LE TRAME DEI FILM
NELLE SALE DI TORINO
A cura di Elio Rabbione
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American Assassin – Azione. Regia di Michael Cuesta, con Michael Keaton, Shiva Negar e Dylan O’Brien. Tratto dal romanzo di Vincent Flynn, tratteggiato tra Istanbul e Roma, tra Londra e Tripoli, è la storia di Mitch Rapp, che poco più che ventenne, vuole vendicarsi della morte della fidanzata, vittima di un attentato. Verrà allenato da un veterano dei Navy Seals per entrare in un programma della Cia volto ad addestrare gli “assassini americani” implacabili pedine
dell’antiterrorismo. Il suo primo obiettivo sarà colpire il misterioso Ghost, che è in possesso di una bomba di settanta chili di plutonio in grado di scatenare la Terza Guerra mondiale. Durata 112 minuti. (The Space, Uci)
Amori che non sanno stare al mondo – Drammatico. Regia di Francesca Comencini, con Lucia Mascino, Thomas Trabacchi, Iaia Forte e Carlotta Natoli. Una vicenda con tanti bassi (di vita e di cinema) e qualche alto, un amore improvviso, sragionato e possessivo di lei per un uomo che dovrebbe fuggirne sin dal primo istante. Dopo anni di relazione si lasciano, lui finalmente trova un nuovo amore in una ragazza più giovane, lei prova tra le braccia di una sua lodatissima studentessa. Uno sguardo tutto al femminile, un’altalena continua di tempi e di sentimenti, una scrittura che fa tanto letteratura ma che non riesce a coinvolgere mai lo spettatore. Anzi lo irrita, per quell’aria da saputelle intransigenti e battagliere di interprete e di regista. Tratto dal romanzo omonimo della Comencini. Durata 92 minuti. (Eliseo Blu, Lux sala 3, Uci)
Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione
cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Eliseo Grande, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)
Bad Moms 2 – Mamme molto più cattive – Commedia. Regia di Jon Lucas e Scott Moore, con Mila Kunis, Susan Sarandon e Kristen Bell. Le tre mamme che nel precedente film hanno incassato inaspettatamente fior di dollari (un incasso mondiale di 183 milioni), tornano per questa seconda avventura con le loro rispettive genitrici, per mostrarci anche la faccia della terza età. Il natale è alle porte, le cattive mamme, quantomai controcorrente, non riescono a far fronte ai troppi impegni, ai figli, ai regali, agli inviti e al pranzo: l’arrivo delle nonne dovrebbe dare man forte alle sprovvedute. Ma con quali risultati. Durata 104 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
Borg McEnroe – Drammatico/biografico. Regia di Janus Metz Pedersen, con Shia LaBeouf, Sverrir Gudnason e Stellan Skarsgård. Due campioni, due storie e due personalità diversissime, gli stili che catturano opposte folle di fan, i movimenti freddi e calibrati dell’uno contro quelli nervosi e impetuosi dell’altro, la calma contro il nervosismo, la loro rivalità che li vide a confronto per 14 volte tra il ’78 e il 1981, fino alla finale di Wimbledon, che qualcuno ancora oggi considera una delle più belle partite della storia del tennis. Fino alla loro amicizia, fuori dai campi. Durata 100 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Uci)
Caccia al tesoro – Commedia. Regia di Carlo Vanzina, con Vincenzo Salemme, Serena Rossi, Cristiano Filangieri e Carlo Buccirosso. Siamo dalle parti di “Operazione San Gennaro”, con un impareggiabile Nino Manfredi e la bonomia della Senta Berger, anno di grazia 1966, regia perfetta di Dino Risi. Anche oggi il fine, nobilissimo, è quello di rubare il tesoro del santo partenopeo, mentre la causa è il figlio malato della vedova Rossi, operabile negli States con la complicità del cognato Salemme. Durata 90 minuti. (Ideal, Uci)
Detroit – Drammatico. Regia di Kathryn Bigelow, con Hanna Murray, John Boyega, Will Poulter e
