CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 499

Show Time!

Venerdì 27 e sabato 28 dicembre 2019 | ore 21 Domenica 29 dicembre 2019 | ore 17

GYPSY ACADEMY in SHOW TIME! #CHRISTMASEDITION

Teatro Murialdo – Piazza Chiesa della Salute 17d, Torino

Un Natale da ricordare al Teatro Murialdo! Dopo il grande successo ottenuto alla Finalissima di “Italia’s Got Talent 2019”, sul palco del teatro di piazza Chiesa della Salute arriva la Gypsy Academy di Torino con SHOW TIME! #CHRISTMASEDITION, un coinvolgente concerto con musica live in stile americano dedicato allo spirito del Natale.

I cantanti e i ballerini che si sono aggiudicati il Golden Buzzer di Claudio Bisio proporranno per il Teatro Murialdo un grande show d’effetto in cui si alterneranno le musiche dei più grandi artisti del momento tra cui Imagine Dragons, Beyoncé, Bruno Mars, Lady Gaga, Rihanna, Ed Sheran, Jessy J., Justin Timberlake. Lo show, interpretato dai ragazzi di canto professionale della Gypsy Academy, con la regia di Neva Belli, direttrice artistica della scuola, sarà accompagnato dalle musiche pop, rock e R&B della Gypsy Lizard Band diretta dal M* Tony De Gruttola. Vocal trainer, Davide Pippa, coreografie di Manuel Operti. A concludere lo show, alcuni dei più celebri e classici brani natalizi verranno cantati dai più giovani studenti dell’importante Accademia torinese. Ideale anche per le famiglie, SHOW TIME! #CHRISTMASEDITION è lo spettacolo di intrattenimento perfetto per vivere insieme la magia di un live show da non perdere.

 

BIGLIETTO SERALE Intero 15 euro, ridotto 12 euro (over 65, under 35, convenzioni), ridotto gruppi 10 euro (almeno 20 persone) + 1,50 euro di prevendita.

I biglietti possono essere acquistati sul sito www.teatromurialdo.it e presso la biglietteria del Teatro Murialdo aperta il venerdì e il sabato dalle ore 17 alle ore 21 e a partire da un’ora prima dell’inizio degli spettacoli.

Per informazioni al pubblico, chiamare il numero 011.2480648 (in orario di biglietteria) o scrivere a info@teatromurialdo.it

Vivere è pensare. E rispettare gli altri

La sentenza di assoluzione per Marco Cappato, pronunciata dai giudici della Corte d’assise di Milano, cancella l’imputazione di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, conosciuto dai più come “dj Fabo”, in una clinica svizzera a morire

 

E’ una sentenza storica, importante. E ci induce a riflettere sulla necessità di nuove norme di legge su questi temi delicati.

Qualche anno fa un bel film di Marco Bellocchio, Bella addormentata, presentato a Venezia, riaprì le polemiche sui temi etici, raccontando vari episodi sullo sfondo degli ultimi sei giorni di vita di Eluana Englaro. Nonostante il film non offrisse tesi o risposte, rispecchiando e rispettando i diversi stati d’animo nell’opinione pubblica su temi che toccavano le sensibilità etiche, le polemiche si sprecarono. Ripensando ora a quel film e all’ultima sentenza è naturale domandarsi come e quando si potrà discutere serenamente dei grandi interrogativi proposti dalla scienza e dalla bioetica. Un tempo ( non lontano) i temi etici riguardavano divorzio e aborto, ai quali si sono aggiunti il riconoscimenti dei diritti degli omosessuali, la fecondazione assistita, il testamento biologico, l’eutanasia, l’utilizzo delle cellule staminali. Il pensiero laico, in questi anni e di fronte a questi problemi è parso timido e incerto, quasi frastornato dal clamore di chi ha preferito gridare il proprio sdegno e la sua contrarietà ideologica. Eppure il dibattito sui temi “eticamente sensibili” è più aperto che mai e bisogna affrontarli senza i paraocchi. La gravidanza, la nascita, la vita , l’amore, la malattia e la morte un tempo erano regolate da quelle che venivano chiamate “leggi di natura”. Inviolabili e immutabili per secoli, davanti alle quali non si poteva far altro che chinarsi. Ora il mondo è più ricco di possibilità e di necessità. Ognuno di noi può scegliere come e quando mettere al mondo un figlio, correggerne le malattie prima della nascita. Ognuno di noi può scegliere come vivere, amare e (perché no?) come morire. Si sono allargati gli spazi di libertà. Con grande rispetto, bisogna tenerne tutti conto. Politica e diritto potranno dire la loro, ma nel rispetto più rigoroso della libertà degli individui e della laicità dello Stato. E’ bene che nessuno lo scordi, qualsiasi opinione intenda esprimere.

