CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 681

Il Premio Calvino a Filippo Tapparelli

 

 Filippo Tapparelli è il vincitore della XXXI edizione del Premio Italo Calvino con il romanzo L’inverno di Giona. Una prima menzione speciale della Giuria va ad Adil Bellafqih, per Il Grande Vuoto, e una seconda menzione a Riccardo Luraschi, per Il Faraone. La “speciale menzione Treccani” è stata assegnata a Giulio Nardo, per Sinfonia delle nuvole

 

Il romanzo vincitore e le menzioni speciali sono stati proclamati martedì 22 maggio al Circolo dei lettori di Torino dai giurati Teresa Ciabatti, Luca Doninelli, Maria Teresa Giaveri, Vanni Santoni e Mariapia Veladiano, e da Massimo Bray, Direttore generale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.

 

La Giuria ha deciso di assegnare il Premio a L’inverno di Giona di Filippo Tapparelli «per la sua grande forza visionaria: nel testo, con stile rarefatto, un allucinato mondo mentale si trasforma in un mondo fisico insieme minuziosamente reale e sottilmente simbolico. Un potente e struggente giallo analitico in cui la verità si sfrangia in tanti rivoli, toccando i temi della colpa, del castigo, del bisogno umano di riconoscimento.»

 

Queste, invece, le motivazioni delle due menzioni speciali della Giuria:

 

La prima, a Il Grande Vuoto di Adil Bellafqih, «per l’originale capacità di mescolare tra loro generi diversi come il noir e la distopia, con un suggestivo uso di cliché e di citazioni provenienti da un immaginario visivo squisitamente contemporaneo. E, in modo obliquo, il romanzo e il suo giovane autore gettano sull’oggi un perturbante e pungente sguardo radicale.»  

La seconda, a Il Faraone di Riccardo Luraschi, «un’estesa e impeccabile costruzione narrativa chiaramente ispirata alle vicende italiane degli ultimi venticinque anni e al loro ancora non tramontato protagonista. La non facile materia è affrontata in un’inedita prospettiva, con un’eccellente scrittura dall’amplissima e perfettamente dominata tastiera di registri e di lessici.»

La speciale menzione Treccani è stata assegnata a Sinfonia delle nuvole di Giulio Nardo «per la capacità di trovare nella linearità e nella precisione una personale cifra di libertà, attraverso l’adozione di una lingua che piegandosi allo svolgersi del racconto, lontana dalla tentazione di virtuosismi ma allo stesso tempo mai placida, rimane creativa e imprevedibile, capace, attraverso un’accorta differenziazione dei registri lessicali, di portare il lettore dentro il romanzo accompagnandone la lettura in un equilibrio dinamico fra trama e parola.»

 

Filippo Tapparelli (1974, Verona), ha studiato letteratura inglese e russa presso l’Università di Verona. È impiegato in un’azienda metalmeccanica veneta. Ha letto molto e non ha frequentato scuole di scrittura. Per il suo romanzo si è ispirato ai paesaggi montani a lui familiari della Lessinia e all’umanità di Castiglione delle Stiviere. Ammira Carver e ha pubblicato in antologie vari racconti di psicologia noir.

 

Adil Bellafqih è nato nel 1991 a Sassuolo dove vive. Dopo un triennio concluso su Stephen King, ha da poco conseguito la laurea magistrale in Filosofia a Parma con una tesi sull’origine della pulsione creativa, ispirata a Nietzsche e a Jung. Già nostro finalista alla XXIX edizione con Baratro, ha pubblicato numerosi racconti partecipando a vari concorsi letterari. Ribadisce l’intenzione di voler vivere di scrittura.

 

Riccardo Luraschi (Piacenza, 1960), laureato in Scienze Politiche alla Statale di Milano, ha svolto per vent’anni attività di pubblicitario per “Il Sole 24ore”, grazie alla quale ha potuto conoscere da vicino il mondo aziendale italiano. Attualmente opera come freelance. Ha una lunga pratica di scrittura alle spalle, rimasta però sempre privata. Tra i suoi maestri Manzoni, Gadda, Parise, Arbasino.

