Chi siamo, cosa vogliamo, qual è il senso della vita? Le risposte le trovate in “Qualcosa” (Longanesi), l’ultimo libro di Chiara Gamberale che l’ha presentato al Circolo dei lettori di Torino, città a cui è legata da un feeling speciale. Poco meno di 200 pagine al confine sottilissimo tra romanzo e fiaba, toni lievi e surreali, parole accompagnate dalle illustrazioni di Tuono Pettinato (al secolo Andrea Paggiaro, vignettista-narratore tra i migliori sulla piazza) e concetti tostissimi. La scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva (finalista al Premio Campiello nel 2008 e autrice di best seller come “Avrò cura di te”, scritto a quattro mani con Gramellini) riflette su vita, amore, amicizia e dolore, partendo dallo spazio vuoto che alberga in ognuno di noi e che ci affanniamo a riempire in tutti i modi (im)possibili. Al centro della storia la “Principessa qualcosa di troppo”, esagerata in tutto quello che fa e sente, senza limiti e ingorda di vita. Ma alla morte della madre, scopre di avere un buco al posto del cuore. Tenta allora di riempirlo cercando sollievo tra i ragazzini “Abbastanza”, ovvero quelli normali (e mediocri) e nell’ingannevole condivisione di Smorfialibro. Qui la parodia dei social è lampante, solo che la comunicazione è affidata a lenzuoli con la propria immagine appesi alla finestra. Poi s’innamora di 5 fidanzati che incarnano altrettanti archetipi maschili; ma, chi per un verso, chi per un altro, nessuno di loro riesce a salvarla. Strategica invece sarà l’amicizia con “Cavalier Niente” che in un lieto fine filosoficamente immenso le farà capire che “è il puro fatto di stare al mondo la vera avventura” e dobbiamo imparare ad accettarci senza cercare soluzione negli altri.
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E’ un tornado di spontaneità, pensieri e parole Chiara Gamberale. E s’illumina parlando della scommessa vinta con un desiderio che ha radici nella sua adolescenza:
«Sognavo di trasferire i miei temi in un mondo come quello del “Piccolo Principe” o del “Visconte dimezzato” di Calvino”, per renderli ancora più chiari. Perché in un libro del genere la scrittura ti chiama a non sbrodolare» ci dice: «universi immaginati in cui poter chiamare le cose col loro nome: come il “troppo” della protagonista o i pretendenti ”il conte sempre triste”, “il duca sempre indignato”…e via così. Qui c’è tanta verità sul vuoto interiore e sulla fuga da noi stessi, argomenti ricorrenti nei miei libri, ma che qui sono presi di petto».
Come definirebbe “Qualcosa”?
«Una fiaba esistenziale che può essere letta a diversi livelli d’età. Narra ».
Ma come si trasforma il buco che abbiamo in passaggio segreto riempito con persone e cose non sbagliate?
«E’ possibile se non facciamo finta che i nostri dolori non ci siano. Se non giochiamo di rimozione; ma nemmeno ci affezioniamo troppo alla sofferenza, dimenticando che ai bordi di quel dolore possiamo costruire la nostra identità».
Lei ha capito il senso della vita?
«No, ma continuo a interrogarmi. Credo che proprio questa ricerca sia la vera avventura
dell’esistenza: con giorni in cui non pensiamo ci sia un senso, altri in cui invece lo troviamo».
Perché secondo Cavalier Niente “meno fai più sei”?
«Il non fare è una delle espressioni chiave del romanzo: non è il contrario di fare, quanto piuttosto spostarsi in un’altra dimensione dove si ha modo di so-stare e da quel momento in poi le cose che facciamo possono aver a che fare con i nostri desideri, non con i bisogni».
Un elogio del niente e uno della noia.
«Il primo è importantissimo perché ognuno di noi, a contatto col niente, può approdare alla sua originalità e personalità. E se si sopporta il cuscinetto della noia, si passa dal ritmo frenetico dei pensieri a quello più dolce delle idee e della fantasia».
E’ importante saper stare da soli?
«Fondamentale. Proprio quando riusciamo a stare in silenzio, senza condizionamenti delle voci di genitori, amici ed altro, ecco che finalmente arriva la nostra voce. Ognuno può trovare il suo modo. Io come esercizio di meditazione, ogni giorno, per almeno 10 minuti, mi isolo da tutto e guardo il soffitto. Il libro può essere anche un manuale di psicologia per trovare il modo di ascoltarci».