Marco Travaglini

Sold out per Roberto Bolle and Friends

Un viaggio imperdibile nella bellezza della danza

 

Teatro Regio, dal 29 al 31 dicembre 2019

 

Domenica 29 dicembre, alle ore 20.30, lunedì 30 dicembre alle 20.30 e martedì 31 dicembre alle 16 il Regio offre un viaggio imperdibile nella bellezza della danza.

Al Teatro Regio, insieme a Roberto Bolle, Étoile del Teatro alla Scala e Principal Dancer dell’American Ballet Theatre di New York, vedremo in scena le étoiles più scintillanti del momento: la torinese Silvia Azzoni (Hamburg Ballett, Amburgo), Young Gyu Choi (Dutch National Ballet, Amsterdam), Stefania Figliossi (Guest Artist), Melissa Hamilton (The Royal Ballet, Londra), Viktorina Kapitonova (Boston Ballet, Boston), Julian MacKay (Mikhailovsky Ballet Company, San Pietroburgo), Tatiana Melnik (Hungarian National Ballet, Budapest) e Alexandre Riabko (Hamburg Ballett, Amburgo).

Il programma prevede: il pas de deux dall’Atto II de Lo Schiaccianoci, coreografia di Lev Ivanovič Ivanov, musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, interpretato da Viktorina Kapitonova e Julian MacKayBorderlands (balletto originariamente commissionato dal San Francisco Ballet) con la coreografia e i costumi di Wayne McGregor, musica di Joel Cadbury e Paul Stoney, nell’interpretazione di Melissa Hamilton e Roberto Bolle; a seguire, il pas de deux dall’Atto III di Don Chisciotte, coreografia di Marius Petipa, musica di Ludwig Minkus, in scena Tatiana Melnik e Young Gyu ChoiOpus 100 – fűr Maurice, coreografia di John Neumeier, musica di Simon&Garfunkel, danzano Roberto Bolle e Alexandre Riabko. Nella seconda parte del programma: Serenata tratta dall’opera Cantata con la coreografia di Mauro Bigonzetti, musica delle Assurd, interpretata da Stefania Figliossi e Roberto Bolle; il pas de deux da Il corsaro, coreografia di Marius Petipa, musica Riccardo Drigo, in scena Viktorina Kapitonova e Julian MacKay; ritroviamo quindi Melissa Hamilton e Roberto Bolle per il pas de deux da Caravaggio, coreografia di Mauro Bigonzetti, musica di Bruno Moretti, da Claudio Monteverdi; si prosegue con il pas de deux, VI movimento dalla Terza Sinfonia di Gustav Mahler, coreografia di John Neumeier, musica di Gustav Mahler, in scena Silvia Azzoni e Alexandre Riabko; il pas de deux da Le fiamme di Parigi, coreografia di Vasilij Vainonen, musica di Boris Asaf’ev, interpreti Tatiana Melnik e Young Gyu Choi. L’ultimo brano in programma è il solo di Roberto Bolle Waves, con la coreografia di Massimiliano Volpini e le musiche di Davide Boosta Dileo ed Erok Satie. Light designer del Gala è Valerio Tiberi.

Partner del Roberto Bolle and Friends è Intesa Sanpaolo.

I biglietti per i tre spettacoli sono pressoché esauriti. Per informazioni ed eventuale vendita: Biglietteria del Teatro Regio – Tel. 011.8815.241/242 e www.teatroregio.torino.it

Info: www.robertobolle.com.

