CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 498

“Il mio diario di Gesù di Nazareth”

La vita di Gesù narrata attraverso le parole dello stesso protagonista. Questo il fulcro del libro dello scrittore Gianluigi De Marchi

 

Nel corso dei secoli, soprattutto i più recenti, numerosi autori si sono cimentati nella scrittura di una “vita di Gesù” ed hanno sentito il fascino di questo avvenimento che ha cambiato la storia dell’umanità, raccontandolo in prosa o in poesia.

 

Lo ha fatto anche lo scrittore genovese, ma ora da decenni di adozione torinese, Gianluigi De Marchi, che ha scritto della vita di Gesù dalla prospettiva del protagonista, attraverso la sua stessa narrazione. Ne è risultato un testo affascinante e chiaro, capace di penetrare fino al cuore del mistero cristiano, quello dell’amore. Questo il fulcro dell’opera intitolata “Il mio diario di Gesù di Nazareth”.

Emerge in questo libro, quindi, il racconto dell’esistenza di Cristo raccontata da lui stesso, ricca di episodi tratti dai Vangeli canonici e da quelli apocrifi, accanto a situazioni nate dall’immaginazione dello stesso autore, inserite allo scopo di delineare con maggiore efficacia il volto di un “Gesù” umano,  on le sue emozioni, riflessioni e sentimenti. Significativo l’incipit del libro: “Oggi ho compiuto dieci anni e finalmente so scrivere bene e posso cominciare a mettere sul papiro i miei pensieri, le mie memorie, i miei sentimenti “. Questi i tre cardini intorno ai quali ruota la narrazione di una vita che, all’inizio, si dipana nella assoluta normalità, con accanto un padre che Gesù ama e che insegna al figlio non soltanto i segreti del mestiere di falegname, ma anche e soprattutto i valori fondamentali della vita, ed una madre che ama, riamata, e che lo segue con trepidazione passo passo, per giungere alla svolta, rappresentata dal battesimo sulle sponde del fiume Giordano, ricevuto da Giovanni. La vita di Gesù, da quel momento, muta profondamente e con lei anche lo stile del narrazione, che approfondisce gli aspetti più importanti della missione del Cristo, in particolar modo quelli più intimi e personali.

 

Mara Martellotta

 

Il mio diario di Gesù di Nazareth. Gianluigi De Marchi (2012).

Stylos

editricestylos@virgilio.it

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria. Le novità in libreria

Amy Bloom   “Due donne alla Casa Bianca”   -Fazi-  euro 18,00

 

E’ il delicato racconto della storia d’amore trentennale tra la First Lady Eleanor Roosevelt e la giornalista Lorena Hickok, incaricata di seguire la campagna elettorale di Roosevelt, che le permise di insediarsi alla Casa Bianca. Lì le due donne abitarono, un passo una dall’altra, in camere contigue, invischiate in incontri amorosi notturni. A raccontare il loro legame, tra alti e bassi, lontananza e condivisione, sfaccettature caratteriali diverse ma che si completano, è Lorena.

Lo fa partendo dalle ferite del suo passato: a 13 violentata dal padre, uomo brutale che malmenava tutta la famiglia. Alla morte della madre la butta fuori casa e di lì in poi se la deve cavare da sola nel mondo. Dapprima si arrabatta per sopravvivere con umili mestieri, poi approda al giornalismo. Nel libro c’è anche il racconto della scoperta, consapevolezza e accettazione della sua omosessualità. All’epoca non era certo facile amare un’altra donna, impossibile farlo alla luce del sole, tanto più se era la moglie del Presidente degli Stati Uniti d’America. Il suo legame con la First Lady non è pubblicamente ammissibile e devono tenerlo nascosto. Ben diverso il discorso per le scappatelle di Franklin Delano Roosevelt che, nonostante la menomazione della polio, attirava le donne, a partire dalla sua fedele e intima segretaria Missy LeHand e l’amica Lucy Mercer Rutherfurd. Dalle pagine di Lorena Hickok emerge anche il ritratto del Presidente dietro le quinte; uomo spregiudicato, fine stratega politico, affascinante, ma decisamente insensibile nel privato. E sullo sfondo ci sono le date salienti del periodo storico, i fasti e l’aria che si respirava alla Casa Bianca, per arrivare alla morte di Franklin Delano Roosevelt e alla scia di cordoglio, nonché al seguito della loro liaison fino alla morte di Eleanor ultrasettantenne.