Anthony Mackie. Premio Oscar, l’autrice di “The hurt rocker” e di “Zero Dark Thirty” guarda oggi a quei fatti sanguinosi scoppiati nel luglio del 1967 in un locale privato – privo di licenza – dove un gruppo di persone di colore festeggiavano due ragazzi, anch’essi di colore, ritornati a casa dalla guerra del Vietnam. Lo sguardo sulla repressione seguita, le violenze della reazione, l’invio da parte del governatore Romney della Guardia Nazionale e da parte del presidente Johnson dell’esercito: contro chi vorrebbe seguire ogni regola della legalità c’è chi con violenza la oltrepassa, facendosi forte dell’omertà che nelle forze di comando si fa ben visibile. Lo sguardo sui fatti dell’hotel Algiers, dove tre ragazzi, tra i 17 e i 20, sono barbaramente trucidati. I responsabili, al processo, non subiranno nessuna condanna. Durata 143 minuti. (Greenwich sala 1)
Il domani tra di noi – Drammatico. Regia di Hans Abu-Assad, con Kate Winslet e Idris Elba. Un aereo privato con a bordo una giornalista e un medico, incidente sulle montagne innevate dello Utah, mancanza di soccorsi, sopravvivenza ad ogni costo, lacrime disperazione ferite vedrai che ce la faremo non ce la potremo mai fare, primi sentimenti, amore. Catastrofe finale o salvezza? Durata 112 minuti. (Ideal)
Due sotto il burqa – Commedia. Regia di Suo Abadi, con Félix Moati, Camélia Jordan e William
Lebghil. Leila e Armand dagli studi di scienze politiche a Parigi vorrebbero passare a uno stage alle Nazioni Unite. A pochi giorni dal viaggio, in casa della ragazza piomba il fratello Mahmoud, proveniente dallo Yemen dove ha abbracciato il radicalismo islamico. Innanzitutto, impedisce ai due giovani di frequentarsi: ad Armand non rimane che indossare il niqab e presentarsi così alla ragazza che ama, come una studentessa che ha bisogno di lezioni. Ma che succederà se Mahmoud si innamora di quella “ragazza” e la chiede in moglie? Durata 88 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Ideal, Massimo sala 2 anche V.O., Uci)
Finché c’è prosecco c’è speranza – Giallo. Regia di Antonio Padovan, con Giuseppe Battiston, Roberto Citran e Silvia D’Amico. Tra le colline venete e i filari e le cantine, l’ispettore Stucky – radici veneziane e persiane, appena promosso, impacciato ma pieno di talento, deve fare i conti con le proprie paure e con un passato ingombrante – è chiamato a risolvere quello che a tutti pare un caso di suicidio, quello del ricco possidente Desiderio Ancillotto. La terra, la proprietà, la passione e la professione: là si nasconde un assassino. Durata 101 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 2)
Flatliners – Linea mortale – Drammatico. Regia di Niels Arden Oplev, con Diego Luna, Nina Dobrev, Ellen Page e James Norton. Una studentessa di medicina, ossessionata dalla morte della sorella, spinge i suoi compagni di corso ad un esperimento: dovranno fermarle il cuore con un defibrillatore per sessanta secondi e registrare i ricordi del suo cervello prima di riportarla in vita. Se non ci fosse modo di interrompere le allucinazioni che scoppiano in quel breve tempo? Remake di un film del ’90 di Joel Schumaker, con una giovanissima Julia Roberts. Durata 110 minuti. (Uci)
Free Fire – Drammatico. Regia di Ben Wheatley, con Harmie Hammer, Brie Larson e Cillian Murphy. Una vendita clandestina di armi in un appartato capannone, nella Boston sul finire degli anni Settanta. Militanti dell’IRA, trafficanti sudafricani, intermediari. Tutto sembra correre sui binari prestabiliti ma un incidente scatena una lunga sparatoria che attraversa l’intero film. Scorsese produce, il Tarantino delle Iene è dietro l’angolo dei ricordi. Durata 90 minuti. (Classico)
