CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 751

“Kobane Calling”, la resistenza curda contro l’Isis nei disegni di Zerocalcare

Un felice esperimento di graphic journalism alla maniera del fumettista romano, in cui il dramma della guerra si mischia ai tic e ai dettagli tipici del suo narrare

kobane zerocalcare

Tre viaggi nel corso di un anno. Turchia, Iraq, Siria, per documentare la vita della resistenza curda in una delle zone calde meno spiegate dai media. Un reportage in forma grafica del viaggio che ha portato Zerocalcare ( pseudonimo di  Michele Rech , uno dei più autori di fumetto italiani ) a pochi chilometri dalla città assediata di kobane2Kobane, tra i difensori curdi del Rojava, opposti alle forze dello Stato Islamico. Le storie , pubblicate in un primo tempo su Internazionale  sotto il titolo “Con il cuore a Kobane “ vengono raccolte ora nel volume “Kobane Calling” ( 240 pagine, Bao Publishing, 20 euro)  in cui sono presenti i racconti inediti dei viaggi tra Turchia, Iraq e Siria compiuti dall’autore. Un felice esperimento di graphic journalism alla maniera del fumettista romano, in cui il dramma della guerra si mischia ai tic e ai dettagli tipici del suo narrare.kobane1 Zerocalcare realizza un lungo racconto, a tratti intimo, a tratti corale, nel quale l’esistenza degli abitanti del Rojava (una regione nota anche come Kurdistan siriano o Kurdistan Occidentale , il cui nome non si sente mai ai telegiornali) emerge come un baluardo di estrema speranza per tutta l’umanità. Un libro per immagini, che offre un fortissimo coinvolgimento emotivo verso le persone e i volontari conosciuti da Zerocalcare. Un racconto che porta il lettore  a conoscere i punti di vista di alcuni autentici testimoni di questa insensata fase storica, che oggi sentiamo più vicina e presente per gli attentati terroristici che sono ormai entrati a fare parte delle nostre vite, e per il problema dei profughi alle frontiere europee, ma che per anni è stata ai margini, avvolta in una nuvola di indifferenza, quasi fossimo di fronte ad una fiction televisiva e non ad una cruda e drammatica realtà.  Quelli raccontati da Zerocalcare sono degli esseri umani, rappresentati in bianco e nero, impegnati a difendere la loro umanità, e in prospettiva anche la nostra, contro la più aberrante forma di estremismo dai tempi del nazismo.

Marco Travaglini

Guido De Bonis a Palazzo Lomellini

Un omaggio al pittore onirico Guido De Bonis con una personale che rimarrà aperta fino al 15 maggio

debonisLa città di Carmagnola dedica un importante tributo al pittore Guido De Bonis con la personale in programma dal 15 aprile al 15 maggio prossimi, ospitata a Palazzo Lomellini, in piazza Sant’ Agostino 17. Questa esposizione dedicata al pittore torinese raccoglie una selezione di opere provenienti dalla collezione privata di Dionisia Goss, compagna e collega del maestro, costituita non solo di opere pittoriche, ma anche di litografie, disegni, piccoli schizzi, tutti testimonianze grafiche di una personalità ancora oggi capace di affascinare e conquistare. De Bonis nacque a de bonis1Torino nel 1931, compì numerosi viaggi in Francia, dove visse per lunghi anni della sua vita, soprattutto verso la fine, dove è mancato nel 2013, quindi viaggi in Germania, in Iraq e India. La sua formazione artistica è avvenuta a Torino presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, a fianco di Italo Cremona, in un ambiente permeato di iniziative legate alla nuova arte internazionale e all’ Art Autre di Tapie’, fino a approdare all’arte povera di Celant. De Bonis entrò poi a far parte , seppur marginalmente, della corrente creata nel 1964 da Alessandri, detta ” Surfanta”, che inizialmente derivava da “Surrealismo e Fantasia”, poi da “Subcontinente Reale Fantastica Arte”, movimento sostenuto dall’omonima rivista. A questa nicchia la personalità dell’artista si allontanava e avvicinava con irriverenza e sovrano disprezzo, accanto a artisti presenti in questa mostra, amici e sognatori come De Bonis. Basti pensare a Raffaele Pontecorvo, che attrasse a sé un cenacolo di giovani allievi, dai quali si origino’ il nuovo filone surrealista torinese, in grado di elaborare un discorso di grande originalità. Altri amici furono Giuseppe Macciotta, che superò il surrealismo di maniera, approdando a un mondo tra il metafisico e il romantico, e Mario Molinari, uno dei primi aderenti a Surfanta, che si distacco’ dal gruppo per dedicarsi esclusivamente alla scultura; quindi Mario Gramaglia, che approfondi’ l’analisi dei misteri insondabili del subconscio; Enrico Colombotto Rosso, che, con le sue figure oniriche e spesso demoniache, de bonis 2continuamente in bilico tra il fantastico e l’informale, riuscì a spogliare i suoi personaggi di ogni superficialità, cogliendone lo spirito e le debolezze. L’arte fantastica di Guido De Bonis rappresenta l’ultima frontiera della libertà, quella che gli ha consentito di scavalcare le barriere imposte dalla ragione, per continuare a attingere al mistero in cui sono racchiusi gli enigmi insoluti del nostro destino.” L’arte di Guido De Bonis – ha osservato il critico Marziano Bernardi – è un’arte raffinatissima che parla prima alla fantasia poi al cervello. È una pittura che “si sente” e ” si percepisce”, dal sapore di fiaba e di Oriente. Il mondo di questo maestro è un universo fascinoso che, come quello di Freud, a cui sarebbe sicuramente interessato, ci trascina al sogno e al sonno, mai all’incubo”.L’immagine che ricorre più frequentemente nella sua pittura, accanto a maschere, marionette, uccelli marini, è quella dell’ombrello. Un ombrello che il vento e le tempeste strappano e deformano, che si trasforma in aquilone, pipistrello o in conchiglia. Anche quando il significato simbolico appare evidente, rimane, però, celato il significato più profondo, quello del simbolo del simbolo. Le immagini dei quadri di De Bonis sono indistinte, spesso scavate nelle ore notturne, sfuggenti, ambigue, in continua metamorfosi, e immerse in una luce lunare, con una predominanza di azzurri e verdi.