L’ amore: per lei cos’è e qual è la dichiarazione più bella?
«Essere affamati di amore spesso ha a che fare più col nostro desiderio di essere amati che non con una reale disponibilità ad amare l’altro. A quasi 40 anni non ho più la voracità d’amore dei 16, ma passo dal bisogno al più autentico desiderio. La dichiarazione più bella è quella di un uomo che ti dica “non vedo l’ora di annoiarmi con te…”».
C’è una tipologia degli archetipi maschili più insidiosi?
«Nel libro ce ne sono 5, ma di fatto sono pericolosi tutti gli uomini con cui è impossibile instaurare un rapporto paritario e anziché fare da compagne ci inducono a fare da madre, figlia, sorella…..».
Ci salva l ’amicizia?
«Si, senza dubbio, con me lo fa tutti i giorni».
Come gestire il bisogno di sentirsi parte di qualcosa oggi che siamo iperconnessi tra social, selfie e condivisioni varie?
«Bisogna essere se stessi. Va bene far parte di una coppia o di un gruppo, ma non dobbiamo chiedere all’esterno di toglierci la responsabilità di scoprire chi siamo. Internet e i social sono strumenti straordinari se li si usa senza esserne usati; ma sono anche un attentato alla concentrazione. Io ad un certo punto mi sono difesa: per esempio non ho Internet né email sul telefonino, non ho un profilo privato facebook, anche se partecipo a quello dei miei lettori, e nel momento in cui ho rischiato di passare troppo tempo con Internet mi sono tirata i capelli ed ho letto tutta la Recherce di Proust».
Scrive che la morte “non significa che qualcuno se ne va, ma che tu resti”: come superare questo dolore?
«Non ho istruzioni da dare, posso solo dire che, anche se sembra un ossimoro, guadagnare una perdita si può. In questo sono fortunata perché ho così tanta paura della morte delle persone che amo, che tendo, anche ansiosamente, a dire loro quanto siano importanti per me, senza lasciare nulla d’irrisolto. Così facendo i lutti che ho subito, dopo il grande dolore, si sono trasformati in qualcosa che mi tiene compagnia, perché è un dialogo che per me continua».
Quando occorre dove si rifugia?
«Su un’isola. Ne sento il bisogno come persona e come scrittrice. La mia vita oscilla tra la parte vitale
e molto ricca della promozione, importantissima perché, come adesso, incontro i miei lettori che sono fondamentali. Mentre per scrivere mi ritiro, in genere su isole. Per “Qualcosa” sono stata 3 mesi in quella greca di Milos, affascinante ma certo non mondana».
Il suo legame con Torino?
«Qui ho vissuto per 2 anni, quando in Rai conducevo “Parola mia” con Luciano Rispoli. E’ una città di cui amo il clima, la bellezza, le chiese, la gente, il mix di fascino e cose che funzionano, la collina e le montagne che la circondano. A Torino ho fatto incontri importantissimi, come quello con Luciano Segre, grande uomo, protagonista del mondo politico ed economico italiano e con Casa Oz. L’associazione Onlus che da 10 anni aiuta i bambini colpiti da gravi malattie e le loro famiglie. A loro devolvo la mia parte di proventi del libro».
5 cose per cui vale la pena vivere?
«L’amore e svegliarsi la prima volta con una persona che sentiamo sarà importante per noi. Gli amici e la complicità. Il mondo vastissimo, con tutte le cose che ancora non ho né visto né letto: perché dopo la scrittura, la cosa che amo di più è viaggiare ed è bello vivere perché esistono Islanda ed Australia, per dire 2 luoghi che non ho ancora attraversato. Poi le montagne che m’incantano, calmano ed ispirano: sono una sciatrice e una gran camminatrice. E poi è bello vivere perché ogni giorno è una risposta diversa a questa domanda».
