CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 768

I dubbi interpretativi di Gabriel Garko, tra il vecchio Barrymore e la signorilità di Pagliai

Bel faccino e fisico aitante ma lato interpretativo a quota zero o poco più, Andrew Rally è un divo del piccolo schermo che reduce dalla solita fiction di successo decide un giorno di votarsi al palcoscenico: ovvero rinunciare temporaneamente a qualche milione di dollari per rifarsi una faccia d’attore un po’ più pulita. E con il ruolo di Amleto che farebbe tremare a chiunque le vene e i polsi. Dal mondo dorato di Los Angeles ai patemi di New York il passo è breve e trovare casa nella casa del Greenwich dove negli anni Venti visse il grande John Barrymore, Amleto d’oltreoceano per eccellenza, attraverso i consigli di una svampita agente immobiliare, è cosa presto fatta. Se poi l’agente è anche un po’ medium, perché non stimolare in una traballante seduta lo spirito del vecchio a venire in aiuto del ragazzo a corto di mezzi e d’esperienza? Cigolii e lampi improvvisi ed eccoti là nel grande salone servito il John in calzamaglia e giacca di velluto neri, a lavorare sull’essere o non essere per sei mesi: per ritrovarsi alla fine, dopo la prima, con un pubblico annoiato e una critica con il pollice verso, con un risultato decisamente opaco. Sarebbe la depressione totale se davanti al ragazzo non si ripresentasse (perché già prima aveva tentato di dissuaderlo) il regista dei suoi successi televisivi con la sua nuova barcata di soldi: Andrew dovrà ora decidere se e come crescere, se affrontare il nuovo personaggio di giovane insegnante nell’America di oggi e continuare a reclamizzare le solite merendine tanto redditizie.

Odio Amleto, scritto da Paul Rudnick nel 1991, in scena all’Alfieri fino a domani ad inaugurare la stagione del “Fiore all’occhiello” di Torino Spettacoli, è una di quelle commedie molto lineari e prevedibili che proseguono a divertimento intermittente o che sparano tutti i loro colpi nella prima parte per sedersi a fiato corto nel seguito con buone zone di noia. Si scomoda Shakespeare, si camuffano brevi suoi brani, si va a finire negli insegnamenti e nella signorilità dell’uno (ah! i ringraziamenti, anche quelli, diceva un vecchio autore e regista teatrale scomparso, Aldo Trionfo, di cui nessuno si ricorda più) confrontati con il naïf che è ben ancorato nel cuore di Andrew, si contorna il tutto con figurine più riuscite altre decisamente no (la fidanzatina ventinovenne e vergine, avversa al sesso prematrimoniale, che prova a essere Ofelia), si condisce il tutto con un dialogo che dovrebbe sfavillare ma che a tratti s’ammoscia e non trova la strada del più schietto e allargato divertimento. E anche la regia di Alessandro Benvenuti la si vorrebbe più tagliente e cattiva, più corrosiva nel fronteggiare due mondi lontani anni luce e invece è lì più a inquadrare e a rincorrere il piccolo effetto del momento. Ugo Pagliai “porge” con eleganza le proprie battute e gigioneggia e sbevacchia meno – crediamo – di quanto non facesse il suo Barrymore, Paola Gassman trova, come uscendo da un altro testo, un angolo di ricordi e di danza con il reduce di una lontana avventura, Annalisa Favetti centra in pieno la sua agente e la sorpresona Guglielmo Favilla a tratti mette in ombra tutti quanti nell’irruenza senza tregua del suo regista imbonitore. E poi c’è lui, Gabriel Garko, che tutti aspettano al varco, un attore su cui persino Ronconi un giorno volle scommettere, assieme a Zeffirelli e Ozpetek. È il suo testo, quello che pare scritto apposta per lui, divetto televisivo prestato al palcoscenico, lo ha ammesso: e allora godiamocelo così come è, con i suoi inciampi, con la sua dizione rattoppata, con la sua s imperfetta, con i vuoti non riempiti quando ascolta i colleghi con le loro battute, con la sua unica espressione, con quei tentativi di salire il primo gradino della recitazione. L’importante è partecipare, diceva quel tale: tanto poi magari dietro l’angolo c’è un’altra bella (ed economicamente corroborante) serie di Canale Cinque ad aspettarlo, fatta di onori rispetti peccati e vergogne. Qui c’è già un bel coraggio ad autoironizzarsi, a scendere in pista.

 

Elio Rabbione

D’Abbraccio/Gleijeses tra ribellione e rappacificazione

“Filumena Marturano” di Eduardo, regia di Liliana Cavani, per la stagione dello Stabile


Quante Filumene. Titina prima, poi via via Regina Bianchi e Moriconi, Isa Danieli e Sastri e Melato, senza contare la Sophia nazionale con il film di De Sica. Il testo è uno dei capisaldi del Novecento, non parliamo della fama di questa donna indomita che rappresenta l’assoluta libertà e il sacrificio delle madri del mondo. Il testo di Eduardo, datato 1946, è grande e lo hai visto tante volte, eppure questo titolo-monstre ti acchiappa sempre e ti fa ad ogni occasione tornare la voglia di andare a teatro. Che avrà fatto questa volta il regista (per carità, lasciatelo così come l’autore l’ha scritto, non pensate di rigirarlo come usano fare oggi certi metteurs en scène della lirica, scongiurerebbe qualcuno…), quale voce e quali gesti usciranno dalla bravura dei protagonisti. Per cui ti vai “anche” a vedere Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses. Ed è vera, enorme bravura. Di lei, che scende nella sua madre con tutta la rabbia e l’ardore e l’artistico sotterfugio che a sipario appena aperto già è concluso, balzata dal letto a ribadire la propria dignità di donna, a rigovernarsi i capelli, a ripiegare la “robba” finalmente sua e sopratutto a reclamare pienamente uno status che per anni, venticinque lunghi anni, ha inseguito, quando lui la tolse diciassettenne da un povero basso e dalla fame per farle abbracciare il mestiere più antico del mondo. E poi, con quei sentimenti rimessi in gioco, nell’andare a raccogliere i tre figli disseminati che per anni ha sorvegliato, tre differenti caratteri, tre diversissime professioni, un incrociarsi di spavalderia, di giocosità familiare, di pacatezza; nel suggerire a Domenico Soriano, a Dun Mi’, la verità di una paternità inattesa verso uno di quei tre ragazzi e di uno soltanto, nel portarlo davanti al prete, nel ritrovare una calma che tuttavia non può ancora cancellare qualche battito di troppo del cuore. E di lui, che percorre l’opera tutta dall’esasperazione della belva presa in gabbia, del maschio svelato che dovrà prima o poi rinunciare ad un passato di comodità e privilegi, che dovrà affrontare un percorso di educazione sino alla rappacificazione punteggiata da un “papà!”, convinto e privo di ogni sdolcinatura, che arriva dalla bocca dei figli.

