CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 685

Fondazione Cosso: “La timidezza delle chiome”

SABATO 14 LUGLIO – San Secondo di Pinerolo (Torino)


Lui è Pietro Maroè. E’ un giovane friulano di Collalto di Tarcento. Ha ventiquattro anni, un diploma da perito agrotecnico e oggi studia Ingegneria. E’ anche istruttore di treeclimbing e, anni fa, con alcuni amici – “arbonauti” ha fondato SuPerAlberi, un gruppo che si occupa di studiare, misurare e curare gli alberi monumentali. Meglio, tutti gli alberi – monumentali e non – che, per un verso o per l’ altro, abbiano bisogno del loro intervento e della loro assistenza. Dalle gigantesche piante dell’Australia a quelle meno imponenti ma non meno vitali e preziose che abitano i nostri giardini “addomesticati”. Amore senza fine, quello di Pietro per gli alberi. Sbocciato ai tempi del biberon e trasmessogli dal padre Andrea, di mestiere agronomo. In pratica, sugli alberi Pietro da sempre ci vive. “Li cura. Li ascolta – ha scritto di lui, Concita De GregorioHa i palmi delle mani del colore della loro corteccia. Racconta che ci è salito prima di cominciare a parlare: suo padre lo ha portato su in spalla, nello zaino, il primo dei suoi ricordi”. E Pietro: “Sono sceso dagli alberi e ho imparato a camminare”. Con le piante e con i rami ci parla e loro parlano a lui. Lo giura. Parole, sussurri, bisbigli, racconti. Avventure. Mestiere. Tutto questo troviamo nelle 198 pagine che compongono il libro scritto da Pietro, per i tipi di “Rizzoli”, in omaggio alle verdi creature, regine di tutti i boschi del mondo.

Titolo, “La timidezza delle chiome”, il libro verrà presentato, per la prima volta in Piemonte, dalla Fondazione Cosso al Castello di Miradolo (San Secondo di Pinerolo, via Cardonata 2), sabato 14 luglio, a partire dalle ore 17. A ingresso libero e presente l’autore, l’incontro si inserisce nella programmazione estiva del progetto “Invito al Parco” e prevede anche una passeggiata nell’ottocentesco Parco dell’antica dimora guidata dallo stesso Pietro Maroè e da Daniele Pecollo, dottore forestale-ambientale. Sarà una passeggiata improntata alla conoscenza dell’ambiente, ma anche a una migliore conoscenza di noi stessi, poiché le piante, ci insegna Pietro, possono suggerirci – se ben ascoltate e comprese – una misura nuova per il nostro tempo: “Le piante sono lente, molto lente per la rapidità delle nostre vite. E mentre noi, impazienti del mondo di sotto, siamo incapaci di pensare con la misura dei secoli, loro ci vedono passare, ci guardano e sanno”. Senza clamori. Con gentilezza. E timidezza. Ecco il perché del titolo: “Hai mai visto nei boschi – spiega ancora Maroè – quella lama di luce che passa tra una chioma e un’altra, quando alzi la testa? La chioma dell’albero cresce, ma sa, sente, dove cresce l’altra e non si azzarda a toccarla. E’ timida. Quando l’altra chioma è vicina, smette di crescere nella sua direzione. Non la invade, non la tocca”. Questione di rispetto. Anche questo possono raccontarci – e insegnarci – i nostri secolari amici alberi. Per info e prenotazioni: tel. 0121/502761prenotazioni@fondazionecosso.it

Gianni Milani

Vincente la formula estiva dello Stabile: ma attenti ad “adattare” a cuore troppo leggero