Tutti scultori i bimbi all’Accademia Albertina

Forme di Scultura, speciale Santo Stefano. Un racconto attraverso le mani

Giovedì 26 dicembre 2019 alle ore 16:00

Un laboratorio artistico per bambini e ragazzi dai 7 ai 12 anni.
Un’esperienza accessibile, anche nella Lingua dei Segni.

Un giovane scultore  nelle sale della Pinacoteca dell’Accademia di Belle Arti per dare insieme forma alla  creatività.  A ispirare saranno gli angeli della collezione dell’Albertina, dal Rinascimento a oggi.

 

 

Costo dell’attività: 5 euro a bambino.

Biglietto d’ingresso: INTERO 7 euro, RIDOTTO 5 euro, GRATUITO (fino a 6 anni, possessori tessera Abbonamento Musei).

Per prenotare: pinacoteca.albertina@coopculture.it – tel 0110897370

 

Scopri le altre proposte nelle festività natalizie sul sito della Pinacoteca Albertina:

http://www.pinacotecalbertina.it/

“L’urlo di libertà e uguaglianza di Notre Dame de Paris”

Si è conclusa la tappa torinese di “Notre Dame de Paris” che ha illuminato il Pala Alpitour e che è stata caratterizzata dalla splendida prova dell’albanese Elhaida Dani che da quest’anno ha sostituito Lola Ponce nella parte di Esmeralda e che ci ha regalato un’interpretazione fresca e estremamente affascinante

Questo è il tempo delle cattedrali, ma potrebbe essere qualsiasi epoca, potrebbe essere oggi.

I fatti si svolgono a Parigi, ma potrebbero svolgersi in qualsiasi città. Il capolavoro di Victor Hugo, la musica senza tempo di Riccardo Cocciante si sono fusi creando un musical che continua ad emozionare e a parlare al cuore perché racconta la storia struggente dei “diversi”, dei diseredati alla ricerca disperata di un’occasione, di un riscatto che, purtroppo, non arriveranno. In un mondo in cui si costruiscono muri e barriere con gesti e parole, in cui si fomenta l’odio per chi non è allineato ai canoni stereotipati imposti dalla società, in cui i ponti vengono abbattuti e i barconi affondati, è di struggente attualità la storia di Esmeralda, la giovane zingara, condannata perché esotica e troppo bella, perché le sue danze turbano l’ordine e il buoncostume e di Quasimodo, il povero gobbo rinchiuso sulle torri di Notre Dame, in compagnia delle campane, perché il suo aspetto deforme scatena gli istinti primitivi di un popolo che non sa andare oltre l’aspetto fisico e che, invece di comprenderlo, sa solo deriderlo. Attorno a loro si muovono altri “diversi”, altri emarginati: un prete dannato dall’amore e dalla cattiveria, un capitano amorale, egoista e corrotto, la popolazione degli zingari di Parigi che lotta per avere un luogo dove vivere, per vedersi riconosciuto il diritto di esistere, il popolo parigino stesso, massa informe facilmente influenzabile e per questo vittima triste dei giochi politici dei potenti che lo soggiogano e ne piegano la volontà ai propri desideri. Victor Hugo scriveva che “l’unico pericolo sociale è l’ignoranza”. I suoi ultimi peccano per ignoranza e non conoscono riscatto per ignoranza. Ecco il grande male della società di allora. Ecco il grande male della società moderna, un male che non ha ancora trovato cura, un male per il quale la soluzione sembra essere lontana. Un male che si ripete, secolo dopo secolo, prendendo forme diverse come Proteo. “Notre Dame di Paris” non prevede riscatto come “I Miserabili”, non contempla il trionfo del bene sul male. In queste atmosfere cupe è la morte a trionfare e la vittoria dell’amore è rinviata in un aldilà dove le differenze scompariranno, dove la misericordia divina saprà restituire dignità e giustizia. Le atmosfere fosche dell’opera evocano tempi difficili e bui. Tutt’intorno è oscurità e non sembra che le tenebre possano diradarsi. Almeno per il momento. Eppure una luce c’è, una speranza di salvezza esiste: quella dell’arte. Amor, Mors, Ars hanno la stessa assonanza: la morte può trionfare sull’amore, gli amori non sono eterni, sono destinati a morire. Ma l’arte vince la morte perché solo l’arte sopravvive. È la bellezza delle cattedrali, della poesia, della scultura, della letteratura, della musica la speranza che salverà il mondo, lo strumento per elevare i popoli e per costruire un futuro diverso: questo è messaggio profondo dell’opera di Hugo, questo è il messaggio profondo della trasposizione di Cocciante.