Happy End – Drammatico. Regia di Michael Haneke, con Isabelle Huppert e Jean Louis Trintignant. Una famiglia dell’alta borghesia a Calais. Il padre è il fondatore di un’azienda, ora guidata dalla figlia e dal nipote ribelle. Si devono risolvere i problemi che stanno dentro la fabbrica (qui è successo un incidente che ha provocato la morte di una persona) e la famiglia (qui il fratello della donna si risposa e inizia ad avere problemi con la figlia di primo letto, che gli è stata affidata dopo che la madre è stata ricoverata): tutto questo mentre i migranti stazionano sulle spiagge e creano tendopoli. Durata110 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Romano sala 1)

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 1)
Loveless – Drammatico. Regia di Andrei Zvyagintsev, con Alexei Rozin e Maryana Spivak. Premio della giuria a Cannes. Un uomo e una donna, dopo anni di matrimonio, si dividono, hanno già costruito altre relazioni. Una separazione carica di rancori e recriminazioni. Nella loro vita Alyosha, un figlio non amato, vittima dell’indifferenza e dell’egoismo, che dopo l’ennesimo litigio, scompare. Supplendo al lavoro della polizia, un gruppo di volontari si mette alla ricerca del bambino, senza risultati. Durata 127 minuti. (Romano sala 2)
Justice League – Fantasy. Regia di Joss Whedon e Zack Snyder, con Ben Affleck, Amy Adams, Henry Cavill e Jeremy Irons. A Gotham City, Batman nutre la speranza di riunire un valoroso gruppo di eroi per fronteggiare l’ultima terribile pericolo. Chiaro che per la salute del film tutti aderiscano, da Wonder Woman a Flash più veloce della luce, da Aquaman ipertecnologici signore degli oceani a Cyborg. Manca soltanto Superman ma prima o poi anche lui sarà della partita. Durata 121 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)
Paddington 2 – Commedia. Regia di Paul King, con Brendan Gleeson, Hugh Grant, Sally Hawkins e Ben Whishaw. L’orsetto inventato dalla fantasia dello scrittore inglese Michael Bond è in cerca di un regalo per la centenaria zia Lucy. Scova nel negozio di antiquariato del signor Gruber un antico libro, prezioso, che verrà rubato e del cui furto verrà sospettato un fascinoso attore. Durata 95 minuti. (Uci)
Il premio – Commedia. Regia di Alessandro Gassman, con Gigi Proietti, Anna Foglietta, Rocco
Papaleo, Matilda De Angelis e Alessandro Gassman. Un road movie, sguardo tra generazioni, una vena di autobiografia. Un vecchio padre, grande scrittore, si reca a Stoccolma, in un lungo viaggio in macchina, per ricevere il Nobel per la letteratura. Lo accompagnano i figli, due tra i tanti che ha avuto per il mondo, e il fedele segretario. Sarà un viaggio utile, tra incontri e scoperte che potranno cambiare i vecchi rapporti. Durata 96 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)
Gli sdraiati – Commedia. Regia di Francesca Archibugi, con Claudio Bisio e Gaddo Bacchini. Giorgio e Tito sono padre e figlio. Due mondi opposti che si scontrano all’interno di un appartamento a Milano. Giorgio è un giornalista di successo, apprezzato dai colleghi e dal pubblico, famoso volto televisivo, separato dalla moglie, discorsi con il figlio a livello pressoché zero. Il quale ultimo è un adolescente indolente, chiuso, refrattario a tutto e a tutti, incapace o senza la minima voglia di trasmettere le proprie emozioni agli altri, che si sente soffocato dalle attenzioni altrui, il suo (ristretto, piccolo) mondo sono gli amici per parlare di niente e i videogiochi Nemmeno l’invito del padre ad andare a fare insieme la vendemmia lo smuove: o forse sì, e allora potrebbe essere il modo per tentare di costruire insieme un minimo di comunicazione. Dal romanzo di Michele Serra. Durata 103 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Reposi, Romano sala 3, Uci)
