Oggi, venerdì 24 novembre prende il via la nuova edizione del TFF. “ Il nostro impegno nel sostenere questo Festival – dichiarano Antonella Parigi e Francesca Leon, assessori alla Cultura rispettivamente per la Regione Piemonte e per la Città di Torino – guarda sia alla qualità culturale espressa sia alla valorizzazione messa in campo nel settore cinematografico, ambito strategico per lo sviluppo espressivo del territorio”. E il principale intento di valorizzare il territorio della nostra regione è appunto quello che caratterizza la Film Commission Torino Piemonte. Uno dei film che ha avuto il suo sostegno è “ Vai piano ma vinci” di Alice Filippi, che sarà proiettato al Reposi domenica 26 novembre alle ore 20,30 e lunedì 27 novembre alle ore 11,15 . Prodotto dalla MOWE di Roberta Trovato, è stato realizzato anche con il sostegno di Mibact –Direzione Generale per il Cinema. Si tratta di una storia vera,che ricostruisce la vicenda del rapimento dell’industriale monregalese Pier Felice Filippi ad opera della ‘ndrangheta ai tempi degli Anni di Piombo. Il film è stato girato a Mondovì nell’estate 2016 da Alice Filippi, figlia di Pier Felice, che, oltre ad averlo scritto e diretto, ne è anche protagonista come attrice, recitando nel ruolo della madre. Per approfondire le motivazioni e i retroscena del film abbiamo rivolto alcune domande alla regista.
Per quale motivo solo ora, dopo tanto tempo, è stato deciso di parlare di questa vicenda, che risale al 1978?
“ Subito dopo l’evento, mio padre non aveva più voluto parlarne. All’inizio non ci fu nessuno strascico, nessun racconto a casa. Ma nel 2011 si era pensato di riportare alla luce quella tragica vicenda. Erano passati molti anni e forse proprio per questo, dato che esperienze così drammatiche e dolorose hanno bisogno appunto di tempo per decantarsi, mio padre aveva pensato di riportarle alla luce. Inizialmente si era pensato di farlo con un libro, ma io, non essendo particolarmente versata nella scrittura, scartai quell’idea e pensai invece di farne un film. Iniziai a contattare tutte quelle persone che in qualche modo avevano avuto a che fare con quei fatti, sia familiari sia amici stretti sia forze dell’ordine. Chiamai un fonico e un operatore, poi contattai Roberta Trovato, che accettò di produrlo. Per ricostruire la vicenda, iniziai a fare mille domande a mio padre. Durante le riprese del film mio padre scherzosamente mi disse che nemmeno i carabinieri ,dopo che era riuscito a scappare dai rapitori, gli avevano fatto un interrogatorio così lungo. “
Fu un’esperienza che segnò in modo profondo tutta la vostra famiglia.
“Quando avevo 18 anni, se uscivo ricordo che mia nonna diceva a mio nonno di seguirmi con la macchina fino a casa, perchè Pier Felice era stato rapito a tarda sera proprio sotto casa. Per mia nonna fu una ferita grande. Senza parlare del nonno… Le telefonate erano intercorse proprio tra il nonno e il telefonista della banda dei rapitori e furono tutte registrate. Le registrazioni di
queste telefonate furono conservate per anni dentro un cassetto da mio nonno. Dopo la sua morte e durante il trasloco che ne conseguì le ritrovai per caso proprio in quel cassetto. Si trattava di qualcosa di veramente molto forte. Una di quelle cassette riportava la dicitura. “ Paura di un padre”.
Suo padre era un appassionato rallysta, come del resto suo nonno, come Giancarlo, suo fratello morto prematuramente in un incidente , senza parlare di Luca…
“ Il rally si può dire faccia parte del DNA della nostra famiglia. Luca Filippi, mio fratello, è infatti un grande campione e sarà l’unico pilota italiano al via della Formula E che scatta il 2 e 3 dicembre a Hong Kong al fianco di Oliver Turvey.”
Il suo film contiene un messaggio particolare?