 Mara Martellotta

 
Palazzo Lomellini, piazza S.Agostino 17, Carmagnola.
Guido De Bonis, con iL contributo di Abacuc,   Alessandri, Colombotto Rosso, Goss, Gramaglia, Macciotta, Molinari, Pontecorvo
Inaugurazione venerdì 15 aprile ore 18

Le incisioni di Ubaldo Rodari in mostra alla Salita dei Frati  di Lugano

“E’ lo stravolgimento e il ribaltamento di molte delle tecniche apprese che a mio parere giustificano il linguaggio dell’incisione, passando per la necessaria e vitale reinterpretazione al fine di dare forma a ciò che, come un’ombra, si è depositato a livello intellettuale”.

lugano

Ubaldo Rodari, autore della 95.a incisione dell’Associazione Amici dell’Atelier Calcografico di Novazzano, comune svizzero del Canton Ticino, nei pressi di Mendrisio, espone alcune opere a Lugano nel Portico della Biblioteca della Salita dei Frati. La mostra , aperta sino al 7 maggio, è visitabile negli orari di apertura della Biblioteca ovvero tutti i giorni mercoledì, giovedì e venerdì dalle ore 14.00 alle 18.00 e il sabato dalle ore 9.00 alle 12.00. L’artista che vive e opera a Verbania, è il direttore artistico dell’associazione Il Brunitoio , con sede presso la Sala Esposizioni dell’ex Cappellificio “Panizza” a Griffa (Vb) per la quale cura esposizioni di grafica, disegno e fotografia di autori moderni e contemporanei, organizzando anche incontri letterari e di approfondimento in campo musicale. Un circolo di estimatori dell’arte grafica – quello sulla spondalugano arte piemontese del lago Maggiore –  del tutto simile, per finalità e caratteristiche, all’Atelier di Novazzano che quest’anno l’ha accolto per incontrare il pubblico ticinese sabato 9 aprile alle nella sala di lettura della stessa biblioteca. In un suo scritto svela l’emergere di una passione crescita nel tempo e che sempre più ha preso ispirazione dai luoghi della vita, tra monti e lago: “Spesso mi sono chiesto e ho provato a ricordare quando e come fosse nato dentro di me l’interesse per l’incisione. Forse devo partire da ricordi molto lontani,interpretando i toni e i mutamenti dell’ambiente acquatico. E’ lo stravolgimento e il ribaltamento di molte delle tecniche apprese che a mio parere giustificano il linguaggio dell’incisione, passando per la necessaria e vitale reinterpretazione al fine di dare forma a ciò che, come un’ombra, si è depositato a livello intellettuale”.