Laura Goria
“Santuari à répit. Il rito del “ritorno alla vita” o “doppia morte” nei luoghi santi delle Alpi”, di Fiorella Mattioli Carcano (Priuli & Verlucca editore) è un libro importante, frutto di una originale e impegnativa ricerca condotta dalla presidente dell’associazione storica “Cusius” sui “santuari del ritorno alla vita”
storiografiche su questi santuari, descrivendo lo svolgimento del rito, i luoghi dove avveniva e l’atteggiamento tenuto dalla chiesa. Nel “rito della piuma” il piccolo defunto veniva steso su un altare dedicato alla Madonna alla presenza di un medico o di un’ostetrica che potesse attestarne il ritorno alla vita, seppure per un breve istante: da un sospiro (répit) che facesse vibrare una piuma posta fra le labbra o da un rossore delle guance.In quell’attimo fuggente, il “resuscitato”veniva battezzato dal prete per ri-morire immediatamente dopo. Alla presenza di un
notaio, veniva redatto l’atto pubblico utile alla sepoltura in terra consacrata. I santuari del ritorno alla vita sono piuttosto rari in Italia, ma le Alpi occidentali ne annoverano diversi, soprattutto nei territori colonizzati dalle popolazioni Walser, a ridosso del Monte Rosa tra la Valsesia e l’Ossola. Il bel saggio della storica Fiorella Mattioli Carcano , oltre a esplorare questo rito sotto tutti i punti di vista, offre un censimento dei santuari destinati al “répit” sull’arco alpino piemontese, dalle alpi Marittime alla Val Susa, dalle valli aostane alle alpi Pennine e Lepontine, con un intero capitolo dedicato ai luoghi di culto della Diocesi di Novara, una delle più vaste d’Italia.
Lo sport a teatro come metafora per raccontare la vita, il superamento dei propri limiti, delle proprie paure. Lo sport come pretesto per calarsi in un racconto di pura epica moderna e per entrare nel vivo della Storia da una porta secondaria
imperfette”, tratto dall’omonimo romanzo di Emiliano Poddi. In scena ci sarannoGiovanna Rossi, Enrico Dusio, Gianluca Gambino con Carlo Roncaglia (che cura anche la regia) alla voce e piano. I costumi ed elementi scenici sono di Carola Fenocchio e disegno luci e fonica diAndrea Castellini.I protagonisti sono Saša Belov e Kevin Joyce. Due ragazzi all’inseguimento di un sogno: vincere la medaglia d’oro del basket alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Uno si è allenato all’ombra della statua colossale della Grande Madre Russia a Stalingrado, l’altro sui campetti di cemento tra i grattacieli di New York. Due squadre. Due mondi contrapposti. Due culture. Usa contro Urss. Una partita che sarà per sempre legata ai tre secondi più leggendari,
contraddittori e ingarbugliati della storia dello sport. Ma Monaco ’72 è anche la scena di una strage spaventosa: undici atleti israeliani cadono sotto l’attacco terroristico di Settembre Nero. Un lutto che deve essere riassorbito in fretta, proprio per fare spazio alla sfida fra le due superpotenze. Molti anni dopo, in un cimitero di San Pietroburgo, Kevin Joyce e Saša Belov sono di nuovo l’uno di fronte all’altro: Kevin con addosso il peso degli anni e di una sconfitta impossibile da accettare; Sasha giovane per sempre e per sempre innamorato di Sonja, la giovane donna che non è riuscita a salvarlo dal suo stesso trionfo. “Le vittorie imperfette” è uno spettacolo che alterna epica sportiva e racconto intimista, canzoni americane e ninne nanne russe, tragedia e spigliata commedia d’amore. Una storia in cui il palleggio echeggia come il battito del cuore.
La storia degli Alpini in generale, di quelli appartenenti al Battaglione Intra in particolare, è ancor oggi viva nella memoria dei pochi protagonisti sopravvissuti alla seconda guerra, ma anche dei figli, nipoti e di tutti quelli che in qualche modo ne hanno ereditato vicende ed emozioni

vicissitudini più difficili in Grecia , Albania e Jugoslavia”. “Hanno patito la fame: mangiare? Era un’ossessione! Da entrambe le parti, bisogna ammetterlo, ci sono stati rappresaglie e crimini di guerra.” Ha spiegato infine Agostino Roncallo, concludendo la serata “in pratica gli Alpini sono stati poi abbandonati a sé stessi l’8 settembre 1943: dopo la Liberazione, parte di loro saranno liberi, altri diventeranno partigiani, altri ancora saranno costretti ad andare in Germania”.