“ E’ una storia di speranza e di determinazione. Quella di mio padre fu una fuga calcolata nell’attesa del momento giusto. Dopo essersi tolto inizialmente la catena , se la rimise per non destare sospetti e poter così sfruttare il momento favorevole. Usò intelligenza e fermezza per arrivare all’obiettivo ma senza strafare, come si vede invece nelle fughe sensazionali e rocambolesche dei film.”
Helen Alterio

American Assassin – Azione. Regia di Michael Cuesta, con Michael Keaton, Shiva Negar e Dylan O’Brien. Tratto dal romanzo di Vincent Flynn, tratteggiato tra Istanbul e Roma, tra Londra e Tripoli, è la storia di Mitch Rapp, che poco più che ventenne, vuole vendicarsi della morte della fidanzata, vittima di un attentato. Verrà allenato da un veterano dei Navy Seals per entrare in un programma della Cia volto ad addestrare gli “assassini americani” implacabili pedine dell’antiterrorismo. Il suo primo obiettivo sarà colpire il misterioso Ghost, che è in possesso di una bomba di settanta chili di plutonio in grado di scatenare la Terza Guerra mondiale. Durata 112 minuti. (Greenwich sala 3, Massaua, The Space, Uci)
Gudnason e Stellan Skarsgård. Due campioni, due storie e due personalità diversissime, gli stili che catturano opposte folle di fan, i movimenti freddi e calibrati dell’uno contro quelli nervosi e impetuosi dell’altro, la calma contro il nervosismo, la loro rivalità che li vide a confronto per 14 volte tra il ’78 e il 1981, fino alla finale di Wimbledon, che qualcuno ancora oggi considera una delle più belle partite della storia del tennis. Fino alla loro amicizia, fuori dai campi. Durata 100 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Reposi, The Space, Uci)
Caccia al tesoro – Commedia. Regia di Carlo Vanzina, con Vincenzo Salemme, Serena Rossi, Cristiano Filangieri e Carlo Buccirosso. Siamo dalle parti di “Operazione San Gennaro”, con un impareggiabile Nino Manfredi e la bonomia della Senta Berger, anno di grazia 1966, regia perfetta di Dino Risi. Anche oggi il fine, nobilissimo, è quello di rubare il tesoro del santo partenopeo, mentre la causa è il figlio malato della vedova Rossi, operabile negli States con la complicità del cognato Salemme. Durata 90 minuti. (Greenwich sala 1, Ideal, The Space, Uci)
Anthony Mackie. Premio Oscar, l’autrice di “The hurt rocker” e di “Zero Dark Thirty” guarda oggi a quei fatti sanguinosi scoppiati nel luglio del 1967 in un locale privato – privo di licenza – dove un gruppo di persone di colore festeggiavano due ragazzi, anch’essi di colore, ritornati a casa dalla guerra del Vietnam. Lo sguardo sulla repressione seguita, le violenze della reazione, l’invio da parte del governatore Romney della Guardia Nazionale e da parte del presidente Johnson dell’esercito: contro chi vorrebbe seguire ogni regola della legalità c’è chi con violenza la oltrepassa, facendosi forte dell’omertà che nelle forze di comando si fa ben visibile. Lo sguardo sui fatti dell’hotel Algiers, dove tre ragazzi, tra i 17 e i 20, sono barbaramente trucidati. I responsabili, al processo, non subiranno nessuna condanna. Durata 143 minuti. (Ambrosio sala 1, Lux sala 3, Uci)
Gifted – Il dono del talento – Regia di Marc Webb, con Chris Evans, Mckenna Grace e Octavia Spencer. Al centro Mary, una ragazzina di sette anni, che come la madre ha una passione incondizionata per la matematica; accanto a lei lo zio Franck che vorrebbe offrire alla nipotina una vita normale e la nonna materna per cui quella passione va di giorno in giorno accresciuta. Durata 101 minuti. (Greenwich sala 3)
Ben Whishaw. L’orsetto inventato dalla fantasia dello scrittore inglese Michael Bond è in cerca di un regalo per la centenaria zia Lucy. Scova nel negozio di antiquariato del signor Gruber un antico libro, prezioso, che verrà rubato e del cui furto verrà sospettato un fascinoso attore. Durata 95 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)
