CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 690

La Contrada animata dei Guardinfanti

Spettacolo itinerante alle ore 14.30, 16.30 e 18.30

Nell’ambito del Salone Off la Contrada dei Guardinfanti, situata tra via XX Settembre, via Mercanti e via Barbaroux, ospiterà il 25 maggio un nuovo appuntamento: uno spettacolo culturale itinerante a cura della Compagnia lilithteatronirico. Cortili, balconi e balconcini della Contrada diventeranno quinte teatrali e scenari di uno spettacolo che ne racconterà vite, segreti e pettegolezzi. Nel corso del pomeriggio la performance, attraverso le strette vie ciottolate del cuore di Torino, offrirà un tuffo nella storia attraverso i racconti dei personaggi più noti o degli abitanti più curiosi, ma anche la cultura del cibo, del buon mestiere, della tradizionale accoglienza delle botteghe.

L’appuntamento rappresenta una nuova tappa del programma promosso dall’Associazione Passages per scoprire e riscoprire, attraverso dimensioni narrative nuove e coinvolgenti, gli straordinari patrimoni conservati negli archivi e nelle biblioteche, mettendoli in dialogo con le memorie e le storie personali perché confluiscano in un racconto condiviso e in una riappropriazione della memoria. COMMONS. La Contrada si racconta è infatti un progetto articolato: iniziato con la raccolta di testimonianze legate alla Contrada dei Guardinfanti, prosegue ora incrociandole con i documenti d’archivio e il patrimonio culturale. Lo spettacolo del 25 maggio è la prima tappa di questo percorso cui seguiranno tour narrati e una mostra autunnale.

L’Associazione Passages promuove e coordina il più ampio progetto “COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise” – realizzato con il contributo della Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando OPEN_Progetti innovativi di audience engagement – in collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi, l’Archivio Storico della Città di Torino, il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino e il Polo del ‘900.

“Lo spettacolo itinerante vuole essere un modo per coinvolgere il pubblico più ampio in un percorso di conoscenza dei patrimoni torinesi. Questo particolare angolo della città, così ricco di storie e di valenze culturali, tuttora poco note, merita di essere valorizzato. Può infatti dimostrare, anche in maniera sorprendente, di contribuire ancora oggi al nostro senso di identità e di appartenenza al territorio. L’Associazione Passages intende pertanto promuoverlo nell’ambito del progetto partecipato “COMMONS. Patrimoni in comune, storie condivise” che ha l’obiettivo di far emergere e trasmettere, attraverso differenti linguaggi (dal digital storytelling alla rappresentazione teatrale all’allestimento espositivo), le relazioni che ci legano a Torino, tanto ai suoi patrimoni pubblici quanto a quelli personali o “d’affezione”.

Anna Maria Pecci, coordinatrice del progetto, presidente dell’Associazione Passages

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Spettacolo culturale itinerante

“COMMONS. La Contrada si racconta. La Contrada animata dei Guardinfanti”

Performance a cura di lilithteatronirico. Drammaturgia e regia di Sonia Camerlo e Noemi Binda. Con le attrici e gli attori della Compagnia lilithteatronirico.

Col Patrocinio della Circoscrizione 1, in collaborazione con la Compagnia lilithteatronirico e l’Associazione di Via La Contrada dei Guardinfanti.

 

Giovedì 25 maggio 2017 Orario di partenza degli spettacoli itineranti: 14.30, 16.30 e 18.30

Punto di ritrovo partecipanti e inizio degli spettacoli negli orari indicati: Via San Tommaso angolo Via Garibaldi. Possibilità di aggregarsi nel corso dello spettacolo. Ogni spettacolo dura 45 minuti. Non occorre prenotare. Partecipazione gratuita.

 

Centro Pannunzio, mezzo secolo di libertà

Mezzo secolo di libertà, la libertà di tutti. Nasceva 50 anni fa il “Centro Pannunzio”, molto più di un circolo culturale. Un sodalizio controcorrente rispetto ai tanti conformismi – sempre diversi ma sempre uguali – che si sono succeduti in questi ultimi decenni durante i quali i pensieri dominanti del momento hanno tentato, spesso riuscendoci, di portare i cervelli all’ammasso. Tante  le battaglie condotte con  impegno. Intellettuale,  civile e liberale .

Foto Daniele Solavaggione

Laico ed apartitico il Centro venne fondato nel 1968 da Arrigo Olivetti, Mario Soldati, Pier Franco Quaglieni, con un preciso richiamo alla tradizione culturale de “Il mondo” di Mario PannunzioIl Centro venne insignito nel 1979,  dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini  della Medaglia d’Oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte.

“Siamo orgogliosi del nostro passato – dice il fondatore e direttore Pier Franco Quaglieni – e siamo consapevoli dei nostri limiti e dei nostri errori. Il mondo è cambiato, anche noi siamo cambiati, ma lo spirito libero a cui ci siamo richiamati è rimasto lo stesso. In difesa della libertà di pensare, di discutere con calma, nel rispetto di tutte le opinioni. E’ importante un luogo in cui confrontarsi senza urlare, in cui chiarirci le idee a vicenda. Questo luogo, dopo mezzo secolo, resta il Centro Pannunzio . Guardando con speranza al futuro”.

