“Peachum. Un’opera da tre soldi” in scena al Carignano sino a domenica
In principio (era il 1728, forse la prima commedia musicale della storia?) fu John Gay con la sua “Beggar’s Opera”, in seguito, due secoli esatti dopo, Bertolt Brecht e Kurt Weill diedero alle scene “L’opera da tre soldi”, che oggi, a quasi cent’anni di distanza, Fausto Paravidino riscrive, rendendola indefinita (“Un’opera da tre soldi”) e con la temperatura della nostra epoca, approfondendone e contemporaneizzandone le dinamiche, le forme violente, i meccanismi del denaro. Mette al centro della rilettura – non più il “Moritat” o altro, trovano posto in mezzo alle parole nuove microfoni, chitarre elettriche e le musiche di Enrico Melozzi – Peachum, portandolo a divenire l’emblema di una vera e propria società di mercato, “dipende dal denaro senza neanche prendersi la briga di esserne appassionato, non è avido, non ambisce a governare il denaro, è governato dal denaro”, così il nuovo autore definisce il proprio protagonista. Vigila attento sulla sua proprietà, lui, il vecchio re dei mercanti, divenuto un venditore (chiamiamolo trafficante) di borse griffate, una tribù a formare quanti fanno mercato per lui e lui nel proprio negozio ad alzare i prezzi e a vendere per un bel po’ di euro. Ma qualcosa un giorno, come nelle vecchie fiabe o nelle antiche tragedie, qualcosa non va più per il verso giusto, gli viene portata via la figlia. Una parte della sua proprietà. Inizia qui la strada dell’agguerrito Peachum per riagguantare quanto è suo, avventure e disavventure s’uniscono, tra consorti che pensano soltanto allo shopping e alle sedute nel centro benessere con le amiche, tra scagnozzi che vanno e vengono non sempre al meglio della fiducia, tra sindaci (anzi, è una sindaca) che flirtano e strizzano l’occhio alla mala, tra figlie che hanno deciso la rivoluzione perché innamorate perse del malavitoso. Un strada che mostra la miseria dietro l’angolo, in ogni sua forma, dei poveri e di chi si vuole arricchire, la guerra dei ricchi contro i poveri che mette la maschera del nuovo millennio.
Peachum vorrebbe mantenere un ordine, secondo la sua volontà e la sua visione, Mackie Messer con la sua banda di naziskin (pronti a tradirlo nel momento in cui il capo sembra prendere altre strade) non può invadere quella prestabilita e ben governata “proprietà”, vuol dire sovvertire quell’ordine. Come non può alterarla la sindaca, messa un giorno ad hoc per salvaguardarla, se gli equilibri si rompono spetterà a Peachum giocare quel gioco che li ricomporrà. Tra siparietti da strada e abbozzi di interni borghesi (scene di Laura Benzi), Paravidino autore e regista porta avanti linearmente e sfacciatamente il proprio discorso e le proprie convinzioni, Rocco Papaleo è un Peachum dalla bella concretezza, moderno e filosofico. Tra le nuove idee e la miseria serpeggiante, da appassionarsi con gusto al ritratto che di Polly, la figlia ribelle del re dei mendicanti, costruisce scena dopo scena Romina Colbasso. Repliche al Carignano per la stagione dello Stabile di Torino sino a domenica. Quanti poi volessero fare dei confronti tra ieri e oggi, youtube può offrire scene delle repliche e soprattutto le prove al Piccolo milanese dell’edizione dell’”Opera” di Strehler e dei suoi attori, Milva e Santuccio e Tedeschi in testa, tanto per vedere quanto è cambiato il teatro.