a Milano. Giorgio è un giornalista di successo, apprezzato dai colleghi e dal pubblico, famoso volto televisivo, separato dalla moglie, discorsi con il figlio a livello pressoché zero. Il quale ultimo è un adolescente indolente, chiuso, refrattario a tutto e a tutti, incapace o senza la minima voglia di trasmettere le proprie emozioni agli altri, che si sente soffocato dalle attenzioni altrui, il suo (ristretto, piccolo) mondo sono gli amici per parlare di niente e i videogiochi Nemmeno l’invito del padre ad andare a fare insieme la vendemmia lo smuove: o forse sì, e allora potrebbe essere il modo per tentare di costruire insieme un minimo di comunicazione. Dal romanzo di Michele Serra. Durata 103 minuti. (Massaua, Due giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Reposi, Romano sala 2, The Space, Uci)
The Place – Drammatico. Regia di Paolo Genovese, con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini, Silvio Muccini, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi. Un film corale, un’ambientazione unica, una bella carrellata di attori italiani per altrettanti personaggi che Paolo Genovese – l’autore di quel piccolo capolavoro che è “Perfetti sconosciuti” – ha basato su una serie americana, ripensata e adattata, “The Booth at the Edge”, creta dall’autore e produttore Christopher Kubasik nel 2010. Un uomo misterioso, giorno e notte ospite abituale di un bar, con il suo tavolo sul fondo del locale, e personaggi e storie che a lui convogliano, di uomini e donne, lui pronto a esaudire desideri e a risolvere problemi in cambio di alcuni “compiti” da svolgere. Tutti saranno pronti ad accettare quelle richieste? Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 2, Reposi, The Space, Uci)
Hauer, Franco Nero, Christopher Lambert e Michael Madsen. Nel futuro descritto dal film la carta è diventata un bene prezioso, quindi è proibito stampare e le biblioteche sono luoghi cui pochi studiosi possono accedere. L’arrivo in Italia di un celebre accademico è l’occasione per indagare su una serie di delitti, con strane testimonianze e indizi che scomodano Dante e Hieronymus Bosch. Girato in parte a Torino e in località facilmente riconoscibili dal pubblico piemontese. Solita compagnia di celeberrimi attori che da sempre (ri)vivono nel cinema di Nero. Durata 120 minuti. (Ideal)
Ali Fazal, Michael Gambon e Olivia Williams. Nel 1887 Abdul lascia l’India per Londra, per poter donare alla regina settantenne, sul trono da oltre cinquant’anni, una medaglia, proprio in occasione del suo Giubileo d’Oro. La sovrana è attratta dalla cultura che l’uomo porta con sé, dalla sua giovinezza e dalla prestanza, contro lo scandalo che il suo nuovo amico semina in tutta la corte, che non esita a bollarla come pazza. Più “storiucola” che Storia, a tratti imbarazzante per quell’aria di operetta senza pensieri che circola all’interno: naturalmente per il regista di “Philomena” (da ricordare) e di “Florence” (da dimenticare) il ventiquattrenne Abdul è senza macchia, la vecchia e inamidata corte inglese da mettere alla berlina e allo sberleffo, il piccolo entourage regale che grida “sommossa” se ne ritorna tranquillo a servire la vecchia sovrana. Ma ci voleva ben altro polso e visuale, e qui Frears ha tutta l’aria di voler andare in pensione. Durata 112 minuti. (Romano sala 3)
Forse è già tutto chiaro, fin da quel semplice puzzle in locandina che ci mostra un Goldoni di cui non resta che l’immagine mentre il resto, giacca calzoni rossi e sneakers immacolate, è catapultato nei giorni nostri. Ieri e oggi, insomma. Senza tanto sottilizzare

svenevoli, bugiarde, passionali, incantevoli, tutte da citare: Sara Drago che è Checca, la scoperta da continuare a seguire che è l’Orsetta di Barbara Mazzi, Rebecca Rossetti e la sua Lucietta che mi pare un istrice, Elena Aimone e Beatrice Vecchione; mentre sul versante maschietti da tener d’occhio le prove di Matteo Alì, un Titta-Nane sanguigno e pronto a chiamare in causa il pubblico sulle sue tragedie amorose e sulla loro conduzione, e di Raffaele Musella, un Toffolo tutto vivacità, pronto a punteggiare con Ferrini un elenco di pericolosi manigoldi e di testimoni degno di tutto l’umorismo di Totò e Peppino. Bravi, e lo spettacolo finisce con l’essere in gran parte davvero loro.