 

 

Amy Bloom  “Beate noi”   -Fazi-  euro 18,00

Ecco l’occasione per leggere un altro romanzo della scrittrice americana che oggi vive in Connecticut e insegna scrittura creativa alla Wesleyan University. In “beate noi” la vicenda si svolge nell’America degli anni 40 e ruota intorno a due sorellastre dai destini incrociati. Eva a 12 anni viene scaricata dalla madre sulla soglia della casa paterna e Edgar, da poco vedovo, ex insegnante squattrinato, si trova improvvisamente a dover gestire sotto lo stesso tetto Eva e la sua sorellastra Iris. Due ragazze che più diverse non potrebbero essere. Iris ha 16 anni ma sembra già una donna piena di fascino, cinica, a tratti spietata, e sogna di fare l’attrice. Gli inizi della convivenza non sono facili, tanto più che il padre si rivela meschino e inadempiente. Tra le due ragazze l’affetto  cresce in fretta e diventa complicità. Fuggono insieme, destinazione Hollywood dove Iris cerca di trovare la sua ribalta. E’ bellissima, il lavoro non le manca e la sorella la supporta dietro le quinte della vita. Poi però tutto frana quando a una festa Iris viene sorpresa a baciare la stella di turno Rose Sawyer, attrice sulla cresta dell’onda. E’ la fine delle aspirazioni di Iris, inseguita dal disonore, mentre tutte le porte del cinema e dintorni le vengono sbattute in faccia. Le due sorelle sempre più unite sono costrette a scappare lontano, a New York, dove altre prove difficili le attendono dietro l’angolo. Tutto sullo sfondo della presidenza Roosevelt, i bagliori del jazz e lo scoppio della seconda Guerra Mondiale. E al centro delle tante peripezie c’è il tenace legame tra sorelle che si salvano vicendevolmente quando il destino si accanisce su di loro.

 

David Lagercrantz  “La ragazza che doveva morire”  -Marsilio-  euro 19,00

E’ il 6° volume della della saga “Millenium”, iniziata con successo clamoroso da Stieg Larsson (nato in Svezia  nel 1954 e morto a Stoccolma  nel 2004) e portata avanti dal giornalista di nera David Lagercrantz, che nel 2013 è stato  messo sotto contratto dall’editore svedese per  scrivere il sequel della trilogia dell’autore scomparso. Non è la stessa cosa, i primi 3 libri di Larsson (“Uomini che odiano le donne” 2007, “La ragazza che giocava col fuoco” 2008, “La regina dei castelli di carta” 2009)  avevano una marcia in più. Lagercrantz imbastisce comunque thriller di tutto rispetto, in cui non mancano clamorosi colpi di  scena.

In questo suo ultimo capitolo ritroviamo protagonisti il 45enne giornalista d’inchiesta Mikael Blomkvist che scrive per la rivista “Millenium” e la giovane hacker, disturbata ma geniale, Lisbeth Salander. La vicenda ha come sfondo Stoccolma piegata da un caldo insolito, e il ritrovamento del cadavere di un misterioso mendicante imbacuccato in un piumino. Prima di morire si aggirava per il quartiere, parlava in modo sconclusionato, emanava comunque il senso di una grandezza ormai perduta e aveva affisso un messaggio delirante. Poi c’è l’enigma che riguarda Lisbeth, scomparsa dai radar di Mikael Blomkvist che, quando va a cercarla perché ha bisogno del suo aiuto per decodificare il crollo delle borse, scopre che ha venduto il suo appartamento senza lasciare traccia. Il lettore invece scopre subito che Lisbeth ha in mente di regolare una volta per tutte i conti con la malvagia gemella Camilla. E tornano alla ribalta tutti gli spettri del passato che Lisbeth non ha ancora metabolizzato, con  l’aggiunta di sorprendenti scoperte genetiche, mafia russa e vette dell’Everest.

