CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 544

La Fontana dei Mesi. Febbraio è un soffio

Nella storia delle correnti artistiche l’Impressionismo ha un primato quello di essere iniziato e concluso nell’arco di un solo, seppur abbondante, decennio (1874-1886) e ha più di un record:

guardando dal passato al futuro, quello di essere stato il movimento più atteso, più inaspettato e a tutta prima peggio criticato, mentre se ne aggiudica un altro guardando dai giorni nostri al passato quello di essere la tendenza più significativa e più utile, per raccontare la velocità del cambiamento tipico dell’età contemporanea.

La statua di febbraio della Fontana dei Mesi al Parco del Valentino, mi fa pensare a questa corrente artistica l’Impressionismo. Ritengo che le associazioni di idee non abbiano un solo buon motivo per essere spiegate tuttavia se i miei lettori dopo aver ben guardata la statua in questione, volessero sapere qualcosa di più sull’Impressionismo si trovano nel posto giusto. Sempre che anche il momento sia opportuno vi racconto qualcosa di più sull’Impressionismo e sul perché mi pare che parlare di febbraio e di impressionismo non fa cascare la mela troppo lontana dall’albero, altrimenti segnatevi la pagina web tra i preferiti del telefono e tornate appena potete. Vi ricordo che la rubrica mensile sulla Fontana dei Mesi di Torino è strutturata dieci in uscite e che a dispetto dell’anno in corso iniziato da poco, volge già al termine.

 

Dallo scorso giugno ad oggi abbiamo parlato dei Caravaggisti dello stile Liberty, del Naturalismo, delle inferenze tra il Bizantino e lo stile italiano del XIV secolo, del Verismo e del Realismo, abbiamo approfondito su storie che si sussurrano intorno alla fontana con il mito di Fetonte e abbiamo davanti il mese di marzo in cui in programma abbiamo il Barocco e infine la decima uscita, dedicata al Neoclassico. Tornando a noi, perché la statua allegoria del mese di febbraio mi ricorda l’Impressionismo? Questi impressionisti in realtà erano dei maledetti, degli sfacciati, delle ruspe a cui pareva dipingere la realtà come gli pareva che piacesse o dispiacesse al gusto dell’epoca. Insomma credo che la correlazione sia nella visione storiografica dell’arte. A me lei ricorda l’Impressionismo perché sembra affacciarsi appena, una che si mostra un attimo e poi si ritrae, butta un occhio e è tutto. Proprio come fa l’Impressionismo nella storia dell’arte.

I quadri degli impressionisti sono stati criticati malamente all’indomani del 15 aprile 1874, data di apertura della mostra indipendente di questo gruppo di amici che frequentava il quartiere parigino delle Batignolle a Parigi e che sul far della sera, chiuso il cavalletto e riposti i colori, si ritovava al caffè Guerbois per discutere sulla realtà e la sua rappresentazione. I critici che pomposi si aggiravano per l’indipendente si ritenevano offesi, come di fronte a qualcosa di osceno; asserivano che le tele sembrassero dipinte a chiazze e che mancassero del tutto di prospettiva, insomma si potrebbe dire, credevano che fossero una carnevalata. A proposito buon carnevale a tutti, giovedì grasso 2020 è fissato all’8 febbraio, e arrivederci con la prossima uscita in cui parleremo del mese di Marzo, del Barocco e naturalmente della bella piccola Parigi.

 

Elettra Nicodemi

 

Elettra Nicodemi è una giornalista italiana esperta d’arte, moda e design; sull’Impressionismo a cui accenna in questa uscita dedicata alla Fontana dei Mesi di Torino, in passato ha scritto https://insidethestaircase.com/2017/02/17/manet-monet-renoir-degas-cezanne-pissarro/

 

Risplende di armi orientali l’Armeria Reale di Torino

Ventisette pezzi originali tra spade, sciabole, coltelli, pugnali, lance e moschetti provenienti da un’area geografica molto ampia compresa tra il Medio Oriente e il sud-est asiatico si aggiungono alla già vastissima collezione dell’Armeria Reale che conserva una delle più ricche collezioni di armi e armature antiche del mondo

Sono pezzi eccezionali, mai esposti prima, custoditi da decenni nei depositi dell’Armeria e finalmente ora venuti alla luce e presentati al pubblico in un allestimento permanente in una delle storiche vetrine della Rotonda di fianco alla Galleria del Beaumont.