Marco Travaglini

Il Battaglione Alpini Piemonte 1943 -1945

alpini libroLa guerra di Liberazione delle Forze Armate Italiane
 

Lunedì 18 aprile, alle 17, nella Sala dei Presidenti di Palazzo Lascaris a Torino verrà inaugurata la mostra “Il Battaglione Alpini Piemonte 1943 -1945 – La guerra di Liberazione delle Forze Armate Italiane”.  Interverranno all’evento  Nino Boeti, Vicepresidente Consiglio Regionale e Presidente Comitato Resistenza e Costituzione, Cosimo Restivo, Pres. Assoarma Torino, Giuliano Laghi, Pres. ANCFARGL Torino, Pensiero Acutis, Pres. Ex Internati Torino e Franco Cravarezza, Istituto Studi Ricerche In-formazioni Difesa. 71 anni fa, il 19 aprile 1945, il Battaglione Alpini Piemonte, mille uomini per la gran parte piemontesi reduci della Divisione Taurinense scampati dal Montenegro, agli ordini della 5^ Armata americana conquistava a sorpresa il caposaldo tedesco di quota 363 sulla Linea Gotica, che sbarrava la val Idice, aprendo la strada per la liberazione di Bologna nella quale due giorni dopo entravano con gli Alleati le avanguardie dei Gruppi di Combattimento italiani Friuli, Legnano e Folgore insieme alla brigata di partigiani abruzzesi “Maiella”. Era l’inizio della liberazione del Nord, con reparti alleati e italiani che già il 24 aprile superavano su ampio fronte le difese tedesche sul Po e dilagavano nella pianura padana. Dopo, la storia racconta delle principali città che insorgono e che accolgono da vincitori i reparti militari liberatori. A Torino gli americani arrivarono in forze il 2 maggio, con davanti anche un reparto alpino del Battaglione Alpini Piemonte. Era, per l’Italia, il giorno della fine della guerra. Attorno alla storia simbolo di questo speciale reparto alpino formatosi a Bari subito dopo l’8 settembre, si snodano le vicende poco note e le scelte coraggiose di moltissimi militari inquadrati nei reparti regolari di Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza, che, combattendo a fianco degli Alleati, risalgono l’Italia ritagliandosi un ruolo significativo nella Liberazione, che avrà il suo peso nel discorso di De Gasperi del 10 agosto 1946 a Parigi, dinnanzi ai rappresentanti dei 21 Stati vincitori. La mostra “Il Battaglione Alpini Piemonte 1943-45. La guerra di Liberazione delle Forze Armate Italiane” è il racconto che Assoarma Torino, in collaborazione con il Comitato Resistenza e Costituzione ed il Consiglio Regionale, offre a tutti i Torinesi per illustrare, attraverso immagini e documenti, le operazioni militari in Italia al fianco degli Alleati, la tragedia degli internati militari nei lager tedeschi che rifiutarono di collaborare in armi con il Terzo Reich e con la RSI, l’apporto significativo dei militari nelle formazioni partigiane nel Centro-Nord, il determinante sostegno alla Resistenza da parte degli Alleati e dello Stato Maggiore Generale italiano. Argomenti e vicende ampiamente note agli storici e molto poco a livello di conoscenza collettiva. La mostra rimarrà aperta dal 19 aprile al 13 maggio, orario 10-18 dei giorni feriali – Porticato del cortile d’onore di Palazzo Lascaris – via Alfieri 15 – Torino.

"E nessuno viene a prendermi"

libro cutriA due anni dall’uscita di “E nessuno viene a prendermi”, l’aperitivo letterario con cui l’autore Simone Cutri festeggia la ristampa del libro “E nessuno viene a prendermi”