 

 

Presepi nel mondo. Natività d’autore

Dal Piemonte / Mostra a Villa Vidua – Conzano

 

Proseguirà fino al 26 gennaio 2020 la mostra di presepi proposta da Emanuele Demaria, sindaco di Conzano, sempre attivo e abile riguardo gli eventi culturali eterogenei di alto livello che si svolgono all’interno di Villa Vidua, settecentesca dimora del conte Carlo Vidua, intellettuale, grande viaggiatore, collezionista di un’infinità di oggetti, libri, dipinti, manoscritti e tutto quanto lo incuriosisse, a cui va il merito di aver contribuito alla realizzazione del Museo Egizio di Torino.


La villa, erta sull’altura del paese, già di per sé degna di essere conosciuta per l’elegante facciata a caratteristiche logge e gli interni interamente affrescati tra cui il delizioso salotto cinese decorato a scene orientali, in questo periodo è particolarmente allettante grazie alla straordinaria esposizione di presepi di rara bellezza.


Lo spettacolare presepe Escoffier di Auban, popolato dai famosi Santons in terracotta policroma, fanno rivivere gli usi e costumi contadini nella quotidianità del villaggio provenzale mentre veri capolavori, pezzi unici di altissimo pregio, sono esposti a firma di Emanuele Luzzati, Enrico Colombotto Rosso, Eugenio Guglielminetti, Renzo Igne, Riccardo Biavati, Natale Panaro, Guido Fiorato e altri artisti.


In una sezione a parte, artisti contemporanei interpretano il tema con ampia libertà poetica poiché, come sottolinea acutamente il curatore Carlo Pesce… Ciò che festeggiamo è frutto di una costruzione umana, lenta, costante, una fantasiosa tradizione, un testo già scritto che però può essere continuamente mutato e contaminato….
Un’intera sala è riservata ai Bambinelli in terracotta, legno, cera, molti sotto trasparenti campane di vetro o preziosamente incorniciati, altri adagiati in culle, fasciati in bende ricamate in oro, con addobbi dai vari significati religiosi simbolici.


Incantevole e ammiratissimo il Bambino ligneo da ritenere vera e propria opera d’arte scultorea settecentesca.
Commuove lo spazio dedicato ai bambini delle scuole elementari che hanno dato prova di fantasia nel creare piccoli presepi con lego, stoffa, carta, legno che potrebbero essere definiti, paradossalmente, arte povera degli anni 60.
A corollario il Circolo Filatelico Numismatico di Casale Monferrato, con i collezionisti Mario Cravino, Carlo Arlenghi e Ezio Oliaro, ha presentato la sezione “Un mondo di auguri” composta da una emozionante raccolta di cartoline e letterine di Natale a partire da cento anni fa.
Nel complesso una mostra indimenticabile che meriterebbe di essere permanente.

Giuliana Romano Bussola

 

Orario della mostra
Domenica e festivi ore 10-12 15-18,30
O su appuntamento Comune di Conzano 0142 925132

Ebano

Poesia / Di Alessia Savoini

 

Ricordi
la polvere delle indie mescolarsi
all’anelito della fenicie
e cuciti, nel nocciolo di bacche,
infiniti giorni.

EBANO

Ricordi
la terra su cui avevamo – [coltivato] – le nostre drammaturgie
e vanificato l’assedio delle imputazioni,
quando annotando le estorsioni dei plenilunii su un quaderno
osservavamo, al di là di una cruna,
gli antiqui eloqui del sogno
sepolti
nel volo pindarico di una falena.

Ricordi
la polvere delle indie mescolarsi
all’anelito della fenicie
e cuciti, nel nocciolo di bacche,
infiniti giorni.

