CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 73

L’isola del libro: personaggi famosi

 

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

 

Robert Jobson “Catherine Principessa di Galles” -Rizzoli- euro 20,00

E’ bellissimo il ritratto di Kate Middleton tracciato dal biografo reale (da 35 anni) Robert Jobson in “Catherine Principessa del Galles”.

E giusto per chiarire subito un punto: la commoner che sarà futura regina d’Inghilterra non corrisponde minimamente all’immagine velenosa delineata dai Sussex.

Jobson ripercorre la vita della Principessa, a partire dall’ infanzia felice in una famiglia accudente e solida, che ha saputo forgiare la giovane donna empatica e sensibile che oggi affronta la sfida peggiore, dimostrando una forza d’animo che ha incantato il mondo.

La biografia si legge con la scorrevolezza di un romanzo e si affaccia dietro la banale immagine della favola reale. Jobson sfata alcuni preconcetti e mette in chiaro delle nozioni fondamentali.

Kate non è affatto l’arrampicatrice sociale millantata da voci malevole; ha sposato William per amore e poi si è impegnata a fondo, con intelligenza e serietà, nel duro lavoro che le impone il suo importantissimo ruolo a corte.

E’ la donna che ha saputo dare stabilità e una famiglia al principe William, del quale non è gelosa; anzi, da creatura superiore e sicura di sé, ignora i vari pettegolezzi su eventuali infedeltà.

Altro dato importante, ha cercato di fare riappacificare William con il fratello Harry e la moglie Meghan; però dopo i loro vari colpi bassi ora la fiducia è venuta meno.

Poi la tempra della sua personalità è stata lampante nell’ultimo anno in cui ha combattuto con un tumore e la chemioterapia. Al primo posto mette sempre i figli e il marito; ma non dimentica certo gli impegni reali e la fedeltà nei confronti di re Carlo, che la stima profondamente e la ama come una figlia.

Lascio a voi lettori scoprire pagina dopo pagina chi è veramente questa splendida e straordinaria donna dal carattere pacifico, calmo e sempre disponibile verso gli altri; capace di trovare sagge soluzioni ai vari problemi che via via le intralciano il cammino. E non si può che amarla e tifare per lei.

 

 

Ursula Beretta e Maria Vittoria Melchioni “John Kennedy Jr. & Carolyn Bessette. Due icone immortali” -Minerva Edizioni- euro 23,00

Belli, ricchi, talentuosi, di successo; ma anche travolti da un destino tragico. Il 16 luglio del 1999 il Piper guidato da John F. Kennedy Jr. precipita al largo di Martha’s Vineyard e si inabissa con a bordo la moglie Carolyn Bessette e la sorella di lei Lauren. Un volo disgraziato e una morte prematura che li catapulta direttamente nel mito.

L’erede maschio della dinastia più famosa d’America e la bellezza magnetica che riuscì a portarlo all’altare furono la coppia più amata, glamour e sofisticata del jet-set negli anni ’90. Le loro vite e il loro matrimonio, 25 anni dopo, sono ora raccontati in questa biografia che finalmente mette ordine nel mare magnum dei pettegolezzi e pseudo scoop che li circondarono.

Le autrici hanno letto e scandagliato ogni informazione su di loro e si sono divise i compiti. Maria Vittoria Melchioni ha curato la parte dedicata a John Kennedy Jr.; mentre Ursula Beretta si è concentrata su quella di Carolyn Bessette.

Il risultato è questo libro che li racconta attraverso le loro biografie, scritto con ritmo incalzante, perfetto anche come sceneggiatura per un biopic.

Ci si ritrova dietro le quinte della leggenda e si scopre che, al di là della fiaba, la coppia stava scricchiolando.

Lui abituato alla ribalta e ai riflettori fin dal primo respiro. Entrato nel cuore di tutti con l’immagine del bambino che saluta la bara del padre, il Presidente degli Stati Uniti d’America assassinato a Dallas. Poi adulto impegnato nella complicata sfida editoriale di “George”.

Lei alta, magrissima, pelle diafana, occhi di un azzurro quasi alieno, niente trucco, solo il rossetto. Eleganza innata e uno stile minimalista, con una carriera di successo nel mondo della moda. Carattere affabile e disponibile, benvoluta da tutti quelli che incrociavano il suo tragitto.

Però soffriva moltissimo per l’esagerata esposizione mediatica: inseguita dai flash appena metteva piede fuori dal lussuoso loft di Tribeca, si sentiva braccata e dolorosamente esposta.

Nel libro scoprirete le loro vite, come Carolyn sia riuscita a tenere sulla corda il golden boy e a farlo capitolare; luci e ombre del loro amore. Furono l’emblema di uno stile che ancora oggi sembra un modello a cui ispirarsi.

 

 

Sunita Kumarnair “C B K. Carolyn Bessette Kennedy. A life in fashion” -Abrams. The Art of Books- U.S. $ 65,00

Questo libro fotografico ci consegna l’immagine glamour di Carolyn Bessette Kennedy e testimonia la sua classe innata, il suo fascino particolare e inimitabile.

L’autrice del volume, Sunita K. Nair, ha raccolto una messe di scatti dei fotografi che hanno immortalato Carolyn in diverse occasioni. Spesso mentre cammina semplicemente per strada, da sola o con il marito; immagini che anticipano quello che oggi è diventato di moda, ovvero lo street style.

Carolyn Besssette, figlia di un medico, dopo gli studi da maestra elementare, inizia a lavorare nel campo della moda a New York. Gli inizi professionali sono alla corte dello stilista Calvin Klein del quale cura le pubbliche relazioni con notevole successo. Quella di Pr è la professione in cui eccelle, perché le permette di esprimere il suo innato buon gusto, miscelato ad un notevole savoir faire.

Sale alla ribalta delle cronache quando lega il suo destino a quello di John Kennedy Jr. che ha da poco perso la madre Jackie, il cui ascendente su di lui era fortissimo. E alcuni aspetti accomunano le due donne così importanti nella sua vita. Mentre sua sorella Caroline non entrò mai in grande sintonia con la cognata.

Sfogliando le pagine del libro rivediamo in tutto il suo glamour, il minimalismo che contraddistinse lo stile inimitabile di Carolyn, Moltissime donne all’epoca tentarono di emularla, senza mai riuscirci; perché la sua classe non si poteva insegnare, imparare e tanto meno imitare. Su di lei un semplice paio di jeans diventava alleato di una bellezza senza sbavature.