Gli oggetti, di grande qualità e bellezza, appartengono a un nucleo di 500 esemplari e le origini della raccolta risalgono al 1839, anno in cui l’Accademia delle Scienze di Torino donò una quarantina di oggetti che l’esploratore piemontese Carlo Vidua aveva raccolto nei Paesi dell’estremo oriente. A questi si aggiunsero in seguito i doni diplomatici offerti a re Carlo Alberto e ai suoi successori. La collezione esposta nella nuova vetrina della Rotonda comprende armi di vario tipo. Troviamo una spada da cerimonia del Cinquecento donata a re Vittorio Emanuele III da una missione diplomatica dello Yemen, la sciabola regalata dal sovrano del Siam a re Umberto I, la cui impugnatura termina con un Naga a tre teste, il mitico serpente che custodiva i tesori del regno e poi c’è la splendida “kilic”, la sciabola che riporta sulla lama iscrizioni in caratteri arabi che esaltano la figura del profeta Maometto e sul fodero il nome di Solimano il Magnifico, sultano dell’Impero ottomano dal 1520 al 1566.

Lance giavanesi decorate con il caratteristico disegno del “pamor” che appare in seguito al trattamento della superficie dell’acciaio, altre sciabole e pugnali di manifattura ottomana e persiana, moschetti e archibugi di acciaio rivestiti in argento parzialmente dorato, di lavorazione arabo-indiana, completano l’esposizione. In molti casi le lame sono in damasco wootz, un acciaio particolare prodotto dal IV secolo nell’India del nord e in Persia mentre le decorazioni sono spesso realizzate a “koftgari”, un tipo di damaschinatura di origine indiana con cui si applicavano all’acciaio metalli preziosi come l’oro e l’argento. L’Armeria Reale di Torino, fondata da Carlo Alberto nel 1837, conserva numerosi tipi di armature, armi bianche e da fuoco, dalle armi archeologiche a quelle medievali e cinquecentesche, una raccolta di armature e armi dei Savoia, cimeli napoleonici, armi orientali e una collezione di bandiere.

Suggestivo e piacevole il percorso per raggiungere l’Armeria reale: si entra a Palazzo Reale, si sale al primo piano e si attraversano gli appartamenti reali fino a raggiungere la Galleria del Beaumont con cavalieri armati e vetrine stipate di armi. L’orario di visita dell’Armeria Reale: da martedì a domenica ore 9-19, lunedì ore 10-19, la biglietteria è all’ingresso di Palazzo Reale.

Filippo Re

“Chi scriverà la nostra storia”

Per il Giorno della Memoria, la Fondazione Bottari   Lattes presenta la docufiction di Roberta Grossman

Domenica 26 gennaio e martedì 28 gennaio

Monforte d’Alba (Cuneo)

Un omaggio alla determinazione di uomini e donne che hanno permesso di creare la più grande raccolta di testimonianze oculari scampate alla guerra, relative ai crimini nazisti compiuti contro la popolazione ebrea all’interno del Ghetto di Varsavia. Un vero e proprio archivio diventato “Patrimonio dell’Unesco” e raccontato nel film documentario “Chi scriverà la nostra storia”, proposto dalla Fondazione Bottari Lattes per commemorare il Giorno della Memoria (ricorrenza internazionale dedicata, il 27 gennaio di ogni anno, alle vittime dell’Olocausto) e per ricordare i temi fondamentali presenti ne “Il Ghetto di Varsavia” (tesi di laurea e saggio fra i più completi sull’argomento) scritto nel 1960 da Mario Lattes, pittore, scrittore ed editore sfuggito alle leggi razziali, cui è titolata la Fondazione voluta a Monforte d’Alba nel 2009 dalla moglie   Caterina. Basato sul saggio “Who will Write our History?” di Samuel D. Kassow, la docufiction – diretta nel 2018 dalla regista americana Roberta Grossman con le voci narranti della tre volte candidata all’Oscar Joan Allen e del premio Oscar Adrien Brody – è in programma a Monforte d’Alba all’Auditorium della Fondazione Bottari Lattes (via Marconi 16): domenica 26 gennaio per il pubblico, alle ore 17,30, preceduta da una introduzione del professore Valter Boggione (ingresso gratuito fino a esaurimento posti); martedì 28 gennaio alle ore 9,30 per gli studenti delle scuole di Monforte d’Alba, Barolo e La Morra, con un’ introduzione della professoressa Eva Vitali. La proiezione è organizzata con il patrocinio della Comunità Ebraica di Torino in collaborazione con il Comune di Monforte d’Alba, l’Unione di Comuni Colline di Langa e del Barolo, l’Istituto Comprensivo di La Morra.