Seven Sisters – Fantascienza. Regia di Tommy Wirkola, con Noomi Rapace, Glenn Close e Willem Dafoe. Un’attrice sola per sette diversi ruoli, un futuro più o meno lontano in cui la sovrapposizione terrestre ha portato all’applicazione di una rigidissima politica del figlio unico su scala globale. Ma da anni, sette sorelle, che hanno il nome dei giorni della settimana, vivono in segreto in un appartamento, uscendone una per ogni giorno della settimana, con la stessa identità. Poi, un lunedì, Monday non torna a casa. Durata 123 minuti. (The Space, Uci)
Smetto quando voglio – Ad honorem – Commedia. Regia di Sydney Sibilia, con Edoardo Leo, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Neri Marcorè e Luigi Lo Lascio.Terzo e ultimo capitolo della fortunata saga sulla banda di ricercatori, vittime della crisi e di un precariato che va sempre più stretto a chi può mettere in campo lauree con ottimi voti, che abbiamo conosciuto come inventori di una droga sintetica legale e in seguito come collaboratori in incognito della polizia: oggi sono in procinto di evadere tutti quanti insieme di prigione per ritrovarsi dove tutto è cominciato, alla Sapienza di Roma, per contrastare l’ultimo nemico, il crudele e pericolosissimo Mercurio. Durata 96 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)
Suburbicon – Drammatico. Regia di George Clooney, con Matt Damon, Julianne Moore e Oscar
Isaac. Una storia scritta anni fa dai fratelli Coen. Al centro le case e i viali ordinati du Suburbicon, cittadina americana emersa negli anni Cinquanta. Da un lato, il personaggio di Matt Damon, ineccepibile padre di famiglia, che nasconde sotto le buone maniere e tutto l’affetto il desiderio di far fuori la moglie, con l’aiuto della cognata con cui vuole iniziare una nuova vita (entrambi i personaggi affidati alla Moore). Dall’altro, la comunità tanto perbene che accende le polveri allorché quell’angolo di paradiso vede all’improvviso la presenza di una famiglia di colore. L’intolleranza razziale esplode. Durata 105 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Massimo sala1, Reposi, The Space, Uci)
The Place – Drammatico. Regia di Paolo Genovese, con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini, Silvio Muccini, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi. Un film corale, un’ambientazione unica, una bella carrellata di attori italiani per altrettanti personaggi che Paolo Genovese – l’autore di quel piccolo capolavoro che è “Perfetti sconosciuti” – ha basato su una serie americana, ripensata e adattata, “The Booth at the Edge”, creta dall’autore e produttore Christopher Kubasik nel 2010. Un uomo misterioso, giorno e notte ospite abituale di un bar, con il suo tavolo sul fondo del locale, e personaggi e storie che a lui convogliano, di uomini e donne, lui pronto a esaudire desideri e a risolvere problemi in cambio di alcuni “compiti” da svolgere. Tutti saranno pronti ad accettare quelle richieste? Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 3, Uci)
The Big Sick – Commedia drammatica. Regia di Michael Showalter, con Zoe Kazan, Kumail Nanjiani e Holly Hunter. È l’autobiografia del protagonista maschile del film, un giovane comico che di giorno a Chicago guida il suo taxi per conto di Uber e che la sera si fa conoscere nei piccoli club della città. La famiglia crede molto in lui, ritenendolo uno studente di successo e un ragazzo destinato al miglior partito pakistano che si possa immaginare. Sino al precipitare delle cose, l’amore che unisce Kumail e Emily, bianca e ancor più sposata, la malattia di lei, le due diverse famiglie che si ritrovano allo stesso capezzale. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 3, Centrale V.O.)