Emblematica della sua allure è la foto del matrimonio blindatissimo, il 21 settembre 1996, sull’isola di Cumberland in Georgia. Per l’occasione sfoggia un abito sottoveste semplicissimo e raffinato, disegnato apposta dall’amico Narciso Rodriguez. E su di lei ogni capo di abbigliamento diventa subito iconico.

Pare che avesse la dote innata di riuscire a raggiungere una sorta di perfezione senza neanche truccarsi, solo esaltando la sua bellezza con un rossetto che la illuminava; sempre ligia alla regola aurea del “less is more” (“meno è meglio”).

Tanta bellezza ed eleganza in una vita tanto breve: Carolyn Bessette Kennedy aveva solo 33 anni quando l’aereo privato su cui viaggiava con il marito e la sorella scomparve in fondo al mare in una tragica notte.

 

 

Iris Apfel “Colourful” -Hoepli- euro 50,00

Ha salutato per sempre il mondo l’immensa Iris Apfel, morta il 2 marzo di quest’anno a 102 anni appena compiuti. Di lei sono rimaste tantissime cose, in primis l’insegnamento che tutti dovremmo cogliere: attraversare la vita come una grande avventura.

La famosissima “starlette geriatrica americana”, che ha firmato il suo primo contratto da modella a 97 anni, ci lascia questo libro-testamento: 288 pagine ridondanti di piume, colori, stoffe, bracciali e collane vistosi, e molto altro. La sua vita in technicolor è qui racchiusa e si snoda anche attraverso la professione di celebre arredatrice e designer di interni.

Un lavoro creativo e prestigioso che la sguinzagliò in giro per il mondo alla ricerca di meraviglie con cui arredare la Casa Bianca nell’arco di ben 9 presidenze (da Truman in poi), le sontuose dimore di dive hollywoodiane -come Greta Garbo- e altri personaggi illustri.

La sua vita è stata una corsa a perdifiato della quale ha assaporato ogni istante. Figlia di immigrati russi del Queens, pochi soldi in tasca ma talento da vendere a profusione. Una passione sfrenata per i colori e un gusto impeccabile nell’abbinarli, sempre rincorrendo la ridondanza. Un occhio unico, fin da giovane, nello scovare monili nei mercatini, contrattando sempre sul prezzo.

 

“Volti anonimi” apre la stagione teatrale di Ivrea

Sabato 26 ottobre 2024, alle ore 21, e domenica 27 alle ore 15,30, all’Auditorium Mozart di Ivrea ha luogo lo spettacolo inaugurale della diciottesima stagione teatrale organizzata dalla Cittadella della Musica e della Cultura di Ivrea e del Canavese.

Sul palco la compagnia teatrale “Volti anonimi”, già apprezzata in alcune delle precedenti edizioni della rassegna eporediese, con lo spettacolo “VITTORIO LEVANTE IN SERVIZIO AD OGNI ISTANTE”, commedia comicissima in due atti di RoDa, regia di Danila Stievano.

Trama della commedia

La storia ha come protagonista Vittorio Levante, ben­zinaio costretto a lavorare notte e giorno da quando il proprietario della stazione di servizio, abbandonato dalla moglie, è caduto in depressione e non si reca più al lavoro. Nel corso di una giornata si intrecciano le storie di un camionista caro amico di Vittorio e di sua figlia che lo affianca alla guida, le vicissitudini sentimentali di un industriale danaroso, di una avvenente ex attrice, di un frate impacciato, di una timida e devota signorina, un avvocato privo di scrupoli e una moglie arrabbiatis­sima. A fare da sfondo, nel piccolo paese della provincia piemontese, sarà il vento della contestazione giovanile degli anni Settanta, cavalcato in scena dal figlio conte­statore di Vittorio.

La compagnia

Pone le sue radici a Torino a fine degli anni Settanta, esibendosi con il nome di CCS AVIS. L’esperienza teatrale amatoriale condivisa e maturata in oltre dieci anni si consolida nel 1990 dando vita all’associazione “Volti anonimi”. La sensibile e comica tradizione del teatro piemontese, di cui Macario sarà custode perenne, ha profondamente ispirato la compagnia, che dal 1993 ha rappresentato le commedie più belle del repertorio del grande attore. La peculiarità del gruppo è saper mescolare nei dialoghi di scena la lingua piemontese e quella italiana con un preciso obiettivo: avvicinare al teatro dialettale chiunque sia radicato nel tessuto sociale locale e, al contempo, custodire la memoria di un patrimonio storico piemontese, divulgandone i suoni, i costumi e le tradizioni locali anche fuori dall’ambito regionale. Dal 2009 la compagnia è invitata a realizzare gli spettacoli per il Gran Galà di Capodanno al Teatro Monterosa di Torino.

Rock Jazz e dintorni a Torino. Angelina Mango e i The Telescopes

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Jazz Club si esibisce il Fretstring Duo. Al Blah Blah suonano i The Telescopes.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena la Distilleria Manouche. Al Jazz Club va’ in scena “ The Chicago  Blues Band”.

Giovedì. Al Blah  Blah suonano i Bineural. Allo Spazio 211 è di scena John Maus. Al teatro Concordia arriva Angelina Mango. Al Folk Club suonano Eric Maria Couturier & Renaud Dèjardin. Alla Divina Commedia si esibiscono i Freight Train. Al Cafè Neruda suona l’Invisible C.T.S. Trio. Al Jazz Club sono di scena i cob Two in Joy.

Venerdì. Allo Ziggy si esibisce Celeste. Al Magazzino sul Po suonano : Bulgarelli+ Garage Bagarre+ Komarov Magnificient Backflip. Al Teatro Colosseo canta Michele Zarrillo. Al Folk Club suona il quartetto di Celia Reggiani.

Sabato.  Allo Spazio 211 si esibisce Asher Roth. Al Magazzino sul Po è di scena Drew Mcconner.

Domenica. Al Magazzino sul Po suona Fonzie & la Massa Critica Band.

Pier Luigi Fuggetta

“In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta…”

Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia

In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a meta’, c’e’ l’isola di San Giulio”. Così comincia uno dei più bei racconti di Gianni Rodari, “C’era due volte il barone Lamberto”. Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia: il lago d’Orta e l’isola di San Giulio.

Infatti, Gianni Rodari, nacque ad Omegna, all’estremità nord del lago, il 23 ottobre del 1920. Lì, suo padre – originario della Val Cuvia, che domina la sponda “magra” del lago Maggiore – aveva un negozio di commestibili e gestiva un forno da pane, svolgendo il mestiere del prestiné, del fornaio. La casa e la bottega erano vicine al lago che, come ricordava Rodari, «giungeva a pochi metri dal cortile in cui crescevo». Leggendone le pagine prende forma l’immagine del più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Che s’accompagna alla sua singolarità. Infatti, contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d’Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna, dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona il quale, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel lago Maggiore.