Il film documentario racconta le vicende dello storico Emanuel Ringelblum che, proprio all’interno del Ghetto di Varsavia (450mila gli ebrei lì rinchiusi nel novembre del 1940 e sottoposti a terribili vessazioni), riuscì a riunire un gruppo segreto, lo “Oyneg Shabes” (la “Gioia del Sabato”, in yiddish), composto da giornalisti, ricercatori e capi della comunità, per combattere le menzogne e la propaganda degli oppressori con carta e penna anziché con le armi e la violenza. Il gruppo commissiona diari, saggi, storie, poesie e canzoni, raccoglie clandestinamente i manoscritti delle vittime della persecuzione polacca e documenta le atrocità con testimonianze oculari durante l’occupazione nazista e fino alla rivolta del Ghetto, riuscendo a far arrivare fino a Londra i resoconti sugli stermini compiuti dai tedeschi. Mentre i treni deportavano ebrei verso le camere a gas di Treblinka e il ghetto veniva distrutto dalle fiamme, il gruppo clandestino riuscì a seppellire 60.000 pagine di scritti e immagini nella speranza che l’archivio sopravvivesse alla guerra e alla loro stessa fine.

Delle sessanta originarie del gruppo “Oyneg Shabes” sono rimaste in vita dopo la guerra solo tre persone, fra cui Rachel Auerbach, figura centrale del film, sopravvissuta alla caduta del Ghetto, dove si dedicava non solo all’esercizio della critica in campo artistico ma anche a una mensa per i poveri e che ha dedicato la propria vita alla conservazione del ricordo.

“Chi scriverà la nostra storia” intreccia immagini dei testi d’archivio e materiali d’epoca con nuove interviste e rari filmati arricchiti da ricostruzioni storiche, che permettono allo spettatore di essere trasportato all’interno del Ghetto e delle vite dei coraggiosi combattenti della Resistenza.

 

Info: 0173.789282 – organizzazizone@fondazionebottarilattes.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes

g. m.

 

Nelle foto

– “Lewin Family”, Photo Credit Anna Wloch
– “Warsaw Ghetto Market scene”, Photo Credit Anna Wloch
– “Andrew Bering portrays Israel-Lichtenstein Preparing First Cache”, Photo Credit Anna Wloch

 

 

Ghiaccio Spettacolo festeggia 10 anni di magia

Sono trascorsi dieci anni dall’esordio della Compagnia di Ghiaccio Spettacolo sulla pista del Palasesto di Sesto San Giovanni e, anno dopo anno, il gruppo di ex pattinatori guidati da Andrea Vaturi ha emozionato l’Italia con le sue esibizioni, raccogliendo l’importante eredità di Alessandro De Leonardis, tragicamente scomparso nel 2011, che era stato l’ideatore di “Stars on Ice”, spettacolo estivo di pattinaggio itinerante

Ghiaccio spettacolo celebrerà il decimo compleanno proprio dove tutto è iniziato, sul ghiaccio del Palasesto sabato 1° febbraio con uno show che porterà in scena il meglio di dieci anni di spettacoli.

In “10 Years Celebration Show” si esibiranno le coppie di campioni di danza sul ghiaccio formate da Federica Faiella e Massimo Scali e da Charléne Guignard e Marco Fabbri, la coppia di artistico Nicole Della Monica e Matteo Guarise, i pattinatori Daniel Grassl e Matteo Rizzo, la coppia di pattinaggio acrobatico Alice Velati e Davide Pastore, l’inedita coppia formata dalla campionessa del mondo di danza sul ghiaccio Anna Cappellini e da Ondrej Hotarek, campione di pattinaggio artistico. Scenderà sul ghiaccio del Palasesto la torinese due volte campionessa italiana Giada Russo. Gli atleti saranno accompagnati dalla Band On The Rocks e dalla straordinaria voce Rhythm&Blues di Eric Turner e da tutti i pattinatori che, nel corso degli anni, hanno fatto parte della compagnia.