scrittrice pubblicando, fra le sue tante opere, “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, la raccolta di racconti “Buio” che ha vinto il Premio Strega, “Il gioco dell’universo”, Il treno dell’ultima notte”, “La seduzione dell’altrove”, “La grande festa”. Nel 2014 l’Università Bocconi, per iniziativa degli studenti, le ha riconosciuto il “Dante d’oro” per l’opera omnia.
Continua la grande musica alle OGR
reciproco.
LE POESIE DI ALESSIA SAVOINI
Generare benessere attraverso un’esperienza sensoriale, creativa e di apprendimento attraverso l’arte: è questa la filosofia assolutamente fuori dagli schemi alla base dell’innovativo progetto Wellness Creative®,
di Enzo Biffi Gentili
“spettrale”, il protagonista, chiesta in sposa una giovane sensitiva, e portata a vivere in un castelletto tra il neogotico e l’art nouveau -gli stili preferiti dalla scrittrice, come risulta da molte sue prove- affermerà, a cifra e sigla finale della narrazione, “tout est mort”. Qui si trovano probabilmente i primi motivi delle limitate attenzioni critiche, e delle scarne notizie al momento della sua scomparsa: Elisabetta infatti non ha mai aderito o concorso alla “narrazione” tutta positiva della città in cui viveva così come si è colpevolmente diffusa e imposta negli ultimi anni. Di Torino, lei ha rappresentato magistralmente il dark side, e tra i suoi ispiratori ha sempre dichiarato le figure di grandi marginali. A partire dal padre Riccardo, il pittore, grande eccentrico (e come tale ricordato nel volume EccentriCity. Arti applicate a Torino 1945-1968 (Fondazione per il Libro la Musica e la Cultura e MIAAO 2003), curato da chi scrive con Francesca Comisso e Luisa Perlo. Ma
Elisabetta Chicco, rara figura di dandy al femminile, si scelse altri maestri e compagni non iscrivibili tra i produttori di idee ricevute: su tutti, Italo Cremona, pittore e scrittore cultore dell’isolamento, non inseribile in un’altra narrazione, quella della Torino politicamente “regolare”, comunque sempre da venerare, con i suoi numi tutelari, da Gramsci a Gobetti al gruppo degli allievi antifascisti del Liceo d’Azeglio. E autore di due libri centrali nella formazione di Elisabetta: Il tempo dell’art nouveau (1ª ed. Vallecchi 1964) e La coda della cometa (1ª ed. Vallecchi 1968), un altro romanzo sulla fine del mondo, osservata da Torino. La Chicco fu anche compagna di scuola, amica e fine lettrice di Furio Jesi, eminente studioso di miti, esoterici misteri e di letteratura tedesca, ma anche narratore con L’ultima notte (Marietti 1987) , un romanzo “vampirico” nel quale si prefigura una battaglia finale tra umani e immorti. Concludo, a proposito di mancata considerazione di uno scrittore, segnalando la recentissima riedizione del perturbante romanzo “lovecraftiano” di un altro torinese scomparso e dimenticato, Giorgio De Maria, critico, autore teatrale e fondatore del gruppo musicale “impegnato” Cantacronache: Le venti giornate di Torino. Inchiesta di fine secolo (Frassinelli 2017), apparso per la prima volta nel 1977 presso un piccolo editore, Il Formichiere, ma riscoperto, tradotto e pubblicato agli inizi di quest’anno a New York per i tipi di W.W. Norton. Morale della storia: Elisabetta Chicco, Jesi, De Maria non beneficiarono della promozione, ad altri attuali autori di minor valore concessa, della cultura progressista. Nonostante fossero tutti e tre di sinistra, vera, ma “nera”…
L’esposizione, ideata dal direttore di Palazzo Madama Guido Curto e curata insieme agli storici dell’arte del museo, racconta il cammino dell’Umanità sul pianeta Terra nel corso di una Storia plurimillenaria