“Dove sono Mumo, Lev, Helenio, George e Omar, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina”.Gigi Garanzini – biellese di nascita e langarolo d’adozione, eccellente giornalista sportivo –con il suo “Il minuto di silenzio”( Mondadori,2017), libro che narra la storia del calcio attraverso 141 dei suoi protagonisti che non sono più tra di noi, ci propone un incipit come quello dell’Antologia di Spoon River. I cinque aggettivi sono gli stessi della “collina” ma i riferimenti non sono i medesimi di Edgar Lee Masters. A parte “l’atletico” portiere Lev Jascin , mette in luce le caratteristiche umane ( forzandole un bel po’) di “Mumo” Orsi , attaccante italo-argentino degli anni ’30, del “mago” Herrera , del dissoluto e geniale George Best e dell’umorale e talentuoso Omar Sivori. Garanzini propone una “passeggiata della memoria”, dove la storia del calcio segue l’alfabeto dalla “a” di Enrico Ameri e Giovanni Arpino fino alla “zeta” del grande Ricardo Zamora, estremo difensore catalano, uno dei più grandi portieri di sempre. Per ognuno di loro una pagina e poco più. Il tempo di un minuto. Due, tre nel caso dei personaggi più straripanti: è quanto serve alla lettura di ciascuno dei ritratti di questi protagonisti che “dormono” per sempre “sulla collina del football”. Giovani vite stroncate come quelle di Gigi Meroni , Gaetano Scirea e Luciano Re Cecconi, vecchie glorie come Garrincha, Di Stéfano , Puskàs e Valentino Mazzola, narratori come Brera e Galeano, artisti della sfera di cuoio come Sindelar , Schiaffino e Cruijff. E ancora: arbitri come Concetto Lo Bello, allenatori come Bearzot, Pozzo, Lobanowski e il “paròn” Nereo Rocco , goleador come Meazza, Nordahl e Felice Levratto che sfondava le reti con le sue “bombe”, per non tralasciare grandi cronisti come Nicolò Carosio e Beppe Viola. “Se il calcio è rimasto di gran lunga il gioco più bello del mondo lo deve innanzitutto a loro – scrive Garanzini – e ai tanti altri che è stato emozionante scoprire o riscoprire. Quand’eran giovani e forti ci hanno fatto battere il cuore“. Quella che propone Gigi Garanzini è una rassegna del calcio mondiale da leggere come un racconto epico, dove ogni profilo equivale a “un fiore posato sulla tomba di un eroe”. E meritano tutti, uno dopo l’altro, un minuto di silenzio.
Marco Travaglini
Sabato 17 giugno ore 22.30 – Cinema Massimo 2

un’acuta selezione di testimonianze artistiche (una quarantina) delle due epoche, si prefigge di “verificare– sottolinea Luca Beatrice – se è possibile che ad alcuni momenti cruciali nella storia corrispondano altrettanti momenti in cui l’arte e la cultura abbiano cavalcato lo stesso entusiasmo”. Complice e protagonista della “sfida”, il visitatore. A lui il compito di “ricercare connessioni per analogia o antitesi che inneschino curiosità emozionali, dalla storia fino all’attualità”, riconoscendo “a pelle” in quella cabala(?), in quel magico connubio di due cifre, il 6 e lo 0, un potenziale di “vis umana” sconosciuta ad altri decenni -nonostante i cent’anni scivolati di mezzo- con il suo carico di eventi storici politici sociali e culturali capaci di rivoluzionare e rivoltare da capo a piedi la Storia del Bel Paese. Da un’Italia che si unisce nel 1861(un anno prima c’era stata l’impresa dei Mille e di quell’eroe degli eroi che fu Garibaldi, nonché di statisti che ad averceli oggi!) per diventare, nell’arco di appena ventitré mesi, un Regno non ancora del tutto completato, ma con ventisei milioni di abitanti; fino all’Italia del 1961