Barbara Castellaro

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria. A cura di Laura Goria

Lawrence Ferlinghetti  “Little Boy”   -Edizioni Clichy-  euro 17,00

 

Ferlinghetti –scrittore, poeta, saggista, editore e pittore- è l’ultimo degli artisti della Beat Generation: quella che Fernanda Pivano fece conoscere all’Italia e annoverava pezzi da 90 come Allen Ginsberg, Jack Kerouac e compagnia bellissima. Oggi, arzillo centenario, Lawrence (nato a Yonkers nel 1919 da padre di origini  bresciane e madre franco-portoghesi) è una leggenda che ha attraversato tutto il secolo scorso.

A San Francisco ha fondato la libreria-casa editrice “City Lights” che tra gli autori pubblicati, oltre a Kerouac e Ginsberg, vantava anche Gregori Corso, Bob Kaufman e William Burroughs. Ora Edizioni Clichy ci propone un visionario racconto autobiografico che Ferlinghetti etichetta come romanzo, ma in realtà è una sorta di memoir. Una caterva di ricordi, fantasmi letterari e suggestioni che si innestano in tutta libertà su fatti e personaggi reali. L’inizio è il racconto di questo little boy, nato 6 mesi dopo la morte del padre, affidato alla zia Emilie, perché la madre già stentava dietro agli altri 4 figli. La prima infanzia a Strasburgo, poi a New York dove vivrà (accettato come un figlio adottivo) nella famiglia benestante dei Bisland. Si porta dietro il dolore per l’assenza dei genitori e va sempre alla ricerca della libertà e del senso più profondo delle cose. Poi scatta il racconto vorticoso degli artisti che ha incrociato nel corso della sua lunga vita, i suoi amori letterari, le tante occasioni che la vita gli ha offerto, alcune mancate e rimpiante. E nelle pagine fanno continuamente capolino gli artisti compagni  di avventura che hanno segnato letteratura e costume.

 

 

Fabio Volo “Una gran voglia di vivere”  -Mondadori- euro 19,00

Che si fa quando il matrimonio è sul dirupo della crisi? Marco, il protagonista dell’ultimo romanzo  di Fabio Volo, imbarca la moglie Anna e il figlio Matteo, destinazione Nuova Zelanda. Forse anche l’occasione di ritrovarsi a proprio agio in un nucleo familiare che ha perso smalto.  La situazione non è nuova, perché spesso gli umani hanno tutto per gongolare di felicità… ma proprio non ce la fanno. Volo è come sempre bravissimo a sondare pensieri, sentimenti e dubbi dei suoi personaggi e ammanta anche le cose  più tragiche con la sua ironia. Non è autobiografico questo suo decimo romanzo, anche se ha davvero attraversato il mondo con famiglia al seguito (prima dell’inizio della scuola per il suo primogenito) ed è approdato in Nuova Zelanda. La storia è quella di due architetti 45enni, sposati da 7 anni, con il figlio Matteo di 5 anni. Fanno lo stesso lavoro, ma le loro traiettorie di carriera sono agli antipodi. Anna ha smesso di lavorare quando è diventata madre ed ora la cosa le va stretta; Marco invece deve accettare o meno l’interessante proposta di trasferirsi ad Amsterdam per fare uno scatto in più. Questo uno dei problemi principali della coppia, inseguita da una crisi che, tra alti e bassi, li pedinerà fino alle spiagge dei surfisti neozelandesi. I tre si muovono in camper e incontrano altre famiglie, se hanno figli che fanno amicizia con Matteo, tanto meglio; e da ognuna delle coppie che incontrano finiscono per imparare qualcosa……

 

 