A dirigerli Liliana Cavani, l’autrice di “Galileo” e di “Portiere di notte” e del doppio “Francesco”, alla sua prima prova teatrale (lei che al di là di quelle cinematografiche tanto ha già frequentato i teatri lirici). Ha compattato lo spettacolo, cancellando gli intervalli, ad un’ora e 50’, è stata giustamente attenta a non allontanarsi dalla tradizione e dal naturalismo che la fa da padrone, ha scavato negli angoli più intimi dei suoi due attori, li ha fatti esplodere e li ha tenuti a bada, ha costruito con saggezza – dentro le scenografie di Raimonda Gaetani, la camera da letto e il salotto buono di chi ha fatto fortuna, senza dimenticare le sonorità della chitarra e il resto di Teho Teardo che accompagnano con struggenti melodie la vicenda – la lotta quasi fisica del primo atto, pedana di una doppia ribellione, con una stretta napoletaneità, con un linguaggio esasperato, con un gesticolare plateale, con le voci alte, gettate l’una contro la faccia dell’altro: mentre poi ha asciugato parole e gesti verso i territori della conciliazione, della tranquillità, della famiglia salvaguardata, in un percorso dove ogni sconquasso poco a poco si rimette al proprio posto, rallentandosi i tempi, le azioni, le voci. Sino al quadro finale. Una regia che non si pone soltanto al servizio “freddo” del testo e della volontà dell’autore, ma che butta là una personalissima cifra, ovvero non ancorando la vicenda agli anni dell’immediato dopoguerra, sino a schiacciarla, ma lasciandola venire un po’ più verso di noi, senza troppe ristrettezze. Con i più giovani attori, che pur con qualche inciampo rientrano appieno nel successo dello spettacolo, non possono passare senza citazione le prove di Mimmo Mignemi, uomo tuttofare di Soriano da sempre, che sfugge a tratti dal partenopeo per tradire origini siciliane, e soprattutto di Nunzia Schiano, “salvata” da Filumena, pure lei a squadernare un passato fatto di sacrifici e un presente dove per i figli non c’è più posto (bravissima: del resto, basterebbe ricordarla come madre di Siani in “Benvenuti al Sud”, pronta a sfornare per colazione strani sanguinacci ad un Bisio quantomai sconcertato e recalcitrante).

 

Elio Rabbione

Vedute d’insieme: l’identità di archivi e biblioteche

Sarà inaugurata il 6 novembre Torino: vedute d’insieme, una mostra diffusa e ricca di iniziative che si svilupperà in diverse date in varie sedi – Polo del ‘900, Palazzo Birago-Camera di commercio di Torino, Biblioteca Civica Centrale, Biblioteca Civica Musicale “Andrea Della Corte” – e racconterà con stili e accenti diversi il legame tra i patrimoni culturali e il senso di appartenenza e identità attraverso le testimonianze di chi lavora in ambito archivistico o bibliotecario, di chi fruisce dei patrimoni e di chi vi si rapporta con sentimento di affezione. Il percorso, arricchito dall’esposizione di documenti storici in alcune sedi e dalla proposta di attività culturali per il pubblico più ampio, prevede la proiezione delle digital stories realizzate nell’ambito del progetto “COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise”.

 

La mostra è la naturale conclusione del progetto “COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise” che, a partire dallo scorso gennaio, ha coinvolto numerose istituzioni culturali, ma anche i negozi, le botteghe e i cittadini. Partendo dalla valorizzazione dei patrimoni conservati negli archivi e nelle biblioteche, l’Associazione Passages che ha promosso il progetto è riuscita a raccontarli con linguaggi nuovi, a metterli in dialogo con le memorie e le esperienze di ogni giorno, a costruire con la collaborazione di tutti un’immagine inedita, riflessiva, intima ed emotiva della città.

 

“Che i patrimoni parlino di noi – dice Anna Maria Pecci, coordinatrice del progetto, presidente dell’Associazione Passages – mentre noi stessi ne parliamo, lasciando una testimonianza unica del nostro legame con la città, è il fil rouge che emerge da questo racconto corale frutto di mesi di lavoro appassionante e capace di coinvolgere soggetti diversi”.

 

Nel corso dei mesi sono stati infatti organizzati laboratori di digital storytelling per raccontare, con una dimensione narrativa nuova e partecipata, l’incontro con i patrimoni culturali delle Biblioteche Civiche Torinesi, dell’Archivio Storico della Città di Torino e del Polo del ‘900. Dall’incontro con un tessuto pieno di memoria quale quello della storica Contrada dei Guardinfanti, sono poi nati nuovi racconti nei quali i documenti d’archivio si intrecciano con i ricordi e le storie di chi vive e ama questi luoghi. Questo racconto condiviso è diventato uno spettacolo itinerante per raccontare personaggi e curiosità della Contrada, e poi ancora una serie di video performance inserite nei tour narrati che nel corso dell’autunno hanno riscosso grande successo.

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Le tappe della mostra Torino: vedute d’insieme e le attività proposte da ogni sede:

Dal 6 al 15 novembre

TORINO VEDUTE D’INSIEME ALLA BIBLIOTECA CIVICA MUSICALE “ANDREA DELLA CORTE”

Corso Francia 186

Visitabile lunedì, martedì e giovedì con orario 9.15/18.45; mercoledì e venerdì con orario 9.15/16.45.

Lunedì 6 novembre, ore 17.00: La Biblioteca Civica Musicale si racconta attraverso il digital storytelling.

Presentazione dei video realizzati nell’ambito del progetto COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise grazie al quale la pluralità del patrimonio culturale torinese è stata narrata mediante linguaggi partecipativi e innovativi.

Al termine sarà lanciata una call alla cittadinanza per raccontare la Tesoriera e il suo parco attraverso ricordi, documenti, materiali fotografici e video di chi li ha frequentati nel corso degli anni.

 

Dal 6 al 15 novembre

TORINO VEDUTE D’INSIEME AL POLO DEL ‘900 Palazzo San Daniele

Via del Carmine 14

Visitabile lunedì, martedì, mercoledì e venerdì, sabato e domenica con orario 9/21; giovedì con orario 9/22

Martedì 14 novembre: Storie che dialogano. Visita ore 14.30-15.30 Workshop ore 15.30-17.00 | Palazzo San Celso Via Del Carmine 13. Al Polo del ‘900 un workshop sulla creazione di storie digitali a partire dai luoghi e dai beni comuni di Torino, preceduto dalla visita del nuovo centro culturale nei Quartieri militari juvarriani. Posti limitati. È richiesta la prenotazione (associazionepassages@libero.it) entro lunedì 13 novembre

 

Dal 20 novembre al 7 dicembre

TORINO VEDUTE D’INSIEME ALLA BIBLIOTECA CIVICA CENTRALE

Via della Cittadella 5

Visitabile lunedì 15/19,55; dal martedì al venerdì 8,15/19,55; sabato 10,30/18

Venerdì 1 dicembre COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise

Nella sala conferenze, incontro di presentazione del progetto. Programma e orario in via di definizione

 

Dal 12 al 21 dicembre

TORINO VEDUTE D’INSIEME A PALAZZO BIRAGO – CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO

Via Carlo Alberto 16. Visitabile dal lunedì al venerdì con orario 10/12,30 – 14,30/17; sabato e domenica 11/18; martedì 12 dicembre apertura alle ore 15

Dal 12 al 21 dicembre Patrimoni di prossimità. Programma in via di definizione

 

Iniziativa promossa e organizzata dall’Associazione Passages col patrocinio della Camera di commercio di Torino. Il progetto “COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise” realizzato dall’Associazione Passages con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando OPEN 2016-Progetti innovativi di Audience Engagement, è realizzato in partenariato con le Biblioteche Civiche Torinesi, l’Archivio Storico della Città di Torino, il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, il Polo del ‘900 e weLaika.