Foto Daniele Solavaggione

Oggi , alla presenza delle autorità comunali, regionali e accademiche, nell’aula magna dell’Università di Torino hanno avuto inizio le celebrazioni del cinquantenario. Nel cortile d’onore del Rettorato l’omaggio alla statua di Francesco Ruffini, già Rettore dell’Ateneo. Poi il concerto per pianoforte di Fabrizio Sandretto che, dopo l’Inno Nazionale, ha eseguito brani di Bach, Beethoven, Chopin, Kaciaturian, Daquin, Schubert, Brahms, Grieg, Granados, Albeniz e Casella e la «Leggenda del Piave» di E.A.Mario. I brani sono stati illustrati da Loris Maria Marchetti e dall’attrice Carlotta Torrero. Nell’intervallo Pier Franco Quaglieni ha ricordato  nel centenario della nascita, la socia fondatrice del Centro Frida Malan.  Ha condotto la serata il giornalista Orlando Perera.

Foto Daniele Solavaggione

 

“La storia del Centro è tutta nella sua attività, nello spirito di libertà che lo ha sempre animato e nella figura del prof. Pier Franco Quaglieni, che io conobbi studente all’Università. Posso attestare, come suo vecchio insegnante, che fin d’allora egli aveva sentito il fascino del “Mondo”, e del suo direttore Mario Pannunzio. A questo spirito Quaglieni è rimasto fedele, trasfondendolo operosamente nel Centro. Sono contento della strada percorsa fino ad oggi dal mio allievo. Da quella sua giovanile ispirazione il Centro è nato. Non è stata un’impresa di poco conto”

Alessandro Galante Garrone

Il maggio dei libri

Anche quest’anno la Biblioteca della Regione Piemonte “Umberto Eco” aderisce alla campagna nazionale Il maggio dei libri, sostenuta dal Ministero per i Beni e le attività culturali per sottolineare il valore sociale della lettura nella crescita personale, culturale e civile.

L’iniziativa, inserita nella programmazione di Salone off, cioè il Salone del libro diffuso, che consiste nel portare libri e autori fuori dai padiglioni fieristici del Lingotto anche dopo la chiusura del Salone del libro, ha preso il via lunedì 22 maggio da piazza Castello, a Torino.

A bordo di un tram storico, che ha attraversato i luoghi più suggestivi del centro cittadino, i passeggeri hanno potuto assistere alla lettura di brani di due volumi editi da piccoli editori piemontesi – “Funky Monkey” di Stefano Garzaro (Pietro Pintore editore) e “Per tutte le stagioni” di Caterina Vitagliani (Associazione Crearte) – letti dall’attrice Patrizia Papandrea.

Il maggio dei libri, che propone una corsa giornaliera della durata di un’ora, si conclude venerdì 26 maggio. La partenza e l’arrivo del tram sono previsti da piazza Castello lato Teatro Regio. Si parte alle 16.30 con ritorno alle 17.30. La partecipazione all’iniziativa è gratuita fino ad esaurimento dei posti disponibili sul tram.

ct- www.cr.piemonte.it

Quaglieni: da Appendino a Sgarbi “Vi racconto il mio Salone”

Di Pier Franco Quaglieni, direttore del Centro “Pannunzio”, di cui oggi viene celebrato il 50° anniversario presso l’Università di Torino, volentieri pubblichiamo questo intervento sul Salone del Libro

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Tra ieri e oggi al Salone ho vissuto due giornate intense ed appassionate. Sicuramente il XXX Salone del libro è stato un grande successo che ha dimostrato come le velleità milanesi fossero poco fondate. L’evento sotto la Mole ha dimostrato che le sinergie torinesi sono in grado di produrre effetti davvero speciali. Il Salone di quest’anno si è rivelato un evento degno del trentennale, quando l’avventura di Angelo Pezzana e di pochi intrepidi poteva sembrare un azzardo. I tantissimi eventi che hanno arricchito le offerte del Salone hanno attratto un pubblico eccezionale. La sfida milanese si è rivelata alla fine anche  positiva perché ha costretto Torino a superare le difficoltà e ad proiettarsi in modo concorde su un obiettivo che è stato sicuramente  raggiunto. Il merito va equamente suddiviso tra quanti hanno dato un contributo importante al suo raggiungimento. Io che fui fortemente critico con la gestione Accornero, ritengo che anche la svolta di quest’anno sia stata molto produttiva.Il mio Salone è stato punteggiato da quattro  avvenimenti importanti. La partecipazione alla presentazione al salone off dell’ ultimo  libro di Alan   Freidman sull’America  che ha registrato anche al Salone  una partecipazione eccezionale. Friedman la delineato la sua America,quella della libertà e della democrazia liberale che oggi appare minacciata ,ma Friedman non ha fatto sconti a nessuno ed ha parlato anche criticamente della storia americana e della inadeguatezza della candidata  democratica Clinton che ha involontariamente favorito Trump. Il suo “Sogno americano” non si è mai pienamente realizzato perché l’America ha sempre avuto dei buchi neri:dal razzismo alla violenza. Il discorso di Friedman  non si può leggere come una crociata contro Trump che lui vede come una grave minaccia ma che è anche la conseguenza di una certa America preesistente a cui il nuovo presidente ha  dato voce. 