E al centro del lago dove, dalle opposte sponde si guardano, una in faccia all’altra, Orta e Pella, si trova l’isola di San Giulio. Nel medioevo il lago era noto come “lago di San Giulio” e solo dal XVII secolo in poi cominciò ad essere conosciuto con l’attuale nome di “lago d’Orta”, acquisito dalla località di maggior prestigio e risonanza. La storia, se non vogliamo risalire al neolitico o all’età del ferro, quando il lago era abitato dai celti, ci dice che – alla fine del IV secolo – i due fratelli greci Giulio e Giuliano, originari dell’isola d’Egina fecero la loro comparsa sul lago e si dedicano con un certo accanimento(con il beneplacito dell’imperatore Teodosio)alla distruzione dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. E qui la leggenda vorrebbe che San Giulio, una volta incaricato il fratello di edificare a Gozzano, all’estremità sud del lago, la novantanovesima chiesa, si mise alla ricerca del luogo più adatto per erigere la centesima. La scelta cadde sulla piccola isola ma, non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull’isola dovette misurarsi con focosi draghi e orribili serpenti. Sconfitte e cacciate per sempre le diaboliche creature (ma erano poi così diaboliche? Mah…) , gettò le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la Basilica di San Giulio. La storia s’incaricò poi di far passare molta acqua sotto i moli dei porticcioli del lago d’Orta. Dai longobardi fino all’assedio dell’ isola di San Giulio – in cui si era asserragliato Berengario d’Ivrea – furono secoli di guerre. Nel 1219 dopo una contesa ventennale tra il Vescovo e il Comune di Novara, nacque il feudo vescovile della “Riviera di San Giulio”. E ,più di 500 anni dopo, nel 1786, il territorio cusiano passò sotto la casa Savoia ( che videro riconosciuto il loro potere solo 31 anni dopo, nel 1817), trasmigrando così dalla Lombardia al Piemonte. Ma, vicende storiche a parte, il lago d’Orta – “ il più romantico dei laghi italiani” – è davvero un gioiello che ha sempre fatto parlar bene di se. Gli abitati rivieraschi d’Orta, Pettenasco, Omegna, Nonio, Pella, San Maurizio d’Opaglio, Gozzano.

O l’immediato entroterra di Miasino, Ameno, Armeno, Bolzano Novarese, Madonna del Sasso, sono state località meta di viaggi ed oggetto di cronache e racconti. Non è un caso che nell’Ottocento fosse quasi d’obbligo considerarlo come una delle più suggestive tappe del “Grand Tour” di molti aristocratici d’Oltralpe. Honoré de Balzac, che c’era stato, lo descriveva così nella “Comédie humaine”: “Un delizioso piccolo lago ai piedi del Rosa, un’isola ben situata sull’acque calmissime, civettuola e semplice, (…). Il mondo che il viaggiatore ha conosciuto si ritrova in piccolo modesto e puro: il suo animo ristorato l’invita a rimanere là, perché un poetico e melodioso fascino l’attornia, con tutte le sue armonie e risveglia inconsuete idee….è quello, il lago, ad un tempo un chiostro e la vita….”. E’ il lago che, soprattutto in autunno, riflette i colori della stagione e diventa un po’ malinconico, suggerendo a poeti come Eugenio Montale di dedicargli delle composizioni o ad Ernesto Ragazzoni di scrivere questi versi: «Ad Orta, in una camera quieta / che s’apre sopra un verde pergolato, / e dove, a tratti, il vento come un fiato / porta un fruscio sottil, come di seta, / c’e’ un pianoforte, cara, che ti aspetta, / un pianoforte dove mi suonerai / la musica che ami, e che vorrai: / qualche pagina nostra benedetta». Territorio ricco di fascino e di riferimenti letterari, meta ideale di artisti e scrittori, le località attorno al lago appaiono sovente nelle opere di altri importanti autori. Per Mario Soldati, grande regista e scrittore, Orta è uno dei luoghi di riferimento, visto che sul lago – nella frazione di Corconio –  iniziò a scrivere i suoi primi libri importanti come “America primo amore” e “L’amico gesuita”, oltre ad ambientarvi alcune pagine de “I racconti del maresciallo”.

Per non parlare poi d’Achille Giovanni Cagna ( con il romanzo “scapigliato” dedicato agli “Alpinisti Ciabattoni”), Mario Bonfantini( La tentazione ), Carlo Emilio Gadda (Viaggi di Gulliver), Laura Mancinelli con il suo dolcissimo “La musica dell’isola”, Carlo Porta, Friederich Nietzsche. Un altro “scrittore di lago”, ma di un lago “diverso” come il Maggiore – il luinese Piero Chiara – scrisse: “Orta, acquarello di Dio, sembra dipinta sopra un fondale di seta, col suo Sacro Monte alle spalle, la sua nobile rambla fiancheggiata da chiusi palazzi, la piazza silenziosa con le facciate compunte dietro le chiome degli ippocastani, e davanti l’isola di San Giulio, simile all’aero purgatorio dantesco, esitante fra acqua e cielo“.  Il lago d’Orta è un piccolo gioiello azzurro in mezzo ai monti, chiuso ad est dal Mottarone e riparato ad ovest dalle cime che dividono il Cusio dalla Valsesia. Certe mattine, appena s’accenna l’alba, la nebbiolina sospesa sull’acqua lo rende misterioso, affascinante. Tanto quanto se non addirittura più di quelle giornate d’autunno, nitide e terse, quando riflette i mille colori dei boschi nello specchio delle sue acque tranquille.

Marco Travaglini

BallaTorino – Social Dance presenta Balli dal mondo

Domenica 20 ottobre, ore 15:30
PIAZZA MADAMA CRISTINA – Tettoia del mercato, Torino 

 

20 compagnie di danza tra comunità regionali italiane e straniere di Torino si incontrano in una festa di culture e di pace.

 

Ass. Piemonte Grecia “Santorre di Santarosa” danze popolari greche

ACFIL – Associazione Culturale Filippina del Piemonte

Amece (Marocco)

Artemide Danza Egiziana

Ass. Culturale Baldanza danze popolari

Ass. Maria Tanase (Romania)

BeppeTango

Centro Aziza orientale

Comunità anglofona (Nigeria)

Comunità cattolica srilankese

El purgarsito (Salvador)

Gens d’Ys – Accademia (Danze Irlandesi)

Gruppo sudamericano

Ass. Primo Passo danze popolari internazionali Gruppo Vatra e Gruppo L

Rivoli Ballet Tango Argentino

Samar Academy FCBD

Compagnia Artistica La Paranza del Geco Danze del Sud Italia

 

In collaborazione la Circoscrizione 8, L’Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario e ASAI.