 

Giulio Nardo è nato a Padova nel 1992. Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico, si è laureato in Filologia Moderna a Padova sulla lingua di Arrigo Boito. Non ha frequentato scuole di scrittura. Ha letto molto, soprattutto classici francesi e tedeschi. Sinfonia delle nuvole è in assoluto il suo primo romanzo. Nutre particolare interesse per il teatro per il quale ha scritto testi da quando aveva sedici anni che oggi, però, vuole dimenticare.

Il Premio Italo Calvino è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto Bobbio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Cesare Segre, Massimo Mila. Ideatrice del Premio e sua animatrice e Presidente fino al 2010 è stata Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra Ottocento e Novecento. Il Premio, giunto alla sua trentunesima edizione, segnala e premia opere prime inedite di narrativa.

 

 

Motivazioni della giuria sul sito del Premio (www.premiocalvino.it) e sul sito della rivista L’Indice dei Libri del Mese www.lindiceonline.com)

 

Le migrazioni tra De Amicis e Conrad

In scena al teatro Gobetti. Ai due estremi confini del bene e del male


“Cuore”. Questo il fil rouge che unisce i due estremi del viaggio, ai confini del bene ed a quelli del male, in scena dal 22 maggio al 10 giugno prossimo al teatro Gobetti, per la regia di Gabriele Vacis, nello spettacolo dal titolo “Cuore/Tenebra- Migrazioni tra De Amicis e Conrad”. L’adattamento drammaturgico è dello stesso regista Gabriele Vacis, i luminismi e lo stile di Roberto Tarasco, pedagogia dell’azione di Barbara Bonriposi. Vacis ha chiesto ad alcuni giovani attori di imparare a memoria alcune pagine del libro “Cuore”, dal quale sono stati estratti temi come l’appartenenza, la lealtà, l’amicizia, le grandi tematiche di sempre, elaborate in modo semplice ed elementare, come è stato capace di fare De Amicis. Questo spettacolo rappresenta una tappa di un percorso iniziato molto tempo fa, a partire da laboratori attivati dapprima con gli studenti, poi con gli immigrati, gli utenti dei servizi di salute mentale e persone di ogni tipo. Gabriele Vacis riesce a mettere in scena la nostra Italia vista dall’angolo di visuale degli immigrati che, da secoli, approdano sulle nostre terre, in un perfetto bilanciamento tra bene e male, quali estremi del sentire umano nei confronti del diverso. In scena attori di talento come Jurij Ferrini e Francesco Giorda, accanto agli studenti di sei classi di scuole superiori torinesi coinvolte, insieme a personalità intellettuali del calibro di Nicola Lagioia e Mauro Berruti, Aldo Cazzullo, Alessandro D’Avena, il giornalista Domenico Quirico, suor Giuliana Galli, l’attrice Lella Costa, il filosofo Maurizio Ferraris e Benedetta Tobagi. Nella serata per la critica di lunedì 21 maggio scorso è intervenuto come maestro il docente Mauro Berruti e gli allievi del libro Cuore erano i ragazzi della seconda liceo Artistico di Torino.

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il romanzo Cuore fu composto da De Amicis ed uscì, pubblicato dalla casa editrice Treves, il 17 ottobre 1886, ottenendo subito un notevole successo per la sua forte matrice pedagogica, capace di celebrare l’unione sociale ed i valori nazionali che erano emersi dal recente Risorgimento. De Amicis era uno scrittore già apprezzato per i suoi racconti, le inchieste giornalistiche ed i resoconti di viaggi. l libro risultò subito uno spaccato di una piccola Italia fatta di eroismo, piccoli sentimenti, amor di patria, rispetto per le istituzioni ed i genitori. Strutturato in forma di diario, ha per protagonista l’alunno Enrico Bottini, che annota quotidianamente i fatti salienti, i racconti mensili del maestro e gli insegnamenti morali dei genitori. Ne emergono figure memorabili, quali la maestrina dalla penna rossa, il perfido Franti, il generoso Garrone, il “piccolo scrivano fiorentino”, la “piccola vedetta lombarda” ed il “tamburino sardo”. “Cuore di tenebra” di Conrad, invece, è un romanzo a puntate che venne pubblicato nel 1899 sul “Blackwood’s Magazine”, risultando uno dei suoi lavori più profondi. Un romanzo che ha al centro antipodi ed essenzialità del mondo, che non può essere più simile e vicina. Si tratta di un racconto nel racconto, grande esempio di metanarrativita’, incentrato su di un lungo viaggio del passato verso l’Africa, effettuato da uno dei cinque membri dell’equipaggio, nell’attesa della marea propizia per partire. La storia raccontata da Conrad non è semplicemente un viaggio reale e storicamente delineato, con lo scopo preciso del commercio dell’avorio; riguarda il mistero che avvolge l’animo umano e diventa, così, un viaggio all’interno della coscienza, il percorso dell’uomo civilizzato che, allontanato dalla civiltà, scopre come nel fondo del suo animo egli sia più selvaggio ed istintivo che razionale, capace di dimostrarsi più crudele dei nativi, non ancora interessati dalla civilizzazione.