Un applauso, immediatamente. Un’occasione nelle intenzioni vinta, ampiamente. Un’estate in cui chi governa la città (ma se ti volti indietro, da quanto tempo è così?) manco si sogna di inventarsi uno straccio di stagione di prosa che soddisfi gli appassionati, ecco che lo Stabile torinese s’inventa quello che nel paleolitico si sarebbe chiamato “punto verde”, un piccolo finale di stagione di 24 recite al di là della stagione ufficiale, e nel proprio gioiello del Carignano, “una sorta di Globe Theatre elisabettiano”, spiana un “prato inglese” – un nuovo palcoscenico, un piano verde che occupa e ricopre oltre la metà della platea – per far posto, a sere alterne, al Sogno di una notte di mezza estate del buon Shakespeare e al Romeo e Giulietta, nemmeno a dirlo, ancora dalla penna del Bardo. Titoli facili, popolari, adatti al palato di ognuno, due ciliegine da leccarsi i baffi, assaporate in un luogo dove la calura estiva nemmeno sai che faccia abbia, dove prendono posto (abbiamo visto e sentito) sorridenti e divertite turiste, grate per il diversivo non solo refrigerante ma anche culturale, dove alzi lo sguardo e ti accorgi dei palchi pressoché affollati di giovani e no, di coppie, di famiglie, di quanti non possono ancora stare sotto l’ombrellone, di quanti grazie ai prezzi stracciati per una sera si sono detti dai!, perché non andiamo a vederci una bella commedia? Ma. Già, perché un ma é in agguato sempre. E quel ma, per l’occasione (o ancora una volta), è in quel termine “adattamento” che spudoratamente campeggia assieme a quell’altro, “traduzione”, dovuti entrambi a chi è stato affidato il compito di guidare la nave. A chi scrive il termine “adattamento” procura quasi sempre una certa allergia, dal momento che è e rimane l’occasione per un certo velleitarismo spicciolo, la superbia d’imboccare la strada di una piena libertà, di una rivisitazione per troppi momenti campata in aria, per l’invenzione facile facile e banale nei risultati pur di far sorridere o sbellicarsi quel certo pubblico che con il Teatro ha poca dimestichezza e lavora più di pancia che di testa. Per la serie, ma che cosa abbiamo da adattare, in questo modo, Shakespeare? Se adattare vuol quasi soltanto dire un bel ciao alla logicità, al modernismo a tutti i costi, inseguire senza riuscirci un progetto che finisce per fare parecchia acqua, allora è meglio “non adattare”. E questo lo diciamo non perché si vogliano tenere gli occhi chiusi davanti alla più piccola innovazione (chiamiamola così?): forse soltanto perché non ci ritrovi quella sincera e logicissima serata di intelligente adattamento, facciamo un esempio che credo molti abbiano saputo apprezzare, quello che abbiamo gustato nel recente Don Giovanni di Binasco. Altrimenti si potrebbe anche scivolare verso quell’alzata di scudi degli abbonati del Regio che ha tagliato qualche testa e che ha suggerito messinscene di una certa maggiore fedeltà.

Prendete per primo (e soprattutto) il Sogno affidato agli ardimenti di Elena Serra. Cui non par vero di poter tagliuzzare a man bassa, di qua e di là, di avere a disposizione tanto ben di dio di superficie calpestabile e allora dai! che ti faccio correre quei poveri undici ragazzi in lungo e in largo, di dare il via con un incomprensibile quanto strassordante “eins zwei drei vier fünf” e alla musica dei Laibach, “ala musicale – mi viene spiegato – del collettivo artistico-politico Neue Kunst Slowenische, di bloccarsi sui tiramolla delle due coppie di amanti, sulla passione di Titania per il bell’asino illuminato da cento piccole luci, sui troppo farfugliati interventi, lontanissimi alla vista, delle figure regali. Di poter rinunciare alla compagnia di bravi ateniesi che dovrebbero preparare gli amori di Piramo e Tisbe in occasione delle nozze di Teseo e Ippolita per convogliare il tutto in una coppia di caciarosi militi partenopei che come il gioco delle tre carte ci scoperchiano con l’inganno i cinguettii amorosi di Giulietta e Romeo, di escogitare nuove frasi, allegre, attuali, allettanti all’orecchio di oggi. Alla fin fine, subdole. Allora, è davvero poco se qualcuno si chiede soltanto perché. Non che non debba confessare i suoi piccoli peccatucci, ma Marco Lorenzi è di un’altra pasta e la “sua” storia degli amorosi di Verona ti risolleva un po’ lo spirito. Sfronda anche lui, anche lui con spavalderia adatta, anche lui assorda con musiche senza ritegno ed esige da alcuni decibel vocali che lasciano il tempo che trovano (l’incazzatura di papà Capuleti), fa appollaiare il principe della città su di un’alta impalcatura manco fosse un deejay impazzito (perché a un certo punto la poesia dei due ragazzi, con tanto di allodola e usignolo, va a finire nella bocca di costui?), anche lui attualizza il linguaggio e gioca furbescamente su qualche personaggio, infiorettandolo di sottolineature dialettali, perde una buona occasione in primo luogo con la morte di Mercuzio. Ma lui ci mette un’anima dentro e una convinzione e un disegno e a sua contemporaneità regge appieno, veste i propri ragazzi come vestono i ragazzi di oggi, i duelli sono le scazzottature e peggio di oggi, la sfrontatezza portata all’eccesso sfocia in certa tragicità che viviamo, il sangue che vistosamente cola è quello dei fatti di certe discoteche o di certe strade. Un’adolescenza senza tempo, che oltre il termine funesto nel freddo della cripta che tutti conosciamo gli lascia restituire i due giovani suicidi alla vita di ogni giorno, vivi ed eterni. Di gran bellezza i costumi di Alessio Rosati e Aurora Damanti e qui winner is il Sogno. Con smisurata passione – chapeau a tutti – gli attori di oggi e maggiormente in via d’affermazione per domani. Qualcuno eccelle, altri hanno ancora necessità di qualche positiva limatura. Guardiamo ai primi. Beatrice Vecchione come Giulietta si conferma quell’attrice ormai a tutto tondo che già in altre occasioni ci è enormemente piaciuta, ben posta sulla scia Morelli/Lazzarini sino alla Rohrwacher di oggi, Raffaele Musella incarna con bravura, con i guizzi giusti, Robin e Frate Lorenzo, Marcello Spinetta esce dal gruppo nelle vesti di Romeo e soprattutto come Lisandro innamorato, come il Tebaldo di Vittorio Camarota, certe eccezionalità di Angelo Tronca come Mercuzio e come Bottom vengono smorzate ahimè da chi lo ha diretto, offrendogli su un piatto poco d’argento una traduzione e un adattamento. Repliche sino al 22 luglio.