The Square – Drammatico. Regia di Ruben Östlund, con Elisabeth Moss, Dominic West, Claes Bang, Terry Notary e Linda Anborg. Palma d’oro all’ultimo Cannes. Protagonista del film è Christian,
curatore di un importante museo di Stoccolma, divorziato e amorevole padre di due bambine, sempre all’inseguimento delle buone cause. Nel museo c’è grande fermento per il debutto di un’installazione, “The Square”, che invita all’altruismo e alla condivisione (“il quadrato è un santuario di fiducia e altruismo”): ma quando gli vengono rubati il cellulare e il portafoglio per strada, Christian reagisce in modo scomposto. Nel frattempo, l’agenzia che cura le pubbliche relazioni del museo crea un’inaspettata campagna pubblicitaria a promuovere l’installazione, ottenendo una risposta da parte del pubblico che manda in crisi sia Christian che il museo stesso. Strano e brillante, pieno di interrogativi, simpatico (si ride! si ride!), certo meno “chiarito” rispetto a quel “Forza maggiore” che ci aveva fatto conoscere il regista svedese all’interno del TFF, da guardare (e da ammirare) con occhio decisamente interessato non nella sua complessità ma nei grumi di scene che via via si susseguono e si solidificano, tra il filosofico e il divertito (eccezionale la scena della performance dell’uomo scimmia, costellata dalla curiosità e dallo scetticismo e dalla allegria attenta del pubblico, pronti a farsi terrore), nello sguardo ironico buttato sulla pochezza e sulle turlupinatura di certa arte contemporanea (i vari mucchietti di sabbia che danno vita ad una installazione recuperati in un sacco della spazzatura da un addetto alle pulizie). Durata 142 minuti. (Nazionale sala 2)
Vittoria e Abdul – Drammatico (ma piuttosto commedia). Regia di Stephen Frears, con Judy Dench, Ali Fazal, Michael Gambon e Olivia Williams. Nel 1887 Abdul lascia l’India per Londra, per poter donare alla regina settantenne, sul trono da oltre cinquant’anni, una medaglia, proprio in occasione del suo Giubileo d’Oro. La sovrana è attratta dalla cultura che l’uomo porta con sé, dalla sua giovinezza e dalla prestanza, contro lo scandalo che il suo nuovo amico semina in tutta la corte, che non esita a bollarla come pazza. Più “storiucola” che Storia, a tratti imbarazzante per quell’aria di operetta senza pensieri che circola all’interno: naturalmente per il regista di “Philomena” (da ricordare) e di “Florence” (da dimenticare) il ventiquattrenne Abdul è senza macchia, la vecchia e inamidata corte inglese da mettere alla berlina e allo sberleffo, il piccolo entourage regale che grida “sommossa” se ne ritorna tranquillo a servire la vecchia sovrana. Ma ci voleva ben altro polso e visuale, e qui Frears ha tutta l’aria di voler andare in pensione. Durata 112 minuti. (Massimo sala 3 V.O.)
IN MOSTRA ALLA “BIBLIOTECA NAZIONALE” DI TORINO, I DIPINTI E I DISEGNI DI ELEONORA E GIORGIO, MADRE E FIGLIO, ENTRAMBI ARTISTI ENTRAMBI VITTIME DELLA SHOAH
Giorgio durante la marcia di evacuazione dal campo di Sosnowitz nel gennaio del ’45. La mostra alla “Nazionale”, realizzata per iniziativa della figlia di Giorgio, Rossella Tedeschi e del marito, il musicologo Enrico Fubini, con la preziosa e attenta curatela di Giovanna Galante Garrone, già alla direzione della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte, intende dunque sottrarre ad anni di ingiusto oblio un ingente patrimonio artistico “praticamente sconosciuto” e
gelosamente custodito fra le mura domestiche da Giuliana Fiorentino Tedeschi, moglie di Giorgio mancata nel 2010. In tal senso rappresenta un “dovuto risarcimento” alle figure di Eleonora (Nora, come amava firmare i suoi quadri) e di Giorgio, oltreché “un importante novità sul piano storico ed artistico”. I dipinti di Nora (nata a Torino nel 1884 e allieva prediletta di Carlo Follini, che a lei