 

Mara Martellotta

Music Tales, la musica al servizio della gente

Racconti, curiosità ed eventi
Oggi su Youtube ho spulciato tra i brani  Hip Hop e tutte le sue derivazioni e sono rimasta colpita da un brano…quindi vorrei parlarvi di un certo Gil Scott – Heron. Figlio del dopoguerra USA con una madre libraia ed un padre di origine giamaicana, totalmente assente, che fu il primo giocatore nero del Celtic Glasgow, Gil crebbe con la nonna divorando libri e canzoni afroamericane, conobbe l’Africa declamata dei Last Poets ed un amico inseparabile durante i migliori anni della sua discografia: il polistrumentista Brian Jackson che suonava mentre Gil traduceva in canzoni le sue poesie su una America piena di difetti e razzismo, con un’ironia spesso incompresa. Gil ha flirtato con molti generi: sul, reggae, addirittura con l’acid jazz ed un bizzarro funk cosmico…ebbe successo appunto con The Bottle (che vi invito ad andare ad ascoltare) un brano per le discoteche di tutto il mondo. Prima della fine della sua vita, nell’anno di Barack Obama, il 2008, Richard Russel gli fece incidere un album testamento, tra l’altro bellissimo “I’m not here”.Tutti pensavano che sarebbe stata la “resurrezione”, che Gil avrebbe inciso gli ultimi suoi dischi come Johnny Cash a fine carriera, ma le sue dipendenze lo avevano troppo consumato ed un giorno a fine maggio del 2011 ci lasciò. Le vie del pre-rap sono infinite…un’altra perla tolta alla musica.
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Chiara De Carlo
Scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!  Filotea info & prenotazioni al numero 011.5212041
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Chiara vi segnala i tre eventi da lei scelti per la settimana…mancare sarebbe un sacrilegio!

Te lo spiego… al pianoforte

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Ultimo appuntamento  martedì 22 maggio ore 21

 

L’ultima data della rassegna musicale “Te lo spiego… al pianoforte”, prevista per giovedì 17 maggio, è stata spostata a martedì 22 maggio sempre alle ore 21. Il ciclo di incontri di quest’anno si conclude con un affaccio “Verso il Novecento”, secolo che aprirà la strada alle Avanguardie e alla totale rottura con i canoni del classicismo nonché del romanticismo. Il passaggio da un secolo a un altro verrà analizzato attraverso le opere francesi impressioniste / simboliste del pianismo di Debussy da un lato, e, dall’altro, tramite le sfociare verso il contemporaneo della Russia post-chopiniana nei lavori di Scriabin che si evolvono fino alla totale perdita della tonalità.

La serata è a ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili in sala. “Te lo spiego… al pianoforte” – leggere e capire la musica classica “tra le righe”, è una rassegna a cura di Francesco de Giorgi, che indaga le forme musicali classiche, rendendole fruibili e appetibili anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. L’Associazione Culturale Musicale salot|to|musica , attiva da più di tre anni su Torino, si occupa di eventi, corsi annuali, lezioni individuali e rassegne musicali a Torino e non solo, e da ormai due anni collabora regolarmente anche con la struttura di Luoghi Comuni Porta Palazzo, dove svolge la maggior parte dei suoi corsi (violino, flauto, oboe, pianoforte) , anche tramite la presenza dello strumento stesso. 

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La Residenza Temporanea Luoghi Comuni Porta Palazzo è un progetto di housing sociale realizzato dal Programma Housing della Compagnia di San Paolo in collaborazione con l’Ufficio Pio. La struttura mette a disposizione 27 alloggi (13 monolocali e 14 bilocali) ed è gestita da Cooperativa Sociale Esserci e Cooperativa sociale Giuliano Accomazzi.