Ricordi
parlarsi sulla carta,
il treno a Rovasenda,
la casa sul lago.

Forse più avanti avremmo compreso l’analogia della ferita,
forse il ciclo della piuma e quello della pietra
il vuoto e il pieno
l’amalgama e la disgregazione
la perdita e il ritrovamento
sono equivoci nella carne di una sola ferita.

Una radice dell’ebano
nutre
dai luoghi nascosti del ricordo,
uno di quei posti che raccontavamo senza averci (forse) vissuto.
Il prestigio di resistere alle sollecitazioni,
la volontà di resistere all’impervio,
per quello che già fummo
sugli alti silenzi della memoria e del sogno
dove il viaggio ebbe inizio
per quello che già conoscemmo oltre le reti del tempo.

Graffite
spogliava il foglio del suo vuoto,
non c’è nostalgia più grande
di quella che attrae due ferite
l’una verso l’altra,
– così ripenso a quei giorni, tra le righe di Bataille, le narici di tabacco e le linee orizzontali d’Oriente -,

ci incontrammo  nel proscenio del simbolo,
ove imparammo a smussare le insenature degli angoli,

e oltre noi

s’estingueva il cielo.

Konrad Mägi. La luce del Nord

In mostra a Torino, nelle Sale di Palazzo Chiablese, le irrequiete e luminose opere del “padre” della pittura estone moderna

Fino all’8 marzo 2020


Ad accogliere il visitatore all’ingresso della mostra, c’è un piccolo “Paesaggio” del suo Nord. Datato 1908 – 1910, è un olio su cartone dove i pochi colori utilizzati e le modeste dimensioni dell’opera (perfettamente in linea con le modestissime condizioni economiche del pittore) contrastano con i segni vigorosi di una qualità pittorica che appare subito in tutta la sua debordante straordinarietà. Nel quadretto, le forme del paesaggio si intuiscono appena, totalmente assenti i dettagli realistici, al loro posto vibra un dialogo intenso, di ossessivo e tormentato vigore materico, fra colori scavati alle radici e forme lasciate libere di vagare per i sentieri imprevedibili dell’anima. Nell’opera, appartenente agli esordi dell’artista, c’è già tutta la stupefacente forza espressiva presente nel complesso e breve percorso artistico – durato neanche vent’anni, dal 1906 al 1925 – di Konrad Mägi (1878 – 1925), considerato il capostipite della pittura estone moderna, vita irrequieta, anarchica e magicamente stravagante, spesso assimilato ad artisti come Van Gogh e Sisley, per l’uso singolarmente audace della materia pittorica e degli effetti luminosi, attenuato negli anni Venti dal gusto di geometrie formali di cézanniana memoria. A lui è dedicata la retrospettiva (fra le più grandi mai realizzate in Europa), ospitata nelle Sale Chiablese ai Musei Reali di Torino fino all’8 marzo del 2020, in prossimità dei cento anni trascorsi dalla visita dell’artista in Italia.

Curata dallo storico dell’arte Eero Epner in collaborazione con la direzione dei Musei Reali, la mostra (che, dopo Torino, sarà nell’autunno del 2021 al Museo EMMA di Espoo, in Finlandia) assembla una cinquantina di opere, provenienti dal Museo Nazionale d’Arte dell’Estonia e da quello di Tartu, oltre che da collezioni private e da quelle della Società degli studenti estoni. Oli, acquerelli e disegni, paesaggi e ritratti, sono opere che ben documentano l’inquieto e inquietante cammino esistenziale ed artistico di Mägi: dalla Scuola di Arti Industriali di San Pietroburgo, ai soggiorni in Finlandia (dove nel 1906 realizza i suoi primi dipinti) e a Parigi, fino al 1908 quando in Norvegia pone le basi per le prime esposizioni di Tartu e di Tallin, che gli daranno grande visibilità. Ma nel 1912, ritorna definitivamente in Estonia, che lascia solo nel 1921 per un viaggio in Italia dove realizza luminose piacevolissime vedute di Roma, di Capri e Venezia. Nel Bel Paese, l’artista pare ritemprare corpo e anima e perfino la sua pittura che nel paesaggio riscopre il valore della figura umana e dei più caratteristici e rasserenanti scorci urbani. Scriveva bene Epner, in occasione di una mostra dedicatagli due anni fa dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma: “ Mägi rimase fino alla fine della propria vita un uomo del Nord che avrebbe voluto vivere al Sud”.