 

Elio Rabbione

Nelle foto:

Per il “Sogno”, in ordine: Barbara Mazzi e Marcello Spinetta; Vittorio Camarota e Raffaele Musella; Marcello Spinetta, Barbara Mazzi, Christian di Filippo, Annamaria Troisi.

Per “Romeo e Giulietta”, in ordine: Beatrice Vecchione e Marcello Spinetta; Barbara Mazzi, Beatrice Vecchione, Giorgia Cipolla; Marcello Spinetta (di schiena), Vittorio Camarota.

 

Per le immagini degli spettacoli Copyright Manuela Giusto

L’Orchestra e il Coro del Regio per Torino Estate Reale

Piazzetta Reale, venerdì 13 luglio 2018, ore 21.30

 

L’estate, a Torino, si colora di musica. All’interno della programmazione di Torino Estate Reale – un vero e proprio festival di musica, danza e magia – il Teatro Regio presenta un concerto di grande interesse e fascino. Venerdì 13 luglio, alle 21.30, nella Piazzetta Reale, l’Orchestra e il Coro del Regio, diretti da Alessandro De Marchi, interpretano le musiche di scena del Sogno di una notte di mezza estate di Felix Mendelssohn-Bartholdy (solisti: Maria de Lourdes Rodrigues Martins:  Primo Elfo, soprano; Claudia De Pian: Secondo Elfo, mezzosoprano) e, dalla Carmen di Georges Bizet, il Preludio e i tre Entr’Acte dell’opera nonché, dello stesso autore, la seconda suite per orchestraL’Arlesienne; maestro del Coro: Andrea Secchi. Le musiche di scena per la commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream (Sogno di una notte di mezza estate) con la celeberrima “marcia nuziale” e la partecipazione nel finale di due voci soliste e del coro femminile, immergono fin da subito l’ascoltatore in un’atmosfera fiabesca e luminosa. La seconda parte del concerto, dedicata a Georges Bizet, sarà invece caratterizzata da brani dal ritmo e dalla sensualità mediterranea, nei quali l’orchestra brillerà grazie a una strumentazione raffinata e suggestiva. Alessandro De Marchi ha diretto importanti produzioni operistiche nei maggiori teatri europei, affermandosi in Italia e all’estero come interprete di grande prestigio; con il Regio vanta una stretta collaborazione artistica che lo vedrà protagonista anche nella Stagione 2018/2019.Estate Reale è un delicato puzzle di iniziative che permette ai cittadini e ai turisti di godere di uno dei momenti più piacevoli dell’estate torinese. Gli allestimenti dell’area spettacoli e la direzione di produzione sono stati curati dal Teatro Regio di Torino in virtù di una collaborazione ormai consolidata, che utilizza le esperienze e le professionalità presenti in teatro per la produzione di esibizioni dal vivo particolarmente complesse.