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Poi ho avuto modo di conoscere per la prima volta la sindaca Chiara Appendino. Un incontro rapido, cordiale, magari anche un po’ imbarazzato da ambo le parti. L’impressione che ne ho tratto è positiva. Ero andato ad ascoltarla al cinema Centrale quando aveva illustrato il suo programma per la cultura. Visitare gli stand è stato un atto  istituzionale significativo. Non ricordo altri sindaci che lo abbiano fatto, forse solo Valentino Castellani ebbe la stessa umiltà di girare per il salone come un visitatore qualunque. Poi l’incontro con Vittorio Sgarbi alla presentazione del mio libro. Ho visto tanta gente nuova, interessata al libro che Sgarbi con grande maestria ha illustrato, cogliendo i suoi  aspetti più politicamente scorretti ,a partire dal manifesto di oltre 800 intellettuali italiani che armarono la mano degli assassini del commissario Calabresi.  Sofri io non lo descrivo come un eroe, ma come un condannato con sentenza definitiva per l’uccisione di Calabresi. Abbiamo ricordato che ci siamo conosciuti  esattamente 30 anni fa all’inaugurazione del primo  Salone del libro che avvenne al teatro Regio.

 Ero vicino a  Mario Soldati e a Massimo Mila. Nell’intervallo del concerto Soldati che era laureato in storia dell’arte, mi presentò Sgarbi, definendolo una sicura promessa della critica d’arte italiana. Allora aveva la notorietà derivatagli dall’essere andato da Costanzo ad augurare la morte del suo maestro. Ma Sgarbi era soprattutto uno studioso di razza e gli anni lo hanno dimostrato. La profezia di Soldati si è avverata, anche se Vittorio è anche un uomo di cultura a 360 ° che sa spendersi con generosità per tante cause, in primis la difesa del paesaggio. Durante l’intervallo il musicologo Mila si espresse negativamente sul concerto e finimmo per  scappare prima del tempo per trovarci a cena in un ristorante della vicina  via Verdi. Fu una sera sfavillante di battute e ricca di riflessioni serie. Soldati e Mila,  un mondo che non c’è più e che nessuno è in grado di far rivivere a Torino. I maestri non sono stati rimpiazzati ed i loro successori al massimo sono diventati professori, spesso un po’ grigi, senza gusto per l’ironia e la gioia di vivere, per dirla con Soldati.

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La miglior conclusione del mio salone l’ho avuta, presentando allo Stand di Radio Radicale “Una libertà felice” ,una straordinaria di biografia di Marco Pannella. Insieme al curatore Matteo Angioli ,a Bruno Mellano e a Sergio Rovasio abbiamo ricordato in diretta Pannella ad un anno e un giorno dalla sua morte. Pannella non fu mai un ospite gradito del Salone, almeno da quanto posso ricordare. E’ stato bello ricordarlo da Torino dove Marco aveva fatto il servizio militare come soldato semplice. Non a caso  i suoi 80 vennero festeggiati a Torino per iniziativa del centro Pannunzio e del presidente del Circolo della Stampa Gianni Romeo.E’ stato ricordato cosa Pannella in termini liberali  abbia rappresentato per la storia italiana, un contributo di passione, di idee, di impegno senza risparmio di sé che Marco ci ha lasciato e che riguarda tutti, non certo soltanto i radicali. Pannella, detto in sintesi, simbolo dell’Italia civile che molti amiamo ed a cui guardiamo come modello alto di politica da opporre ai populismi odierni.Poi il Salone è stato tanto, tanto altro, un mix capace di aprirsi a tutte le voci. Girando per gli stand ci si rendeva conto di cosa est abbia offerto ai lettori. Gli editori presenti erano davvero rappresentativi di un’editoria italiana che certo non naviga in buone acque, ma rappresenta davvero tutte le sfumature di idee. Dall’editoria di estrema destra a quella di estrema sinistra, senza eccezioni.  Unico elemento criticabile del Salone è la musica a tutto volume che costringeva a parlare a voce altissima per sovrastare il rumore che circondava alcuni spazi di dibattito.  Sgarbi giustamente si è lamentato. E molti si sono trovati nelle  sue stesse difficoltà. C’è da augurarsi che il prossimo anno gli spazi degli incontri e delle presentazioni consentano a relatori e spettatori di poter parlare ed ascoltare senza il disturbo di una musica assordante che ci allontana dal senso della cultura come pensiero, cultura, confronto pacato di opinioni. La mancanza di appoggi o di leggii  crea problemi a chi deve leggere da un libro per citarlo. L’abitudine delle poltroncine invece dei tavoli sta imperversando non solo al Salone. Chi pensa di sostituire i tavoli tradizionali con le poltroncine non ha esperienza di cosa significhi parlare in pubblico  e non solo cinguettare in un salotto. Ma è cosa che a cui si potrà provvedere con calma.L’importante è che il salone sia salvo e che non siano riusciti a scippare a Torino  l’ultima eccellenza che gli rimane.  Oggi si aprono, nel clima dell’ultimo giorno del Salone,  le manifestazioni per i 50 anni del Centro “Pannunzio” a cui tanta gente in tutta Italia sta guardando con interesse.