 

Nell’immagine: San Giorgio alCrepuscolo, Claude-Monet

De André, reading-concerto contro le guerre

Nell’anno in cui si celebra la fine della Grande  Guerra  e nel giorno in cui si ricorda l’entrata in guerra dell’Italia Madian Orizzonti  – in collaborazione con l’azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino –  ha deciso di organizzare una serata contro i conflitti di ieri e di oggi con un reading concerto. La regia e le letture di Paolo Cerrato (primario dello Stroke Unit delle Molinette) la voce e la chitarra  del cantautore Eugenio Rodondi accompagneranno gli spettatori in questo viaggio nelle trincee con le canzoni e gli scritti di Fabrizio de Andrè. Appuntamento Giovedì 24 maggio alle  ore 20.45 nell’aula magna A.M. Dogliotti Ospedale Molinette   – Corso Bramante 88 Torino.  Ingresso libero, offerte a favore del Foyer Bethleém di Port au Prince ad Haiti dove Madian Orizzonti cura,  offre una casa e tre pasti al giorno  a 100 bambini disabili.  “Forse quel 24 maggio di cento e tre  anni fa il Piave mormorava davvero calmo e placido, come dice la celebre canzone degli alpini, ma ad attendere i soldati italiani e con loro tutto il Paese ci sarebbero stati  anni durissimi, di sofferenze e di privazioni. Nel 1918 dopo sarebbe arrivata una vittoria, ma sicuramente conseguita a caro prezzo. Molti di quei soldati che il 24 maggio 1915 attraversarono il Piave, nel novembre 1918 tornarono a casa trovandosi davanti un mondo diverso. Un mondo che tantissimi  non ebbero la fortuna di vedere”.

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Madian nasce nel 1979, quando due giovani camilliani, padre Adolfo Porro e padre Antonio Menegon arrivarono a Torino per cominciare una missione nel centro storico della città a fianco di poveri e anziani. I due confratelli, a cui nel tempo si aggiunse Padre Joaquim Cipriano, si dedicarono dapprima all’accoglienza dei senza fissa dimora, poi ad ospitare e crescere minori stranieri, intercettando e dando risposte ai concreti, e nel tempo mutevoli, bisogni della città. Oggi la comunità ospita e segue 50 malati italiani e stranieri, con la Onlus Madian Orizzonti sostiene progetti in ambito socio sanitario e gestisce presidi sanitari e centri di accoglienza per minori, disabili e malati a Haiti, in Kenia, Burkina Faso, India, Indonesia, Nepal, Armenia, Georgia, Camerun e Argentina e ha da pochi mesi aperto un centro di accoglienza diurno per persone senza fissa dimora nel centro di Torino.

Quando la danza dialoga con arti visive e musica

“Dance me to the end of love”. Il colore rosso dello slogan e la parola love in esso contenuta rappresentano il fil rouge del festival 2018 di TorinoDanza, per la prima volta diretto da Anna Cremonini, in programma dal 10 settembre al 1 dicembre prossimo a Torino, luogo privilegiato di incontro di stili coreografici ed artisti capaci di interpretare al meglio una rassegna dal respiro internazionale. La programmazione comprenderà 18 spettacoli, 34 rappresentazioni, 10 prime nazionali, 6 coproduzioni, 16 compagnie ospitate provenienti da otto nazioni diverse, tra cui Canada, Grecia, Belgio, Burkina Faso, Israele e Svezia, oltre all’Italia. TorinoDanza quest’anno vanta una significativa anteprima dal titolo “Betroffenheit”, in scena, nelle uniche date italiane, il 17 e 18 maggio alle Fonderie Limone di Moncalieri. Realizzato in collaborazione con il Teatro Stabile di Torino ed il Teatro Nazionale, è stato creato dalla coreografa Crystal Pyte e dal drammaturgo ed attore Jonathon Young, entrambi canadesi. Perfetto esempio della fusione di danza e teatro, rappresenta il trait d’union tra la stagione teatrale dello Stabile di Torino e il festival TorinoDanza. L’inaugurazione del Festival sarà il 10 settembre prossimo al teatro Regio di Torino con una serata in cui verranno presentati due diversi spettacoli a firma Sidi Larbi Cherkaoui, dal titolo “Neotic” ed “Icon”, entrambi prodotti dal Corpo di Ballo dell’Opera della Città svedese di Goteborg, da anni protagonista nella realizzazione di uno dei repertori più interessanti a livello europeo. Neotic, come Icon realizzato con le scenografie dell’artista visivo inglese Antony Gormley, fonda il proprio disegno creativo su elementi aerei supportati da elementi scenici capaci di costruire affascinanti geometrie e forme. In Icon elementi di argilla costituiscono la scenografia e gli oggetti derivanti ancorano pesantemente al suolo forme e movimenti. Nei due spettacoli Sidi Larbi Cherkaoui si pone domande universali: in Icon l’interrigativo verte su come la società contemporanea avverta la necessità di crearsi miti sempre nuovi, vere e proprie ” icone”, per poi distruggerle e sostituirle; in Noetic ci si interroga sul rapporto tra scienza e coscienza, tra forme fisiche e forme mentali. I due spettacoli sono inseriti anche nel programma di Mito SettembreMusica.