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Biglietti a 12 euro (posti numerati platea), 10 euro (posti numerati gradinata) e 5 euro (posti numerati per i nati dal 2004). Sono previsti sconti per i possessori di abbonamenti o biglietti di treni regionali Trenitalia esclusivamente alle biglietterie: Urban Center Metropolitano: piazza Palazzo di Città 8/F: lunedì – sabato 10.30/18.30; tel.01101124777, estatetickets@comune.torino.itInfopiemonte: via Garibaldi angolo piazza Castello: tutti i giorni 10/17; tel. 800.329329 pagamenti accettati esclusivamente con bancomat o carta di credito; Box biglietteria fronte Piazzetta Reale: dalle ore 20.30 nelle sere di spettacolo. L’ingresso alle serate sarà soggetto a controlli di sicurezza. Gli spettacoli avranno luogo anche in caso di maltempo: non è previsto il rimborso del biglietto quando la durata sia stata pari o superiore a 45 minuti.

Online: www.torinoestate.it – www.vivaticket.it; Informazioni accesso disabili: lunedì – sabato 10.30/18.30 tel. 01101124777 estatetickets@comune.torino.it Per ulteriori informazioni e dettagli è possibile consultare il sitowww.torinoestate.it Seguite il Teatro Regio sui nostri social media, e per questa produzione utilizzate l’hashtag:

Con Cederna tra le colline di Monforte d’Alba

DOMENICA 15 LUGLIO

 

Domenica prossima 15 luglio, la Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba (Cuneo) sarà la tappa conclusiva della “Passeggiata letteraria”, organizzata dalla Fondazione E. di Mirafiore -voluta da Oscar Farinetti nel 2010 a Serralunga d’Alba- in compagnia del celebre attore romano Giuseppe Cederna, che leggerà “La Chimera” di Sebastiano Vassalli, romanzo storico che riflette sul presente e le ambiguità dell’essere umano. Il percorso, guidato dall’ Associazione Andè, con partenza alle ore 16 da piazza XX Settembre di Monforte d’Alba, si svilupperà sulle colline del territorio monfortese per una lunghezza di circa 7 chilometri e si concluderà verso le ore 18 alla Fondazione Bottari Lattes, in via Marconi 16. Per partecipare é richiesto un contributo di 7 euro per l’ Associazione Andè che organizza il trekking. Prenotazione obbligatoria tramite form sul sito www.fondazionemirafiore.it. In occasione della passeggiata letteraria, la mostra “Mario Dondero e Lorenzo Foglio. Lo scatto umano” alla Fondazione Bottari Lattes sarà aperta dalle ore 15.30 alle ore 21 (ingresso libero). Il pubblico potrà partecipare alla visita guidata che si concluderà con un aperitivo e con prodotti del territorio.

 

g.m.

Photo Credit: Alex Astegiano

 

Info:

Fondazione E. di Mirafiore

0173/626424; info@fondazionemirafiore.itwww.fondazionemirafiore.it

Fondazione Bottari Lattes

0173/789282; segreteria@fondazionebottarilattes.itwww.fondazionebottarilattes.it.

 

Il sogno di una scenografia per 32 studenti del Politecnico torinese

“Come direttore di Palazzo Madama sono lieto di aver favorito questa collaborazione tra la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, il Teatro Regio e il Museo Civico di Arte Antica della nostra città, suggellando così un esemplare rapporto istituzionale, che ha prodotto una mostra piccola ma emblematica, nel cui ambito viene messa in evidenza la creatività degli studenti dell’ultimo anno di laurea in Architettura e l’efficacia formativa dei loro ottimi docenti”. Così Guido Curto nel siglare la mostra 8 scenografie per Macbeth, che troverà posto sino al 10 settembre nella Sala Atelier, al secondo piano del Palazzo di piazza Castello. Curata da Roberto Monaco (Professore Ordinario del Politecnico torinese), Valentina Donato (architetto), Claudia Boasso scenografa del Regio di Torino), Attilio Piovano (docente del Conservatorio “G. Cantelli” di Novara), Loris e Martina Poët (architetto e illustratrice grafica), allineando nelle alte bacheche le suggestioni, le idee, le maquette di 32 allievi, rigorosamente quattro attorno ad ogni progetto, segue l’esperimento di due anni fa riguardante Madama Butterfly – ci si è cimentati anche con lo spartito di Norma, il prossimo appuntamento riguarderà il mozartiano Don Giovanni – ospitato nelle sale del MAO-Museo d’Arte orientale, cornice propria all’ambientazione esotica dell’opera. Quest’anno si è cercata l’ospitalità di Palazzo Madama, in considerazione anche del fattibile confronto con le collezioni museali, che vantano un prezioso patrimonio di stampe e disegni a soggetto teatrale, firmati da artisti quali Filippo Juvarra e i fratelli Bernardino e Fabrizio Galliari.