Silvina Ocampo & Adolfo Bioy Casares  “Chi ama, odia”  -Sur-  euro 15,00

Giallo, divertissement poliziesco, satira e un’azzeccata galleria di personaggi: sono questi i principali ingredienti di “Chi ama, odia”, l’unico libro scritto a 4 mani, nel 1946, dalla coppia Silvina Ocampo e Adolfo Bioj Casares. Marito e moglie, lui più giovane di lei, entrambi ricchissimi e geniali. Due giganti della letteratura sudamericana che uniscono le menti e, con la supervisione di Jorge Luis Borges, imbastiscono una trama gialla trasformandola in un gioco raffinato e ironico. Nell’hotel Central di Bosque del Mar, località di villeggiatura, rimasto isolato per una tempesta di sabbia, viene trovata morta una giovane traduttrice di romanzi gialli. Ed ecco sulla scena un microcosmo di personaggi che si affannano a trovare il colpevole “tra loro”, un classico delle trame con delitto. Spicca su tutti Humberto Huberman, omeopata convinto e colto scrittore pieno di sé, che s’ingozza di globuli di arsenico e spara deduzioni prossime a fesserie. Un po’ una satira di miti come Ercule Poirot o Sherlock Holmes. E’ lui a incaricarsi delle indagini e a far oscillare i sospetti ora su uno, ora sull’altro, degli ospiti dell’hotel. Un divertissement a tutti gli effetti in cui la scoperta del colpevole è solo un pretesto messo in campo dal trio Borges-Ocampo-Casares. Insieme giocarono con la letteratura in modo inarrestabile, in un’esplosione di idee, e fondarono case editrici, progetti e collane.

 

 

 

Grease, mondo spensierato e fiducia incrollabile nel futuro

A Taranto e Torino

 

Al Teatro Falanto della Chiesa Madonna delle Grazie di Taranto, il 22 dicembre alle ore 19 e 30 (ingresso ore 19) va in scena il musical Grease in inglese, con la compagnia teatrale Aristosseno Drama Club, una ventina di ragazzi studenti del Liceo Aristosseno di Taranto, che ormai non fanno più notizia essendosi già cimentati, insieme o singolarmente, in altri spettacoli teatrali con successo


“E’ una anteprima che facciamo sopratutto per i nostri amici fuori sede, che studiano all’università e che tornano per le vacanze natalizie. Ufficialmente andremo in scena il 15, 16 e 17 gennaio, di mattina, il 16 anche di sera, presso l’Auditorium Tarentum. È in inglese, ma il musical è conosciuto un po’ da tutti e ci sono tante canzoni” ci ha riferito Enza Messina che lo ha rivisitato.
Il Musical Grease, è una festa travolgente che dal 1997 accende le platee italiane, e ha dato il via alla musical-mania trasformandosi in un vero e proprio fenomeno di costume “pop”, un cult intergenerazionale che non è mai stato così attuale ed è amatissimo anche dalle nuove generazioni.

In Italia, il musical di Jim Jacobs e Warren Casey, in più di 20 anni sui palcoscenici di ogni Regione, è un fenomeno che si conferma ogni sera, con più di 1.800 repliche per oltre 1.870.000 spettatori a teatro e torna in tour nei principali teatri italiani nella stagione 2019/2020. Così, oltre che a Taranto, per quattro repliche speciali (venerdì 27 ore 20 e 45, sabato 28 dicembre ore 15 e 30 e 20 e 45 e domenica 29 dicembre ore 15 e 30) il musical (in italiano), tornerà al Teatro Alfieri di Torino, con la Compagnia della Rancia e la regia di Saverio Marconi.

 

In oltre 20 anni di successi strabilianti in Italia, Grease si è trasformato in una macchina da applausi, cambiando il modo di vivere l’esperienza di andare a teatro.
Oggi è una magia coloratissima e luminosa che si ripete ogni sera, una festa da condividere con amici e famiglie, senza riuscire a restare fermi sulle poltrone ma scatenarsi a ballare.
Un inno all’amicizia, agli amori indimenticabili e assoluti dell’adolescenza, oltre che a un’epoca, gli anni ’50, che oggi come allora rappresentano il simbolo di un mondo spensierato e di una fiducia incrollabile nel futuro, con le indimenticabili canzoni e l’immedesimazione in una storia d’amore senza tempo, tra ciuffi ribelli modellati con la brillantina, giubbotti di pelle e sbarazzine gonne a ruota.