Pier Franco Quaglieni

Della vita e della morte, l’ironia di Miriam Toews

Intervista di Laura Goria

E’ di una dolcezza infinita Miriam Toews. Bella senza un filo di trucco, esprime semplicità e una forza titanica. La famosa scrittrice canadese, nei frenetici giorni del Salone del libro di Torino, ha incontrato i suoi lettori alla libreria Borgopò; in un avvolgente giardino, cornice perfetta per il senso di serenità che lei emana.

Cerco sempre di intervistare scrittori che amo; ma raramente affascinano e colpiscono come lei. Disponibile, profonda e intelligente… da baciare e abbracciare. E’ una vita segnata in partenza quella di Miriam Toews, nata in una rigida comunità mennonita ai margini del mondo, dalla quale è fuggita a 18 anni. Poi le difficoltà dell’esilio e 2 grandi tragedie: il suicidio del padre (nel 1998) e dell’unica sorella (nel 2010). Da queste stigmate è nata una delle scrittrici più interessanti e coinvolgenti del panorama letterario internazionale, vincitrice di prestigiosi premi, tradotta in 15 lingue e, in Italia, autrice di punta dell’editore Marcos y Marcos. Nata nel 1964 a Steinbach in Manitoba, un villaggio nella zona centrale delle praterie canadesi, figlia di un discendente diretto dei primi coloni in fuga dall’Ucraina a fine 800, cresce stretta nelle maglie della rigida disciplina dei mennoniti.

La più numerosa delle chiese anabattiste, che vive come nel 500: rifiutando elettricità, auto e mondo esterno, nell’ottica che la vita si riduca al lavoro e a prendersi cura della famiglia. Come scrive la Toews in “Un complicato atto d’amore” , “… la sottosetta più sfigata a cui si possa appartenere a 16 anni” sorta perché “500 anni fa, in Europa, un tizio di nome Menno Simmons si è messo di buzzo buono per inventarsi una religione tutta sua..”.

In casi come questi la vita offre due sponde: restare e uniformarsi…o fuggire. Ed è quello che fatto l’autrice. Nella sua vita ci sono 2 lauree (in Lettere e Cinema, e in Giornalismo) e l’intermezzo da attrice protagonista nel film “Luz Silenciosa”, voluta a tutti i costi dal regista Carlo Reygadas; esperienza che le ha ispirato il romanzo “Mi chiamo Irma Voth”.

Ma la sua grandezza è nei romanzi fortemente autobiografici in cui l’humor è la cifra con cui maneggia pagine di vita difficili, come il suicidio della sorella e sullo sfondo anche quello del padre in “I miei piccoli dispiaceri”; la fuga e rapporti familiari difficili in “Un complicato atto d’amore”.

Nascere in una comunità mennonita cosa ha significato e cosa proprio non sopportava?

«Non mi sentivo libera. Appena finita la scuola, anche se ancora non ero sicura di voler diventare un’artista, sapevo già che avrei fatto qualunque cosa pur di vivere in un ambiente libero soprattutto dal punto di vista mentale. Da un lato quello era l’unico mondo che conoscevo e sentivo il senso di appartenenza, dall’altro avvertivo di dover scappare. Ero anche molto impaurita ed è stato difficile. Sono andata a Montreal, la città canadese più liberale, l’opposto del mio paese conservatore, e percepivo continuamente questo contrasto».

Si può dire che la scrittura per lei sia catartica e l’aiuta a metabolizzare la vita?

«Si proprio perché mi permette di dare un senso alle mie emozioni e soprattutto alle mie esperienze; in un certo senso mi consente di riordinarle. Attraverso i romanzi riesco a fare un po’ di ordine nella mia caotica vita».

Se una persona che amiamo non vuole più vivere, amarla vuol dire trattenerla o lasciarla andare?

«La mia famiglia ed io abbiamo tentato in ogni modo di dissuadere mia sorella, ma lei voleva proprio morire e ha fatto di tutto per riuscirci. Ho cercato di convivere con il dolore per il suo suicidio, di capirlo e di rispettare la sua scelta. So che in realtà l’unica via per dare sollievo al suo dolore era farla finita».

Come dirimere il conflitto tra l’idea che abbiamo il diritto di decidere della nostra morte e le responsabilità nei confronti delle persone che ci vogliono bene e che ne soffriranno?

«Ovviamente mio padre ed io abbiamo affrontato questo conflitto e fatto di tutto per evitare la morte. Voglio sottolineare che la scelta spetta alla persona che soffre, ma questo non vuol dire che chi si suicida non ami i suoi cari. Solo che quando proprio non ce la fa più deve lasciarsi andare completamente. Sono convinta che bisognerebbe legalizzare la morte assistita, cosa che è avvenuta in Canada mentre scrivevo il libro».

Nel suo paese cosa prevede la legislazione in materia?