Un anno di lavoro, nell’anno accademico 2016 – 2017, all’interno del quale sono stati messi a frutto le competenze tecniche, artistiche e musicali degli studenti, un momento per porsi di fronte alla complessità della macchina teatrale incentrata sull’opera verdiana che pone le proprie radici nel terreno shakespeariano, nella significativa concomitanza con le celebrazioni per i 400 anni dalla morte del drammaturgo inglese. Un progetto che è stato realizzato nei vasti laboratori di scenografia del Teatro Regio a Settimo Torinese, dove i ragazzi hanno portato avanti l’elaborazione di bozzetti, tavole tecniche, campioni di elementi di scena, materiali tutti occorrenti a produrre nella realtà l’allestimento di un’opera lirica, confrontandosi con le tecniche costruttive e i materiali imposti dal palcoscenico, in particolare da quelli del Regio torinese.

Adesso, potenzialmente pronti per una messa in scena, gli otto progetti sono lì, incorniciati sul palcoscenico del teatro, con le loro silhouette, le foreste che avanzano, i piccoli personaggi, le ombre e le luci, i materiali diversissimi tra loro, gli incanti, le realtà. La speranza giovanile di una realizzazione. Sono il frutto delle differenti sensibilità degli studenti, capaci di considerare maggiormente quanto il potere contamini il sovrano e la sua sposa o la volontà a mettere in luce il lato metafisico della vicenda o a incorniciare cromaticamente i fatti, addirittura, forse con un azzardo di troppo, a intravedere e illustrare un Macbeth non estraneo all’ambiente e alla legge mafiosi.

 

Elio Rabbione

“Clone” tra storia e mistero

Manca meno di un mese all’Ostensione del 10 agosto organizzata in occasione del Sinodo mondiale dei giovani che, dopo aver ammirato la Sindone alla cattedrale di Torino, proseguiranno il loro pellegrinaggio verso Roma per l’incontro con il Santo Padre. 

Questo avvenimento richiama migliaia di fedeli da tutto il mondo, e apre al contempo un dibattito sulla validità scientifica della Sacra Sindone, reliquia che ha suscitato l’interesse dei media e ispirato la fantasia di registi e scrittori.  S’intitola Clone il nuovo romanzo di Paolo Negro da giugno in libreria per Imprimatur (distribuzione Mondadori, 17,50 euro) e si muove in uno scenario che non ha nulla di fantascientifico. Anzi, al di là della trama noir scandita da due inquietanti omicidi che ricalcano due metodi della Santa Inquisizione, è forse la sua precisa ricostruzione della storia della Sindone e dei vari misteri che la puntellano a renderlo credibile e strettamente attuale, in una Torino palpitante e viva. Soprattutto se il clonato in questo caso non è un uomo qualsiasi, ma è l’uomo della Sindone, l’uomo che dovrebbe o potrebbe rappresentare una “nuova speranza”. La Sindone è realmente il sacro lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù oppure è soltanto un falso di epoca medievale, come avevano dimostrato trent’anni fa le analisi al C14 poi recentemente messe in fortissimo dubbio da scienziati di tutto il mondo? Il problema, se così lo possiamo chiamare, alla fine perde quasi importanza. Il punto centrale resta quello etico e morale. È questo infatti il cuore della domanda che attraversa le coscienze di chi legge.  Come scrive nella prefazione del libro la scrittrice Daniela Piazza: «Una risposta, alla fine, c’è, e importante: la “chiave”, quella chiave che uno dei protagonisti cerca per tutto il libro, sta appunto nel credere. Bisogna crederci. Credere in Dio? Credere nell’uomo? Credere in se stessi? Ognuna di queste strade, in fondo, è percorribile. Spetta a ciascuno di noi fare la propria scelta, così come faranno la loro i protagonisti di questo libro».  