Una parte del ricavato dello spettacolo sarà devoluta all’Associazione “Il Sogno di Iaia” e destinata al reparto di Oncologia Infantile dell’Ospedale Buzzi di Milano.

“10 Years Celebration Show”, Sabato 1° Febbraio 2020, ore 21 – Palasesto – Piazza 1 Maggio – Sesto San Giovanni (MI) – Biglietti acquistabili su VIVATICKET – www.vivaticket.it.

 

Barbara Castellaro

Sugli schermi “Hammamet” di Gianni Amelio

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

La superba immedesimazione di Favino nella debolezza di una storia

C’è un’unica, immutabile scena all’inizio e al termine dell’arco narrativo di Hammamet di Gianni Amelio, l’immagine di ribellione di un ragazzino che con un colpo di fionda sfonda un vetro di un istituto scolastico. Tra i due punti, la decadenza politica e soprattutto fisica di Bettino Craxi, gli ultimi sei mesi di un’esistenza controversa, la narrazione di una fuga e di un esilio (qualcuno, anche pubblicamente, ha osato usare il termine latitanza, con grande orrore della figlia Stefania, “latitanza un corno!” – nel film, Anita, forse un omaggio dell’autore all’amore per l’Eroe dei due Mondi), la sua volontà a far fronte ad una situazione che continua ad accusarlo – anche l’arrivo di un gruppo di rabbiosi turisti sulla spiaggia di Tunisi lo spinge a difendersi dall’accusa di aver sottratto all’Italia un cospicuo tesoro e a ricordare quelle monetine buttategli addosso davanti all’ingresso del Raphaël -, le giornate trascorse a formulare pensieri e a scrivere, a ricevere politici o l’amante che vuole rivivere intatte le emozioni di un tempo, come il dover fare i conti giorno dopo giorno con il diabete che lo ferisce (e certo le strutture ospedaliere del paese che lo ospita non sono le più adatte ad una cura e forse ad una guarigione, si potrebbe salire su un aereo per Milano ma c’è il rifiuto netto perché già s’immagina ad attenderlo i tribunali dello Stato), gli scatti d’ira verso la figlia che lo consiglia e tenta in tutti i modi di difenderlo dalla malattia, la sua arroganza e i suoi segni d’affetto (Amelio s’è immaginato un vecchio Lear alle prese con la saggia affettuosità di Cordelia) e di rincrescimento, il rapporto opaco con un figlio mai considerato all’altezza o con una moglie che trascorre il suo tempo davanti al televisore che trasmette vecchi film americani, il suo immancabile e lento soccombere.

Fatti, riletture, momenti che non generano certo troppe emozioni, che a molti (il pubblico di giovani) non potranno dire nulla mentre a quanti li hanno vissuti cercheranno di rinfrescare una memoria affievolita e il resoconto di un becero voltafaccia, di rimettere in piedi un uomo che per un decennio è stato il padrone indiscusso dell’Italia, l’esempio incrollabile di egocentrismo, il burattinaio di nani e ballerine come di quella politica passata poi, nel bene e nel male chi può ancora dirlo?, sotto le forche di Mani Pulite. Tutto questo tuttavia Hammamet lo ricostruisce in un eccesso di debolezza, attraverso un accumularsi di quotidiani episodi senza una vera robustezza – che non ci aspetteremmo dal forte autore di Così ridevano e Le chiavi di casa – ed un accattivante fascino, inserendo Amelio e il suo cosceneneggiatore Alberto Taraglio la figura del giovane Fausto, il figlio di un compagno di partito già pronto in uno degli osannanti congressi a base di sventolii di garofani a scoperchiare tutto quanto vi sia di falso e malato (finirà suicida), un giovane che armato di una piccola telecamera inquadra Craxi e ne cattura i pensieri e le confessioni e le recriminazioni, se ne fa memoria e portavoce. Quel rimpicciolire lo schermo in un nuovo formato è l’espediente di Amelio per staccare quelle parole dal contesto, per prendere le distanze dai fatti, per sottolineare ancora una volta “non ho mai votato socialista e non sono mai stato craxiano”: sarà, ma, con quel suo non esprimere giudizi definitivi, dal suo disegno il personaggio ne esce quasi in termini affettuosi e di comprensione, non s’è certo fatto ricorso ad un bisturi che abbia la rabbiosa consapevolezza di andare fino in fondo, geometricamente, a scoprire il marcio (e a non offendere il salvabile), non s’è certo compiuto un’azione mirabile come quella di Sorrentino, addentratosi nell’arcipelago Andreotti.