dedica il luminoso “Persone su una strada lungo il mare”, un olio del 1898 esposto in mostra) si presentano al pubblico per la prima volta, mentre una piccola parte dei disegni di Giorgio (nato a Torino nel 1913) era già stata esposta nel 1979 all’Unione Culturale di Torino per volontà della moglie Giuliana, sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz e che, al suo ritorno a Torino, ritrovò le figlie Rossella ed Erica, entrambe nascoste e salvate dalla barbarie nazi-fascista da una domestica. Giuliana, oltreché amorevole “custode” dell’ingegno artistico della suocera e del marito, fu anche autrice di testi fondamentali sull’esperienza del lager, come “Questo povero corpo” edito nel 1946 e “C’è un punto della terra…Una donna nel lager di Birkenau” pubblicato nel 1988. In tal senso, la mostra vuole essere un tributo anche a lei e alla sua ferrea volontà di tenere vivo il ricordo della Shoah. Nella scrittura, nell’educazione delle figlie, nello stile di vita e nei frequenti contatti con gli alunni delle scuole torinesi. Le opere da lei conservate mantengono in rassegna le stesse cornici usate per le pareti di casa. Pochissime quelle datate; ragion per cui vengono esposte in sequenza non cronologica, ma tematica. Di Giorgio, convinto dal padre Cesare – imprenditore laniero e presidente del “gruppo tessili” dell’Unione Industriale, morto nel ’31 in giovane età – a laurearsi in Architettura (lavorando dopo la laurea a Milano nello studio di Giò Ponti), troviamo anche in mostra alcune foto di edifici, progettati con spirito “razionalista”, per la Montecatini. “Femminista ante litteram” (dal memoriale del figlio Gino), Nora Levi si ribellò all’esclusione – impostale – dagli studi superiori per gettarsi anima e corpo nella pittura. E se Follini poté insegnarle “le teorie del
colore, una pittura veloce ma precisa, l’allieva – scrive bene Giovanna Galante Garrone – si espresse nei suoi quadri con un tocco sensibile, uno spiccato gusto materico e una non comune energia”: così é in quel “sentiero” che fatica a farsi largo sotto l’incombere di una vorticosa vegetazione o “nella luce di un placido canale”, come “nella selvaggia resa di una spiaggia disseminata di cespugli” o nella suggestione de “La casa bianca”, olio su tavola di singolare minimalista narrazione, non fosse per quei pini in primo piano bruscamente “scossi dal vento”. In certi “audaci accostamenti di colori puri”, Galante Garrone parla anche di “vicinanza ad alcune prove giovanili di Carlo Levi”, così come – aggiungerei – nel fragoroso turbinio di inquieti scorci
paesistici, alle arruffate marine di Enrico Paulucci. E’ del ’29 la prima mostra dei “Sei”, alla Galleria “Guglielmi” di Torino. Fra di loro “Nora non avrebbe sfigurato”. Una passione per l’arte, la sua, trasmessa in toto al figlio Giorgio, che già da bambino disegnava in continuazione. Daltonico, esplorò e approfondì, con risultati per davvero notevoli, le possibilità del bianco e nero (o della sanguigna), lasciando un ricchissimo patrimonio di disegni dal tratto veloce e istintivo, in cui spiccano gli svariati ritratti di anziani insieme ad altri di più intima famigliarità, agli autoritratti di grande rigorosa scrittura, alle ironiche “caricature” di professori e compagni di scuola e ad alcuni morbidi e delicati nudi femminili. Non mancano i paesaggi e i rustici di campagna e quelle “Barche nel porto” di ineccepibile freschezza e levatura tecnica. Ha visto bene Giovanna Galante Garrone: in questi ultimi pezzi, “in particolare nelle case appena accennate, si riconoscono l’attenzione e la mano dell’architetto”.