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Uno spettacolo nato dalla collaborazione tra TorinoDanza, Mito SettembreMusica e Aterballetto, sarà quello intitolato “Bach Project”, in programma al teatro Carignano il 14 e 15 settembre prossimi, in cui la danza dialoga con la musica di Bach, proposta anche in versione elettronica. Il 17 settembre al teatro Carignano verrà rappresentato, per l’ideazione e la direzione artistica di Marinella Guatterini, “Erodiade-Fame di vento (1993-2017)”, ricostruzione di un’opera del ’93 nata dalla collaborazione tra Julie Ann Anzillotti e l’artista Alighiero Boetti. Il tema della contaminazione delle arti visive sarà al centro del pluripremiato lavoro ” The Great Tamer” di Dimitris Papaioannou, in programma alle Fonderie Limone a Moncalieri dal 20 al 22 settembre, cui si aggiungerà la video installazione “Inside”, che sarà presentata al pubblico nei nuovi spazi delle Ogr dal 20 al 30 settmbre prossimi. Il linguaggio di questo artista greco si pone all’intersezione tra teatro, danza ed arti visive, i suoi spettacoli propongonoi quadri visionari e rievocazioni capaci di trasportare lo spettatore in esperienze emotive e sensoriali uniche. Sempre alle Fonderie Limone a Moncalieri, dal 12 al 14 ottobre prossimi, approderà “Vertigine”, risultato di un anno di lavoro sui territori di montagna a Torino e Chambers, per dar vita al progetto Corpo Links Cluster, sostenuto dal programma europeo Alpi Latine Cooperazione Transfrontaliera, cui sono stati invitati artisti di diverse generazioni a raccontare il tema della montagna. Sarà Alain Platel a chiudere il Festival, alle Fonderie Limone a Moncalieri, il 30 novembre e 1 dicembre prossimo, con una coproduzione del Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale, TorinoDanza e Aperto Festival/Fondazione i Teatri di Reggio Emilia. Si tratta dello spettacolo intitolato “Requiem pour L.”, realizzato in collaborazione con il compositore Fabrizio Cassol, una nuova riscrittura del Requiem di Mozart.

Mara Martellotta

ph Andrea Guermani

Il TorinoFilmLab vince il Grand Prix Nespresso

Festeggia 10 anni   con l’affermazione di “Diamantino”
 
 
Proprio nell’occasione del decimo anniversario del TorinoFilmLab, la Semaine de la Critique di Cannes ha regalato alla comunità TFL il miglior compleanno in cui potesse sperare: la Giuria presieduta dal regista norvegese Joachim Trier ha infatti deciso di onorare DIAMANTINO di Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt con il premio principale, il Grand Prix Nespresso.
 
Il lungometraggio d’esordio della coppia di filmmaker nati negli Stati Uniti ha ottenuto un ottimo riscontro durante la première dello scorso venerdì. Il duo ha spiegato: “Volevamo fare una commedia romantica demenziale che giocasse con i conflitti della contemporaneità come il culto delle celebrità, l’ascesa dell’estrema destra e la crisi dei rifugiati.” 
 
Il film è stato sviluppato all’interno di FeatureLab 2013, il programma TFL per primi e secondi progetti di lungometraggi a un avanzato stadio di sviluppo. È il risultato di una coproduzione tra Les Films du Bélier (Francia), Maria & Mayer (Portogallo) e Syndrome Films (Brasile), ed è venduto internazionalmente da Charades.
 