Grease, con la sua colonna sonora elettrizzante da Summer Nights a You’re the One That I Want e le coreografie irresistibili, piene di ritmo ed energia, ha fatto innamorare e ballare intere generazioni, ed è stato capace di divenire fenomeno pop, sempre più vivo nella nostra estetica quotidiana, con personaggi diventati vere e proprie icone generazionali.

Vito Piepoli

Concerto di Natale al Castello di Miradolo

Fondazione Cosso

Tradizionale appuntamento musicale con “AMBIENT1” 


Mercoledì 25 e giovedì 26 dicembre, ore 21,15
San Secondo di Pinerolo (Torino)

Dieci anni fa. La sera della Vigilia di Natale. Era il 24 dicembre del 2009, quando, sotto la neve, andava in scena al Castello di Miradolo (sede della Fondazione Cosso), in via Cardonata 2 a San Secondo di Pinerolo, la prima performance del progetto artistico “Avant – dernière pensée”. Iniziavano così le 840 ripetizioni del brano “Vexations” di Erik Satie, la composizione musicale più lunga della storia: l’esecuzione, prima al pianoforte, si trasformava poi in un loop infinito di registrazioni e sovra incisioni, da seguire, in diretta streaming, per tutto il giorno di Natale. Un pianoforte immobile “suonava”, solitario, nella sala più grande del Castello allora in restauro, mentre alle pareti vegliavano su di lui opere naïf del doganiere Rousseau, di Bombois e di Séraphine. Le ultime dieci ripetizioni, nuovamente dal vivo, iniziavano, ventiquattr’ore dopo, il concerto “vero e proprio”. Era il 25 di dicembre. Il Natale del 2009.
Orbene, trascorsi dieci anni, il 25 e il 26 dicembre prossimi, giorni di Natale e Santo Stefano, alle ore 21.15, la tradizione continua al Castello di Miradolo, con il concerto “Ambient 1” da Erik Satie, John Cage e Brian Eno: una performance dedicata all’incontro della musica con le immagini in mostra (fino al 3 maggio 2020) di Oliviero Toscani, con gli spazi e il pubblico, che potrà muoversi tra le fotografie e i musicisti, guidati al violino dal maestro Roberto Galimberti (Marco Pennacchio al violoncello e Laura Vattano alla celesta, gli altri esecutori), alla ricerca del proprio personale e privato punto di ascolto e osservazione. La performance presenterà, in versioni differenti, due esecuzioni simultanee dei brani: una, per celesta, nella Manica del Castello dedicata alle fotografie giovanili di Toscani, a Warhol e ai ritratti; l’altra, per archi, nelle Maniche che ospitano le icone. Il pubblico potrà scegliere, percorrendo le sale e gli spazi, quale versione ascoltare e, soprattutto, in quale “ambiente sonoro” immergersi e perdersi.  Tra i brani eseguiti, Brian Eno da“Ambient 1: Music for Airports”, la prima traccia dell’album del 1978. Poi, Erik Satie, i “Dodici piccoli corali” e, infine, John Cage con le “44 Harmonies from Apartment House 1776”, scritte nel 1976 per i duecento anni della Costituzione americana. “La performance – sottolineano gli organizzatori – intende offrire una prospettiva sulla ricerca che questi compositori hanno compiuto, attraverso il Novecento, sul ruolo e sulla funzione della musica, in relazione ad un mondo in cambiamento e ad una fruizione che via via sembra perdere le proprie certezze”. Le fotografie di Oliviero Toscani si trasformeranno, per questo evento, in una grande installazione video che si diffonderà nelle 11 sale espositive: decine di immagini, appositamente concesse dal grande fotografo per questa performance e dedicate ai personaggi del “Max’s Kansas City”, al “Cretto di Gibellina” o rarissime istantanee astratte, si sveleranno e diverranno l’ideale controcanto all’esecuzione strumentale, come a completare la ricca esposizione nelle sale e nel Parco del Castello di Miradolo.


La sera del 25 e 26 dicembre il Castello di Miradolo aprirà le porte alle ore 19.
Per chi lo desidera sarà possibile fare uno spuntino o mangiare un piatto caldo nella Caffetteria del Castello, con prenotazione obbligatoria.
Per il pubblico del Concerto, al termine della performance, la mostra dedicata alla fotografia di Oliviero Toscani sarà visitabile nelle sale storiche: un’occasione per rimanere immersi negli ambienti sonori del Castello, scoprendo l’arte di uno dei fotografi più noti nel mondo.

g. m.