Uomo e artista profondamente e inesorabilmente legato, scriveva lo stesso pittore, alla “natura aspra e malinconica del Nord” ai suoi “vividi lampi di luce”, a quei grandi cieli solcati e squassati da nuvole apocalittiche accese dai bagliori del tramonto, dai laghi, dalla natura selvaggia e dalle ripide scogliere a picco sul mare. Questi i temi che troviamo raccontati con accesa passione nella rassegna torinese, in un intreccio di correnti – fra Fauves e Nabis, Art Nouveau, Impressionismo ed Espressionismo – che sembrano averlo appena sfiorato, senza mai scalfirne la ferma volontà di parlare a sé e agli altri sempre ed assolutamente a modo suo. Totalmente suo. Con quella violenza di colori e di luci che frantuma la realtà per toccare le soglie dell’immaginifico e dell’onirico. Natura come atto di fede. Come spazio “metafisico e sacro”. Accanto, ai particolarissimi ritratti. Giovani donne soprattutto, come la “ragazza norvegese” dalla labirintica capigliatura e dallo sguardo ipnotico e assente. Occhi che non vedono. Figure indifferenti e lontane da chi le osserva. Molto simili ai ritratti, presenti in mostra, che dello stesso Mägi fanno, in tempi diversi, gli amici artisti Eduard Wiiralt (busto in bronzo del ’22) e Nikolai Triik (olio su tela realizzato nel 1908). Volti inabili al volo leggero dei pensieri. Inquieti pur nella compostezza dei gesti. Sempre tesi alla distruttiva ricerca dell’anima. Anche se “l’anima – annotava lo stesso pittore – è un raro giorno di festa che né la coscienza né la logica possono spiegare. E’ la lode e la rivolta dell’umanità”.

Gianni Milani

“Konrad Mägi. La luce del Nord”
Musei Reali – Sale Chiablese, piazzetta Reale 1, Torino; tel. 011/5362038 o www.museireali.beniculturali.it
Fino all’8 marzo 2020
Orari: dal mart. alla dom. 9/19, lun. 10/19

Nelle foto

– “Cavoli marini”, olio su tela, 1913-1914
– “Paesaggio con nuvola rossa”, olio su tela, 1913-1914
– “Andando da Viljandi a Tartu”, olio su tela, 1915-1916
– “Ritratto di ragazza norvegese”, olio  su tela, 1909
– Eduard Wiiralt: “Busto di Konrad Magi”, bronzo, 1922

 

 

Fontana dei mesi: Gennaio e Minimalismo

Nella scorsa edizione della Fontana dei Mesi al parco del Valentino abbiamo approfondito a proposito del carro di Fetonte, in questa edizione parliamo di Minimalismo e della statua di gennaio, tenetevi forte, iniziamo!