segnata dal boom economico, dall’esplosione demografica e da un’epocale spostamento migratorio interno verso città che si trasformano ben presto in metropoli work in progress. Ed è proprio allora che anche in Italia esplode, in campo artistico, il fenomeno della Pop Art, l’arte “ribelle”, quella dei “pittori maledetti” stregati dalle scuole in voga d’oltreoceano e intimamente ammaliata dagli eventi politici e sociali del tempo. Da Roma – con la Scuola di Piazza del Popolo – a Milano; da Firenze a Torino che proprio nel 1961 ridisegna (per il centenario dell’Unità) l’intero quartiere di Italia ’61. Il dialogo è soprattutto con New York, dove artisti come il calabrese Mimmo Rotella e Mario Schifano espongono nella leggendaria mostra “The New Realist” tenuta alla “Sidney Janis Gallery”. Mostri sacri, vere icone del Pop italiano. Che non potevano mancare all’appuntamento espositivo di Palazzo Carignano: il primo con i suoi “décollage” o “manifesti lacerati” di “illuminazione zen” (per autodefinizione), il secondo per i suoi inquietanti e di parca cromia “paesaggi anemici”, posti a fianco di un corale “Trasporto di Garibaldi ferito ad Aspromonte” (ultimo quarto del XIX secolo) a firma di Michele Cammarano, uno dei tanti pittori-soldati che parteciparono alle campagne per l’indipendenza, ritraendole poi nei propri quadri. Pittori di storia. Testimoni e cronisti.
Come Cesare Bartolena, Raffaele Pontremoli e Angelo Trezzini, le cui tele fanno da contrappunto in rassegna a quelle (occhieggianti alla pittura fiamminga olandese) di Massimo
D’Azeglio e del militare di carriera Cerruti Bauduc. A chiudere il decennio ottocentesco due preziose tempere-reportages di Carlo Bossoli, in esposizione permanente al Museo. Opere, in gran parte, celebrative. Ma non prive di passione e di un’intensità emotiva tale da rendere agevole il confronto con le “strane pronipoti Pop” del Novecento, provenienti da collezioni pubbliche e private nonché da prestiti di Intesa San Paolo Gallerie d’Italia e Fondazione Marconi. Autentici geniali capolavori: dalla “Venere a idrogeno” di Gianni Bertini all’“Indagine sul punto” di Tano Festa. Per non dimenticare il reiterato”Fascino”di Giosetta Fioroni così come le opere di Gianfranco Pardi, Emilio Tadini, Renato Mambor, Roberto Malquori e Valerio Adami, accanto alle improbabili figure di Enrico Baj, alle colorate giocosità di Ugo Nespolo e al poderoso “Mais” di Piero Gilardi o all’“Opera a Perti” di Aldo Mondino.
Tra i ritrattisti più famosi della storia della musica, capace di raccontare le leggende del rock, del jazz e del pop in uno scatto, Guido Harari è alla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (Cn), nel cuore delle Langhe patrimonio Unesco, con la mostra fotografica Wall of Sound 10 che inaugura sabato 17 giugno alle ore 18
Una creazione collettiva che ha avuto origine da Roque Fucci, artista e artigiano di origine argentina, e Andrès Aguirre, attore e regista messicano. Il Teatro Garabato o Piccolo Piccolo nasce dalla collaborazione tra un numero imprecisato di artisti e persone del quartiere
idee, il Garabato nasce per caso. Racconta Roque: “Andrès doveva preparare uno spettacolo e aveva bisogno di un posto in cui fare le prove. Io gli ho proposto di venire da me, nella stanza adiacente al mio laboratorio. Lui ha messo due stracci neri, uno per lato. E quando sono entrato in quella stanza e l’ho visto provare non avevo dubbi: quello era proprio un teatro”.
Al Garabato tutto è sperimentazione di livello e contaminazione di diverse discipline. Un luogo così intimo in cui è concesso inventare e reinventarsi, senza la pressione del rendere, di fare il tutto esaurito. Un luogo come contenitore di attività che di solito non entrano in teatro. Qui si possono trovare performance di artisti torinesi importanti che vogliono mettersi in gioco, reinventandosi ogni volta con regole diverse. Mettere in scena un disegno e operazioni di poesia collettiva sono solo alcune delle attività che sono state proposte in questo spazio.