«Ora il suicidio è legale, con l’assistenza di un dottore, tutte le firme necessarie e per persone che non possono avere più alcuna cura. Invece per le malattie psichiatriche non è così. Se non è provato che la malattia sia incurabile, e per i medici è complicato stabilirlo, la situazione è ancora parecchio difficile».

Cosa si può obiettare a chi definisce il suicidio una scelta egoistica?

«Dal mio punto di vista non lo è, proprio perché ci sono vari tipi di suicidio e comunque sono persone che soffrono e continuerebbero a soffrire. Una sorta di dolore psichico davvero insopportabile. Non qualcosa di egoistico; ma accettare la propria sofferenza e poi lasciarla andare».

Cos’ha capito dei suicidi nella sua famiglia? Qual è il male di vivere?

«Io non soffro di depressione e disturbo bipolare come mio padre, ma ho tratto una lezione: continuare ad essere felice e gioiosa. Lui e mia sorella avrebbero voluto questo per me, anche se loro ne erano incapaci».

Suo padre e sua sorella si sono suicidati entrambi e nello stesso modo: si è geneticamente condannati, esiste il suicidio nel Dna di una persona?

«Ci ho pensato e ripensato e ci sono studi che provano l’esistenza di qualche collegamento. Il suicidio è sempre esistito e continuerà ad esserci. Forse con il progresso medico si riuscirà a prevenirlo».

Sofferenza fisica e psicologica hanno pari diritto alla morte?

«Non credo ci sia una grande differenza, anzi per me non c’è. Ho letto statistiche di altri paesi che dimostrano come il dolore psichico possa essere tale da giustificare la morte assistita e che molte persone vi ricorrano per farla finita».

Nel romanzo“I miei piccoli dispiaceri” si contempla l’idea del suicidio assistito e la voce narrante promette alla sorella disperata che la porterà in Svizzera per una dolce morte. Ma sarebbe stata in grado di farlo se ne avesse avuto il tempo e come lo considera?

«Mia sorella me lo chiese e la mia prima risposta è stata ”no”. Le dicevo che magari la situazione sarebbe migliorata e le cose sarebbero cambiate. Lei però continuava ad implorarmi ed era più che determinata a morire. La tragedia che poi sia morta da sola poteva essere evitata e questo rimane un mio rimorso».

L’humor come istruzioni d’uso alla vita…lei come ci riesce?

«Il mio è un “dark humor” un modo di trattare l’assurdità della realtà. A volte è ridicola e va di pari passo con la sofferenza. E’ proprio l’oscurità che accompagna la luce del mondo».

Com’è stata la sua esperienza di attrice e perché non ha continuato?

«E’ stata una cosa anomala ed estemporanea. Il regista mi ha chiamata proprio perché non voleva un’attrice. Semplicemente ero una ragazza mennonita nei panni di un’attrice casuale. Un’esperienza interessante ma non quello che volevo davvero fare, che è scrivere»

A quando il suo prossimo romanzo e su cosa?

….E qui la sua editrice la blinda…annunciando solo che è già stato scritto. Quando sarà in libreria non è dato saperlo….certo è che lo stiamo aspettando e non vediamo l’ora di leggerlo.

 

 

“Colti”, il patto delle librerie torinesi indipendenti per fronteggiare i colossi del libro

Un’agguerrita falange in azione al XXX° Salone del libro. 25 anime diverse che hanno lavorato insieme; ognuna portando un pezzo di sé e le sue proposte scandite in più aree tematiche

 

L’unione fa la forza. E la “Piazza dei lettori” nel padiglione 3 del Salone del libro ne è la prova. Per la prima volta la kermesse coinvolge le librerie indipendenti del capoluogo subalpino, che si alleano, gestiscono un loro spazio e sono un’interessantissima new entry. 25 librai in schieramento compatto su 850 metri quadrati, intorno a una suggestiva torre di libri altamente simbolica. Anche grazie a questa sinergia è nato da pochissimo “Colti”, il Consorzio delle librerie torinesi indipendenti: primo nel panorama italiano, che sul versante della lettura non brilla certo per grandi   numeri.Dunque un pool di librai che uniscono le forze, serrano i ranghi e scendono in campo per fronteggiare la concorrenza delle librerie online, come Amazon, e dei grandi colossi editoriali con le loro mega catene di punti vendita, tessere e sconti vari.

 

Un’agguerrita falange in azione al XXX° Salone del libro. 25 anime diverse che hanno lavorato insieme; ognuna portando un pezzo di sé e le sue proposte scandite in più aree tematiche. Così, girando intorno alla torre, scoprirete le sezioni “Immagini” con imperdibili libri fotografici; “Parole” dedicata alla narrativa; “Azione” e “Orientamento” che dispiegano testi di saggistica. E all’interno di ogni settore, migliaia di testi da non perdere; anche quelli meno recenti che, se vi erano sfuggiti, ora vale davvero la pena di avere e leggere.Non è un caso che questa iniziativa sia venuta alla luce proprio a Torino che, con il Salone, per 5 giorni all’anno si trasforma nella più grande libreria italiana del mondo. A maggior ragione in questa travagliata edizione con tanto di sfida milanese. Davvero un’ottima mossa quella di avere fortemente voluto la presenza dei librai indipendenti.