Hammamet soffre di personalissima debolezza, di un ritratto schizzato male e non chiarisce né la memoria né le idee a nessuno. Quella schermatura di anonimato – nessuno ha nome, eccetto la figlia, ma s’è detto storpiato – denuncia la mancanza di una storica robustezza che avrebbe senz’altro accresciuto il documento e la sua chiarezza: si fanno addirittura dei passi indietro nel finale, tra sogni di bassa lega, con l’incontro del protagonista a piedi scalzi sui tetti del duomo di Milano con la figura paterna (l’ultima prova di quel grande attore di cinema e di teatro – le sue interpretazioni allo Stabile di Genova! – che è stato Omero Antonutti) o con i due guitti, lui esile marionetta scomposta. Se ancora ce ne fosse bisogno, ti accorgi quanto il film si regga – “sia” – sulla impareggiabile e imperdibile interpretazione di Pierfrancesco Favino (quanti premi gli andranno a fine stagione?), che non soltanto con l’aiuto del trucco prostetico di Andrea Leanza si è appropriato appieno dei tratti visivi di Bettino Craxi: ma lascia sbalorditi quanto l’attore abbia lavorato in piena autonomia ed in grande saggezza sulla voce, sulle pause, sulle intonazioni, sul testone sghembo, su certe posizioni del corpo, delle mani che le immagini, ancora in occasione dei vent’anni dalla morte del politico in questi giorni sugli schermi televisivi, ci ridanno. Una immedesimazione superbia e singolare, che ha il potere di “guastare”, di allontanare, di far passare in secondo piano l’intera struttura drammaturgica del film.

La ‘Giornata della Lingua e della Letteratura Piemontese’

E’ di recentissima istituzione, con provvedimento del Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2020, il cosiddetto ‘Dantedì’ ovvero la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri

Si tratta di un provvedimento importante, a livello nazionale ed internazionale, per il ruolo che il poeta fiorentino occupa nell’empireo della storia della letteratura non solo italiana, ma anche mondiale, con tutte le sue opere a partire dalla Divina Commedia.

Sull’onda di tale iniziativa, assolutamente meritoria e di elevatissimo spessore culturale, si possono fare, però, anche alcune considerazioni – e trarre conseguenti conclusioni –a livello regionale.

Perché se è giusto non dimenticare che stiamo andando verso una società sempre più globalizzata, dove gli interscambi culturali e linguistici sono una ricchezza, non va dimenticato il valore delle proprie radici e della propria identità.

Il Piemonte è una terra ricca di storia e di cultura, che ha trasmesso nel corso dei secoli un’eredità storica, artistica e linguistica che, oggi, rischia di andare perduta qualora non vengano intraprese azioni, anche simboliche, di salvaguardia.

Ecco perché si ritiene che si possa celebrare ogni anno, nello spirito degli ideali dello Statuto della Regione Piemonte, una ‘Giornata della Lingua e della Letteratura Piemontese’ analogamente a quanto sta avvenendo a livello nazionale con la ricorrenza dantesca

A questo proposito si può avanzare anche una data precisa: la redazione della prima ‘Gramatica Piemontese’ avvenuta nel 1783 ad opera del medico Antonio Pipino da Cuneo (cui fece seguito il primo vocabolario). E come giorno della ricorrenza si potrebbe fissare – ma questa è soltanto una proposta indicativa – il 24 aprile, data indicata dallo stesso Pipino nella sottoscrizione della prefazione dell’opera, o il 26 agosto, giorno in cui Re Vittorio Amedeo III di Savoia gli concesse il Privilegio di apportare alla prima edizione della sua opera alcune modifiche ed aggiornamenti. L’istituzione di tale Giornata avrebbe un forte valore nel recupero e nella salvaguardia della lingua e delle letteratura di una regione che ha contribuito alla creazione dell’Italia odierna e che già allora era uno Stato europeo.

Poiché ‘tempus regit actum’ a breve verrà inviata una richiesta formale alla Regione Piemonte in questo senso e si avvierà una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini e delle istituzioni del Piemonte.