Si tratta della terza volta in cinque anni in cui un film TFL ha ottenuto tale traguardo: Fabio Grassadonia & Antonio Piazza avevano già convinto la Giuria nel 2013 con il loro SALVO, mentre MIMOSAS di Oliver Laxe è stato premiato nel 2016. L’alumna TFL Jacqueline Lentzou ha inoltre ricevuto il premio per il Miglior Cortometraggio alla Settimana della Critica di quest’anno con il suo HECTOR MALOT – THE LAST DAY OF THE YEAR.
 
In questa stessa edizione del Festival di Cannes “Birds of Passage” – diretto dal duo colombiano composto da Ciro Guerra e Cristina Gallego – era stato scelto per aprire la Quinzaine des Réalisateurs
 
Il TorinoFilmLab è promosso dal Museo Nazionale del Cinema con il supporto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Città di Torino e il programma Creative Europe – MEDIA dell’Unione Europea, in collaborazione con Film Commission Torino Piemonte.

Balcani in musica a Rivoli

Il prossimo concerto previsto per Rivolimusica vedrà esibirsi King Naat Veliov & The Original Kočani Orkestar dalla Macedonia, massimi rappresentanti a livello internazionale, con i Ciocărlia dalla Romania e Boban Marković Orkestar dalla Serbia, della fanfara balcanica.  Una brass band tipica, ma sopra le righe per quanto riguarda gli arrangiamenti originali del leader Naat Veliov che contamina di sonorità pop,  jazz e latine un repertorio tradizionale già ricco di suggestioni turchegitanebulgareromeneserbe. Sabato 19 maggio presso Maison Musique (Ore 21, ingresso 12 euro, ridotto 10) Previsto dopo il concerto (Per il ciclo MaP, apertitivi con l’artista; è l’ultimo degli incontri e prende la forma di un after show) “Balcani in musica”, incontro con Naat Veliov intervista a cura del progetto BalkanRock, conValentina Sileo e Duško Djordjevič  presso il Birra Ceca Pub 82 (Via Alpignano 82, Rivoli), ore 23:00.

 

La dama velata

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce. Castelli diroccati, ville dimenticate, piccole valli nascoste dall’ombra delle montagne, dove lo scrosciare delle acque si trasforma in un estenuante lamento confuso, sono ambientazioni perfette per fiabe e racconti fantastici, antri misteriosi in cui dame, cavalieri, fantasmi e strane creature possono vivere indisturbati, al confine tra la tradizione popolare e la voglia di fantasia. Questi luoghi a metà tra il reale e l’immaginario si trovano attorno a noi, appena oltre la frenesia delle nostre vite abitudinarie.Questa piccola raccolta di articoli vuole essere un pretesto per raccontare delle storie, un po’ di fantasia e un po’ reali, senza che venga chiarito il confine tra le due dimensioni; luoghi esistenti, fatti di mattoni, di sassi e di cemento, che, nel tentativo di resistere all’oblio, trasformano la propria fine in una storia che non si può sgretolare.