Iniziativa all’interno del Festival dell’Accoglienza e promossa dalla Pastorale Migranti in collaborazione con il Centro Interculturale della Città di Torino.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I problemi dell’Università – La pensione di Barbero – Lettere

I problemi dell’Università
Il numero chiuso  all’Universita’ è sempre stato un elemento  oggetto di vivace e costante discussione. Ricordo che il mio Maestro Alessandro Passerin d’Entreves sostenne in linea di principio il “numero chiuso”  in una “società  aperta”, usando volutamente l’espressione di Popper. Una società  aperta in cui la scuola diventasse ascensore sociale e consentisse potenzialmente a tutti di ascendere ai  gradi più alti degli studi, tenendo conto delle capacità’ e del merito, come prescrive la Costituzione. Adesso per la Facoltà di medicina,  l’unica a numero chiuso, è stato abolito il tanto contestato quiz con le crocette, lasciando una verifica dopo il primo semestre di frequenza . Mi sembra che la ministra Bernini  abbia operato una scelta equilibrata di compromesso. La Bernini e’ la prima ministra dell’Università dotata di cultura, coraggio ed equilibrio che si stenta invece a vedere  in altre politiche del centro -destra, piuttosto incapaci e ondivaghe come l’ex ministra Gelmini. Alla Facoltà di Medicina i problemi relativi ai dottorandi non si risolvono con facilità perché oggi c’è una carenza di medici ed, aggiungerei io, una carenza di bravi  medici. Avremmo bisogno di un numero programmato, anche se è difficile prevedere in un quinquennio e oltre le necessità di medici ,specie se la politica della lesina colpisce la sanità pubblica.
La Facoltà di Medicina è di per sé selettiva per gli alti costi che comporta la frequenza, ma  occorre comunque una selezione rigorosa che forse oggi non c’è.  Il solo fatto delle lauree brevi e magistrali nel settore medico e paramedico (già la parola appare un abuso) genera confusioni anche affaristiche perché a tutti viene conferito il il titolo di dottore che genera equivoci. Un fisioterapista che ottenne la laurea raddoppiò  il suo onorario e dopo poco lo triplicò Abbiamo  perfino gli infermieri laureati, i massaggiatori e le massaggiatrici dottori e esse, gli igienisti dentali laureati .Questa situazione è un elemento di confusione ed e’ un potenziale  danno per i pazienti.   Inoltre purtroppo oggi ci sono medici privi di etica professionale che scelgono la professione quasi esclusivamente per ragioni economiche . Non dico che la medicina debba essere una missione, ma certo non può essere  solo un mestiere  molto redditizio. Occorre che la   Ministra Bernini lavori ulteriormente ad altri ritocchi  sostanziali alla Facoltà di Medicina.  Per altri versi, che le altre Facoltà siano troppo “facili” e aperte a chiunque dovrebbe far riflettere. I perdigiorno pro Palestina invece che vezzeggiati o protetti andrebbero costretti a studiare  e a non creare danni: la parola studenti deriva dal verbo studiare. Una banalità che ad alcuni sembra  essere sfuggita.
A questo riguardo non è possibile non aderire alla  limpida petizione  del prof.  Ermanno Malaspina (nella foto di copertina)  dell’Università di Torino  al rettore Geuna che  ha tollerato l’occupazione devastante del Palazzo delle Facoltà umanistiche da parte di studenti (?) filo palestinesi che sono stati paragonati da una nota e vecchia sociologa  ex sessantottina ai giovani che manifestarono contro la guerra in Viet – Nam. Il livello sessantottino non è stato ancora raggiunto, ma ci stiamo avviando su quella strada in cui la politica devasta e desertifica gli studi. Ascoltare l’accusa che chi condivide la petizione di Malaspina “non ha dialogo con i giovani e sostiene la repressione” intristisce, perché ci porta a ricordare  le accuse  simili rivolte ad eroi della Resistenza e grandi professori come Venturi e Garosci solo perché non volevano cedere alla contestazione che stava bloccando l’Università senza rinnovarla.
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La pensione di Barbero
In una bella  e lunga intervista il prof. Alessandro Barbero alla fine  si confessa e riconosce i suoi limiti di storico. A 65 anni va in pensione  forse anche perché il viaggio a Vercelli diventa un po’  faticoso. Appare sempre giovane, per sua fortuna, ma ha preferito pensionarsi in anticipo. Barbero ha insegnato Storia Medievale all’Ateneo del  Piemonte orientale forse ha anche  scritto libri  di storia medievale degni di attenzione.
Le sue scorribande su tutti i temi storici possibili di ogni epoca rivelano invece un enciclopedismo divulgativo che piace al pubblico televisivo di bocca buona che  non gli da’ invece credito scientifico. Non si può  infatti approfondire un discorso storico su età diverse. Il Medio Evo è cosa lontana dalla contemporaneità. Barbero inoltre è troppo militante politicamente. Io contribuii a farlo conoscere a Torino agli inizi, ma poi mi accorsi dei suoi limiti. Oggi va in pensione e gli auguro anni di riposo magari ancora operoso, come si diceva di Croce, perché ci sono tanti che pendono dalle sue labbra, anche se la storia è cosa diversa. La semplificazione rende facile apprendere. Tutto il contrario di Giovanni Tabacco che praticò studi severi e fu quasi un monaco del sapere. Accostare Barbero a Tabacco sarebbe  blasfemo.
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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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Matteotti
Sono stato alla Manta di Saluzzo a sentire la sua conferenza su Matteotti che ha avuto un grande successo di pubblico il quale ha apprezzato il suo equilibrio storico sempre più raro. Io La leggo a volte come polemista, ma quando parla o scrive di storia lei assume una alterità molto diversa che la trasforma. Poco tempo fa ho appreso dell’uscita di un astioso e corposo libro contro Matteotti scritto da un professore italiano che ha insegnato in Svezia, fatto pubblicare dal centro “Giolitti” di Dronero, Cavour, Saluzzo nel 2015 e oggi introvabile: un libro scritto da un autore di estrema destra che non meritava attenzione come è accaduto, perché anche nel centenario  matteottiano quel libro è stato ignorato. Lei cosa ne pensa?     Giulio Bocca
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Io sapevo dell’esistenza di questo libro pubblicato da un editore minore  che , malgrado lo scandalismo oggi di moda, non è riuscito a suscitare interesse. Va bene togliere l’aureola anche ai santi laici come Matteotti, ma cercare di distruggerlo appare  ingiusto. I signori del centro “Giolitti” non devono stupire: il loro senso storico si rivela inesistente. L’atteggiamento contro Matteotti anche umanamente  appare penoso; sine ira et studio è cosa opposta al libro velenoso voluto dal centro “Giolitti”.
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Ztl a Moncalieri
Il sindaco di di Moncalieri  Montegna ha trasformato piazza Vittorio Emanuele in ztl. Non mi ero mai fermata con attenzione a girare a piedi  per quella piazza. A me è sembrata quanto meno poco bella. Con edifici uno diverso dall’altro. Una piazza senza uno stile omogeneo. Cosa ne pensa?   Elvira Rusca
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Io sono affezionato a Moncalieri e quindi non mi sono mai soffermato. A sottilizzare. Certo non c’è mai stato un restauro.  Credo  anch’io che la piazza manchi di una coerenza.  La parte migliore della Moncalieri storica non è la piazza  che il sindaco vorrebbe rivalutare senza avere le idee chiare. Chiederò un giudizio alla storica dell’arte prof. Maria Grazia Imarisio.