Due omicidi efferati a poche ore l’uno dall’altro, a qualche centinaio di metri l’uno dall’altro. 
Il primo nella tromba dell’ascensore che porta al caveau, all’interno del Palazzo Reale di Torino, dove è conservato il famoso autoritratto di Leonardo da Vinci. Il secondo nella Torre campanaria della Cattedrale, dove è custodita la reliquia della Santa Sindone.  In entrambi i casi i sistemi di allarme sono stati disattivati da professionisti, ma né l’Autoritratto né la Sindone sono stati rubati. Toccherà all’ispettore Barberi scoprire il movente di quelle due morti, legate tra loro da una trama che affonda le sue radici nelle torture della Santa Inquisizione, in un’antica battaglia che mescola fede e potere. Tra colpi di scena e doppiogiochisti, in un’indagine continua nei segreti secolari della cappella del Guarini e nelle congiure sotterranee dei corridoi pontifici, lentamente appare un piano agghiacciante: da un campione di tessuto prelevato dalla Sindone, prima è stato isolato il gruppo sanguigno, poi la catena completa del Dna. 


Siamo davvero in presenza del clone di Cristo? 

La battaglia per stabilire se il nuovo Dio è arrivato è ormai allo scontro finale.

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Organo del conservatorio, via ai restauri

Il celebre organo della sala del Conservatorio Giuseppe Verdì, con quattro tastiere a trasmissione elettro-pneumatica, sarà presto restaurato. Lo strumento del 1934, opera della ditta Tamburini di Crema, collocato nell’edificio di piazza Bodoni sarà completamente revisionato. I lavori si rendono improcrastinabili a seguito, del cedimento – tre anni fa – di una delle cento canne in lega di stagno e piombo che lo compongono. La Giunta della Città di Torino, su proposta dell’assessora alla cultura Francesca Leon, ha infatti deliberato il contributo di 87mila euro a favore dell’istituzione statale, il cui edificio è di proprietà comunale.“Si tratta di un intervento importante per ridare al più presto sonorità a questo strumento monumentale ed è concreta testimonianza dell’attenzione che riserviamo alla cura del patrimonio artistico cittadino – sottolinea Francesca Leon, a commento della decisione assunta questa mattina -. Siamo lieti quindi di poter contribuire a preservare uno strumento significativo e indispensabile sia sotto il profilo didattico, sia sotto quello concertistico”. “Sono molto soddisfatto del contributo concesso dall’Amministrazione comunale al Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi – dichiara Marco Zuccarini a nome suo, del Presidente e di tutti i colleghi -. Si tratta di un atto importante e prezioso, che consente di restituire alla città e al Conservatorio stesso la piena funzionalità di uno strumento storico e di grande pregio. L’intervento permetterà alla nostra istituzione di continuare a essere un punto di riferimento culturale per la città”.

Stefano Bollani in piazzetta reale

Estate Reale – piazzetta Reale fino al 15 luglio www.torinoestate.it

L’artista del pianoforte Stefano Bollani sarà ospite in Piazzetta Reale giovedì 12 luglio per presentare il suo nuovo disco uscito nel maggio di quest’anno e in tour in tutto il mondo nell’estate. Dopo il grande successo di “Carioca”, Bollani torna al suo grande amore per le sonorità brasiliane presentando al pubblico “QUE BOM”, composto di soli brani inediti, originali e realizzati interamente a Rio. Il legame tra Stefano Bollani e il Brasile è profondo e prezioso, tanto che, nel 2007, l’artista ha suonato con il suo pianoforte nel bel mezzo della favela di Pereira de Silva per un concerto di risonanza mondiale.