ugualmente rispettato come violinista, violista, direttore d’orchestra, pedagogo e musicista da camera. Anche la Camerata Salzburg esercita un’attrattiva particolare, non solo perché il suo nome evoca il luogo natale del grande musicista ma in quanto depositaria di una tradizione non tanto antica – l’orchestra è nata nel 1952 – ma che ha nel suo patrimonio genetico il pensiero e l’insegnamento di alcuni dei più autorevoli “mozartiani” del Novecento, da Bernhard Paumgartner che l’ha fondata a Sándor Végh e tanti altri grandi direttori e solisti fino ai giorni nostri. La Camerata Salzburg ha sperimentato un nuovo stile di esibizioni fin dai primi anni Sessanta: durante una tournée in Germania, Géza Anda decise di dirigere l’orchestra dal pianoforte, una mossa alquanto coraggiosa a quei tempi. Il programma della serata è tutto squisitamente “viennese”, con i tre grandi protagonisti della stagione classicista. Si apre con la Romanza per violino e orchestra n. 1 in sol maggiore op. 40 di Ludwig van Beethoven, databile all’incirca ai primi anni dell’Ottocento, nella quale il virtuosismo cede il passo alla cantabilità e all’espressività. Con il Concerto per violino e orchestra n. 5 in la maggiore KV 219 di Wolfgang Amadeus Mozart torniamo al 1775, quando Mozart adempie ai suoi doveri come Konzertmeister nella Salisburgo dell’Arcivescovo Colloredo componendo musica da camera e da chiesa, compresi i cinque Concerti per violino e orchestra, dei quali il KV 219 è l’ultimo e forse il più conosciuto, grazie anche al suo Finale con il famoso episodio centrale in stile “alla turca”. Si chiude con la Sinfonia n. 83 in sol minore “La poule” di Franz Joseph Haydn, unica in minore tra le sei sinfonie cosiddette “parigine”, così chiamata per la nota puntata e ribattuta degli oboi nel primo tempo che ricorda il verso della gallina. Il titolo non deve però trarre in inganno, “La poule” è uno dei lavori più impegnativi del “padre della sinfonia”. 


unico nel panorama della polifonia vocale italiana, la Famiglia Sala. A comporlo sono infatti padre, madre e cinque figli, di età che varia dai 28 ai 17 anni. Apprezzato per la vastità del repertorio e per l’impasto vocale di eccezionale equilibrio e omogeneità, il Gruppo Vocale Famiglia Sala si è distinto in importanti concorsi vocali e ha vinto la medaglia d’oro per la sezione Musica Sacra al Concorso Internazionale Città di Rimini. La Stagione concertistica è stata realizzata con il contributo di Compagnia di San Paolo (maggior sostenitore), Regione Piemonte, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il contributo e il patrocinio di Città di Pinerolo. Il nostro grazie va anche alla sempre preziosa sponsorizzazione di Galup e a quella tecnica di Piatino Pianoforti, Yamaha Musica Italia e Albergian.
Castello che si colorerà, per l’occasione, di piante, addobbi natalizi, dolci e prodotti artigianali, dando spazio in primis ad artigiani e a organizzazioni operanti sul territorio senza scopo di lucro, con finalità assistenziali a vocazione sociale.
attualmente ospitata nelle sale del Castello. Artista poliedrico, insieme scultore, pittore, ceramista, scrittore nonché grande appassionato ed esperto di musica, Melotti è da considerarsi fra i principali protagonisti dell’arte del Novecento. 
DAL NOSTRO INVIATO AL TFF
Mackie Burns. Eccezionale ritratto di ragazza disinibita e dolorante, giri nei bar alla ricerca di alcol e sesso, qualche tiro di cocaina per tenersi a galla, l’aspirazione ad una promozione a secondo chef nel ristorante in cui lavora. Il film, pur con una bella scrittura, approfondita, capace di scavare in ogni piega, è tutto dell’attrice, capace di nascondersi e di mettersi sfacciatamente in gioco dietro quel visino cui tutti regalano i vent’anni, mentre ha già superato il decennio successivo.