Paula Hawkins, autrice del successo planetario La ragazza del treno, alle Gallerie d’Italia

Per presentare il suo ultimo romanzo L’ora blu e raccontare come nascono i suoi romanzi

 

Ieri pomeriggio nella Sala Immersiva delle Gallerie d’Italia si è tenuto l’evento di chiusura di Portici di carta con la scrittrice Paula Hawkins, autrice de La ragazza del treno, bestseller mondiale da 25 milioni di copie vendute in tutto il mondo. In dialogo con la giornalista Alessandra Tedesco, la Hawkins ha presentato il suo ultimo romanzo uscito il 15 ottobre edito da Piemme L’ora blu. Un altro thriller che questa volta ruota intorno all’enigma di un’opera d’arte e all’artista di fama mondiale che l’ha creata, Vanessa Chapman. La storia prende il via da una terribile scoperta alla Tate Modern di Londra: un antropologo sostiene che una delle sculture della Chapman esposta in questa galleria d’arte è stata realizzata usando un osso umano anziché animale, così come dichiarato dall’artista.

Da qui James Becker, curatore della fondazione artistica a cui Vanessa Chapman ha lasciato le sue opere d’arte, decide di incontrare Grace, migliore amica ed esecutrice testamentaria dell’artista. Grace vive nella dimora appartenuta a Vanessa a Eris, un isolotto sperduto tagliato fuori dalla terraferma scozzese per dodici ore al giorno per via delle maree. Becker vuole indagare sulla vita artistica e non solo di Vanessa ed è convinto che entrando in possesso dei suoi diari possa ricostruire la genesi dell’opera d’arte che ha suscitato scalpore e risolvere alcuni misteri che si è portata via con sé, alla sua morte cinque anni prima, come la scomparsa dell’ex marito in circostanze mai chiarite. Vanessa, attraverso le sue pagine di diario e la ricostruzione del rapporto che aveva con ognuno dei personaggi, sembra essere un fantasma che aleggia su quest’isola-non isola.

E l’ambientazione scelta dalla Hawkins è cruciale in questa storia e l’autrice riferisce che “è da lì che sono partita, mi è venuta l’idea di ambientare la storia in un’isola che è soggetta alle maree e quindi se c’è bassa marea puoi tranquillamente raggiungerla, se la marea invece è alta resti imprigionato o sull’isola non ci puoi arrivare e questo, capite bene, è uno spunto interessante per uno scrittore di crime perché apre tutta una serie di possibilità. E poi mi sono chiesta un’altra cosa: chi potesse voler vivere su un’isoletta che due volte al giorno è isolata completamente dal resto del mondo. È importante non solo per la storia, in termini di quello che accade, ma anche come va a influenzare gli esseri umani che ci vivono, in primis Grace, che vive qui da vent’anni e che riesce a dormire solo quando la marea è alta e lei sa che nessuno potrà sbarcare sull’isola e sorprenderla nel mezzo della notte.” La solitudine è un tema importante che emerge in questo romanzo, la solitudine cercata ma anche quella subita, non a caso il sottotitolo del romanzo è “Non è il momento di stare da soli”.

Nella seconda parte dell’intervista si entra nella vena creativa della scrittrice.

Alessandra Tedesco: “Qual è la tua scintilla creativa, da dove parti per raccontare un storia?”

Paula Hawkins: “Ci sono diversi spunti che possono alimentare la mia vena artistica. Ad esempio vi posso dire che un bel giorno mi trovavo in vacanza in Francia e, guarda un po’, mi sono ritrovata vicino ad un isolotto soggetto alle maree. E poi ci sono personaggi che all’improvviso mi arrivano in testa e me li porto in giro, avevo questa artista, Vanessa, che mi ronzava nella testa, ma ci ho messo un po’ prima di scrivere di lei. Incontro, parlo con qualcuno e salta fuori qualcosa che mi annoto qualcosa mentalmente e so che la utilizerò per creare i miei personaggi. In sostanza cosa faccio? Tutto parte dal personaggio e quando l’ho trovato gli costruisco intorno un ambiente particolare, lo metto in un isolotto sperduto o su un treno e poi aspetto di vedere dove mi porta.”

  1. Tedesco: “La cronaca nera ti ha mai ispirato qualcosa o preferisci agire totalmente di fantasia?”

P. Hawkins: “Ci sono degli eventi di cronaca nera da cui posso trarre ispirazione, ma in un modo molto specifico, nel senso che non ho mai utilizzato un delitto in quanto tale per poi farlo mio e presentarlo in uno dei miei romanzi. La cosa che mi affascina però è considerare i vari aspetti che riguardano quello che è accaduto, cioè comincio a farmi delle domande: ma come si è arrivati a questo? Cosa è successo prima, che ha portato a questo delitto? E poi mi chiedo: e dopo? Quindi, molto spesso quello che accade è che rifletto su quello che è uno spunto per me, comincio a sviscerare diversi aspetti legati a quell’atto di violenza che poi inserisco in uno dei miei romanzi.”

A. Tedesco: “Ovviamente non esiste la ricetta del giallo perfetto, ma ci sono degli errori che non vanno commessi. Quando leggi i libri degli altri, cosa ti fa veramente arrabbiare in un giallo o in un thriller mal riuscito, qual è insomma l’errore da evitare?”