Debutta al teatro Regio di Torino mercoledì 15 febbraio, alle 20, l’opera di Leos Janacek “Katia Kabanova”, a quasi cento anni dalla sua composizione, in tutta la sua bellezza. L’opera è sicuramente uno dei capolavori più intimi del musicista, che è stato uno dei più originali di tutti i tempi, capaci di prendere le mosse dalla realtà sociale e linguistica morava, nella quale era nato e cresciuto, per creare gli intrecci più disparati dell’opera europea fin-de-siecle, dal genere eroico rappresentato da “Sarka”, al fantastico ( “La volpe astuta”), fino alla suspense modernista intrisa di magia de “Il caso Makropoulus”. Janacek è stato, comunque, un compositore sempre attento a immettere nel proprio teatro e musica i tratti di aderenza alla realtà, che sono stati tra le caratteristiche fondamentali degli scrittori russi dell’Ottocento, da Dostoevskij a Ostrovskij, drammaturgo caro anche a Cajkovskij e da cui Janacek trasse il soggetto per l’opera “Katia Kabanova”.
sull’adulterio di una donna romantica, che non riesce a sopportare un ambiente gretto a lei ostile. Il debutto, avvenne il 21 novembre 1921, al teatro Nazionale di Brno, e riscosse un successo straordinario. 



I GIARDINI DEL MAO. Il muschio e la sabbia:
Le trame dei film nelle sale di Torino
Arrival – Fantascienza. Regia di Denis Villeneuve, con Amy Adams e Jeremy Renner. Louise Banks, linguista di chiara fama, guida con il fisico Donnelly un gruppo di studiosi per instaurare un linguaggio, attraverso simboli scritti, e un rapporto con gli alieni occupanti di un oggetto misterioso proveniente dall’universo e atterrato nel Montana. Successo a Venezia, la Adams in odore di Oscar: e il regista è uno dei migliori nomi in circolazione nel panorama cinematografico di oggi, qualsiasi generi tocchi (“La donna che canta”, “Prisoners”, “Sicario”, in attesa di “Blade Runner 2049”). Insomma, una garanzia. Durata 116 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Ideal, Nazionale, Uci)
Worthington e Vince Vaughn. Tornando dopo dieci anni dietro la macchina da presa dall’ultimo “Apocalypto”, Gibson narra la vicenda pacifista di Desmond Doss, cresciuto secondo la fede degli Avventisti del Settimo Giorno, che all’indomani di Pearl Harbor decise di arruolarsi, con il netto rifiutare di imbracciare le armi. Insultato e osteggiato e umiliato fisicamente e moralmente dall’opinione pubblica come dai propri compagni, Doss riuscì sulle scogliere di Okinawa a far prevalere le proprie convinzioni, mettendo in salvo in una sola notte 75 tra i suoi commilitoni. Grandi emozioni, un credo senza se e senza ma, guardando a Hawks e a Kubrick, a Eastwood e a Malick. Sei candidature che guardano agli Oscar, in primo luogo al Garfield già ammirato in “Silence” di Scorsese. Durata 131 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)
150 milligrammi – Drammatico. Regia di Emmanuelle Bercot, con Side Babett Knudsen e Benoit Magimel. Tratto da una storia vera. Nell’ospedale di Brest dove presta servizio, una pneumologia scopre che tra le morti sospette di alcuni pazienti e l’impiego di un farmaco commercializzato da oltre trent’anni ci sarebbero dei legami. È una lotta sempre più in crescita, da sostenere ogni giorno da parte di un gruppo di medici contro il Ministero della Salute francese e contro la casa farmaceutica che ha prodotto il farmaco. Durata 128 minuti. (Romano sala 1)
saga erotica inventata ad onor del proprio portafoglio dalla signora E.L. James, continua la ginnastica erotica di Christian e Anastasia, si preannuncia un nuovo grande successo grazie alle resse degli aficionados, tutto un gran mercato assai redditizio sulla scia dell’exploit dei 125 milioni di copie vendute del romanzo. In attesa delle sfumature di rosso. Durata 115 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)
