta la città. In centro, in periferia, in luoghi aulici e luoghi insoliti, con un programma serale in compagnia di grandi artisti. Spazio anche alla solidarietà con le letture e gli incontri organizzati in sei ospedali torinesi e il progetto Voltapagina in quattro Istituti carcerari del Piemonte. Tra le location del Salone Off molti luoghi insoliti: dalla mongolfiera Turin Eye, al sommergibile Provana al Parco del Valentino e al Cimitero Monumentale. Qui Paolo Nori propone di sera una lettura tratta da ‘La dama di picche’ di Puskin in una seduta spiritica per ‘riportare in vita’ lo scrittore.

Il comune di Torre Canavese organizza, Venerdì 12 Maggio 2017,alle21.00, presso la Pinacoteca Comunale “Raissa Gorbaciova” ( Via Balbo 26) una serata letteraria. Nel corso dell’iniziativa, intitolata “La curva dei persici, il tempo dei maggiolini”, saranno presentate le storie “tra laghi e monti” di Marco Travaglini.
piogge invernali e al comparire della neve sui monti. Ne “Il tempo dei maggiolini” l’autore riporta alla memoria il passato, ai giorni dell’infanzia, della giovinezza, a tempi meno facili ma più ricchi di semplicità, di saggezza antica, di rapporto umano. Gli anni delle case di ringhiera, dei grandi prati non ancora invasi dal cemento; delle quattro stagioni; delle primavere verdi punteggiate di rondini e maggiolini; delle serate estive sfolgoranti di lucciole, sull’aia o davanti alla calma scura del lago ( in questo caso il Maggiore) ancora impregnato dei caldi profumi del giorno e delle creme solari. Marco Travaglini, nato a Baveno, sul lago Maggiore vive attualmente a Torino. Giornalista, autore di narrativa e saggistica, fa parte del GISM, il gruppo italiano scrittori di montagna.