14 aprile ore 18:30 – Caffè Damiani, via San Francesco d’Assisi 19: Un’occasione informale per bere qualcosa e presentare questo romanzo di antiformazione tutto torinese. -In realtà, il libro nasce dalle parti in corsivo, il diario del quindicenne Matteo,- afferma lo scrittore – e che rappresenta il passato all’interno del triplice quadro passato-presente-futuro che scandisce l’andamento di “E nessuno viene a prendermi”, ma non trae propriamente origine da una mia esperienza personale, bensì dal preludio di rimpianto che avvertivo quando passavo i pomeriggi a studiare all’università, tra studio, pause e, insomma, la vita da universitario: amavo quei pomeriggi, e sapevo che mi sarebbero mancati”. Ambientato nel 2019, un ipotetico sbarco su Marte fa da cornice alla delirante e surreale notte d’ansia e vuoto esistenziale di Matteo, il quale ripercorre, tramite l’incontro con le persone più significative della propria vita (null’altro che decalcomanie, tramite le quali viene delineato il contorno psicologico del protagonista), le grandi tappe di un mal de vivre esistenziale, che nulla ha a che fare con le contingenze esterne: -Ecco perchè – dice Cutri – lo rivolgerei principalmente agli appartenenti alla mia generazione, a coloro che portano il peso del benessere; per quanto si cerchi di dimenticarsene, di ottenere distrazioni, successi o riconoscimenti, una volta che hai tutto, i problemi che non puoi sconfiggere ritornano, e il nostro è un mal de vivre mascheratissimo, ben diverso da quello di un Werther o un Ortis, che decidono di morire a a causa di delusioni legate alle contingenze esterne; quella di Matteo è una condizione esistenziale irrimediabile”. A far da sfondo, una Torino che calza alla perfezione il percorso del protagonista, offrendo una vasta varietà di scorci, dal misterioso e trasgressivo della Torino rionale, a quello elegante dei quartieri alti, fino ad arrivare alla vorticosità del Po, evocati con nitidezza attraverso i passi di Matteo. – In effetti – dice Cutri – mi piacerebbe un domani farne una sorta di audiolibro, andando a presentare anche visivamente l’ambientazione e i luoghi attraversati dal protagonista -. Da innamorato della letteratura, inoltre, Cutri presenterà il 21 aprile alle 20:30, anche uno spettacolo, “L’aura non c’è”, all’Auditorium Vivaldi di Piazza Carlo Alberto 5a: una presentazione scanzonata di quattordici poesie, da Dante alla Merini. – “L’Aura non c’è” è un atto d’amore sincero e scanzonato per la Poesia Italiana. Si ripercorreranno, sempre con un sorriso, i capolavori dei grandi Maestri, con l’unico intento di riscoprire una Bellezza che oggi pare dimenticata. Poesia d’amore, amore per la poesia: ecco gli elementi di una serata colta, ma anti-accademica, piena di passione e, allo stesso tempo, divertente e divertita -. Gran parte dei proventi dello spettacolo, inoltre, verranno devoluti all’associazione AMA (Associazione Missione Autismo), per il progetto Vacanza Senza i Miei, che darà la possibilità ad adolescenti e ragazzi affetti da autismo, accompagnati da educatori, di vivere un’esperienza all’insegna dell’autonomia.

Veronica Bosco

Alla scoperta delle identità nelle sculture di Paolo Troubetzkoy

Un nuovo contributo alla conoscenza dell’ artista e dei suoi rapporti con i personaggi da lui ritratti dei quali sino a oggi studiosi e pubblico non si erano mai occupati in modo particolare. Da vero cosmopolita il principe, di origini russe e americane ma cresciuto in Italia, aveva committenze anche in Europa, America e Russia e, come soggetti, i membri di quell’alta società internazionale appartenente alla così detta Gilded Age

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Nell’ambito della mostra Gianbattista Bertolazzi – Fotografie dalla Gipsoteca Troubetzkoy” attualmente in esposizione alla Sala Esposizioni “Panizza” di Griffa (Vb), Gianni Pizzigoni e Elisabetta Giordani sabato 16 aprile 2016 alle ore 17.30 presenteranno “DIMMI CHI SONO! Alla scoperta di nuove identità nelle sculture di Paolo Troubetzkoy”.L’incontro avrà come tema la ricerca condotta dai due relatori circa l’identificazione di alcuni deitrube3 personaggi ritratti nelle sculture di Paolo Troubetzkoy. Si tratta di personaggi finora sconosciuti o poco conosciuti dei quali è stato possibile ricostruire la biografia e la storia che li ha visti rappresentati nella produzione dello scultore. E’ questo un nuovo contributo alla conoscenza dell’ artista e dei suoi rapporti con i personaggi da lui ritratti dei quali sino a oggi studiosi e pubblico non si erano mai occupati in modo particolare. Da vero cosmopolita il principe, di origini russe e americane ma cresciuto in Italia, aveva committenze anche in Europa, America e Russia e, come soggetti, i membri di quell’alta società internazionale appartenente alla così detta Gilded Age, con dimore lussuose in ogni parte del mondo in grado di assecondare ogni passione, dal mecenatismo al collezionismo d’arte, dalle corse automobilistiche, all’allevamento di purosangue e quant’altro. Troubetzkoy, aristocratico e semplice nello stesso tempo, ritraeva i personaggi di questo ambiente senza lasciarsi condizionare e il più delle volte non metteva né titoli né nomi alle sculture perché come lui stesso diceva: “ Io lavoro non solo per esprimere una forma, ma soprattutto per trasmettere il senso della vita, perciò la forma ha maggiore significato se vi è vitalità; per questa ragione un titolo (e quindi anche un nome) potrebbe limitare tutto ciò che la mia opera significa realmente.”. Oggi l’opera e lo stile personalissimo dello scultore sono ormai apprezzati e conosciuti. Possiamo permetterci di addentrarci nelle personalità di coloro che hanno voluto farsi ritrarre da lui e quindi hanno potuto trattenere per sempre la vitalità di cui tanto parlava. Anzi, conoscere meglio questi personaggi, ci permetterà di conoscere meglio anche l’arte di questo artista che ha saputo interpretare fedelmente, ma anche con un certo disincanto, i protagonisti della sua epoca.