 

Cinzano, da Torino al mondo

7 gennaio 1757: nel verbale di Congrega dell’Università dei Maestri Acquavitai e Confettieri, conservato nell’Archivio di Stato di Torino, compare per la prima volta il nome dei fratelli e vignaioli di Pecetto, paesino della collina torinese, Carlo Stefano e Giovanni Giacomo Cinzano

 

AL MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO ITALIANO DI TORINO, UNA MOSTRA PER CELEBRARE I 260 ANNI DELL’AZIENDA TORINESE

FINO AL 14 GENNAIO 2018

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7 gennaio 1757: nel verbale di Congrega dell’Università dei Maestri Acquavitai e Confettieri, conservato nell’Archivio di Stato di Torino, compare per la prima volta il nome dei fratelli e vignaioli di Pecetto, paesino della collina torinese, Carlo Stefano e Giovanni Giacomo Cinzano. Parte di qui la bella storia dell’Azienda torinese, fornitrice ufficiale dal 6 agosto 1776 (quando i fratelli Cinzano avevano già aperto a Torino “L’arte del confetto” in via Dora Grossa, l’attuale via Garibaldi) della Real Casa, per quanto riguarda gli approvvigionamenti di confetti bianchi e canditi destinati ai battesimi di corte. Quella di Cinzano è la storia esemplare di un brand che s’avvia a festeggiare (mancano in fondo solo quarant’anni) i tre secoli di vita e che ha saputo intrecciare il suo percorso aziendale, passo passo, con l’evoluzione dei gusti, del costume e dell’economia del Bel Paese. Un’avventura e un’eredità esemplari, omaggiate come si deve dalla suggestiva mostra “Cinzano: da Torino al mondo”, organizzata, proprio per festeggiare i 260 anni di storia e di eccellenza del marchio, lungo il Corridoio della Camera Italiana del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino in piazza Carlo Alberto, fino al 14 gennaio. Curata da un Comitato Scientifico di storici e docenti italiani di altissima levatura e coordinata da Paolo Cavallo, responsabile degli archivi storici della società, la Cinzano rende così disponibile al pubblico, dopo circa vent’anni, alcune delle sue più celebri illustrazioni, insieme a 26 manifesti d’epoca, documenti, fotografie seppiate, bottiglie e oggettistica promozionale vintage. Sono tre le sezioni tematiche in cui si snoda l’iter espositivo: la comunicazione pubblicitaria, la storia del marchio (dalle origini al consolidamento internazionale) e le collezioni di oggetti storici del mondo bar, dalle targhe promozionali ai vassoi, dai bicchieri e dagli shaker fino alle più antiche bottiglie, alcune pesantemente segnate dall’incedere del tempo risalenti all’Ottocento. Secolo in cui avviene il vero salto di qualità (da attività artigianale a conduzione famigliare, a grande impresa industriale) con Francesco I e Francesco II Cinzano; grazie soprattutto a un’intelligente e lungimirante strategia pubblicitaria – che vanta collaborazioni con grandi artisti dell’epoca, da Adolf Hohenstein a Leonetto Cappiello (sua l’immagine guida della mostra, la “Donna adagiata su grappoli d’uva”), da Nico Edel a Raymond Savignac, da Jean-Pierre Otth a Giuseppe Magagnoli – ma anche al lavoro di infaticabili viaggiatori di commercio (come Giuseppe Lampiano, autore del libro “Attraverso il mondo” edito nel 1934 con dedica ad Alberto Marone Cinzano, e i fratelli Carpaneto, che già a inizi Novecento erano riusciti a portare i prodotti Cinzano in oltre 50 Paesi del mondo, fra Europa, Amerca Latina e Africa. E il viaggio, da allora, continua. Inarrestabile, ovunque nel mondo. Negli Anni ’60, quelli del boom economico (quando le campagne pubblicitarie portano la firma, fra gli altri, di Guido Crepax e nei Caroselli tv hanno il viso di Pel di Carota – Rita Pavone) sono ben 65 le filiali Cinzano sparse in cinque continenti. Per arrivarci, bisogna però fare ancora un passo indietro e passare attraverso le “prime bollicine”, comparse nel 1866 quando Francesco II Cinzano riesce ad ottenere in affitto la tenuta reale del Moscatello in terra di Langa, dove nella prima metà dell’ ‘800 re Carlo Alberto aveva avviato la costruzione di un formidabile complesso di cantine sotterranee e messo in piedi un laboratorio per la sperimentazione sulle uve locali del metodo “champenois”. L’opera non venne mai portata a termine. Ma nel 1887 (tre anni dopo la partecipazione alla grande Esposizione Generale Italiana tenuta a Torino), ormai famoso per i suoi vermouth prodotti sotto la Mole, Francesco Cinzano, nei moderni stabilimenti di Santa Vittoria d’Alba e Santo Stefano Belbo – costruiti per soddisfare una domanda sempre in aumento – inizia a produrre su vasta scala vermouth, barolo, barbera e moscato, “specialmente perfezionati – si legge in documenti del tempo- e ridotti a squisiti vini spumanti, che cominciarono ad acquistare

rinomanza per aroma e limpidezza”. Da allora la strada è tutta in discesa. Si corre ancora per un secolo, fino agli Anni ’80 e ’90 del Novecento. Periodo di transizione e sostanziale cambiamento. Fino alla svolta del 1999 quando il Gruppo Campari rileva il marchio, conferendogli un look più moderno, al passo con il nuovo Millennio. Trasformazioni imposte dai tempi per un’eccellenza italiana che tale continua a essere nel corso dei secoli. Mantenendo ben fermo il segreto dei segreti: quella formula del vermouth Cinzano, tramandata di padre in figlio e ancora oggi preservata nella sua originalità da una sola persona, il “master blender”: colui che seleziona, dosa e combina sapientemente le erbe aromatiche e i vari componenti alla base della preziosa infusione.

Gianni Milani

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“Cinzano: da Torino al mondo”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino, tel. 011/5621147; www.museorisorgimentotorino.it – Fino al 14 gennaio 2018 Orari: dal mart. alla dom. 10 – 18

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Le immagini:

– Leonetto Cappiello: ” Donna adagia su grappolo d’uva”, stampa litografica a colori su carta, 1920

– Jean-Pierre Otth: “The perfect vermouth”, stampa litografica a colori su carta, 1955
– Giuseppe Magagnoli: “Cilindro con bottiglia”, stampa litografica a colori su carta, 1927
– Nico Edel: “Donna che bacia la bottiglia”, stampa litografica a colori su carta, 1938
– Bottiglie Cinzano XIX secolo
– Oggettistica d’epoca del mondo bar

 

Le vittime della nostra ricchezza

Inaugura venerdì 3 novembre alle ore 18 presso l’ARTeficIO di via Bligny 18/L a Torino la mostra di fotografie di Stefano Stranges, The Victims of our wealth, promossa dall’associazione culturale e di promozione sociale Soluzioni Artistiche, in collaborazione con il Centro Piemontese di Studi Africani e Walkabout Ph. La mostra, patrocinata dalla Regione Piemonte, è la prima esposizione nell’ambito di FotoGraffiti, rassegna artistica espositiva a tematica sociale ideata da Soluzioni Artistiche negli spazi di via Bligny. 