giuria), chiacchierate quotidiane su quanto è dura la campagna, la lotta contro l’industrializzazione, i commenti dei vecchi saggi, il ripetersi delle azioni, le solitudini, il lavoro. Dimenticando più alti esempi, come À voix haute del francese Stéphane De Freitas, intorno al concorso che ogni anno all’interno dell’Università di Saint-Denis, alle porte di Parigi, intende premiare il miglior oratore, un traguardo che arriva tra divertimento e ricordi dolorosi, tra tecniche precise ed emissioni di fiato perfette, tra gestualità mai gratuita, inneggiando alla bellezza e alla importanza della parola in un’epoca che ormai ne è priva. Un premio a questo titolo è arrivato dal pubblico, e questo dovrebbe dirla lunga: ma, al di là della nota di entusiasmo, ci pare davvero poco. O il clima di amori e sospetti soprattutto che è alla base di Beast di Machael Pearce o The death of Stalin di Armando Iannucci, scozzese di padre napoletano, dove si ride con rabbia davanti alle trame e ai comportamenti dei dirigenti sovietici all’indomani della morte del dittatore.
Fuori dal concorso, rimangono titoli che anche si sono amati, di cui speriamo poter riparlare ad una auspicabile uscita italiana. Quasi tutti di area angloamericana, da Darkest Hour di Joe Wright, con un eccezionale Gary Oldman nelle vesti di Churchill in un maggio del ’40 in cui dover decidere, ancora privi dell’appoggio statunitense, l’entrata in guerra contro un nemico nazista pronto a impadronirsi dell’intera Europa (in uscita a gennaio), a The disaster artist dove un altrettanto efficace, ed istrionico, James Franco, si cala nel personaggio di Tommy Wiseau, colpevole di essere entrato nella storia del cinema con quello che fu definito “il più brutto film che sia mai stato girato”; da L’uomo che inventò il Natale, ovvero l’occasione per Dickens a corto di quattrini e con una affollata famiglia da sfamare di trovare l’idea letterariamente giusta, a Final portrait, firmato da Stanley Tucci, dove Geoffrey Rush impersona Alberto Giacometti o Mary Shelley con Elle Fanning. Come per puro divertimento, nella sua semplice onestà, aspettiamo il film inaugurale, Ricomincio da me, non fosse altro per la recitazione di tre glorie britanniche, o il film che ha chiuso il festival, The Florida Project, già in odore di Oscar, o la riserva indiana che nasconde delitti in The wind river di Taylor Sheridan. O ancora Cargo di Gilles Coulier, che non avrebbe sfigurato in concorso, tre fratelli pescatori, differentemente coinvolti con la vendita del peschereccio di famiglia, al momento in cui il padre è in coma.
Torre). Emanuela Martini è giunta alla fine del suo mandato, vicedirettrice prima e piena responsabile negli ultimi quattro anni, continua a ripetere che ripartirebbe volentieri, che ha imparato ma che ha anche dato molto, che il pubblico torinese è impagabile: “Ma ogni decisione spetta al Museo”. Un Museo che, tra le tante e pericolose mareggiate, ha un direttore pro-tempore e ne attende uno stabile. Insomma, è necessario pensare già al futuro e il futuro, su cui stanno scritte per ora soltanto le date del 2018 (23 novembre – 1 dicembre), è troppo vicino. È necessario avere il tempo per lavorare, per mantenere la cifra di sempre e inventarsi cose nuove, per combattere contro i soldi che hanno tutta l’aria di voler scendere ancora, per svegliare una giunta che pare credere sempre meno nell’operazione (non soltanto culturale). Tutto per evitare che un grosso bagaglio torinese prenda altre strade, tutto per scongiurare che quello che si è costruito negli anni di scoperte, di piacere visivo, di intelligenza ci venga a mancare.
farmacia di Porta Palazzo via via fino al “Museo Egizio”) dislocate in ben dieci città differenti del Piemonte, con oltre 50 artisti internazionali coinvolti, fra cui la “Camerata RCO” (Royal Concertgebouw Orchestra) e l’“Orchestra da Camera Accademia” di Pinerolo. Coronamento ideale del Festival, sarà un concerto dedicato nello specifico al tema di quest’anno: gli “Spiriti Musicali”, ovvero “quelle sensibilità capaci di comprendere e creare la musica in una dimensione che va oltre la razionalità”.