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10 / L’unico modo di preservare la bellezza è precluderla alla vecchiaia. Questa è la storia di quando il Tempo si innamorò di una principessa, bella come il mare d’inverno, e non accettò di veder decadere quello splendore. Decise così di portarla via con sé, lontano dai luoghi in cui i mortali sono destinati ad avvizzire. La principessa si chiamava Varvara Belosel’skij, apparteneva ad una potente famiglia zarista ed era la moglie dell’allora ambasciatore russo presso la corte sabauda. La giovane donna, madre di tre figli, morì per cause legate alle passate gravidanze, proprio qui a Torino, dove si era recata per stare accanto all’amato marito. Il principe ambasciatore Aleksandr Michajlovic Beloselskij, addoloratissimo per la scomparsa dell’adorata giovane moglie, desiderò per lei il meglio anche nella morte. Aleksandr, uomo colto e amante delle arti, interpellò Innocenzo Spinazzi, celebre scultore romano di stile neoclassico, chiedendogli di eseguire un’opera in marmo per adornare la tomba dell’amata sposa. Spinazzi si era contraddistinto nell’ambito scultoreo grazie al suo particolare approccio tecnico e al suo desiderio di rottura con la sovrabbondanza barocca. A Firenze nel 1784 ebbe l’incarico di Professore di Scultura presso L’Accademia di Belle Arti. Spinazzi accettò l’incarico che il principe russo gli offriva e studiò un complesso gruppo statuario, di cui oggi ci rimane solo una figura, quella centrale, che rappresentava simbolicamente la principessa Varvara. Nell’eseguire tale scultura Spinazzi decise di rielaborare uno dei suoi lavori passati più apprezzati, la statua della Fede del 1781, opera che aveva eseguito per la Chiesa di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze. Situata inizialmente nel cimitero di San Lazzaro, ora non più esistente, la tomba venne poi sposta nel piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli a Torino. È un giorno qualunque, presa da svariati pensieri seguo meccanicamente gli ordini del navigatore, che mi strattona da una parte all’altra della mia città. D’un tratto mi accorgo di trovarmi proprio nei pressi dell’antico cimitero di San Pietro in Vincoli, in via Torino, ora adibito a tutt’altra tipologia di funzione e completamente circondato da macchine parcheggiate con disordine e prepotenza. Il mesto edificio venne edificato nel lontano 1777, su progetto dell’architetto Francesco Valeriano Dellala, di Beinasco.

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Fu il primo cimitero edificato fuori dalle mura cittadine, dopo il decreto di Vittorio Amedeo III che, per motivi igienici, disponeva l’obbligo di sepoltura dei morti in appositi siti, oltre il perimetro della città. Il cimitero era costituito da un cortile interno, circondato su tre lati da un porticato. La facciata in stile neoclassico, presentava due file di lesene, la prima costituita da ghirlande, l’altra da teschi alati. Dal timpano del pronao incombeva l’angelo della morte. La parte centrale dell’area era adibita a ossario, attorno ad esso vi erano quarantaquattro pozzi destinati a sepoltura comunale per le salme dei più poveri. Ai più abbienti era riservato il porticato, qui si trovavano settanta due salme, divise in tombe private, lapidi e busti. Attorno alle mura del cimitero vi erano due zone, una atta ad ospitare i non battezzati e l’altra per gli impiccati e gli esecutori di giustizia. La struttura però era di piccole dimensioni e il sovraffollamento che non tardò ad arrivare portò con sé altre fastidiose conseguenze, la peggiore delle quali fu il fetore, intollerabile nei mesi estivi, provocato dai cadaveri disposti alla rinfusa e non adeguatamente tumulati. Nel 1829 l’edificazione del Cimitero Monumentale causò il progressivo disuso dell’antico sito sepolcrale. Per alcuni anni successivi San Pietro in Vincoli ospitò ancora i cadaveri dei giustiziati, fino al 1852, quando subì gravi danni strutturali a seguito dello scoppio della polveriera vicino all’arsenale militare, fu questo l’anno del definitivo abbandono. La costruzione seguì lo scontato decorso che si addice ad un cimitero abbandonato: atti vandalici, profanazioni e pare, addirittura, qualche messa nera. Alcuni monumenti che si trovavano all’interno della struttura vennero recuperati, anche se con danni più o meno gravi, tra questi anche la velata statua della principessa, che trovò un primo rifugio all’interno della Mole Antonelliana, dove venne sistemata nel 1976, ma fu la GAM a diventare la sua definitiva e rassicurante dimora. Oggi non c’è più alcuna traccia di quel sepolcrale lontano passato. Risulta di difficile concezione il solo pensiero che lì non fosse già più città. Le macchine sfrecciano rumorose, usano i clacson come rostri sonori, le osservo parcheggiate alla rinfusa e mi ricordano un sorriso di storti denti accavallati. La storia legata a San Pietro in Vincoli è prova del fatto che le parole trovano la forza di vivere, sempre, mentre lo spirito dei luoghi, talvolta, può morire.