 

Massimo Iaretti

Consigliere delegato

all’Identità Piemontese

Comune di Villamiroglio

 

 

 

(Foto:  Monferrato Paesaggi)

I mondi senza età di Dodi Battaglia

Torna nei teatri “PERLE – Mondi senza età”, la tournée che nell’edizione 2018-2019 ha registrato grande affluenza di pubblico e numerosi sold-out, toccando importanti città come Torino, Roma, Milano, Verona

Nato da un’idea del chitarrista, cantante e compositore Dodi Battaglia, “PERLE – Mondi senza età” propone live una serie di brani appartenenti al repertorio più ricercato ed intenso dei Pooh, caratterizzato da liriche intimiste cui l’ambientazione del teatro sa essere il giusto scenario e contribuisce a creare con il pubblico un coinvolgimento particolarmente intenso.

La scaletta del concerto, aggiornata e rivista rispetto alla passata edizione per offrire al pubblico la riscoperta di brani troppo a lungo esclusi dalle performance live, accompagna lo spettatore in una ideale esplorazione dell’emozione toccando temi come l’amore, la società, il rapporto tra uomo e donna, il viaggio inteso come scoperta del mondo e del proprio io, tratteggiando i molteplici aspetti dell’animo e della storia umana.

Alcuni dei nuovi titoli: “Per una donna”, “Danza a distanza”, “La città degli altri”, “Lei e lei”, “Comuni desideri”, “Dialoghi”. Senza dimenticare “Un’anima”, il brano firmato con Giorgio Faletti e nato da un provino embrionale inciso dal compianto attore e scrittore: calandosi nelle atmosfere e nelle intense immagini evocate da Giorgio, Dodi ha seguito l’onda emotiva che ne è scaturita ed ha portato a compimento la canzone, nel rispetto di quanto Faletti voleva comunicare e mettendo in gioco a sua volta la propria ispirazione.

Alle intense atmosfere evocate brano dopo brano, si accompagna l’interpretazione di Dodi Battaglia che, impegnato in un vero e proprio dialogo con la propria chitarra, sottolinea le strofe e connota le melodie con i virtuosismi che da anni accendono l’entusiasmo del suo pubblico.

Ad accompagnare Dodi sul palco una band affiatata e rodata negli anni dai numerosi eventi live: Rocco Camerlengo alle tastiere, Beppe Genise al basso, Marco Marchionni alle chitarre, Carlo Porfilio alla batteria, Costanzo Del Pinto e Raffaele Ciavarella i vocalist.

Il Capodanno Cinese al Torino Outlet Village

Domenica 26 gennaio un fitto programma di iniziative per festeggiare l’anno del topo. 

Un evento pensato per i turisti, ma anche per i cinesi residenti, e per chiunque ami la cultura e la tradizione orientale. Torino Outlet Village organizza per domenica 26 gennaio una serie di iniziative per la celebrazione del Capodanno cinese.

Capodanno Cinese, 26 gennaio

Si comincia dalle 10:30 del mattino e per tutto il giorno sarà possibile vivere il Capodanno Cinese tra sfilate, degustazioni, veri e propri corsi di cucina e molto altro. La giornata inizierà con un laboratorio di Ravioli Cinesi “Jiaozi”: per imparare l’arte della preparazione dei famosi ravioli tradizionali cinesi. Dove? Presso C-House Cafè&Restaurant. Il laboratorio è gratuito, ma la prenotazione è obbligatoria all’Infopoint contattando il numero 011 19234780.

A mezzogiorno ci sarà la danza del Drago leone, momento culmine dei festeggiamenti del Capodanno Cinese. Un evento entusiasmante e scenografico lungo i boulevard del Village che verrà replicato alle 15:30, per permettere a più clienti possibili di assistere a questa straordinaria esibizione. Sfileranno anche i Qipao, costumi tipici cinesi caratterizzati da colori vividi, stampe floreali eleganti e ricercati e stoffe pregiate.

E non mancherà una class sulla tradizionale bevanda cinese: il Tè. Alle 16:30 presso C-House Cafè&Restaurant si terrà il workshop Storie e Origini del Tè in Cina: degustazione e tecniche di infusione. Anche in questo caso, il laboratorio è gratuito, ma la prenotazione è obbligatoria all’Infopoint contattando il numero 011 19234780.