Donald Judd, Sol LeWitt, Robert Rauschenberg, Barnett Newman, Enrico Castellani, Piero Manzoni sono nomi che ci conducono direttamente nel Minimalismo (o Minimal Art), la corrente artistica sviluppatasi negli anni Settanta del Novecento che ha una peculiarità eccezionale, coinvolgere lo spazio espositivo nell’opera stessa. Detto questo l’arte Minimal dovrebbe essere comprensibile anche agli scettici- che sono liberissimi naturalmente di continuare nel loro scetticismo-, ma in generale chi non vede niente di artistico in questo genere, potrebbe ricredersi. La sensazione di vuoto a cui talvolta il Minimalismo può condurre, dovrebbe essere ora rovesciata o rovesciabile. Per esempio le tele bianche di Rauschenberg, sapendo che sono ascritte alla Minimal Art, così come l’abbiamo definita, ossia la risposta degli artisti al bisogno di far compenetrare lo spazio esterno all’opera con quello interno all’opera, ecco ora forse le tele del texano prendono senso anche per chi considera solo che non siano disegnate. Poi, certo, possono prendere un ulteriore senso, un senso personale, possono rispondere alla motivazione che uno preferisce, si prestano a interpretazioni pseudo-psicanalitiche, insomma sono arte al di là del nostro racconto storico-artistico che le inserisce in una corrente artistica piuttosto che in un’altra. La non univocità del messaggio d’altronde è il tratto fondamentale dell’opera d’arte, caratteristica che rispecchia l’idea che ogni persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di essere vissuta di fronte alla produzione artistica.

Abbiamo preso Rauschenberg tra tutti i pochi citati, dunque vediamo che talvolta di lui si dice sia un artista appartenente all’Espressionismo astratto, oppure ancora che abbia gravitato per tutta la sua carriera intorno alla Pop-art senza aderirvi mai. A parte le classificazioni per così dire tassonomiche che si fanno degli artisti, cerchiamo di capire la distanza che separa la produzione artistica di uno, dalla effettiva prima descrizione di una corrente. Come buona regola in merito si può leggere il “manifesto programmatico” oppure considerare ciò che vi si avvicina maggiormente e poi fare un raffronto. Nel caso dell’arte minimalista non abbiamo una dichiarazione da parte degli artisti che dice cosa sia la Minimal Art, però abbiamo un filosofo, Richard Wollheim, che è riuscito a produrre una sintesi efficace sul clima artistico che esisteva in Nord America e che vedeva una tendenza alla riduzione della realtà attraverso la ricerca delle strutture elementari geometriche. Wollheim parla di riduzione minimale del contenuto artistico stesso, cosa che riesce a tangere oggetti del tutto anomini come ad esempio forme e immagini mentali basilari e perciò a condurli nell’arte stessa. Wollheim ha lasciato in sospeso, a mio parere, tutte le questioni di solito fondamentali che riguardano il senso allegorico e forse sta proprio in questa mancanza il motivo del così facile scarto di un’opera Minimalista tra cliche tipo “la solita robaccia che andava di moda nei Settanta”. Eppur tuttavia Wollheim ha, a mio avviso, dato una risposta anche a questo genere di domande, quelle che riguardano il senso dell’opera, senso che nella corrente in esame non è presente per quanto riguarda qualsiasi riferimento a quello che potremmo chiamare il nostro “incubatore culturale concettualmente evoluto”, motivo per cui per lo più lo spettatore è indifferente al Minimalismo. In genere un’opera d’arte smuove affetti, sentimenti, emozioni legate al nostro vissuto socio-culturale, trascina nell’agire comunicativo in cui siamo inseriti e ci rende partecipi, attivi, agenti, comunicatori, porta sull’orlo di voler dire qual sia il proprio pensiero su quel disegno, quella statua, quella composizione; porta alla comunicazione che inizia con, “A me ricorda…”, “Ho pensato che questa statua ha un significato particolare per me, perché…”, “Anche a me piace disegnare vasi di fiori, ma quelli di Matisse sono superlativi, ah che vero artista!”. Insomma nella maggior parte delle correnti artistiche c’è qualcosa che riusciamo facilmente a riconoscere e ad agganciare al nostro vissuto quotidiano, passato, presente, futuro; tutte riescono a parlare anche di noi e a darci speranza. L’arte può dirci con evidenza che qualcun altro ha già vissuto quel momento che a viva forza strappiamo dal corso degli eventi della nostra vita per associazione o che altrimenti non riusciamo ad inserire nel flusso dei ricordi perché sembra non avere lembi per essere tessuto.