 

Un’area enorme fatta di piccole realtà, di librai che hanno saputo mantenere un rapporto strettissimo con i lettori. Quelli che durante tutto l’anno li accolgono in botteghe che sono piccole chicche di cultura e bellezza, li consigliano aprendogli nuovi mondi, e con loro intrattengono spesso rapporti di fedele amicizia, galeotta la passione della lettura. Perché in una libreria a misura d’uomo il lettore non si sente mai un’acquirente qualunque, ma “persona” coccolata e guidata. La Piazza dei lettori del Salone è l’emblema di tutto questo.

 

Laura Goria

Allo storico Melloni il premio letterario “Della Resistenza”

Il premio letterario “Della Resistenza” Città di Omegna, giunto alla sua trentacinquesima edizione, verrà assegnato sabato 27 maggio ( ore 18,00 – Auditorium del Forum Omegna). La scelta della giuria, presieduta dallo scrittore e giornalista Oreste Pivetta, è caduta quest’anno sullo storico Alberto Melloni per la Direzione di “Tutte le opere” di don Lorenzo Milani, una straordinaria impresa culturale-editoriale, appena pubblicata nella prestigiosa collana dei “Meridiani Mondadori”, a cinquant’anni dalla morte del priore di Barbiana, l’autore della famosa “Lettera a una professoressa”.  “Il riconoscimento va a una impresa collettiva di grande valore (l’opera è stata curata da Melloni in collaborazione con Federico Ruozzi, Anna Canfora, Sergio Tanzarella e Valentina Oldano; ndr),che consente di tornare con la forza dei documenti (talvolta inediti) a vicende tanto importanti nella storia politica e sociale del nostro Paese. Così l’assessore alla cultura di Omegna, Alessandro Buzio, che ha inteso sottolineare come, da quasi sessant’anni, il Premio rappresenti “ un appuntamento alto della cultura italiana e internazionale, tanto da contare nel corso del tempo sulla collaborazione di prestigiosi nomi della cultura italiana da  Mario Soldati a Gianni Rodari, da Rossana Rossanda a  Italo Calvino”. Alberto Melloni  è ordinario di Storia del cristianesimo nell’Università di Modena-Reggio Emilia, titolare della Cattedra Unesco sul pluralismo religioso e la pace dell’Università di Bologna e dirige la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Tra i suoi libri più recenti ricordiamo “Il giubileo. Una storia”, “Tutto e niente. I cristiani d’Italia alla prova della storia”, “Quel che resta di Dio. Un discorso storico sulle forme della vita cristiana”, “Giuseppe Dossetti. Un itinerario spirituale”, “Chiesa madre, chiesa matrigna” e “L’inizio di Papa Ratzinger”. La vincitrice della sezione Premio Omegna Giovani, è stata Simona Vinci, con “La prima verità”, edito da Einaudi. Il premio le è stato assegnato da una giuria di ragazze e ragazzi degli Istituti  di Istruzione Superiore di Omegna.Il libro parla   di una   giovane donna la quale va alla ricerca del misterioso passato dei reclusi di un enorme lager in un’isola greca dove il regime dei colonnelli confinò insieme folli, poeti e oppositori politici. I ragazzi hanno scelto di premiare Simona Vinci perché – come ricorda l’assessore Buzio – “il concetto di resistenza si è ampliato: resistere oggi significa anche affrontare verità scomode, faticose d’accettare e difficili da raccontare che rischiano di essere dimenticate”. L’esordio letterario della Vinci – scrittrice e traduttrice –  risale al 1997, con il romanzo “Dei bambini non si sa niente”, edito da Einaudi nella collana Stile libero. Dal 1959 il Premio“Della Resistenza” -Città di Omegna ha visto tra i  vincitori molti nomi illustri, come Jean-Paul Sartre, Camilla Cederna, Alexandros Panagulis, Beppe Fenoglio,Tahar Ben Jelloun, Vincenzo Cerami e Roberto Benigni, Ryszard Kapuscinski,  Nuto Revelli, Susan Sontag,, Roberto Saviano, Marco Paolini, Massimo Zamboni e Massimo Cirri.

M.Tr.

Come sopravvivere spacciandosi per Nanni Moretti

Intervista di Laura Goria

Immaginate di essere un aspirante scrittore cinquantenne frustrato al quale il destino ha regalato sembianze identiche a quelle di uno dei maggiori registi italiani; perché allora non tentare di sbarcare il lunario ed emergere dall’anonimato fingendo di “Essere Nanni Moretti”? L’ultimo esilarante romanzo di Giuseppe Culicchia, edito da Mondadori.

Protagonista Bruno Bruni, scrittore molto di nicchia con l’ambizione -mancata- di scrivere il Grande Romanzo Italiano capace di far man bassa dei premi letterari più prestigiosi delle patrie lettere. Diciamo che la realtà è tristemente diversa dai suoi sogni di gloria …e lui che si inventa? Semplicemente sfrutta la somiglianza avuta in sorte, si fa crescere la barba e si spaccia allegramente per il regista più schivo d’Italia. Di più non vi racconto…posso dire che c’è molto più del semplice scambio di identità… e vi consiglio di leggerlo.