Wonder China in comporary art, la mostra al Village

Ma le iniziative che celebrano il mito e la cultura cinese non sono finite. La vera chicca al Torino Outlet Village è la mostra Wonder China contemporary art, presso la unit eventi nella piazza principale del Village.  Si potrà visitare la mostra dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 19.00 e il sabato e la domenica dalle 11.00 alle 19.00. Più di 50 opere, racconteranno l’evoluzione dell’arte cinese contemporanea con presenze ormai iconiche e di grande interesse culturale, dal forte impatto visivo. 

La mostra, articolata per sezioni, presenta una serie di piccole personali che nel loro insieme costituiscono un percorso esaustivo sull’ evoluzione del linguaggio artistico cinese e presenta, per la prima volta a Torino, uno spaccato della sua complessa realtà artistica. Nonostante la sua natura prettamente commerciale, il Torino Outlet Village con questa mostra intende proporsi al pubblico dei visitatori come luogo di cultura ed incontro, teso a favorire una migliore fruizione degli spazi, anche quale luogo di incontro.

Da Testa di ferro a Napoleone tutti i ponti e i mulini sul Po

Abbiamo riletto un interessante volume di Elo Seminara e Giuli Hal

Emanuele Filiberto di Savoia non fu solo fu solo “Testa di Ferro”, il duca sabaudo che riconquistò i suoi territori sconfiggendo, alla guida delle truppe spagnole, a San Quintino nelle Fiandre i francesi, ponendo così le basi della pace di Cateau Chambresis del 1559.

E non è ricordato come colui che trasferì, il 7 febbraio 1563 a capitale da Chambery a Torino. Ma è anche colui che, primo tra i Savoia, andò in visita di Stato alla Serenissima.

E nel 1774 il tragitto venne effettuato tutto lungo il corso del Po, da Torino a Venezia, con andata e ritorno in due mesi lungo la via che, all’epoca, era considerata la più agevole e sicura. Questo viaggio è stato, ai giorni nostri, anche punto di partenza per un interessante ed accurata ricerca d’archivio sul fiume Po di due storici. Elio Seminara e Giuli Hal in “Il fiume a Verrua: porti, pesca,  ponti e mulini  natanti 1750 – 1900” analizzano i porti, la pesca,  i ponti ed i mulini natanti sul grande fiume arrivano ad un progetto  di Napoleone (un’altra influenza del passaggio del grande generale corso nei territori subalpini) che non fu mai realizzato ma che sicuramente avrebbe fortemente condizionato lo sviluppo economico del Piemonte.

 

Massimo Iaretti

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità librarie. A cura di Laura Goria

Claudia Casanova “Storia di un fiore”   -Feltrinelli- euro 15,00

Quando si ha una passione profonda si maneggiaun’arma in più per difendersi dai duri colpi inferti dalla vita. Sicuramente l’amore viscerale per la botanica è l’ancora di salvezza della protagonista, la giovane Alba. Sfondo del romanzo è la Spagna di fine 800, nella splendida tenuta di campagna della famiglia Ruiz de Peñafiel, la Solariega, dove trascorrono le vacanze le sorelle Alba e Luisa. Dalla madre Mercedes hanno ereditato l’amore per la natura. Le ha cresciute incoraggiandole a trovare una loro strada nel mondo, anziché perdersi nei futili interessi delle loro coetanee.

Tra le mura domestiche vige l’idea che una donna possa avere un ruolo diverso dalla consueta “ama de casa” dedita solo a marito e figli. Alba e Luisa sono moderne e coraggiose; trascorrono le giornate nei campi dove cercano, osservano, raccolgono, catalogano e disegnano gli oggetti del loro amore. Alba, la maggiore, va alla ricerca di fiori, steli, foglie, semi e qualsiasi meraviglia possa arricchire il suo erbario. Luisa invece mette tutta la sua passione nella ricerca delle farfalle e avrebbe un futuro da entomologa. Alla delicata storia dell’amore di Alba per la natura, si aggiunge quella per il famoso botanico tedesco Heinrich Willkomm, ospite alla Solariega. Condividono l’amore per la scienza, si avventurano insieme nel verde e finiscono per trovarsi invischiati in una tenera passione proibita e segreta. Scoprono una nuova specie di fiore che Heinrich battezza “Saxifraga Alba” in onore della ragazza che ama, ma che deve abbandonare. Tra dolore, perdite finanziarie e drammi familiari, ancora molte cose accadranno. Scritto con delicatezza questo romanzo dal sapore antico è ispirato alla vita della botanica spagnola dell’800 Blanca Catalán de Ocón, vissuta a Teruel; a parte la storia d’amore per un botanico tedesco che è pura finzione letteraria.