The Victims of our wealth (Levittime della nostra ricchezza), aperta fino al 19 novembre, comprende due percorsi per stimolare una riflessione sulla situazione economico – sociale, rispettivamente, di Congo e Ghana, in particolare, sulla produzione e smaltimento di uno dei prodotti di maggiore consumo degli ultimi anni: gli smartphone.  Fondamentale per la realizzazione di questi oggetti è il coltan, un minerale che viene estratto nella zona del Nord Kivu in Congo, con conseguenze catastrofiche sull’ambiente e sulla popolazione. Qui è nato il primo lavoro di Stefano Stranges, tra gennaio e febbraio 2016, con in mostra 34 stampe fotografiche in bianco e nero.
Il coltan è il minerale che ognuno di noi porta in tasca e che è oggetto di una lunga catena commerciale che implica pesanti conseguenze sui diritti umani e ambientali. La Repubblica Democratica del Congo è oggi una delle più grandi riserve di coltan: la mancanza di alternative per sopravvivere e lo scarso livello di scolarizzazione costringe la popolazione a essere schiava nella propria terra e a lavorare come minatori, con dei livelli di sicurezza pari a zero.  La seconda tappa del progetto si sviluppa nella Repubblica del Ghana, nella zona di Agbohbloshie, dove si trova la più grande discarica tecnologica del mondo, in cui vengono riversati rifiuti di ogni genere (in particolare frigoriferi, computer, stampanti, monitor e smartphone…) che arrivano dall’Occidente tramite container. Questa sezione comprende 38 stampe fotografiche a colori scattate da Stranges, insieme a oggetti artigianali prodotti da alcuni abitanti di Agbogbloshie con materiali recuperati dalla discarica. Anche in questa fase sono state analizzate le conseguenze sulla popolazione che vive e lavora all’interno della discarica, chiamata Sodom and Gomorrah, nonché l’impatto sul territorio. 
La mostra presso l’ARTeficIO a Torino è la prima occasione pubblica in cui vengono esposti insieme i due progetti fotografici, corredati anche dalla proiezione di un video documentario del videorepoter e collaboratore Simone Rigamonti. Obiettivo è sensibilizzare il pubblico su una maggior consapevolezza del terribile impatto ambientale e umano che questa filiera può avere su questi territori e non solo, dall’estrazione dei minerali senza un controllo sui diritti umani, allo smaltimento illegale e incontrollato, fino a noi.  La mostra rientra nel programma di attività promosse dal Centro Piemontese di Studi Africani di Torino, che ha appoggiato la prima fase del progetto fotografico di Stefano Stranges, realizzata nelle miniere di coltan delle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Anche a seguito di questa preziosa collaborazione riguardo il contesto della RDC, è stato invitato a Torino il dottor Denis Mukwege, medico e attivista congolese, specializzato in ginecologia e ostetricia, che ha fondato nel 1998 in Congo il Panzi Hospital, ospedale in cui ha curato i danni fisici e psicologici di molte donne oggetto di stupro e violenze nella regione. Nel 2014, dopo essere stato candidato per il Premio Nobel per la pace, ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov, massimo riconoscimento che l’Unione Europea conferisce agli sforzi compiuti a favore dei diritti dell’uomo. In parallelo, per il periodo di apertura della mostra, è in via di definizione un calendario di appuntamenti con gli studenti delle scuole secondarie, per visite guidate alla mostra con dibattiti di approfondimento sui temi affrontati.
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THE VICTIMS OF OUR WEALTH
di STEFANO STRANGES
a cura di Soluzioni Artistiche
in collaborazione con il Centro Piemontese di Studi Africani
dal 3 al 19 novembre 2017
vernissage 3 novembre ore 18
l’ARTeficIO – Torino

Ernesto Rossi della Manta, l’aristocratico giacobino piemontese del ‘900

Di Pier Franco Quaglieni

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E’ stata appena inaugurata all’Ufficio Relazioni con il Pubblico  del Consiglio Regionale del Piemonte  in via Arsenale 14 G a Torino  una mostra dedicata ad Ernesto Rossi nel 50° della morte,  che ha per titolo “Ernesto Rossi dal Piemonte all’Europa”, La mostra è organizzata dalla classe V C SS  dall’I.I.S. “Bosso- Monti” di Torino. Essa rimarrà aperta fino al 29 novembre .Roberto Rossi Precerutti,ultimo discendente della casata Rossi della Manta a cui Ernesto apparteneva, ha messo a disposizione la documentazione su una delle famiglie aristocratiche del vecchio Piemonte a cui appartenne questo giacobino coraggioso, certamente incurante delle sue origini nobili, anche se appartenne idealmente , a pieno titolo, due secoli dopo, a quella straordinaria  élite illuministica dei Radicati di Passerano su cui aveva scritto Gobetti. Nato a Caserta nel 1897 e morto a Roma nel 1967, Ernesto Rossi, dopo aver partecipato come volontario alla Prima Guerra Mondiale, conobbe a Firenze Gaetano Salvemini: fu quello l’incontro decisivo della sua vita, che lo portò ad essere sempre coerente con sé stesso, anche nei momenti più duri della sua vita. Rossi rappresenta nella vita politica e culturale italiana l’esempio tipico del “ribelle” o, se vogliamo, del “rompiscatole”, del “donchisciotte”, come disse Gian Carlo Paletta ai suoi funerali. Nel febbraio 1967 ,il giorno dei suoi funerali, Ugo La Malfa tenne un importante discorso al teatro “Carignano” nel quale lanciò il nuovo Partito Repubblicano che superava quello legato alla tradizione mazziniana che a Torino si identificava in Terenzio Grandi e Vittorio Parmentola. All’inizio del suo discorso ricordò Ernesto Rossi, definendolo <<un uomo del Risorgimento>> per la probità morale del suo agire, per la intensa passione civile che sempre caratterizzò la sua vita. Giovanissimo, andai ad ascoltare La Malfa e rimasi colpito da quel discorso. Ne parlai dopo lezione all’Università, a Palazzo Campana(dove pochi mesi dopo sarebbe nata la contestazione studentesca)   con Aldo Garosci, che era uno dei miei professori più amati alla Facoltà di Lettere dov’egli insegnava Storia del Risorgimento e Storia delle dottrine politiche.  Garosci era stato in aspra polemica con Rossi pochi anni prima per” il caso “Piccardi”, una vicenda che non merita di essere ricordata, anche se sconquassò il Partito Radicale di allora ,in verità già minato da dissensi ben più profondi. Garosci non solo riconobbe la grandezza di Rossi, ma si espresse  con parole di assoluta generosità e rispetto verso il combattente per la libertà e la democrazia Ernesto Rossi. Paradossalmente  non fu così generoso Massimo Mila che aveva condiviso con lui il carcere a Roma.E’ impossibile far rivivere il suo gusto per la battuta tagliente, per il paradosso, per la polemica più feroce che caratterizzarono i suoi scritti.

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Oppositore irriducibile del fascismo, fra i fondatori di “Giustizia e Libertà”, Rossi fu arrestato nel 1930 e condannato a vent’anni di carcere (nel suo libro Elogio della galera ci ha lasciato testimonianza di che cosa significasse per lui ” Non mollare”, per dirla con il titolo del giornale antifascista fiorentino a cui aveva collaborato). Visse l’esperienza del carcere con una intransigenza ferrea che gli indurì il carattere, senza impedirgli tuttavia di abbandonarsi alla dolcezza dei sentimenti, quando scriveva alla sua “Pig”, il diminutivo di “Pigolina” attribuito, con catulliana tenerezza, alla sua donna, Ada, che volle sposarlo in carcere e restargli fedele per tutta la vita. La figura di Ada Rossi merita un ricordo a sé perché ella fu una donna di straordinaria personalità,  che seppe fare scelte coraggiose e sempre controcorrente, non coincidenti con quelle del marito. Successivamente relegato al confino di Ventotene, scrisse nel 1941, con Altiero Spinelli, il famoso Manifesto da cui – in piena guerra – trasse impulso l’idea federalista di un’Europa libera ed unita. Un modo di intendere l’Europa diverso da quello che fu di Federico Chabod e dello stesso Luigi Einaudi. Tra i fondatori del Partito d’Azione e poi del Partito Radicale, visse l’esperienza de “Il Mondo” di Mario Pannunzio, di cui fu una delle “colonne”: le sue inchieste appartengono ormai alla storia del giornalismo italiano, così come alcuni suoi libri hanno lasciato una traccia difficilmente cancellabile: pensiamo, ad esempio, a I padroni del vapore.Fu vicinissimo a Marco Pannella all’atto della rifondazione del Partito Radicale di cui fu subito uno degli iscritti già nel 1962/63. Rossi era un liberista convinto, che proveniva dalla scuola di Einaudi, ma aveva anche appreso da Salvemini e da Rosselli i valori della giustizia e del socialismo liberale. Negli anni del pontificato di Pio XII esemplari ( e, forse, non sempre accettabili) furono le sue battaglie ferocemente anticlericali. Alessandro Galante Garrone ha così sintetizzato il carattere di Rossi: << Spiritaccio scanzonato, una delle coscienze più pure ed intemerate del nostro tempo>>. Fu uno degli ultimi “illuministi” che si lasciava guidare, come egli stesso scrisse, dal << cerino acceso della nostra ragione>>. Nel buio morale dei nostri giorni, la lezione scomoda di Enesto Rossi è una di quelle che vanno raccolte e ricordate anche da parte di chi ha dissentito dai suoi “furori” polemici: egli stesso è una piccola luce che ci indica la strada da percorrere, senza tradire: è stato, parafrasando Benda, << un chierico che non ha tradito>>, un cittadino esemplare di quella <<Italia civile>> di cui parla Bobbio.