Perché è una spassosissima ed intelligente storia che prende in giro lo star system letterario e questa becera contemporaneità in cui conta di più essere popolari che davvero talentuosi. E Culicchia che, dai tempi del primo strepitoso successo “Tutti giù per terra”, è cresciuto in bravura e ironia, senza mai montarsi la testa, tenendosi ben lontano dalla spocchia e dai vezzi di certo milieu letterario è perfetto per maneggiare l’argomento con la sua consolidata verve.

Come ti è venuta l’idea di questa storia?

«Per una serie di fattori. Anni fa mi venne rubata l’identità: qualcuno si era presentato ad una finanziaria chiedendo un prestito a mio nome. E dovetti dimostrare di essere me stesso e non quello che si era spacciato per me. La cosa è bizzarra, uno è abituato a pensare che al massimo gli rubino la macchina, e all’epoca mi aveva fatto molto riflettere. Tempo dopo, ho letto su un quotidiano inglese di un signore identico a Stanley Kubrick che si spacciava per il regista e sfruttando la somiglianza si faceva invitare a destra e a manca. Ovviamente approfittava del fatto risaputo che Kubrick non aveva vita sociale, era una sorta di monaco guerriero auto recluso nella sua magione, non prendeva mai l’aereo e addirittura si faceva costruire i set dei film a due passi da casa».

Perché proprio Nanni Moretti?

«Perché era l’unico regista italiano che avesse una vita appartata, non dico monacale come quella di Kubrick, ma di sicuro è impossibile trovarlo nelle gallerie fotografiche di Dagospia o nei settimanali di gossip».

L’hai conosciuto di persona?

«L’unica volta che l’ho incontrato era da Fiorio e quando gli ho chiesto se era proprio lui….mi ha risposto “No, non sono Nanni Moretti”».

Al di là del divertimento, è anche un acuto romanzo sull’arte di arrangiarsi nella vita ed una metafora dei tempi che corrono: di oggi cosa ti disturba di più?

«Da un lato che sia stata sistematicamente distrutta ogni parvenza di diritto al lavoro per i giovani.

30 anni fa sarebbe stato inconcepibile un mercato del lavoro che prevede questo precariato capillare e atroce, non permette di progettare un futuro e in cui tutti diventano lavoratori a cottimo. D’altro canto, mi disturba la grande rassegnazione di fondo di chi subisce questo stato di cose, come se ormai fosse scontato. Spero che prima o poi le cose cambino; anche perché nell’arco di qualche decennio verrà a mancare l’ultima generazione che ha potuto godere di una pensione almeno dignitosa. Chi oggi ha 20-30 anni si troverà a vivere la 3° età in condizioni difficilissime».

Poi c’è un altro piano di lettura, quello dell’odierna sete di protagonismo…

«E’ un altro segno dei nostri tempi. Il famoso quarto d’ora di celebrità preconizzato da Andy Warhol a fine anni 60 è diventato i 5 secondi di fama odierna quando fai un tweet o su facebook ottieni 10 o 1 milione di like. C’è un po’questa ossessione collettiva, scatenata, credo, soprattutto dal mezzo televisivo; l’improvvisa celebrità di persone che non hanno particolari meriti né talento».

Perché le pagine più cattive sono dedicate proprio a te?

«Perché mi sono messo in gioco ed ho voluto entrare nei panni di chi mi detesta. Si vorrebbe sempre piacere a tutti; ma è impossibile e forse sarebbe anche un po’ pericoloso. Preferisco suscitare amore e odio: il protagonista del libro è tra quelli che non mi sopportano» .

Quanto ti sei divertito con questo romanzo?

«Moltissimo… molto spesso ridevo scrivendolo».

Hai per caso avuto dei riscontri da Nanni Moretti?

«Su suggerimento dell’ufficio legale Mondadori, gli avevo mandato il manoscritto, perché di fatto stavo usando il suo nome ed era bene che lo leggesse prima. Dopo circa 9 mesi mi ha chiamato dicendo che stava lavorando a un copione e non aveva tempo di leggerlo e mi ha chiesto di riassumere la storia. Così gliel’ho raccontata al telefono: si è divertito all’idea …e in maniera molto generosa mi ha dato il suo ok. Di questo lo ringrazierò per sempre».