Le tele bianche oppure i cubi palindromi che spesso vediamo nella Minimal Art, mostrano il vuoto e il pieno lasciando invariato il significato, evitano i riferimenti sociali, sono scevre di linguaggio, sono afone, aliene al sistema di riferimenti affettivi di cui facciamo parte. Tenerezza, simpatia, bestialità, crudeltà, passione, accidia, sono le stesse emozioni che riconosciamo nelle opere, le stesse che danno quel vago senso di sgomento di fronte ad una testa di Arcimboldo a meno di non essere, per dire, aborigeni australiani o chessò “abitanti delle Molucche”. Chiedono al limite di ripensare a ciò attraverso cui concettualizziamo la realtà, alle forme grazie a cui riusciamo a riconoscere la casa sotto al glicine e la grotta dietro alla cascata; pensiamo dunque al Minimalismo Americano e ricordiamoci che ogni giorno avanzando, appoggiamo ad un bastone, come la statua del mese di gennaio della fontana dei dodici mesi al parco Del Valentino a Torino. Proviamo perciò a ripensare ai sentimenti che -come abbiamo detto-, normalmente proviamo per esempio di fronte ad un’opera d’arte e tentiamo dunque di ricordare quanto lasciamo indietro, metaforicamente nell’anno passato, e cosa invece portiamo con noi, nel presente. Infine pensiamo al materiale di cui è fatto il nostro sostegno; nella statua di gennaio al parco Del Valentino, si tratta banalmente di marmo e si potrebbe dire sostanzialmente di legno; nella nostra vita banalmente si tratta dell’amore, dei consigli, della cultura che condividiamo, sostanzialmente di ciò che facciamo. Buon anno a tutti!

Elettra ellie Nicodemi

Libri in fiera a Pragelato

E’ in corso a Pragelato la ‘Fiera del libro’ che si protrarrà nella palestra comunale sino al 6 gennaio prossimo con orario dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 19, rimanendo chiusa soltanto il 31 dicembre al pomeriggio e a Capodanno al mattino. In programma ci sono anche una serie di incontri con gli autori: sabato 28 alle 17 viene presentato ‘Rita Levi Montalcini: una donna libera’ di Carola Vai, domenica 29, alle 17.30, ‘Piemontesi per sempre’ a cura di Loredana Cella ed Aurora Frola con l’intervento di Gianni Oliva, il 3 gennaio, alle 17.30 ‘Mise en abyme’ di Daniele Baron’, il 5 gennaio , alle 17, ‘Gli ultimi giorni del mondo’ di Patrizio Righero.

Massimo Iaretti

Il Russian National Show al Teatro Concordia 

Russian National Show: arriva a Torino la compagnia moscovita con esibizioni e danze per celebrare il folklore russo. Il 28 dicembre la compagnia moscovita porterà in scena “Russia Eterna”, un caleidoscopio di danze nazionali che rimandano all’antico folklore del popolo russo.

Il Russian National Show arriva a Torino, al Teatro Concordia. Il 28 dicembre alle ore 21 sarà possibile immergersi nell’atmosfera russa folkloristica con le danze del gruppo moscovita. La “Russia Eterna” protagonista dello spettacolo è un mix di danze antichissime e più recenti, ancora vive nella cultura russa.

La Compagnia è stata fondata nel 1988 a Mosca ed è considerata il biglietto da visita della cultura della capitale russa. Infatti partecipa regolarmente a celebrazioni ufficiali nella Piazza Rossa, e ai concerti al Palazzo dei Congressi al Cremlino. 