I giocattoli di latta della Cardini

L’ingegno e il “design” sul lago d’Orta negli anni Venti

Erano inseriti in scatole di cartone rappresentanti i fondali o gli edifici necessari per completare il gioco: l’hangar per l’aeroplano, il garage per la limousine, la rimessa per il tram, il tunnel per la locomotiva, un porto dove attraccare la motonave

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In pochi, anche sulle sponde del lago d’Orta, hanno memoria di una delle eccellenze dell’ingegno italiano. Eppure, tra il 1921 e il 1930, si produssero a Omegna – la città che diede i natali a Gianni Rodari – una serie di magnifici balocchi in latta litografata. La ditta era la Giocattoli Cardini e il suo titolare fu Ettore Cardini. I giocattoli, in Italia, apparvero sul mercato assai tardi rispetto al resto dell’Europa e solo a partire dal 1920 si svilupparono sia l’industria che il commercio. Una di queste realtà fu proprio la Cardini di Omegna. L’azienda, fondata nel 1916, con l’Italia in guerra, si specializzò nella lavorazione di lamiere metalliche e, negli anni venti, diventò famosa per la sua attività nel settore deicardini4 giocattoli. Il giocattolo in lamiera, materiale scadente e facilmente deformabile, aveva molti punti a suo favore: un costo contenuto ( che si rifletteva sul prezzo del giocattolo:dalle 12,90 lire della Torpedo alle 18,20 dell’aeroplano),una “bella faccia”, grazie a disegni e colori molto belli, durava a lungo ed era  riproducibile in serie. Così,in meno di dieci anni, la Cardini, utilizzando anche le pagine pubblicitarie del Corriere dei Piccoli, propose tredici giocattoli, del tutto originali e innovativi per il loro tempoIl catalogo ufficiale comprendeva: il camion 18BL, la torpedo 50 HP, la limousine 509, l’automobile da corsa, la locomotiva gruppo 690, il tram elettrico N.12, la giostra dei cavalli, la giostra volante, la giostra dei dirigibili, la giostra aereo, la motonave Saturnia, la corriera e la cucina a gas N.10. I giocattoli si distinguevano per l’alto grado delle finiture e il loro movimento era garantito da una molla in acciaio, che caricata, permetteva al giocattolo di muoversi per un tempo sufficientemente lungo.Le automobili potevano addirittura girare in cerchio, sia a destra che a sinistra, tramite lo sterzo a scatto,oppure proseguire in rettilineo. Questi giocattoli, tutti di ugual misura, erano inseriti in scatole di cartone rappresentanti i fondali o gli edifici necessari per cardini2completare il giocol’hangar per l’aeroplano, il garage per la limousine, la rimessa per il tram, il tunnel per la locomotiva, un porto dove attraccare la motonave  e così viaLa Cardini affidò il compito di eseguire le illustrazioni per le scatole ad Attilio Mussino, uno dei più brillanti disegnatori del “Corrierino”, noto per aver dato una nuova, moderna interpretazione grafica delle “Avventure di Pinocchio”, da lui illustrate per l’editore Bemporad. C’erano persino dei personaggi che si potevano staccare dalla scatola, ritagliandone le figure. Nel Dicembre del 1924, Ettore Cardini depositò il brevetto completo di disegno anche negli Stati Uniti, consapevole che la sua invenzione fosse un miglioramento. E disse: “La mia invenzione consiste in una scatola per giocattoli, rappresentante persone, animali,albero o qualunque oggetto, caratterizzato dal fatto che un pezzo di cartone abbastanza grande è applicato in corrispondenza in uno dei lati della suddetta scatola e provvisto, nel caso richiesto, da un buco in corrispondenza dell’apertura della scatola. Nell’altra parte del cardini3suddetto foglio di cartone, l’interno o l’esterno di un palazzo, un paesaggio, può essere illustrato in relazione alla natura del gioco contenuto nella scatola. Il cartone in oggetto dovrà essere prodotto in una maniera per la quale, quando si piegano le due parti e dopo la parte alta sarà parte integrante del gioco stesso. Per esempio un garage, un hangar, un porto, una galleria, una stazione, una stalla o simili“. Un colpo di genio, un tocco d’artista. La vocazione imprenditoriale dei Cardini risaliva al nonno e al padre di Ettore.Il primo, Giovanni, costruiva attrezzi agricoli nella frazione omegnese di Cireggio mentre il papà, Candido Cardini, si dedicò alla