 

Bollani racconta così la nascita di questo nuovo e tanto atteso progetto: “Avevo molta voglia di farmi circondare dalle percussioni perché il pianoforte fa parte della loro stessa tribù. Sono da sempre innamorato della musica brasiliana, che utilizza l’armonia del jazz sposandola con ritmi di origine africana. Quelli di Que Bom sono brani che ho scritto un po’ ovunque nel mondo, ma che guardano a quel sincretismo, al suono avvolgente delle percussioni brasiliane, a quella vitalità ed energia uniche”. Questo nuovo album arriva dopo un grande lavoro del pianista di rilettura dei grandi temi brasiliani e dei suoni avvolgenti delle percussioni sudamericane. Il disco QUE BOM si avvale della collaborazione di ospiti di pregio che hanno firmato alcuni brani. In primis Caetano Veloso – “la voce più straordinaria ed emozionante che ci sia” secondo Bollani – che interpreta in italiano ben due brani, uno suo dal titolo “Michelangelo Antonioni” e un inedito di Bollani “La nebbia a Napoli”. Un altro grande ospite, João Bosco – energia pura che mi incanta sin da quando ero ragazzino” dichiara Bollani – canta la sua “Naçao e arricchiscono i suoni di QUE BOM altri due meravigliosi artisti brasiliani che hanno voluto partecipare al progetto: Hamilton de Holanda al mandolino, vecchia conoscenza di Bollani con cui ha inciso più di un progetto e un nuovo importante amico che invece suona con Stefano per la prima volta:Jacques Morelenbaum al violoncello.

Accanto a lui anche grandi rappresentanti della musica strumentista brasiliana come Jorge HelderJurim Moreira, Armando Marçal e Thiago da Serrinha, per una serata piena di vitalità ed energia.

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Stefano Bollani, pianoforte
Jorge Helder, contrabbasso
Jurim Moreira, batteria
Armando Marçal, Thiago da Serrinha, percussioni

La Costituzione in undici colori

 

Assemblea Teatro, giovedì sera alle 21, porta in scena “La Costituzione in undici colori”, un lavoro tetrale che parte dagli articoli della “carta d’identità” dell’Italia repubblicana ripercorre i passaggi fondamentali del vivere civile della nostra società. L’appuntamento è alla Cascina Roccafranca di via Rubino 45 a Torino.Lo spettacolo si sviluppa attraverso il dialogo serrato tra una giovane mamma e sua figlia che deve studiare il testo come “compito” -e quindi inizia controvoglia- ma poi, gradualmente, si interessa e si appassiona sempre più a ciò che legge. Una rappresentazione scenica molto originale e quanto mai attuale in un momento come questo in cui i segnali d’intolleranza aumentano e al senso civico dell’esistenza e dei valori condivisi si contrappone, sempre più spesso, un preoccupante cinismo. La Costituzione  viene così spiegata anche ai più piccoli attraverso le immagini perchè, come diceva Umberto Saba, “i bambini pensano soprattutto per immagini“. La regia è di Renzo Sicco e Lino Spadaro mentre sul palco saliranno Cristiana Voglino e Chiara Tessitore accompagnati dalle musiche di Franco Battiato.