P. Hawkins: “Innanzitutto comincio con il dire che se chi scrive di crime scrivesse quello che fa veramente la polizia sarebbe una noia mortale, perché i poliziotti passano buona parte del loro tempo seduti al computer, capite bene che non sarebbe un libro appassionante. Se devo dire quello che proprio non mi piace è quando ti rendi conto che stai leggendo e ogni cosa che accade, ogni svolta dell’indagine, ogni momento topico della storia è forzato, ti rendi conto che non è credibile, te lo stanno facendo andare giù per traverso e l’autore non è proprio ispirato. La bellezza di una storia sta quando si crea la suspense che prepara il terreno, disseminando indizi qua e là, ma tu non ti puoi aspettare che succeda questo o quell’altro, anche se arriva ad un certo punto la sorpresa e il colpo di scena e a quel punto, se il libro è scritto bene, torni indietro e dici: ah però effettivamente era così! Perché sono stati disseminati buoni indizi che hanno preparato il terreno.”

A. Tedesco: “Un’ultima domanda. Abbiamo fatto cenno all’inizio a La ragazza del treno: 25.000 milioni di copie nel mondo, un successo internazionale incredibile. Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione di quel romanzo, che rapporto hai con quel romanzo. Perché venire da un successo del genere non deve essere stato facilissimo scrivere gli altri romanzi. Quel romanzo ti è servito o ti è stato anche un po’ di peso?”

P. Hawkins: “Se devo essere sincera un po’ entrambe le cose, nel senso che un successo del genere naturalmente ti cambia la vita, la rende più facile i un certo senso, quindi non posso che essere felice del modo in cui è stato accolto, però va anche detto che poi è stato molto difficile scrivere il secondo. Questa ansia da prestazione l’ho avvertita perché ci sono molte aspettative da parte degli altri nei tuoi confronti, quindi dopo dieci anni ho un rapporto migliore con quel libro, ho cominciato a sentirmi più a mio agio rispetto a quel libro. Lo so che vi potrà sembrare ridicolo, ma all’inizio il rapporto con quel libro non è stato così semplice, adesso ho fatto la pace con quel libro, gli voglio bene e che oggi il mio rapporto con Rachel (la protagonista de La ragazza del treno) è molto migliorato rispetto ai tempi.”

L’autrice al termine dell’incontro si è fermata per incontrare il pubblico intervenuto per il firmacopie.

GIULIANA PRESTIPINO

Il mondo musicale e spirituale dell’artista coreano Nam June Paik

Al Mao, sino al 23 marzo, “Rabbit Inhabits in the Moon”

Dopo che il mendicante costruì il fuoco, Usagi vi saltò dentro e si offrì come pasto. Improvvisamente, il mendicante si trasformò di nuovo nel Vecchio della Luna e salvò Usagi dalle fiamme. E gli disse: “Usagi-san, non farti del male per causa mia. Dal momento che sei stato il più gentile di tutti, io ti porterò indietro sulla luna a vivere con me.” Una leggenda gentile che ricopre vasti territori dell’Asia Centrale e dell’Estremo Oriente, sino all’Iran e alla Turchia, l’effetto è magico se in alcune notti certe macchie della luna posata sul Giappone e sulla Corea e su quei mari ricordano le forme di un coniglio: che gli abitanti di quei paesi immaginano lavorare instancabilmente, intento com’è a preparare dentro un mortaio torte di riso con cui allietare gli esseri lunari. “Rabbit Inhabits in the Moon” è il titolo dell’installazione del 1996 dovuta all’arte di Nam June Paik e medesimo è il titolo, ampliato nell’”Arte di Nam June Paik allo specchio del tempo”, della mostra che s’inaugura oggi al Mao Museo d’Arte Orientale in via San Domenico 11 (visitabile sino al 23 marzo 2025): un piccolo coniglio in legno ad osservare, attraverso lo spazio e il tempo, uno scuro schermo televisivo dentro cui si staglia una luna rotondissima e azzurra, uno sguardo altresì in doppia direzione, dal momento che la luna rimanda e ricambia quello sguardo. Si osserva la realtà e si vive di immaginazione, la tradizione scambia tangibili segnali con il futuro, in un continuo gioco di sguardi e di suggestioni.

Concepita ad inaugurare la stagione espositiva 2024/25 e a festeggiare il 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia, è immediatamente confessabile quanto si proceda in una sorta di magia attraverso le varie stanze protettive e inaspettate di questa mostra – curata da Davide Quadrio, direttore del museo, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti e con gli apporti di Manuela Moscatiello della Maison de Victor Hugo di Parigi, di Kyoo Lee, curatore della sala dello sciamanesimo, Professore di Filosofia alla City University di New York e di Patrizio Peterlini, direttore della Fondazione Bonotto -, i vari ingressi alleggeriti da candidi veli bianchi, la tradizione e la contemporaneità strette in forti legami di cui il Mao si è fatto e si fa portavoce, simboli e simbologie, la percezione del rito e la performance artistica, “oggetti rituali, opere e installazioni che accostati tra loro suggeriscono nuove narrazioni, letture e significati”, la bellezza di una cultura pressoché sconosciuta ai molti, le sensazioni avveniristiche che si trovano affiancate a raffinati manufatti coreani provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, il parigino Musée Guimet, il Museo d’Arte Orientale “Edoardo Chiossone” di Genova, il Museo delle Civiltà di Roma. Ogni elemento risulta leggero, fluido e aereo, quasi danzante, “tra l’umano e il divino” si spinge ad affermare Quadrio, avvolto nelle musiche di un pianoforte che rivisita Chopin o specchiantesi nella superficie del pavimento che rimanda in un gioco di specchi ogni immagine, ferma o in movimento. Un movimento, l’avanzare di ognuno di noi dettato dalla necessità e dal piacere di “prendersi il tempo giusto per vedere le cose”, per sentire, per cercare emozioni.