produzione di oggetti di uso domestico in ottone nella zona di Bagnella. Il giovane Ettore, compiuti  i suoi studi al Collegio Industriale di Vicenza, lavorò a Torino alla Chiribiri, nota fabbrica automobilistica e, successivamente, come direttore tecnico, alla Metalgraf di Lecco, specializzata in scatole di latta litografata. Dopo essersi “fatto le ossa”, tornò sulle rive del lago d’Orta dove, cardini6mettendosi alla prova, fondò una sua attività. Da principio poté contare sull’impegno dei parenti più stretti e di un paio d’operai, ma quando la fabbrica raggiunse il suo picco di vendite,a metà degli anni Venti, spinta dalla moda per i giocattoli già diffusa all’estero, la manodopera comprendeva un’impiegata, tre operai, dieci ragazzi, cinquantadue donne e quattro apprendiste. La Cardini rappresentava una delle prime esperienze di produzione seriale dei giocattoli, grazie alle nuove tecniche di produzione. Il metallo veniva litografato a colori a Milano da una stamperia e veniva inviato a Omegna, dove gli operai montavano i giocattoli incastrandone i vari pezzi inserendo le piccole linguette nelle corrispondenti fessure. La Cardini, che si estendeva su di una superficie di ottomila metri quadri, era un’azienda all’avanguardia per quei tempi: generatori autonomi di corrente,ambienti luminosi, spazi razionali. All’ultimo piano della fabbrica in via Comoli c’era persino una scuola di formazione professionale dove venivano progettati i giocattoli e veniva realizzato il prototipo. La produzione si concentrò in meno di un decennio,dal 1921 al 1930. Una vita breve per questi giocattoli che venivano anche esportati all’estero,soprattutto in Argentina, dove i Cardini aveva dei parenti. In quegli anni vennero prodotte anche scatole di latta pubblicitarie per altre ditte, come l’autobus Perugina del 1925, utilizzato come scatola di cioccolatini. L’azienda omegnese, inventò anche il motto “Fate i capricci“, rivolgendosi idealmente ai bambini d’ogni età, e fu la prima in Italia a servirsi della stampa per pubblicizzare i propri prodotti. La pubblicità, attraverso le pagine della «Domenica del Corriere» e del «Corriere dei Piccoli», proponeva il gioco come un premio, un incentivo : “Papà, se tu comperi un giocattolo Cardini, il più bravo, il più studioso diverrò tra i bambini”. Ma, come si dice, le cose belle non durano a lungo, e anche la storia della Cardini – sul versante dei giocattoli- ebbe vita breve. Alla fine degli anni venti l’economia entrò il crisi. L’ingranaggio della crescita si inceppò a causa della speculazione finanziaria che si materializzò in tutto il suo dramma nell’ottobre del 1929 con il crollo di Wall Street. I consumi precipitarono ovunque e i giocattoli , non certamente assimilabili ai beni di prima necessità, non si vendevano più. Così Cardini fu costretto a riconvertire la produzione, occupandosi – per conto della FIAT e dell’industria cardini1automobilistica – di fari, fanali e altri accessori. Finiva così un epoca, con i suoi giocattoli di latta dal fascino straordinario. Fra il 1937 e il 1940 la ditta venne suddivisa in due “rami” d’attività: l’Officina Meccanica  Ettore Cardini e la fabbrica di mobili in ottone Alfredo Cardini. L’Officina Meccanica, durante il secondo conflitto mondiale, produsse caricatori di mitragliatrici
per la Breda e  la Beretta. In un reparto della fabbrica venne persino allestito un poligono di tiro per i test di collaudo. Poi, nel dopoguerra la produzione cambiò nuovamente “indirizzo”, specializzandosi nella più pacifica attività legata agli oggetti di uso domestico: il cavatappi Eterno, modello brevettato, fischietti e reti per letti. Ettore Cardini, in seguito ai postumi di un’operazione chirurgica, morì  e con la sua scomparsa la fabbrica di via Comoli chiuse definitivamente i battenti. Nel 1992, l’omegnese Giovanni Solaro, raffinato intellettuale ed ex libraio, diede alle stampe un bel libro intolato “La giostra delle libellule”, interamente dedicato alla produzione dei giocattoli della Cardini. Una vera chicca, da intenditori. E un giusto riconoscimento per quella stupenda pagina della creatività e dell’intelligenza cusiana che operò proprio negli anni in cui ad Omegna il piccolo Gianni Rodari frequentava le scuole elementari.