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Sono andata a cercarla, la bella dama di marmo, tra le grandi sale della GAM, e quando l’ho vista è stato un po’ come vedere un fantasma. La pietra bianca delinea una figura femminile, che indossa dei semplici calzari, come quelli delle antiche sculture classiche; la donna ha le braccia leggermente distanti dal corpo, con il destro tiene un grande libro aperto, con il sinistro accentua la delicata torsione del busto. È interamente nascosta sotto un velo che la copre con riguardo, come fa la nebbia quando cala sul mondo. Il tessuto, scolpito con minuziosa maestria, segue il movimento del corpo e occulta castamente le sinuose forme del corpo femminile. Ha il viso leggermente sfregiato, a causa delle azioni poco belle che ha dovuto subire nel tempo in cui era sistemata nel piccolo cimitero. Si intravedono le fessure degli occhi al di sotto dell’illusorio tessuto, paiono chiusi come si addice ai defunti, in contrasto con la postura viva e in movimento del corpo. La osservo per un po’, girandole a fianco, ne ammiro i dettagli. È posta al termine del percorso del secondo piano, appare come d’improvviso su uno sfondo grigio, proprio come fanno gli spiriti, senza dare avviso del loro imminente arrivo e restando sfumati, costringendo chi li vede al dubbio di aver davvero visto qualcosa. Dalla sua postazione osserva tutti i visitatori, che sono costretti a contraccambiare il suo sguardo. Essa continua a far innamorare, esattamente come il suo doppio spettrale, che, secondo la leggenda, continua a percorrere le strade che le erano familiari, ammaliando gli ignari che si imbattono in lei. Infine mi allontano e abbandono anch’io la giovane principessa russa condannata alla solitudine della sua eterna velata bellezza.

Alessia Cagnotto

 

“Dal dire al fare”, l’autobiografia di Sante Bajardi

S’intitola “Dal dire al fare. Ricordi di un uomo impegnato” ed è l’autobiografia di Sante Bajardi, uno dei protagonisti più rilevanti della vita politica e amministrativa del Piemonte nel secondo dopoguerra. Il libro, edito dalla torinese Impremix, è stato presentato nella sala Viglione di Palazzo Lascaris davanti ad un pubblico attento ad ascoltare le numerose testimonianze di chi ha condiviso con Bajardi passioni e lotte civili negli ultimi decenni. Basata su una lunga intervista a cura di Mirella Calvano e Giovanni Romano, con una prefazione del costituzionalista e parlamentare Andrea Giorgis, la vicenda umana, politica e istituzionale di Bajardi si snoda per 180 pagine ricche di riflessioni, anedotti e ricordi. Una storia appassionante quella del protagonista, dall’antifascismo alla guerra partigiana, alle grandi sfide di solidarietà e uguaglianza del dopoguerra, agli anni della riorganizzazione del Servizio sanitario, alla creazione del CIPES,  il comitato per la promozione e l’dducazione alla salute. “Prima imparare poi mettere in pratica quello che si è capito”: questo è sempre stato il principio ispiratore di Bajardi. Nato a Torino il 1° maggio del 1926, iniziò a lavorare come operaio metalmeccanico in giovanissima età, studiando di sera fino ad ottenere il diploma all’Istituto Amedeo Avogadro. Durante la seconda guerra mondiale Bajardi prese parte alla Resistenza nelle formazioni SAP torinesi della Barriera di Nizza e negli anni dopo la liberazione  collaborò con l’amministrazione cittadina, attraverso le organizzazioni giovanili unitarie. Negli anni ’50 fu tra i più attivi dirigenti del PCI a Torino e Ivrea, nel Canavese e nel Pinerolese, tra i lavoratori  di aziende come l’Olivetti, la Chatillon, la Riv di Villar Perosa e tra i minatori della Talco Grafite in Val Germanasca. Dalla sua esperienza con i lavoratori della tristemente nota IPCA (Industria Piemontese dei Colori di Anilina) di Ciriè, prese spunto  il suo mai interrotto impegno per le politiche per la salute negli enti locali dov’è stato consigliere e assessore – da Grugliasco a Torino –  fino al CIPES di cui è presidente onorario. Dal 1975 al 1980 ricoprì gli incarichi di vicepresidente della Giunta regionale del Piemonte e di assessore regionale ai trasporti e alle opere pubbliche, e nei cinque anni successivi venne nominato assessore alla Sanità. E’ difficile riassumere la storia di quest’uomo che ha attraversato da protagonista le vicende piemontesi di oltre mezzo secolo e l’unico modo per averne la piena consapevolezza è leggere quest’intervista-racconto che si presenta come una delle più belle e intense testimonianze di chi ha fatto della passione civile la bussola della sua vita e del suo impegno.

Marco Travaglini