Al centro del progetto la figura di Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), artista centrale nel panorama culturale del XX secolo e considerato uno dei pionieri della video arte. Figlio di un fabbricante tessile, fu allevato nello studio del pianoforte e della composizione, nel ’56 si spostò in Germania dove incontrò e si legò in amicizia con Stockhausen e soprattutto con John Cage, aderì al movimento Fluxus, uno dei primi movimenti d’avanguardia a essere coinvolto nella musica e sviluppatosi negli Stati Uniti e in Germania all’inizio degli anni Sessanta, lavorò su vari progetti con la violoncellista Charlotte Moorman. Nel 1968, allorché la Sony mette sul mercato “Porta Pack”, la prima telecamera portatile, l’artista l’acquista immediatamente e realizza un video sul traffico caotico nel giorno della visita di Paolo VI a New York; nello stesso giorno presenta questo suo primo video e una installazione video: è nato il primo video d’arte della storia. E ancora il premio nel ’93 per il miglior padiglione alla Biennale veneziana, del 2005 “Chinese Memory”, una delle sue ultime opere, ovvero un’installazione contenente un apparecchio televisivo dove pittura libri antenna e una pergamena cinese felicemente coabitano. Un maestro quindi, portatore di un’eredità e di un’importante influenza su chi è venuto dopo di lui, Jesse Chun, Chan-Ho Park e Shiu Jin tra gli altri, debitori di uno sguardo nuovo, di una filosofia che guarda alla spiritualità e al progresso della tecnologia, all’assogettamento al capitalismo contrapposto ad una poetica insita in ciascuno di noi.

Non dovrà – hanno pensato con intelligenza i curatori – il visitatore affidarsi a un percorso “obbligatoriamente” cronologico, ma affidarsi diremmo quasi ai sentimenti, ai pensieri, al gioco di rimandi e riletture, alle metafore che le tappe del percorso suggeriscono. In primo luogo a quell’involucro di elementi sonori, musicali e performativi, che ci lasciano tornare con la memoria all’interesse primo dell’artista. Di sicuro interesse saranno “Sounds Heard from the Moon. Part 2” (2024) che il Mao ha per l’occasione specificatamente commissionato a Jiha Park che “nella sua ricerca utilizza strumenti tradizionali coreani, come il piri, il Saenghwang e il Yanggeum”; e “Nocturne No. 20 dove Kyuchul Ahn propone una rivisitazione della musica di Chopin, completata da una performance (“una scomposizione”, indicano le curatrici) in cui gli 89 martelletti del pianoforte saranno gradualmente rimossi a ogni esecuzione del pianista, portando alla graduale scomparsa del suono.

Con assai più prezioso interesse saltano all’occhio di chi guarda le fotografie a colori chiamate a testimoniare performance, un antico dipinto coreano del XII secolo, una giacca sovrakimono maschile, di fattura giapponese, degli anni Trenta del XX secolo che mostra al suo interno una coppia di conigli intenti a macinare il riso per la preparazione di un dolce tradizionale, come su una parete s’allineano, firmate dall’artista, un’immagine (“Human Cello”, 1984) che rimanda con un’altra lingua alle tematiche di Man Ray o anche a una più o meno scollacciata cinematografia italiana (ma qui non d’obbligo!) degli anni Settanta, e uno strumento (“Plexiglas Cello Tv”, 1989), dove trovano posto corde e altri elementi lignei di violoncello.

Un fitto public program si articolerà nei mesi d’apertura della mostra, dai video di approfondimento alle tante pubblicazioni, da un programma musicale a cura di Chiara Lee e Freddie Murphy alla perdurante collaborazione con il Mercato Centrale, che ha già visto la performance del gruppo coreano GOOSEUNG, per la prima volta in Italia e che proseguirà con una serie di eventi a tema che coinvolgeranno cibo, ritualità e design, “combinando con spirito contemporaneo l’Asia e le sue realtà più sperimentali di arte, cultura e cucina”, sottolineano ancora gli organizzatori.

Elio Rabbione

L’etichetta degli innominati

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CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Ritornando sulla questione delle difficoltà di datazione, definizione cronologica e sequenzialità delle incisioni di determinate case discografiche, non si può che ribadire l’osticità di svariate etichette che a mo’ di “tabula rasa” presentavano a malapena il nome della band, il titolo della canzone e gli autori dei brani ed il numero di catalogo. Un esempio lampante di questo tipo di etichette fu la “Studio City Records” di Minneapolis (Minnesota), che recava grafiche spartane (in nero-arancio o in rosso-giallo), stili lineari, scarse indicazioni generali e la pressoché totale assenza di nomi di produttori, studi di registrazione e indirizzi. Eppure a livello storico la “Studio City Records” contribuì con svariate incisioni al catalogo del garage rock a stelle e strisce degli anni ‘60, coprendo l’area ovest del Midwest e inglobando occasionalmente bands canadesi di oltre confine.

Qui di seguito, il catalogo finora definito dei soli 45 giri di “Studio City Records”:

–  Deviny James  “That’s Allright Mama / Baby Child”  (1002)  [1961];

–  Cager Rose  “Please Come Back / Let Her Go”  (1001)  [1963];

–  Len Gale  “Foolish Pride / Sentimental Me”  (1006)  [1963];

–  Johnny Lidell  “Immune To Love / Bimbo”  (1007)  [1963];

–  The Titans  “The NoPlace Special / Reveille Rock”  (1008)  [1963];

–  The Charms  “Pattin’ Leather / Night Train To Memphis”  (1009)  [1963];

–  The Shattoes  “Do You Love Me / Surf Fever”  (1010)  [1964];

–  Chet Orr and The Rumbles  “Please Free Me / Be Satisfied”  (1012)  [1964];

–  Maurice Turner  “On The Street Where You Live / The Bass That Walked To Town”  (1013) [1964];

–  Little Joe and The Ramrods  “Somebody Touched Me / Hurtin’ Inside”  (1014)  [1964];

–  The Country Kids  “I’ll Cry Tomorrow / You’re Still In My Heart”  (1015)  [1964];

–  Johnny McKane and The Inspirations  “Inspiration / I’ve Been Here Before”  (1016)  [1964];

–  Rose Mae LaPointe  “Phantom Buffalo / Maybe Now”  (1017)  [1964];

–  Harvey Urness  “Never Been Blue / Send Me A Rose Of Red”  (1018)  [1964];

–  LITTLE JOE AND THE RAMRODS  “We Belong Together / Ooh Poo Pah Doo”  (1019) [1964];

–  Roy Rowan  “I Never Thought You’d Turn Me Down / Our Love”  (1020)  [1964];

–  Lloyd Hansen and The Country Drifters  “Redwing / When It’s Springtime In The Rockies” (1022)  [1965];

–  LITTLE CAESAR AND THE CONSPIRATORS  “It Must Be Love / New Orleans” (1023)  [1965];

–  Roger Rainy  “Haunted House / Cold And Lonely Winter”  (1024)  [1965];

–  THE SANDMEN  “I Can Tell / You Can’t Judge A Book By Looking At The Cover”  (1025) [1964];

–  THE FURYS  “Baby What’s Wrong / Little Queenie”  (1026)  [1965];

–  The Carlson Sisters with The Centurys  “Falling / Tell Me”  (1027)  [1965];

–  THE STOMPERS  “I Know / Hey Baby”  (1028)  [1965];