Marco Travaglini

Luigi Lo Cascio recita a soggetto al Carignano

Magistrale interpretazione dell’attore siciliano in ” Questa sera si recita a soggetto” per la regia di Federico Tiezzi

teatro

“Una sorta di Galileo novecentesco che scrive sulla pagina bianca del palcoscenico il suo trattato scientifico su cosa siano il teatro e la regia”. Così il regista aretino Federico Tiezzi, nativo del borgo di Lucignano, descrive il suo dottor Hinkfuss, il regista demiurgo pirandelliano interpretato da Luigi Lo Cascio nella piece ” Questa sera si recita a soggetto”, in scena al teatro Carignano da martedì 12 al 24 aprile.Tiezzi e Lo Cascio tornano a lavorare insieme per uno dei capolavori di Luigi Pirandello. Il regista, che si è già confrontato con il Premio Nobel girgentino portando in scena i capolavori “I giganti della Montagna ” e “Non si sa come”, immagina “Questa sera si recita a soggetto” come un grande trattato di regia, affidando all’attore siciliano il ruolo del protagonista, un regista schiacciato tra la necessità di far vivere il testo che ha scelto,” Leonora addio” (scritto da Pirandello nel 1910) e quella di mantenere sotto controllo gli attori cui ha affidato le parti. Questi, infatti, rivendicano una loro personalità e il diritto alla ribellione.

“Hinkfuss – spiega Federico Tiezzi, che ne ha curato l’adattamento insieme a Sandro Lombardi – è una sorta di regista- mago al quale gli attori si ribellano, e compone un trattato matematico sulla regia intesa come elemento che apre ferite all’interno del testo e del teatro”. Nella rilettura di Tiezzi l’autore scompare per far vivere colui che lo interpreta, il regista che, alla stregua di un entomologo con gli insetti, studia i suoi attori.

“In scena non compaiono – aggiunge Tiezzi – nessun gioco di ” teatro nel teatro” e nessun pirandellismo, quanto piuttosto la imprevedibilità grandiosa delle cose e lo svelamento della macchina teatrale e dei suoi meccanismi”. Ne nasce uno spettacolo che, con divertita leggerezza, trasforma il testo in una sorta di ” trattato” sul rapporto “regista-attore”, ma anche sul conflitto tra ruolo e personaggio. A dargli voce un cast di quindici attori che diventano in scena gli interpreti di una compagnia chiamata a raccontare la vicenda di una famiglia borghese caduta in miseria, una storia a frammenti tratta dalla novella pirandelliana “Leonora addio”, in cui la giovane Mommina, innamorata del Trovatore di Verdi, è tenuta prigioniera dalla gelosia del marito Rico Verri. Il testo pirandelliano e l’opera verdiana hanno in comune la Stanza della Tortura, luogo dove le relazioni tra gli esseri umani si mettono a nudo, venendo a dimostrare che l’unica forma di comunicazione possibile tra loro è la violenza.

“Io sono il dottor Hinkfuss e basta – spiega l’interprete Luigi Lo Cascio – un’entità che raccoglie i tanti elementi che compongono un regista, o meglio ciò che Tiezzi pensa di questa figura”. Qui non emerge il ritratto del capocomico dittatore, specchio dell’odio di Pirandello per questo ruolo, ma in scena vengono esaltati i lati positivi di Hinkfuss e il suo prodigio, il dipanarsi di uno spettacolo di fronte al pubblico.

   Mara Martellotta

Martedi 12 aprile ore 19.30, teatro Carignano ” Questa sera si recita a soggetto”
Regia di Federico Tiezzi
Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’ Europa
 

"La donna serpente", Noseda sul podio

Per la prima volta al teatro Regio di Torino in scena l’opera fiaba di Alfredo Casella , Arturo Cirillo firma l’allestimento fiabesco

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Al teatro Regio debuttera’ giovedì 14 aprile prossimo, eseguita per la prima volta, la “Donna Serpente”, opera-fiaba di Alfredo Casella, articolata in un prologo, tre atti e sette quadri, su libretto di Cesare Vico Ludovici, tratta dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi. Orchestra e Coro del Teatro Regio sono diretti da Gianandrea Noseda, la regia è di Arturo Cirillo; il cast è formato da interpreti del calibro di Piero Pretti, Carmela Remigio, Erika Grimaldi, Francesca Sassu e Sebastian Catania. L’opera lirica rientra all’interno di un progetto promosso dalla Città di Torino e costituisce il fulcro del Festival Alfredo Casella.