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E’ molto significativo che in tempi come quelli che viviamo, in cui è stato smarrito il senso della storia e del valore civico,dei giovani studenti torinesi si siano avvicinati a Rossi che fu professore di economia negli Istituti superiori di Stato ed al quale, dopo il carcere duro e il confino, nell’Italia tornata democratica , venne negata ingiustamente la docenza universitaria. E’  anche molto importante che ci siano dei docenti che supportino una ricerca di questo tipo. Licei blasonati torinesi si appiattiscono nei riti autocelebrativi del loro passato, senza uscire dalle solite” vulgate”. Gli studenti del “Bosso -Monti” seguono altre strade e va loro reso merito. Non è, per altri versi, un caso che Rossi venga riscoperto dai giovani. Già nel 1987 gli studenti dell’Istituto superiore di Bergamo, dove Rossi insegnava prima dell’arresto e dove conobbe la futura moglie sua collega di insegnamento, fecero un video sulla vita del professore che diede lustro alla loro scuola . Ricordo con piacere l’invito a Bergamo che mi venne fatto per ricordare Ernesto Rossi nel ventennale della morte. Oggi gli studenti torinesi riscoprono la sua figura anche collegandola alle radici piemontesi della sua famiglia. E’ un segno che non bisogna disperare e che bisogna guardare con fiducia alle nuove generazioni. 

 

quaglieni@gmail.com

Il mondo di Amos: Episodio Uno

Cécile B. EvansAmos’ World: Episode One illy Present Future Prize 2016 Exhibition


 

Cécile B. Evans, vincitrice del Premio illy Present Future 2016 con l’opera What the Heart Wants (Ciò che vuole il cuore), 2016, presenta una nuova versione dell’opera Amos’ World: Episode One (Il mondo di Amos: Episodio Uno), 2017 nella sala progetto della Manica Lunga, dal 3 novembre 2017 al 7 gennaio 2018.

A partire dalla relazione tra essere umano e nuove tecnologie, l’artista si sofferma sul valore delle emozioni nella società contemporanea indagando le nuove forme della soggettività umana.Amos’ World è una video installazione, concepita come uno show televisivo in tre episodi. Il primo episodio introduce Amos, un architetto che è una via di mezzo tra Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e l’archetipo del “patetico uomo bianco” secondo l’artista. Amos è costretto a confrontarsi con gli inquilini del complesso abitativo da lui progettato, che non si comportano secondo le sue aspettative. Cominciano a incrinarsi le relazioni creando una situazione che mina la sua visione della struttura abitativa nella sua dimensione comunitaria e individuale. L’artista belga e americana, residente tra Londra e Berlino, ha già all’attivo numerose mostre tra le quali nel 2016 la personale alla Tate Liverpool e la partecipazione alla 9° Biennale di Berlino.  Il lavoro di Cécile B. Evans è stato scelto dalla giuria tecnica del premio riunitasi nell’ambito di Artissima 2016 e composta da Carolyn Christov-Bakargiev (direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli e GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino), Bart van der Heide (Curatore Capo, Stedelijk Museum, Amsterdam), Verena Hein(Curatrice, Museum Villa Stuck, Munich) e Nicoletta Fiorucci (collezionista e Presidente Fiorucci Art Trust), con la seguente motivazione: “Il lavoro di Cécile B. Evans offre una visione e una forma del futuro dove l’interfaccia tra la dimensione digitale e quella corporea è strutturata in modo da esplorare il suo impatto sullo sviluppo della soggettività umana”. Dal 2012 il Premio illy Present Future offre al vincitore l’eccezionale opportunità di esporre al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, oltre a sostenerne la ricerca. Il premio rappresenta la volontà dell’azienda di supportare la comunità artistica e i giovani talenti nel loro percorso di crescita. Grazie alla visione contemporanea di illycaffè e all’attiva collaborazione con il Castello di Rivoli, il Premio illy Present Future offre un contributo importante all’affermazione degli artisti emergenti e conferma il ruolo innovatore di Artissima. I vincitori delle precedenti edizioni che hanno esposto al Castello di Rivoli sono stati: Vanessa Safavi, Santo Tolone e Naufus Ramírez-Figueroa (2012), Caroline Achaintre e Fatma Bucak (2013), Rachel Rose (2014) e Alina Chaiderov (2015). Nell’ambito del convegno MUSEUMS AT THE ‘POST-DIGITAL’ TURN / I MUSEI ALLA SVOLTA ‘POST-DIGITAL’ promosso da AMACI e in programma alle OGR di Torino, sabato 4 novembre alle ore 11.00 Cécile B. Evans sarà in conversazione con il direttore del Castello di Rivoli e GAM-Torino Carolyn Christov-Bakargiev sul tema delle condizioni di soggettività e di vita nell’età digitale, con una critica delle attuali credenze ingenue nel progresso e attraverso una valutazione delle avventure e degli esperimenti artistici che trasformano le incertezze e la frammentazione nella base per una presenza emotiva ed affettiva in cui comunicare diventa comunicurare.

 

 

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Cécile B. Evans

Cécile B. Evans crea sculture, performance, piattaforme internet e video-installazioni attraverso le quali esplora le nuove possibilità e impossibilità della soggettività collettiva. Nella visione dell’artista, le emozioni – in flusso perpetuo – sono generate da ampi sistemi che circolano nella rete. Muovendo dall’impatto delle tecnologie moderne nelle relazioni umane, le sue opere indagano la simultanea esistenza tra realtà multiple e la complessa relazione di interazione tra loro. Esse inoltre mirano alla riappropriazione della dimensione corporea in varie forme: l’originale, le copie e le mutazioni. Il contesto delle sue installazioni è articolato quanto le fonti a cui attinge. L’utilizzo di dispositivi elettronici in rete, accanto a oggetti di varia natura, organici e artificiali, trasforma le installazioni in costellazioni di nuovi e misteriosi organismi. A partire da un immaginario show televisivo di un’agenzia immobiliare di stampo progressista, Amos’ World: Episode One, 2017, richiama le utopie radicali di architetti brutalisti come Le Corbusier e gli Smithsons, allegoria delle comunità di individui che vivono insieme nelle vaste infrastrutture della rete. Archetipo del «maschio bianco patetico» come indica l’artista, una via di mezzo tra Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e Peter Smithson, il protagonista Amos è un architetto costretto a confrontarsi con gli abitanti del complesso abitativo da lui progettatoL’opera è un “super congegno”: collage di tecniche e stili, di rendering digitali, dialoghi, citazioni e immagini d’archivio, tecniche di animazione 2D e 3D e musiche. I personaggi vivono nel mondo di Amos connessi in una rete sentimentale e relazionale che appare come una grande infrastruttura rizomatica, su cui incombe un personaggio senza corpo. Contraddicendo l’interpretazione di Zygmunt Bauman della liquidità e immaterialità dell’era digitale, l’opera è innanzitutto un corpo identitario in cui tutto ha un nome, una fisicità e una soggettività che narra di come sia possibile sentire e muoversi nel mondo dell’astrazione.