Biglietti Concerto (comprensivi di ingresso alla mostra)
Intero 25 euro
Ridotto under 30: 15 euro
Abbonati Musei: 22 euro
Bambini fino a 6 anni: gratuito
Prenotazione obbligatoria: tel. 0121/502761 o prenotazioni@fondazionecosso.it

 

Nelle foto
– Il Parco innevato del Castello di Miradolo
– Immagini della mostra di Oliviero Toscani

 

Un grandioso Battiston dentro i capricci di Churchill, tra sigari e alcol

Per la stagione dell’Alfieri, repliche fino a oggi

 

Avevamo lasciato soltanto tre settimane fa Giuseppe Battiston a godersi meritatamente il premio come miglior attore al TFF37 (in compagnia del collega Stefano Fresi) per il suo Mario, folle ed emarginato, che aspira nel Grande passo di Antonio Padovan (uscita primaverile sugli schermi) ad una solitaria missione sulla luna; l’altra sera, grandioso, davvero grandioso, era lì, sul palcoscenico dell’Alfieri, (inaspettatamente) nella stagione di Torino Spettacoli, ad “essere” furiosamente gli eccessi dello statista inglese in Winston vs Churchill, tratto da Churchill, il vizio della democrazia scritto dall’attore e scrittore, quarantacinquenne, Carlo Gabardini. Il quale autore milanese non ha avuto la pretesa di renderci né i caratteri fisici dell’individuo (Battiston, chiuso nella sua vestaglia rossa o in abito grigio, non deve sottoporsi alle tantissime ore di trucco dell’Oscar Gary Oldman per L’ora più buia, mantiene barba e capelli che gli conosciamo, non adotta parlate o inflessioni strane o studiate sino all’eccesso) né un tutto tondo dell’uomo politico, per salti temporali, dalla disfatta di Gallipoli alla vittoria del secondo conflitto mondiale sino al suo licenziamento: la sua ricerca tende a darci un Winston a luci composite, più “corporale”, all’interno di un panorama più privato – certo arrovellato da un excursus che lo ha per decenni legato ad una controversa storiografia – pronto ad espandersi (dentro a quello che pare un palcoscenico nel palcoscenico, con tanto di antiche luci di proscenio, una grande poltrona al centro a segnare una sorta di comando assoluto) in sanguigne battute contro questo o contro quello (“Se fossi vostra moglie, vi metterei il veleno nel caffè”, “E se fossi vostro marito, credo proprio che lo berrei”; ne abbiamo anche per noi italiani : “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre”), nell’abuso del cibo e degli alcolici soprattutto, nascosti nell’impugnatura istoriata di un bastone da passeggio che sorregge ormai le sue gambe malferme, dei suoi beneamati sigari, vero toccasana contro la depressione che lo colpì, gli immancabili colpi di tosse, irruenti e spossanti, e il rifiuto verso ogni medico, il rifugio nella pittura, e molto ancora. Magari non tutto è di grana finissima: ma negli 80’ in cui Battiston si muove magnificamente in scena lo spettacolo è altamente assicurato, cattura, si fa applaudire a scena aperta. Istrione quel tanto che basta, irriverente, difettoso che più non si potrebbe, di umori sempre in lotta tra loro, ma bravissimo nell’incarnare quella “stupenda cattiveria” di cui è rivestito il personaggio, come i capricci improvvisi che l’aiutano a sopravvivere, nel rivestire la grandezza e anche ogni umano limite, nell’adattarsi addosso la fragilità come tutta la vera o costruita grandeur che è pronto a rinfacciare all’alleato De Gaulle. L’attore sguazza dentro il personaggio, se ne appropria appieno, non ci importa che proprio questo sia il vero o il falso Churchill, ci interessa trovarci di fronte al fraseggio musicale di un ritratto che piroetta tra gli alti e i bassi che vanno a rovistare nei ricordi di un’intera esistenza.