Casella, compositore torinese nato nel 1883 e trasferitosi a tredici anni a Parigi per perfezionare gli studi di pianoforte e composizione, nel 1918 pensò di scrivere un balletto corale basato su “La donna serpente” di Carlo Gozzi, lo stesso soggetto che aveva ispirato, nel 1888, la prima opera di Richard Wagner, Die Feen. Solo nel 1928 decise che “La donna serpente” sarebbe diventata un’opera. La prima di questa opera-fiaba si tenne il 17 marzo 1932 al teatro Reale dell’ Opera di Roma e il compositore scrisse che “Era evidente che il mio temperamento, la mia precedente arte, i miei gusti e la mia cultura mi avrebbero orientato verso un teatro antiverista, e non solo antiwagneriano, ma anche antiromantico, un teatro che avrebbe avuto le sue basi in Falstaff, in Rossini e in Mozart, in Haendel e in Monteverdi”. Casella venne sedotto dalla perenne alternativa tra tragico e comico, in cui il musicista può stabilire, tra azione e musica, un rapporto molto diverso da quello dell’opera tradizionale. In questo rapporto la musica viene prima e e l’azione giunge a seguirla e commentarla. regio 2Si trattava di dettare l’azione in base alle leggi della stessa musica.

“Con La donna serpente – spiega Gianandrea Noseda – Casella ha composto un’opera fuori dagli schemi, mettendo a frutto una fervida fantasia creativa e mettendo in atto uno strappo analogo a quello che la Seconda Scuola di Vienna attuo’ nei confronti dell’ Espressionismo, con la differenza che la corrente stilistica da cui il compositore torinese prese le distanze era il verismo”. Lavorando sulla Donna Serpente al regista Arturo Cirillo è venuto in mente “Il flauto magico” di Mozart. Entrambe le opere presentano un sottile velo di crudeltà per la scelta di far passare i protagonisti attraverso l’esperienza purificante del dolore. La regia di Cirillo vive di musica e per la musica, prendendo, cioè, le mosse non dal libretto, ma dall’ascolto consapevole della partitura.

(Foto: il Torinese)

Mara Martellotta

All'Auditorium Rai l'Oedipus Rex di Stravinskij con Servillo

Il narratore è affidato alla -splendida voce recitante di Toni Servillo, su testo di Cocteau
servillo

“Spettatori quella cui assisterete è una versione latina dell’ Edipo Re, in forma di opera oratorio, una composizione che rappresenta solo i tratti fondamentali di una vicenda…”. Sono queste le parole del narratore dell’ Oedipus Rex di Igor Stravinskij , che verrà eseguito il 7 e 8 aprile, alle 20.30, all’ Auditorium Rai di Torino. A raccontare il mito greco evocato da Stravinskij è la voce recitante di Toni Servillo, attore campano pluripremiato e vincitore dell’ European Film Awards per la sua interpretazione nel film premio Oscar ” La grande bellezza”. Protagonisti con lui il tenore Brenden Gunnell nel ruolo di Edipo, il mezzosoprano Julia Gertseva in quello di Giocasta, il baritono Alfredo Muff in quello di Tiresia, il basso- baritono Marko Mimica in quello di Creonte e, nei panni del pastore, Matteo Mezzaro. Stravinskij scelse per il suo Edipo il latino, su libretto di Jean Cocteau, tradotto da Jean Danielau. Fu molto discussa tale scelta, in quanto ha rappresentato una sorta di shock nell’esperienza teatrale, in cui lo spettatore condivide sulla scena una vicenda che presuppone progressiva, aperta a possibili cambiamenti e, quindi, in esatta opposizione a quella ” materia pietrificata”, di cui scrisse Stravinskij. L’opera dimostra un “pulsare ritmico e continuo, a suo modo statico e imponente”, come l’ha definito Virgilio Bernardoni, un pulsare che è il prodotto dell’attitudine stravinskijana a lavorare sull’aspetto fonico-simbolico del testo.Oedipus Rex procede sulla base di un rituale sonoro attentamente costruito, adottando figure ritmiche insolite, che si allontanano dalle simmetrie imposte alla vicenda di Edipo e Giocasta. Giocasta stessa risulta il personaggio che più, da vicino, evoca le arie di Verdi nei suoi recitativi e nella scrittura vocale, debitrice del melodramma. Edipo Re appare, quindi, un lavoro composito che non fa riferimento a un’epoca particolare della storia musicale, ma a più epoche, da Handel a Verdi, dal Medio Evo a Meyerbeer. A completare la serata la Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 detta ” Classica” di Sergej Prokof’ev, altro esempio di neoclassicismo novecentesco, composta nel 1917 ispirandosi al modello di Haydn.

 

Mara Martellotta