 

Amy Tan “Dove comincia il passato” – Salani –   euro 18.60

Amy Tan è una scrittrice statunitense di discendenza cinese e questo suo libro esplora la vita di una famiglia divisa tra oriente e occidente. E’ una sorta di memoir che prende l’avvio dalle storie contenute in una capsula del tempo: sette grandi scatole di plastica trasparente che racchiudono il passato della sua famiglia. Spulciando tra lettere, fotografie, documenti e cimeli vari, l’autrice -che a 8 anni scopre di essere tagliata per la scrittura- sguinzaglia bravura e fantasia e svela vicende, passioni, sofferenze e redenzioni che sono tanti “attimi di tempo congelato”. Ricostruisce un passato che comincia prima della sua nascita. A partire dalla Cina imperiale con il suo manto di decadenza, ma anche di fascino. Amy Tan ricompone la vita di sua nonna, nella Shangai del primo 900, quando rimasta vedova aveva poi sposato un uomo ricchissimo diventando una delle sue concubine. Morta infelice e giovane per aver ingerito dell’oppio, ha lasciato sola al mondo la sua bambina (figlia di primo letto) che ha solo 9 anni. E’ la madre della scrittrice, e anche la sua storia ha numerosi coni d’ombra. Cresciuta dal patrigno, a 18 anni sposa un uomo ricco e scivola in un matrimonio di un’ infelicità abissale. Il marito, dietro pubbliche conclamate virtù, nasconde un pozzo di nefandezze: giocatore d’azzardo dilapida la dote della moglie, la considera sua proprietà, la picchia selvaggiamente e la tradisce impunemente. Lei riesce a scappare con il suo amante e dalla loro unione nasce la scrittrice. In altre pagine Amy Tan scruta a fondo nel difficile rapporto con la madre, rivive il dolore delle tragedie che hanno segnato la sua vita, e finisce per comporre un mosaico che non lascia indifferenti.

 

Marco Buticchi “Stirpe di navigatori” -Longanesi-   euro 22,00

Buticchi non sbaglia un colpo e si riconferma maestro dell’avventura, alla stregua di nomi blasonati come Wilbur Smith e Clive Cussler. Leggere il suo ultimo romanzo vuol dire viaggiare a spasso nei secoli, solcare mari tempestosi -tra Italia, Portogallo del 1700, Congo e Stati Uniti degli anni 60 del XX ° secolo- per arrivare ad oggi. E ritroviamo la coppia vincente formata da Oswald Breil e Sara Terracini. Proprio da lei scatta la trama perché mentre è a bordo del Williamsburg insieme al marito deve tradurre un antico diario, rinvenuto in un monastero di Lisbona. E’ stato redatto dal grande navigatore italiano Alessandro Terrasini, (cognome che la dice lunga sulla parentela con Sara).

Ed ecco che Buticchi vi catapulta nel 1755, quando il terremoto rase al suolo Lisbona, e vi trascina nelle incredibili peripezie di Alessandro. La sua nave è la Frelon e lui commercia in stoffe solcando i mari. A incrociare la sua rotta saranno personaggi bellissimi, come Padre Rafael o la contessina Elisa (ingiustamente accusata di matricidio) che fugge dallo zio e dalle sue mire di potere. Ma a smuovere ulteriormente le acque si mettono eminenze grigie, navi negriere, cattivi e assassini a iosa, e la ricerca del mitico tesoro del pirata Olivier Levasseur (realmente esistito nel XVIII° secolo).

Altro piano temporale -tra Congo, Parigi e Stati Uniti- troviamo due fratelli congolesi testimoni di qualcosa di sconvolgente: per questo costretti alla fuga per sopravvivere. Matunde e Kumi Terrasin riprenderanno le loro vite altrove, tra difficoltà e successi. Fino all’epilogo finale in cui i destini di tutti i personaggi finiranno per chiarirsi, incontrarsi o scontrarsi nel presente…