Accanto a lui, in una sagoma di infermiera che acquista sempre più peso, Lucienne Perreca: che, se la regista Paola Rota avesse tenuto più al riparo dai pericoli dell’esagitato e del troppo fanciullesco, dei troppi movimenti che disturbano l’importanza della parola e finanche la rovinano, forse sarebbe andata ben oltre il piano della simpatia per spingersi più in là, verso la vera concretezza. Da non perdere, oggi ultima replica.

Elio Rabbione 

 

Le foto dello spettacolo sono di Noemi Ardesi

Non più di quattro

Caleidoscopio rock USA anni 60

I denigratori del garage rock lo additano spesso come sottoprodotto, fase di “crisi” del rock&roll, se non addirittura come “cascame” del rock; naturalmente a torto, ponendo a sostegno dei loro teoremi alcuni luoghi comuni di difficile estirpazione, tra cui quello secondo il quale il garage è un genere caratterizzato da scarso interesse per l’elemento armonico, da ridondanza e mancanza di accuratezza nel risultato musicale.

 

In moltissimi casi l’idea di monotonia armonica può essere facilmente confutata, ma in altri è indiscutibile, specialmente in vari esempi di “crude rock” del 1966, quando vi era una vera e propria predilezione per il suono impuro, l’incisione grezza, il canto sporco, masticato e growling. Succedeva che non si raggiungevano più di 4 o 5 accordi, ma il tutto rientrava in uno stile voluto, più che dettato da analfabetismo musicale o da trascuratezza; era il “protopunk” anni ‘60, quello che alle mie orecchie suona sempre e comunque come “più punk del punk del decennio successivo”, perché “punkish” nel suono e nella voce, piuttosto che nella velocità, nelle idee o nella contestazione politica.

Esempio lampante di questa monotonia quasi ipnotica e ostinata fu un brano di una band dell’area tra Eugene e Springfield (Oregon): The Sires. Erano tutti teenagers tra i 15 e i 16 anni della Sheldon High School di Eugene, unitisi a fine 1964 in un gruppo affiatato e dal grande entusiasmo, rock crudo e scheletrico, molto da “basement” come direbbero negli “States”. Erano Marty Berg (V), Ron Craig (chit), Mike Briggs (chit, b) Ro[d]ger Koliece (org), Robert Grebb (batt) e Dean Lo[w]man (V, b), cui subentrerà Warner [Doc] Swebke. Avevano come manager Bruce Mitchell, che li seguiva da vicino assicurando date in vari teenage clubs, adult clubs e nightclubs tra Eugene, Springfield, Veneta, Monroe, Cottage Grove, fino a Mapleton e Florence a ovest e Oakridge ad est. The Sires ebbero buon successo anche in alcune “Battles of the Bands” (Lane County) e arrivarono anche secondi dietro i più famosi “Gentlemen Wild” in una competizione nel 1966. Quasi a ruota uscì l’unico 45 giri, che contiene il brano “ipnotico” sopra accennato, attorcigliato su una ripetitiva serie di accordi: “Don’t Look Now” (GRS 1094; side B: “Come To Me Baby”), su etichetta Graves Recording Service di Alan Graves a Eugene, con copyright Dean Lowman; si segnala che secondo molti il disco sia stato inciso nel “basement studio” della casa di Alan Graves, ma è probabile che invece sia stato registrato presso i locali del teen club “The Tork Club”. Inoltre salta subito all’orecchio (e all’occhio) il forte contrasto tra la forma musicale grezza, cruda e sporca del prodotto discografico e l’immagine pulita e “da bravi ragazzi” che è costante in tutte le foto di esibizioni o promozioni della band. Per il biennio 1967-1968 non si segnalarono ampliamenti del raggio di azione nelle performances dei The Sires, che videro purtroppo l’uscita di Dean Lo[w]man, arruolato tra i marines per la guerra in Vietnam; andò persa la figura principale della band, che entro il 1969 si sciolse dopo aver perso gran parte della spinta propulsiva e dell’entusiasmo degli esordi. Dean Lo]w]man stesso uscì particolarmente segnato e provato dalla guerra del Vietnam e subì direttamente negli anni successivi gli effetti subdoli ma letali del famigerato Agente Arancio (Agent Orange).

 

Gian Marchisio