Elio Rabbione
Le immagini sono di Luca Guadagnini
Diretta sulla pagina facebook @bibliomonc della Biblioteca civica Arduino

Ritorna “la bella abitudine di andare a teatro”. Domani all’Erba con “Finestre sul Po” riapre la “Grande Prosa” nel calendario di Torino Spettacoli, divertimento assicurato e uno sguardo a quel piccolo capolavoro intimistico che Erminio Macario aveva già portato al successo e che oggi ha i tratti e la simpatia di Piero Nuti (93 anni all’anagrafe, energicamente portati). Un appuntamento che sta a significare anche il consolidamento di un rapporto, mai interrotto del resto, neppure durante il periodo di chiusura dei teatri, rapporto di lavoro continuo da un lato e di partecipazione e di informazioni dall’altra, che il pubblico ha con le sale dell’Alfieri, del Gioiello e dell’Erba.
Altri titoli della “Grande prosa” saranno “Caffè nero per Poirot” di Agatha Christie, che sicuramente bisserà il successo ottenuto in periodo ante covid (Gioiello, dal 16 dicembre al 1° gennaio), “L’attimo fuggente” con Ettore Bassi nel ruolo del professor Keating, insegnante diverso da ogni altro, desideroso di infondere ai propri ragazzi i veri valori della vita, insegnando loro a vivere attimo per attimo (“Oh Capitano, mio Capitano…”, ricordate?): e poi la setta segreta dei “Poeti estinti”, i pareri negativi del preside e le punizioni, la tragedia di Neil Perry per una vicenda che la trasposizione cinematografica con la regia di Peter Weir ha reso un autentico quanto indimenticabile capolavoro (28, 29 e 30 gennaio, all’Erba). Inoltre da giovedì 3 a domenica 6 febbraio, ancora all’Erba, “Quegli strani vicini di casa” di Cesc Gay con Kaspar Capparoni e Laura Lattuada, imbarazzi e divertimento nel mènage erotico un po’ appassito di una coppia; nella sala del Gioiello tre appuntamenti da non perdere: dal 25 al 27 febbraio, Milena Vukotic in “A spasso con Daisy” e la coppia Gaia De Laurentiis/Ugo Dighero, dal 3 al 6 marzo, in “Alle 5 da me” di Pierre Chesnot, penna brillante del teatro d’Oltralpe, ovvero due vicini di casa alla spasmodica ricerca di un partner, con lieto fine prevedibilmente d’obbligo, e ancora dal 18 al 20 marzo “Fiori d’acciaio” di Robert Harling, sei bravissime attrici, tra cui Rocìo Munoz Morales, Tosca D’Aquino e Paola Tiziana Cruciani, alla ricerca della solidarietà femminile per far fronte alle contrarietà della vita. Alessandro Benvenuti (26 e 27 marzo) in “Panico ma rosa per racontare la personale esperienza di lockdown e Gianluca Ferrato (dall’1 al 3 aprile) in “Tutto sua madre”, entrambi all’Erba.
Il libro racconta del clamoroso scoop che, nel 1967 sull’Espresso di Eugenio Scalfari, a firma di Lino Jannuzzi, accusava il Presidente della Repubblica Antonio Segni e il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo, di aver organizzato un colpo di stato durante la crisi di governo durante l’estate del 1964. Nonostante il Tribunale di Roma e la commissione d’inchiesta si pronunciarono in maniera contraria sui fatti, la storiografia accolse la tesi del golpe. Per molto tempo si raccontò che la democrazia italiana fu in pericolo a causa del cosiddetto “piano Solo” un piano eversivo ordito dai vertici dell’Arma dei Carabinieri e si descrisse la Democrazia Cristiana come un partito pronto a tutto per sbarrare la strada all’avanzata del Partito Comunista. Nel suo libro Mario Segni afferma, evidenziando la totale mancanza di prove, che fu tutto falso, che fu la fake news più imponente della storia della Repubblica Italiana. L’autore si oppone a ciò che è stato affermato non solo attraverso il racconto, ma avvalendosi di una esclusiva documentazione inedita che smonta le informazioni false raccontate in quegli anni contribuendo, così, a riscrivere la storia di quegli anni con il rispetto della verità dovuto all’opinione pubblica.