Dove e quando

Sabato 28 dicembre 2019, ore 21:00

Teatro Concordia – Venaria Reale (TO)

A Bardonecchia i trenta grandi italiani di Quaglieni

Domenica 29 dicembre alle ore 17,30, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia (piazza Valle Stretta 1), nella Sala Giolitti, Pier Franco Quaglieni presenterà’ la nuova edizione del suo libro “ Figure dell’Italia civile”, Golem Edizioni. Si tratta di più’ di 30 ritratti di personalità’ importanti della cultura e della politica italiana del Novecento da Einaudi a Giovanni Amendola, da Concetto Marchesi a Soleri, da Calamandrei a Chabod, da Burzio ad Adriano Olivetti, da Ernesto Rossi a Balbo di Vinadio. La parte più’ consistente del libro riguarda gli “amici e maestri”che l’autore ha conosciuto e frequentato: Jemolo, Bobbio, Galante Garrone, Montanelli, Valiani, Casalegno, Alda Croce, Primo Levi, Ciampi, Luraghi, Romeo, Spadolini, Pininfarina, Ronchey, Bettiza, Tortora, Pannella.Due capitoli molto densi concludono il libro, quelli dedicati a Soldati e Pannunzio. Quattordici figure sono piemontesi, tra cui il grande storico Franco Venturi. Il libro e’ il ritratto di una Italia lontana, spesso dimenticata, un mondo purtroppo ormai scomparso che vuole essere anche un omaggio a quell’Italia che contribuì’ a far rinascere il nostro Paese dalla guerra perduta dopo il 1945, ricostruendo le Istituzioni democratiche e creando il benessere della Nazione con lo stesso spirito costruttivo che portò’ alla Costituzione. Dalle macerie della seconda Repubblica si potrà’ ricostruire qualche cosa di positivo anche guardando alle “ Figure dell’Italia civile”. La volgarità’- afferma l’autore-ha raggiunto livelli inauditi che hanno fatto perdere il senso stesso del valore della cultura e del suo rapporto con la politica intesa come disinteressato impegno al servizio della società’. L’Italia civile e’ anche un insieme di valori di cui abbiamo più’ che mai bisogno nella “società’ liquida” in cui rischiamo di affogare. Essi sono l’alternativa al nostro spaventoso decadimento nel campo della cultura, della politica e del giornalismo .

Con “Occhi, nasi e bocche… il gioco dei ritratti!”

Laboratori creativi a Palazzo Barolo

NELL’AMBITO DELLA MOSTRA “TANTE TESTE TANTI CERVELLI. LANTERNA MAGICA DELLE FACCE UMANE”

Sono tante le iniziative che affiancano la mostra “Tante Teste tanti cervelli. Lanterna Magica Delle Facce Umane”, curata da Pompeo Vagliani e attualmente in corso al Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia di Palazzo Barolo. Durante il periodo delle festività natalizie, sono previsti due appuntamenti per tutta la famiglia, laboratori creativi per grandi e piccini sul tema della metamorfosi del volto.

Con “Occhi, nasi e bocche… il gioco dei ritratti!” – sabato 28 dicembre 2019 e giovedì 2 gennaio 2020, alle ore 15.30 e 17.00 – i partecipanti potranno comporre ritratti combinando le varie parti del volto in maniera creativa e fantasiosa per dar vita a buffi personaggi che diventeranno i protagonisti di storie da inventare insieme.

Con “Metamorfosi… emozioni a viso aperto” – domenica 29 dicembre 2019 e venerdì 3 gennaio 2020, alle ore 15.30 e 17.00 – si potranno analizzare invece le diverse espressioni umane e i sentimenti che le veicolano, a partire dagli antichi studi di fisiognomica fino ad arrivare alle moderne emoji. Durante il laboratorio, verrà realizzata una particolare tipologia di flap book per comporre tutte le espressioni umane e creare divertenti mutamenti.

I laboratori sono rivolti ai bambini a partire dai 4 anni. Per informazioni e prenotazioni: 011 19784944, 388 4746437, didattica@fondazionetancredidibarolo.com. Le attività sono organizzate su due turni, alle ore 15.30 e alle ore 17.00. Costo € 5,00 a partecipante; per genitori e accompagnatori € 4.00 Percorso Libro; € 7.00 Percorso Scuola + Percorso Libro; gratuito con Abbonamento Musei. Con la TESSERA 5 INGRESSI si potrà usufruire dell’accesso al Percorso Libro per adulti e accompagnatori, in occasione di 5 laboratori, al costo di € 10,00.