Marco Travaglini

Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo

FINO AL 26 AGOSTO

“Pittore delle cose semplici che fanno grande il mondo”: questo voleva essere – sono parole sue – Eso Peluzzi. E ben c’è riuscito, tenendo a freno con grande mestiere e lucida fantasia un ampio ventaglio di generi pittorici (dalla figura al paesaggio alla natura morta) con cui si è appassionatamente confrontato per oltre sessant’anni, dal secondo decennio del ‘900 fino agli anni Ottanta. Tant’è che il grande Giovanni Arpino, fra gli amici più cari – uno dei tanti di gran vaglia e fama che ne condivisero tratti importanti del lungo cammino esistenziale e artistico – ebbe a scrivere di lui che fu “uomo non antico, ma classico, che seppe concepire il suo mestiere di artista con una misura senza ostentazioni, invitando ad essere semplici, poiché la semplicità è già eternità”. E anche ad Arpino si deve, fra l’altro, il simpatico bonario epiteto, appioppato a Peluzzi, di “pittore delle more di Cairo”, ricordandone la specificità narrativa di talune naturalistiche pagine pittoriche e le origini natali. Eso Peluzzi nasce infatti a Cairo Montenotte (Savona) nel 1894 e muore, a 91 anni, a Monchiero d’Alba (Cuneo) nel 1985. A lui, figlio di uno stimatissimo liutaio e di una fotografa ritrattista, nonché allievo all’Accademia Albertina di Torino (dove si iscrive nel 1911) di Paolo Gaidano e Giacomo Grosso, la “Fondazione Bottari Lattes”, dedica un’importante antologica ospitata nelle sale di Palazzo Tovegni a Murazzano, in Alta Langa, a pochi chilometri da Monchiero d’Alba, paese in cui l’artista ha vissuto e lavorato dalla fine degli anni Quaranta fino alla morte, facendo dell’antico “Oratorio dei Disciplinanti” – noto come la “Cesa di Batu” – il suo studio e oggi Casa-museo a lui dedicata, in quel borgo antico che vede anche la presenza di un’altra importante Casa-museo, fino al 2016 luogo di vita, di lavoro, di creazione e di ispirazione del nipote di Eso, Claudio Bonichi, scomparso due anni fa e protagonista della lunga stagione pittorica della Nuova Metafisica Italiana. Realizzata in collaborazione con il Comune di Murazzano e curata da Ivana Mulatero la rassegna comprende dipinti prodotti da Peluzzi fra il 1912 e il 1983, il “corpus pittorico” più esemplarmente significativo di un artista che ha vissuto nei crocevia geografici culturali, di particolare peso attrattivo sotto l’aspetto artistico, di Liguria, Piemonte e Lombardia, con frequenti soggiorni formativi nel resto d’Italia e in Europa e con inviti e presenze cospicue alle Biennali Internazionali di Venezia e alle Quadriennali romane e torinesi, così come alle mostre del “Museum of Art” di Baltimora e al “Jeu de Paume” di Parigi. Cinque le sezioni in cui si articola l’iter espositivo: dalla “biografia” (in cui s’illustra la figura a tutto tondo dell’uomo e dell’artista e in cui compaiono anche alcuni significativi “Autoritratti”) alla “figura umana” (ritratti particolari, perfino bizzarri– “fondigli umani”, li definiva il futurista Farfa – per ricalcare “certo malessere di stampo espressionista”, come nelle “Maschere di paese” esposte alla Biennale di Venezia del ’30 o ne “Le sorelle Triaca” del ’44) fino al “paesaggio” (garbatamente giocato fra slabbrature divisioniste e afflati di marca cézanniana, con quelle “nevi langarole ritratte – ancora Arpino – con spirito leggero e puntuto” insieme ai suoi “contadini sbigottiti”) e alle “nature morte” e alla “vanitas” dei violini di “metafisica rarefazione spaziale”, introdotte dal ritratto “Mio padre liutaio” del ’28, amabilmente descritto con fattezze e barba da monumentale profeta biblico. Dalle opere dei primordi (compresi bozzetti e disegni preparatori ai grandi affreschi) fino all’ultimo ciclo compositivo. Il tutto raccolto in una mostra che “vuole evadere – scrive Ivana Mulaterodal mito discreto del pittore delle Langhe, provando a rintracciare le vicinanze, come anche le distanze, dalle molte avanguardie”. Strada che porta inevitabilmente ad alcuni nomi fra i più significativi e di primo piano del Novecento italiano cui Peluzzi guardò con sicuro interesse da Carlo Carrà ai futuristi della seconda ondata Farfa e Fillia fino allo scultore Arturo Martini, cui il pittore di Cairo fu legato da fraterna amicizia. La stessa che lo rese sodale a scrittori come Giovanni Arpino, Mario Soldati e Gina Lagorio o a critici d’arte come Alberto Sartoris e Mario De Micheli o ancora a galleristi e mercanti d’arte del calibro di un Pier Maria Bardi. Fra i suoi più illustri ammiratori, pare ci fosse anche il presidente Sandro Pertini. Stretti dunque i confini di Langa, pur se terra profondamente amata e preziosa fonte ispirativa, Peluzzi seppe pienamente inserirsi nell’ambito della cultura artistica nazionale dell’epoca. Senza mai recedere dai rigori e dalle imposizioni, anche etiche, del mestiere. Guardando alla pittura come pagina di racconto personale. Dagli esiti di singolare semplicità e imprevedibilità, ma capaci sempre di morderti al cuore con guizzi di infinita suggestione.

Gianni Milani

“Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo”

Palazzo Tovegni, via Adami 5, Murazzano (Cuneo); tel. 0173/791201 –www.fondazionebottarilattes.it

Fino al 26 agosto – Orari: ven. e sab. 15/18 – dom. 10/12 e 15/18

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Nelle foto:

– “Maschere di paese”, 1930
– “La neve al Santuario”, 1947
– “Frammenti di violini con uovo”, 1978
– “Natura morta”, 1963
– “Mio padre liutaio”, 1928