–  The Blue Diamonds  “Jailhouse Song / Big Blue Diamonds”  (1029)  [1965];

–  THE BLEACH BOYS  “Must Be Love / Wine, Wine, Wine”  (1030)  [1965];

–  THE BANDITS  “All I Want To Do / Buzzy”  (1031)  [1965];

–  THE KINETICS  “I’m Blue / Feeling From My Heart”  (1033)  [1965];

–  THE PAGANS  “Baba Yaga / Stop Shakin’ Your Head”  (1034)  [1965];

–  THE MARAUDERS  “She Threw My Love Away / Caliente”  (1035)  [1965];

–  Texas Bill Strength  “Million Memories / Cattle Call”  (1036)  [1965];

–  THE SHANDELLS  “Here Comes The Pain / Summertime Blues”  (1037)  [1965];

–  Kathi Norris  “My Jim / Wise Men Say”  (1038)  [1965];

–  Sebastian  “We Who Stay At Home / I’m The Boy”  (1039)  [1965];

–  THE OUTCASTS  “You Do Me Wrong / Love Eternal”  (1040)  [1965];

–  Jimmy Cea and The Country Tigers “King Of The Swamp / Funeral For My Heart” (1041) [1965];

–  The Defiants  “Bye Bye Johnny / Maggie’s Farm”  (1042)  [1965];

–  Jolly Bohemians  “Helena Polka / Lakeside Waltz”  (1043)  [1965];

–  Tom Magera and The Versatones  “The Happy Harry Polka / The Hopeful Polka”  (1044)  [1965];

–  THE DEVILLES  “High Blood Pressure / Cry Baby”  (1045)  [1965];

–  “YES IT IS”  “Little Boy / Walkin’ The Dog”  (1046)  [1966];

–  THE ACTION  “You’re Gone / Odin”  (1048)  [1966];

–  THE VAQUEROS  “Growing Pains / 69”  (1049)  [1966];

–  CANADIAN BEL-TONES  “Hey Doll! / The Funny Little Girl On the Corner”  (1050)  [1966];

–  Les Royal And His Sounds “Summer Rain / They Remind Me Too Much Of You” (1051) [1966];

–  “YES IT IS”  “Lovely Love / That Summer”  (1052)  [1966];

–  THE EMBERMEN FIVE  “Fire In My Heart / Without Your Love”  (1053)  [1966];

–  Bob Bird  “Oh How It Hurts / I’d Still Want You”  (1054)  [1966];

–  The Four Winds  “Born To Lose / In The Mood”  (1055)  [1966];

–  THE BOSS TWEADS  “Goin’ Away / It’s Best You Go”  (1056)  [1966];

–  THE ACTION  “It’s Not The Way (That Love Should Be) / Time Flies”  (1058)  [1966];

–  THE VAQUEROS  “Don’t You Dare / Mustang Sally”  (1059)  [1966];

–  THE COBBLERS  “Smokin’ At The Half Note / Maybe I Love You”  (1060)  [1966];

–  THE EMBERMEN FIVE  “My Love For You Won’t Die / Baby I’m Forgettin’ You”  (7-8088) [1967];

–  Ben Pena  “Away, Far Away / Make Way For me”  (1061)  [1967];

–  Country Briars “Christmas Time’s A-Coming / No Snow On The Branches” (UA 10-38167) [1967].

Gian Marchisio

Con Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale

«E lei, che è antifascista si può dire dalla nascita, ha mai giocato con suo figlio ai partigiani? Si è mai acquattato dietro il letto fingendo di essere nelle Langhe e gridando attenzione, da destra arriva la Brigata Nera, rastrellamento, rastrellamento si spara, fuoco sui nazi?!

Così caro Stefano, ti regalerò dei fucili. E ti insegnerò a giocare guerre molto complesse, in cui la verità non sta mai da una parte sola, in cui all’occorrenza si debbano organizzare degli otto settembre. Ti sfogherai, nei tuoi anni giovani, ti confonderai un poco le idee, ma ti nasceranno lentamente delle persuasioni. Poi adulto, crederai che sia stata tutta una favola, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, i fucili, i cannoni, l’uomo contro l’uomo,la strega contro i sette nani,gli eserciti contro gli eserciti.
Ma se per avventura, quando sarai grande vi saranno ancora le mostruose figure dei tuoi sogni infantili, le streghe, i coboldi, le armate, le bombe, le leve obbligatorie chissà che tu non abbia assunto una coscienza critica verso le fiabe e che non impari a muoverti criticamente nella realtà». Umberto Eco, Lettera a mio figlio,1964.
Così con l’intento di Eco ad Alba, su questa falsa riga, si è svolto il talk tra Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale nella letteratura di Beppe Fenoglio (Johnny siamo noi…padri e figli, Bella Ciao che partiamo) di trasmigrazione visiva dalla illustrazione al testo scritto e viceversa. Di come la fascinazione del lettore, porti più a conoscere il fatto letterario, che il fatto storico , in senso stretto. O come invece dico qui io ,Fenoglio confluì nelle Penne Nere alpine di Martini Mauri , lui più di sinistra gappista ,  aggregandosi, ai centristi bianchi del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà. Oggi diciamo storytelling, o la narrazione dominante. Ogni tempo ha la sua linguistica, il suo idioletto e le graphic novel, devono oggi ,essere modello di memoria da rinfrescare per gli adulti e modello di sviluppo e formazione per le nuove generazioni.Così domenica 22 settembre 2024 si è svolto il talk tra i due al Palazzo della Banca d’Alba, organizzato dal Centro Studi Beppe Fenoglio dal nome “Le strade del fumetto dalle Alpi al Mar Ligure” con moderazione di Chiara Stival.

Andrea Ferraris è una vecchia conoscenza del torinese.it, Andrea Serio è illustratore e fumettista, direttore della scuola internazionale di comics di Torino ,classe1973 carrarese.Per ricordare i 23 giorni della città di Alba ( 10 ottobre -20 novembre 1944) i suoi disegni esposti fino al 20 ottobre 2024. Duri giorni dall’ esito incerto e ricordando il mio caro nonno paterno Aldo come me, comandante partigiano nella Brigata Matteotti in val Germanasca, in val Chisone e colle del Lys. Riporto dal trattato dei Pikvei Avot (Talmud , ”le massime dei padri”):« Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso,cosa sono? E se non ora , quando?».

Aldo Colonna

Nella foto di copertina:

Autunno 1944, Borgata Fontane (val Germanasca). Il partigiano a destra è Eugenio Juvenal [Archivio famiglia Serafino]