Marianna Vecellio

Curatore, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea

 

 

Biografia

Cécile B. Evans (1983, Cleveland) di origini belghe americane, vive e lavora a Londra. A partire dalla relazione tra essere umano e nuove tecnologie, Evans si sofferma sul valore delle emozioni nella società contemporanea, esplorando le forme odierne della soggettività umana, il delineamento dei ruoli sociali e l’idea stessa di corpo e mortalità. Ha vinto numerosi premi tra i quali l’EMDASH Award (oggi Frieze Award) nel 2012, il premio PUSHYOURART del Palais de Tokyo & Orange nel 2013, l’Alfried Krupp von Bohlen und Halbach-Stiftung per il Young Artist’s Monograph nel 2016 e nello stesso anno il premio Present Future di illy. Ha già all’attivo diverse mostre personali tra le quali What the Heart Wants al De Hallen di Haarlem nei Paesi Bassi nel 2016, Sprung a Leak, realizzata nel 2016, prima alla Tate di Liverpool poi al M-Museum di Leuven e AGNES presso le Serpentine Galleries di Londra nel 2014. I suoi lavori sono stati inclusi in importanti esposizioni collettive come Being There al Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca (2017), la 7° Biennale di Mosca (2017), New Literacy – 4° Ural Industrial Biennial (2017),ARTIFICIAL TEARS al MAK di Vienna (2017), The Way Things Do alla Fundació Joan Miró (2017), Dreamlands: Immersive Cinema and Art, 1905–2016 presso il Whitney Museum di New York (2017), The Present in Drag – 9° Biennale di Berlino (2016), la 20° Biennale di Sydney, CO-WORKERS – Network as Artist tenutasi al Musée d’Art Moderne di Parigi (2015), Inhuman al Fridericianum di Kassel (2015), e La Voix Humaine al Kunstverein di Munich (2014).

 

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Gli asteroidi – Drammatico. Regia di Germano Maccioni, con Pippo Delbono e Chiara Caselli. Due ragazzi, Pietro e Ivan, in conflitto con la famiglia, con scuola e con tutto quanto li circonda. Nel “disordine” generale, un asteroide sta per passare vicinissimo alla Terra: proprio mentre anche si stanno verificando nella zona alcuni furti nelle chiese di cui sarebbe responsabile la “banda dei candelabri”. Pietro è debole e si lascerà convincere a partecipare al colpo ideato e organizzato dall’amico Ivan. Durata 91 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)

 

La battaglia dei sessi – Commedia. Regia di Jonathan Dayton e Valerie Farsi, con Emma Stone e Steve Carrell. La partita a tennis, con un seguito televisivo di 90 milioni di spettatori in tutto il mondo, che nel 1973 mise l’uno contro l’altra Bobby Riggs, maschilista oltre misura, che aveva fatto dell’istrionismo la legge del suo stare in campo, e Billie Jean King, tutt’all’opposto, gran combattiva per quanto riguardava la libertà in ogni campo delle donne, all’affermazione di ogni loro diritto. Una gara preda dei mass media in un’America ancora in bilico tra conservatorismo e piena trasformazione. Durata 121 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Blade Runner 2049 – Fantascienza. Regia di Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto e Robin Wright. In un’epoca futura, l’agente K va alla ricerca di Rick Deckard, un tempo posto a caccia dei replicanti ribelli, ancora una volta nel desiderio di una vita vera, quella che non può non avere sentimenti e infelicità, sogni. Ma è anche il racconto della sua vita reale, in piena solitudine, senza ricordi o la fittizia ricostruzione di essi, è l’unione con una compagna virtuale che in qualsiasi momento può esser fatta scomparire, è il disordine e la violenza del cieco scienziato Wallace, che tende a eliminare i vecchi replicanti rimasti per poter creare nuovi esempi, è l’incontro con l’antico agente Harrison Ford, rinato dal cult di Ridley Scott, dall’ormai lontano 1982. Un film che occhieggia ancora verso l’autore Philip K. Dick, che s’impone nella grandezza dei propri ambienti scenografici, che non teme i tempi lunghi, che già le critiche inglesi e provenienti da oltre oceano definiscono come un capolavoro. Durata 163 minuti. (Greenwich sala 2, Reposi, Uci)

 

Dove non ho mai abitato – Commedia. Regia di Paolo Franchi, con Fabrizio Gifuni, Emmanuelle Devos e Giulio Brogi. Dall’autore di “Nessuna qualità agli eroi” con Elio Germano. Dove un anziano architetto riesce a riunire, in occasione della costruzione di una villa, la figlia che vive a Parigi dopo aver sposato un ricco finanziere e l’allievo in cui ha sempre maggiormente creduto, ambizioso. Un nuovo rapporto, nuovi sentimenti. Girato a Torino. Durata 93 minuti. (Massimo sala 2)

 

Geostorm – Azione. Regia di Dean Devlin, con Gerard Butler, Jim Sturgess, Abbie Cornish, Andy Garcia e Ed Harris. Due fratelli impegnati a salvare il mondo da un’imminente catastrofe. Mentre i capi di stato delle maggiori potenze mondiali si riuniscono per definire la realizzazione di una complessa rete di satelliti in grado di controllare le condizioni meteorologiche e garantire la sicurezza dei cittadini, ecco che per un malfunzionamento tecnico il sistema che dovrebbe porre tutti in salvo è la causa della imminente distruzione della Terra: tempeste, tsunami, frane, uragani e terremoti. In una corsa contro il tempo i due uomini dovranno tentare di salvare ogni essere umano. Durata 109 minuti. (Ideal, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Gifted – Il dono del talento – Regia di Marc Webb, con Chris Evans, Mckenna Grace e Octavia Spencer. Al centro Mary, una ragazzina di sette anni, che come la madre ha una passione incondizionata per la matematica; accanto a lei lo zio Franck che vorrebbe offrire alla nipotina una vita normale e la nonna materna per cui quella passione va di giorno in giorno accresciuta. Durata 101 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, The Space, Uci)

 

Good Time – Azione. Regia di Benny e Joshua Safdie, con Robert Pattinson, Jennifer Jason Leigh e Benny Safdie. Connie e Nick, due fratelli, una rapina in banca per sottrarre alla cassa 65mila dollari. L’uno è l’asse portante della coppia, il motore che fa girare la vita dell’altro e le differenti storie tutte intorno, Nick è il ragazzo più debole, che si fida ciecamente del fratello, quello fuori di testa che va sorretto ad ogni istante. La rapina non è proprio un successo e Nick ci casca, carcere e ospedale, anche con il tentativo di Connie di rapirlo e strapparlo alla struttura, con il risultato di portarsi l’uomo sbagliato. Intorno la notte, la New York dei Queens, gli altri sbandati incontrati per strade: con la critica unanime a ripetere che Pattinson, nella gran voglia di scuotersi di dosso il personaggio di “Twilight”, sta sulla scena con la verità di un consumatissimo e maturo attore. Durata 100 minuti. (Classico anche in V.O.)

 

IT – Horror. Regia di Andrés Muschietti, con Bill Skarsgård, Sophia Lillis, Jeremy Ray Taylor e Jaeden Lieberher. Tratto dal romanzo del “maestro” Stephen King, perla rara nel genere ai recenti botteghini Usa. Durante un temporale, il giovanissimo George guarda la sua barchetta di carta scendere giù per i rivoli d’acqua e scomparire nella fogna di Derry, piccola città del Maine che sembra il ricettacolo di ogni male. Là è nascosto IT, che si nasconde sotto gli abiti e il viso colorati di Pennywise, vero orco per le giovani vittima che scoverà in città. Sette ragazzini pieni di paure, molestati, dalla debole salute, grassi e spaventati, con grosse lenti poggiate sul naso, neri ed ebrei. Tutti pronti a unirsi pur di distruggere il Male. Salvo rimandare la conclusione delle gesta ad un prossimo capitolo, buttato al di là di una trentina d’anni, in un’età più che matura. Durata 135 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Il mio Godard – Biografico. Regia Michel Hazanavicius, con Louis Garrel, Bérénice Bejo e Stacy Martin. Con una buona dose di ironia nei confronti di quella critica francese che dagli anni Sessanta ha guardato alla figura di Godard in un misto di rispetto ed esaltazione, Hazanavicius – sopravvalutassimo autore oscarizzato con il muto “The Artist”, (ri)caduto con “The search” – tenta di descrivere il Sessantotto, il maoismo, le proteste contro la guerra in Vietnam, gli scritti e le arringhe, la politica nella vita e dietro la macchina da presa, l’amore per Anne Wiazemsky, la gelosia e il possesso dell’autore della “Cinese”. Durata 107 minuti. (Massimo sala 1 anche in V.O.)