Pellegrini e viandanti sulle vie delle montagne

“Pellegrini e viandanti sulle vie delle montagne dal Medioevo ai tempi moderni” è il titolo del convegno che si terrà sabato 20 maggio 2017 nella splendida cornice del Convento Francescano del Monte Mesma, ad Ameno (No), sulle colline che sovrastano il lago d’Orta. Nella ricorrenza dei trent’anni del convegno “Medioevo in cammino. L’Europa dei pellegrini”, tenutosi a Orta nel settembre del 1987, l’Associazione storica Cusius, La Storia nel futuro e la Fondazione Enrico Monti propongono a studiosi e appassionati di rimettersi in cammino. Un cammino di studio lungo le strade del Cusio, delle Alpi e dell’Europa, le antiche vie di pellegrini e viandanti dal medioevo all’età moderna. Se l’esperienza di studio di trent’anni fa era stata una pietra miliare per il mondo culturale cusiano, e importante riferimento a livello internazionale sul tema delle itineranze medievali,questo convegno vuole essere un ulteriore apporto allo studio di un argomento affascinante e ancora in parte inesplorato,alla vigilia delle celebrazioni del millenario della nascita di San Bernardo delle Alpi, patrono degli alpinisti, dei montanari e dei pellegrini. “I sentieri montani erano percorsi anche per recarsi in spazi sacri in occasione dei riti di passaggio: nascita, matrimonio, morte. Nelle Alpi sorsero molti santuari à répit, dove si portavano i bimbi morti senza battesimo, che la Chiesa destinava al limbo, per una breve resurrezione che permetteva d’amministrare il sacramento, salvandoli così dalla dannazione eterna”, come ricorda Fiorella Mattioli Carcano. Nell’alto medioevo, tra l’età carolingia e la fondazione dell’Ospizio del Gran San Bernardo (XI secolo), le Alpi erano ancora chiuse, selvagge e inabitate.

Erano rari i pellegrinaggi attraverso il cuore del massiccio. “ Nell’VIII secolo, a 1650 metri di quota, lungo la via del Summus Poeninus, sorse tuttavia il più alto monastero-ospizio del tempo, a Bourg-Saint-Pierre, “ad radicem montis”, commenta lo storico Enrico Rizzi, che parlerà al convegno degli antichi passaggi, sostenendo come vicende considerate ormai assodate, come le invasioni saracene e il loro presidio dei valichi alpini, vadano ripensate criticamente. Con uno sguardo su Alpi, cammini dei pellegrini, ospizi, colonizzazione della montagna, dove  tutto si aprì  solo nell’XI secolo, nell’età di San Bernardo. Il programma prevede, al mattino – dopo le introduzioni di Fiorella Mattioli Carcano,presidente dell’Associazione Cuscus, e di Lino Cerutti,vicepresidente di La Storia nel futuro – quattro relazioni:  Giancarlo Antenna, professore emerito di storia medioevale all’Università Cattolica di Milano e Accademico dei Lincei (Frati agostiniani che camminano in Europa (1572-1574). Da un manoscritto agostiniano edito da Claudia Castellani);Enrico Rizzi,storico della regione alpina, Presidente della Fondazione Monti (Le Alpi dei pellegrini nel Medioevo profondo (IX-XIsecolo);Fiorella Mattioli Carcano, storica del Cristianesimo e vicepresidente della Consulta permanente Unesco per i Sacri Monti (Camminare la montagna nei riti di passaggio e di ricognizione); Battista Beccarla,storico del Medioevo e della Chiesa novarese (L’apertura del Sempione – prima del marzo 1200-e la concomitante nascita della “Via francisca novariensis”, itinerario transalpino di commercianti e pellegrini). Al pomeriggio, prima dello spazio dedicato al dibattito e al confronto, ci saranno altri tre interventi: Simone Riccardi, storico dell’arte, ricercatore Università Cattolica di Milano (Sculture lignee tedesche in Piemonte sulle vie dei pellegrini);Michela Cometti, storica dell’arte, responsabile del patrimonio iconografico arte antica della Fondazione Torino Musei (Viandanti e pellegrini tra ‘500 e ‘600. Considerazioni su alcune fonti documentarie);Dorino Tuniz,docente di Storia della Chiesa Istituto Superiore di Scienze Religiose (Un acuto osservatore delle realtà territoriali: Carlo Bascapè, le montagne e i pellegrinaggi del Novarese).

M.Tr.

LELE BOCCARDO, IL NOIR APPRODA AL SALONE DEL LIBRO

 
Successo di critica e pubblico per l’autore torinese del libro musicale del momento

Domenica 21 maggio, alle ore 18, nella prestigiosa cornice del Salone del Libro di Torino, presso la ‘Sala Romania’, avrà luogo la presentazione del noir ‘Il Rullante Insanguinato’ (Sillabe di Sale Editore), il romanzo musicale del momento scritto dal noto giornalista e critico musicale Lele Boccardo. Il libro, uscito il 16 marzo 2017, ha fatto registrare un tale successo di critica e pubblico, imponendosi da subito come uno dei prodotti più richiesti nelle librerie e sui media. Ambientato tra Torino e Piemonte, giocato tutto su una serie di omicidi di importanti e affermate tribute band italiane, il volume vanta la doppia prefazione di Andrea Mingardi, cantautore e bluesman, e del noto giornalista e press agent Maurizio Scandurra. A presentare l’opera, oltre a Lele Boccardo, interverranno anche Maurizio Scandurra, Piero Partiti, Presidente di ‘Sillabe di Sale Editore’ e il celebre cantautore Valerio Liboni, già leader e batterista de ‘I Nuovi Angeli’, storico gruppo pop della musica italiana. “Sono felice del riscontro ottenuto da ‘Il Rullante Insaguinato’. Un risultato importante, conseguito sull’onda della passione, che segna il primo capitolo della mia avventura letteraria nel mondo del thriller”, commenta entusiasta Lele Boccardo.