Il cliente – Drammatico. Regia di Asghar Farhadi, con Shahab Hosseini e Taraneh Alidoosti. Due coniugi, Emad e Rana, sono costretti a abbandonare il loro appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio. Nella ricerca di una nuova abitazione, vengono aiutati da un collega che con loro recita in una messa in scena di “Morte di un commesso viaggiatore” di Miller, un dramma di sogni e di disfacimenti morali e familiari. Nel nuovo alloggio, in precedenza abitato da una donna di dubbia reputazione, Rana subisce un’aggressione: se la donna ne esce duramente colpita non soltanto nel corpo ma soprattutto nello spirito per poi poco a poco quietamente rappacificarsi, da quel momento per Emad inizia una ricerca dell’aggressore, una esplicita vendetta in cui non vuole coinvolgere la polizia. Un capolavoro di ferma scrittura, di analisi, di descrizione dei piccoli, impercettibili fatti quotidiani, delle emozioni positive e negative che possono attraversare l’animo umano. Premiato a Cannes per la miglior sceneggiatura e l’interpretazione maschile. Durata 124 minuti. (Nazionale sala 1)
Fallen – Fantasy. Regia di Scott Hicks, con Addison Timlin, Harrison Gilbertson e Jeremy Irvine. La diciassettenne Lucinda è accusata di un crimine che non ha commesso e per questo è rinchiusa in riformatorio. Qui incontra due giovani mentre inizia ad avere strane visioni che le faranno scoprire il suo passato e la vera natura dei due ragazzi. Durata 91 minuti. (Massaua, Uci)
ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale (V.O.), Due Giardini sala Nirvana, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho e Chico, Massimo sala 2, Reposi, The Space, Uci)
Lion – La strada verso casa – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Dev Patel, Rooney Mara e Nicole Kidman. Il piccolo Saroo, disubbidendo alla madre e cercando di seguire il fratello più grande, si addormenta su di un treno, nel buio della notte, e si ritrova a Calcutta, solo e incapace di spiegare da dove venga e quel che gli è successo. L’adozione da parte di una coppia australiana gli risparmia l’orfanotrofio: ma una volta arrivati i venticinque anni, il desiderio di rintracciare la sua vera famiglia lo condurrà ad una lunga ricerca. Tratto da una storia vera. Durata 120 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 3)
quello in carica è maneggione e colluso e quello candidato i comizi li pronuncia al grido di “Onestà, onestà”. Persino il parroco, prima convinto di un cambiamento radicale, diviene avversario senza se e senza ma quando il vincitore gli impone di pagare l’IMU sulla chiesa che lui ha trasformato in albergo. Durata 90 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)
Vincent Downs, poliziotto sotto copertura a Las Vegas, è coinvolto nella sparizione di una partita di droga ai danni del proprietario di uno dei tanti casinò. Il quale per accelerare decisioni e tempi gli rapisce il figlio mentre un’agente degli Affari Interni è convinta che il nostro protagonista stia facendo il doppio gioco. Rifacimento del franco-belga “Notte bianca” firmato bel 2011 da Frédéric Jardin. Durata 95 minuti. (The Space, Uci)
Split – Thriller. Regia di M. Night Shyamalan, con James McAvoy. La storia di Kevin, uno psicopatico che unisce in sé 23 diverse personalità, che si alternano nella mente e nel corpo, in cura da una psicologa che non ha compreso come in lui stia sempre più prendendo importanza la ventiquattresima, la Bestia, la più pericolosa, che tende a sovrastare ogni altra. Un giorno Kevin rapisce tre ragazze. L’autore del “Sesto senso” e di “The village” gioca con i differenti generi, dal thriller al soprannaturale, dal dramma psicologico allo studio medico, non dimenticando Lynch o il viso e la risata del Nicholson di “Shining”. Durata 116 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
confezionatore di spuntini veloci per altrettanto pubblico frettoloso e dal poco spendere, il signor Ray Kroc pensa di allargare, in qualità di socio, l’attività dei pionieri su scala nazionale. Sappiamo tutti com’è andata a finire, successo successo successo, unendo artigianato e voglia di sperimentazione unita a una fragorosa mania di grandezza. Un avventura americana, una sfida e il sogno sempre ricercato, un’altra bella prova per il resuscitato Keaton, già pedina vincente di titoli quali “Birdman” e “Il caso Spotlight”. Durata 115 minuti. (Ambrosio sala 3)