 

Mistero a Crooked House – Drammatico. Regia di Gilles Paquet-Brenner, con Glenn Close, Christina Hendricks, Max Irons, Julian Sands e Gillian Anderson. Basato sul romanzo di Agata Christie pubblicato in Italia con il titolo “È un problema”, il film è un giallo corale che tanto piacciono all’autrice: un confronto incrociato tra i componenti di una ricca famiglia inglese. Per ottenere finalmente la mano della ricca Sophia, il giovane investigatore privato Charles Hayword deve risolvere il mistero che avvolge la morte del nonno della ragazza. Mentre tutti puntano il dito contro la giovane seconda morte dello scomparso, spetterà a Charles scoprire nuovi moventi e indizi e la verità. Durata 105 minuti. (Eliseo Grande, Nazionale sala 1, The Space, Uci)

 

Mr. Ove – Commedia. Regia di Hannes Holm, con Rolf Lassgård, Ida Engvoll e Bahar Pars. Il signor Ove è un pensionato isolato e sempre di malumore, che trascorre le proprie giornate a far rispettare le regole dell’associazione dei condomini – che un giorno presiedeva – e andando a far visita alla tomba della moglie, un uomo che pare aver rinunciato del tutto alla vita. Finché un giorno ecco comparire i nuovi vicini di casa: con essi il signor Ove pare stringere una nuova amicizia. Durata 116 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3)

 

Non c’è campo – Commedia. Regia di Federico Moccia, con Gianmarco Tognazzi e Vanessa Incontrada. Tempi duri per le gite scolastiche. Due insegnanti sono alle prese con una di queste, chiaramente con tanto di discepoli al seguito, verso un grazioso paesello dove un artista con i piedi ben piantati nella sperimentazione più attuale li attende per una settimana di studi ed esercitazioni. Ovvero la creatività al potere. Ma tutto sembra ridursi ad un buco del mondo: soprattutto per il fatto che, come sintetizza il titolo, i telefonini in quel tetro angolo non prendono. Come faranno i nostri, adulti e no, a sopravvivere? Durata 90 minuti. (The Space, Uci)

 

Nove lune e mezza – Commedia. Regia di Michela Andreozzi, con Claudia Gerini, Lillo, Giorgio Pasotti, Stefano Fresi e Michela Andreozzi. Opera prima. Due sorelle, diversissime tra loro, l’una è violoncellista, l’altra un più comune vigile urbano, c’è chi vorrebbe un giglio ma non riesce ad averlo e c’è chi può ma non vuole. Poi c’è la coppia gay, che è sposata e che il figlio pure ce l’ha. Durata 90 minuti. (Reposi)

 

Il palazzo del viceré – Drammatico. Regia di Gurinder Chadha, con Gillian Anderson, Hugh Bonneville e Manish Dayal. Il nipote della regina Vittoria, Lord Mountbatten, come ultimo Viceré, ha il compito di accompagnare l’India nella transizione verso l’indipendenza. Ma la violenza esplode tra musulmani, induisti e sikh, sfociando in quella che è definita la “Partition” tra Pakistan e India, coinvolgendo anche gli oltre 500 membri dello staff che lavorano al Palazzo. La storia d’amore tra due giovani, musulmana lei, induista lui, rischia di essere travolta dal conflitto delle rispettive comunità religiose. Durata 106 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

La ragazza nella nebbia – Thriller. Regia di Donato Carrisi, con Toni Servillo, Alessio Boni, Galatea Renzi, Michela Cescon e Jean Reno. Lo scrittore Carrisi passa dietro la macchina da presa, adattando per lo schermo un suo romanzo di successo. Narrando del detective Vogel inviato in un piccolo paese di montagna, vittima sotto choc di un incidente, incolume ma con gli abiti sporchi di sangue, un mite e paziente psichiatra che tenta di fargli raccontare quanto è accaduto. Vogel è lì per occuparsi della sparizione di una ragazzina di soli sedici anni, avvenuta alcuni mesi prima: un groviglio di segreti che arriva dal passato, un piccolo paese dove nulla è ciò che sembra e nessuno dice tutta la verità. Impianto ferreo ma pure con qualche scricchiolio nella parter finale; soprattutto un gioco di scatole cinesi che suona come uno snocciolarsi di colpi di scena ma che è anche un aggrovigliarsi che sbanda e fuoriesce dal campo della chiarezza. Servillo è ormai Servillo, quasi monumento a se stesso, Boni produce qualche bella emozione in più, la Cescon piuttosto inverosimile, gli altri a far parte di un piccolo presepe di montagna ormai cristallizzato. Comunque se dovessimo buttar giù una classifica con “L’uomo di neve” l’Italia batterebbe la fredda Norvegia per molti punti a zero: da noi c’è parecchia più vita, pur tra rapimenti e morti. Durata 127 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Ritorno in Borgogna – Drammatico. Regia di Cèdric Klapisch, con Ana Girardot, François Civil, Pio Marmaï. Dieci anni fa Jean ha lasciato la famiglia, proprietaria di un grande vigneto in Borgogna, per trasferirsi all’estero. A causa della malattia terminale del padre, lascia l’Australia, dove vive con moglie e figlio, e torna a casa per rincontrare la sorella Juliette e il fratello Jérémie. Ma c’è la morte del padre, c’è la ricerca di una forte somma di denaro per pagare le tasse di successione: sarà l’occasione per i tre fratelli i legami che li hanno tenuti vicini un tempo. Durata 113 minuti. (F.lli Marx sala Harpo)

 

Saw: Legacy – Horror. Regia di Michael e Peter Spierig, con Tobin Bell e Laura Vandervoort. Se il seriakiller di un tempo è morto, eccone un altro fresco fresco con la stessa volontà, a voler far fuori quanti si sono prodotti in crimini e colpe per i quali dovranno pagare. E se fosse Kramer tornato a continuare la proprie personali vendette? E se al contrario qualcuno ne volesse emulare le gesta (e gli effettacci)? Durata 91 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Terapia di coppia per amanti – Commedia. Regia di Alessio Maria Federici, con Ambra Angiolini, Pietro Sermonti e Sergio Rubini. Tratto da un romanzo di Diego De Silva, narra di Viviana e Modesto, un tempo vivaci amanti ormai in definitivo tempo di crisi. Un aiutino per salvare la loro situazione, se possibile, e con essa quella delle rispettive famiglie: ed ecco allora che non si può far altro che rivolgersi ad un terapeuta che ha la faccia di Rubini. Pure lui non privo di qualche piccolo problema da risolvere in campo sentimentale. Durata 97 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Thor: Ragnarok – Fantasy. Regia di Taika Waititi, com Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Cate Blanchett e Tom Hiddleston. Il verde Hulk a dare una mano al dio del tuono, questa volta privato del suo fantastico martello e in lotta con Hela, la dea della morte, che vorrebbe prendersi il trono di Asgard, e ancora prigioniero in una terra lontana dove è costretto a combattere per il piacere di un tiranno amante del rischio e pronto a manipolare le deboli vite altrui. Durata 130 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Una donna fantastica – Drammatico. Regia di Sebastiàn Leilo, con Daniela Vega. Marina è una donna giovane e attraente, innamorata di un uomo di vent’anni maggiore di lei. All’improvviso l’uomo muore: è in quel momento che la sua natura transgender la metterà di fronte ai pregiudizi della società in cui vive. Ma lei è una donna forte e coraggiosa, pronta a battersi contro tutto e contro tutti per difendere la propria identità e i propri sentimenti. Durata 104 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Nazionale sala 2)