“Giacomo Bove. Un esploratore e un sentiero tra Verbano e Ossola” è il titolo del libro di Pietro Pisano pubblicato – in versione aggiornata e arricchita – dal Magazzeno Storico Verbanese
Dopo un breve riposo a Maranzana si dedicò ad un progetto tutto italiano per l’esplorazione delle regioni Antartiche. Nel 1881 e nel 1883 esplorò la Patagonia e la Terra del Fuoco fino a capo Horn e ancora il territorio delle Missiones, l’Alto Paranà il Paraguay, il corso dei fiumi Paranà, Iguazù, Itambè-Guazù. Nel 1885 esplorò in Africa il corso del fiume Congo fino alle cascate di Stanley, in questa occasione probabilmente contrasse anche la malaria. Morì suicida a Verona nell’agosto del 1887. Pietro Pisano del grande e sfortunato esploratore ricostruisce la vita, le spedizioni antartiche, in estremo Oriente, in Africa, le amicizie e passaggi sul Verbano. L’incontro di Giacomo Bove con il lago Maggiore avvenne ad Intra quando – invitato dalla Sezione del Club alpino del Verbano – tenne una memorabile conferenza il 31 luglio 1880, nell’ambito di un progetto di conferenze che il CAI nazionale aveva indetto in tutta Italia per finanziare il viaggio in Antartide. i fondi. A causa dei costi, ritenuti eccessivi (600.000 lire dell’epoca, pari a circa 3 milioni di euro attuali), l’iniziativa non ebbe seguito.
Dopo il suo suicidio, che creò grandi polemiche, il Cai verbanese, con un atto di coraggio per quei tempi, gli dedicò “il sentiero Bove”, utilizzando i fondi raccolti ai quali aggiunse altre mille lire per il suo completamento. Allo sfortunato esploratore venne così intitolata la prima via ferrata d’Italia, che si sviluppa sulle creste tra Zeda, Laurasca, Bocchetta di Campo e Marona, tra Verbano e Ossola, in uno scenario di rara bellezza, ricco di storia e di leggende. Con il suo libro, Pietro Pisano, pubblicando documenti inediti e materiale raro, ha inteso – riuscendovi pienamente – rendere merito a un personaggio straordinario, ingiustamente scivolato nell’oblio della storia. Ricostruendone la vita, contribuisce anche a fare chiarezza sulle vicende di fondazione del sentiero verbanese-ossolano che al Bove – come si è detto – è dedicato: la più antica, ardita e spettacolare via ferrata d ‘Italia.
Il 21 giugno si celebra la Festa della Musica, un appuntamento che a Torino si tiene da sei anni per iniziativa dei Mercanti di Note e che dal 16 al 21 giugno tornerà a far risuonare di concerti le strade del Quadrilatero Romano, le vie e le piazze del centro storico.
Si è aperto ieri al Circolo dei lettori il Festival Nazionale Luigi Pirandello. Alla sua XI edizione festeggia i 150 anni dalla nascita del grande drammaturgo siciliano con spettacoli di prosa, incontri e una mostra multimediale creata ad hoc per celebrare questo speciale compleanno e il legame tra Pirandello e il Piemonte. La kermesse, diretta dal regista torinese Giulio Graglia, prende il là da un curioso aneddoto che forse non tutti conoscono. Nel 1901 il premio Nobel per la letteratura trascorse un soggiorno estivo a Coazze, in Val Sangone, presso la sorella Lina. Di quella villeggiatura che precede la sua fama rimane un taccuino di appunti dove Pirandello annotò una serie di spunti e personaggi utilizzati nelle sue opere e il motto che campeggia sul campanile della cattedrale di Coazze “Ognuno a suo modo” che sarebbe stato poi ripreso per il titolo dell’opera “Ciascuno a suo modo”.