 

Una questione privata – Drammatico. Regia di Paolo e Vittorio Taviani, con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Dal romanzo di Beppe Fenoglio. “Over the rainbow” è il disco più amato da tre ragazzi nell’estate del ’43. Si incontrano nella villa estiva di Fulvia, che gioca con i sentimenti di entrambi: con quelli di Milton, pensoso e riservato, con quelli di Giorgio, bello ed estroverso. Un anno dopo Milton, partigiano, si ritrova davanti alla villa di Fulvia ormai chiusa, il custode lo riconosce e insinua un dubbio, che Fulvia, forse, abbia avuto una storia con Giorgio. Ogni cosa pare fermarsi per il ragazzo, la vita, le amicizie, la lotta partigiana, è ossessionato dalla gelosia e vuole scoprire la verità. Deve ritrovare Giorgio ma l’amico di un tempo è stato fatto prigioniero dai fascisti. Durata 84 minuti. (Romano sala 1)

 

L’uomo di neve – Thriller. Regia di Tomas Alfredson, con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson e Charlotte Gainsbourg. Trasposizione cinematografica del settimo appuntamento tra Jo Nesbø ed il suo Harry Hole, detective della polizia sporco e traumatizzato, troppe volte attaccato alla bottiglia, che coltiva in sé drammi persi in anni passati, dedicandosi allo stesso tempo a districare le matasse che hanno all’interno delitti e vittime. Qui un killer perseguita e cancella donne separate con figli, le riduce a pezzi, lasciando sul luogo del delitto un inconfondibile pupazzo di neve. I delitti avvengono tra una nevicata e l’altra, nella fredda terra della Norvegia, è necessaria la materia prima per quei pupazzi posti dinanzi alle abitazioni delle vittime. Un trascorrere continuo tra passato e presente, angosce in cui trovano spazio una collega di Hole e la ex moglie. Una vera delusione per chi abbia letto le pagine del libro, il protagonista non è messo a fuoco e avanza stancamente nella storia, colpa maggiore la storia è costruita con un accavallarsi o un viaggiare caotico e controproducente di azioni in parallelo, con un disordine che non fa nulla per riporsi nel campo della ordinata stabilità. Meglio di gran lunga tornare al libro. Durata 125 minuti. (Uci)

 

Vittoria e Abdul – Drammatico (ma piuttosto commedia). Regia di Stephen Frears, con Judy Dench, Ali Fazal, Michael Gambon e Olivia Williams. Nel 1887 Abdul lascia l’India per Londra, per poter donare alla regina settantenne, sul trono da oltre cinquant’anni, una medaglia, proprio in occasione del suo Giubileo d’Oro. La sovrana è attratta dalla cultura che l’uomo porta con sé, dalla sua giovinezza e dalla prestanza, contro lo scandalo che il suo nuovo amico semina in tutta la corte, che non esita a bollarla come pazza. Più “storiucola” che Storia, a tratti imbarazzante per quell’aria di operetta senza pensieri che circola all’interno: naturalmente per il regista di “Philomena” (da ricordare) e di “Florence” (da dimenticare) il ventiquattrenne Abdul è senza macchia, la vecchia e inamidata corte inglese da mettere alla berlina e allo sberleffo, il piccolo entourage regale che grida “sommossa” se ne ritorna tranquillo a servire la vecchia sovrana. Ma ci voleva ben altro polso e visuale, e qui Frears ha tutta l’aria di voler andare in pensione. Durata 112 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale V.O., Eliseo Blu, Reposi, The Space, Uci)

“Anything”, tra realismo e iporealismo

Dal 2 novembre 2017 al 14 gennaio 2018

In occasione della “Settimana delle Arti Contemporanee”, il MEF (Museo Ettore Fico) di via Cigna a Torino presenta, dal 2 novembre 2017 al 14 gennaio 2018, una nuova opera dell’artista torinese Daniele Galliano

Pinerolese di nascita, classe ’61 e autodidatta di formazione, Galliano è stato scoperto criticamente da Luca Beatrice e dagli anni Novanta a oggi ha conquistato rapidamente un ruolo di rilievo nel panorama della nuova pittura italiana. Ma non solo. Il “realismo fotografico” che, da sempre, caratterizza la sua produzione, gli ha permesso di partecipare a importanti mostre collettive e personali in tutto il mondo, fra cui le Biennali de L’Avana, quella di Venezia nel 2009 e quella di Khoci a Kerala nel 2016. Sue opere sono anche presenti in alcune fra le principali collezioni pubbliche e private, come la GAM di Torino, la GNAM di Roma e il MART di Trento e Rovereto. Al MEF, Galliano presenta una tempera/olio su tela di grandi dimensioni dal titolo “Anything”, realizzata nel 2017 e che ben sintetizza quel suo modo di concepire l’arte (fra realismo e iporealismo) come una sorta di “visione – scrive Mario Perniolache oscilla fra la miopia e il sogno”. E che, in quest’ottica, “costituirebbe un’interpretazione moderata di temi del postumano (paura, sesso, vita metropolitana) che, aumentando la distanza nei confronti del reale, li riconduce nell’alveo di un’esperienza artistica ed estetica tradizionale”. L’ospitata di Galliano, fanno sapere dal MEF, è il preludio di una nuova collaborazione con l’artista per un progetto site-specific, che verrà realizzato all’interno dei locali del “B+Ars” , Bistrot del Museo, nella prossima primavera. Il progetto prevede non solo la realizzazione di un affresco, ma anche un continuo work in progress con l’artista che sarà disponibile a incontri, scambi, e dialogo con i visitatori durante tutto l’arco di tempo necessario per la realizzazione dell’opera e parallelamente a un programma di incontri con le scuole a cura dell’area didattica dello stesso Museum.

G.M.

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MEF (Museo Ettore Fico), via Francesco Cigna 114, Torino – tel. 011/853065, www.museofico.itinfo@museofico.it

Arte (accessibile) in Galleria

In occasione di Artissima 2017, fiera internazionale d’arte contemporanea, la Galleria Umberto I ospiterà una selezione di opere degli artisti del panorama contemporaneo: Roberto Kosterle, Sylvie Romieu, Francesco Nonino, Elisa Bertaglia, Marco Vinicio, Horiki Katsutomi, Andrea Aquilanti, Marcello Jori, Giuseppe Chiari, Vasco Bendini, Antonin Strizek, Federico Guerri, Bruno Lucca, Greta Pasquini, Nico Mingozzi, Liselotte Frauenknecht, Angelo Molinari, Giancarlo Pacini, Bruno Ceccobelli, Marco Colazzo, Silvia Amodio, Sandro Beltramo e Simone Bubbico, in un percorso che vuole esplorare e creare, attraverso l’evoluzione del gusto, un collegamento diretto di conoscenza tra autore e fruitore. Arte accessibile, che scende dal piedistallo e si misura con le persone che, abitualmente, percorrono la Galleria per andare ad acquistare i prodotti del mercato di Porta Palazzo.L’arte contemporanea si presenta così non soltanto ai professionisti del settore ma a un pubblico più ampio, le opere infatti sono esposte fuori dal contesto in cui solitamente si trovano, e diventano non solo privilegio di una élite.

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Galleria Umberto I – 10122 Torino Ingresso gratuito dal 2 novembre al 2 dicembre dalle 10.00 alle 19.00

 

Iniziativa a cura di Laura Tabasso, Giovanni Pellegrini e Franco Tabacco – Yit architetti. In collaborazione con la galleria WEBER & WEBER Arte Moderna e Contemporanea, il MUSEO DEL DESIGN di Galliano Habitat e l’Associazione Commercianti Galleria Umberto I.