CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 387

”Giù nella valle”, fumetti nell’antica chiesa dei battuti

Si è svolta a Vignale Monferrato domenica 27 marzo, l’inaugurazione della mostra personale di fumetti di Andrea Ferraris che ha per titolo ” Giù nella valle” (ingresso libero). L’ esposizione di tavole originali a colori durerà fino al 18 aprile 2022 dalle 15 alle18 (solo le domeniche).

La ” chiesa dei battuti ” è stata eletta a luogo dove si svolgerà l’evento espositivo. L’ artista genovese di cui ho diffusamente scritto sul torinese, espone tavole ispirate al racconto ” il Mendicante” di Guy de Maupassant apparse la prima volta su Linus nel 2021. Nel 2020 sono apparse sempre sulla famosa rivista di fumetti fondata dal compianto Oreste del Buono, altre tavole di Ferraris : le storie brevi ” la Volpe e la Faina” e  ” il Fiume” ambientate nelle campagne vignalesi coi suoi personaggi dove il disegnatore sovente soggiorna e lavora, nel suo studio della frazione San Lorenzo. La personale è stata inaugurata dal sindaco Tina Corona alla presenza di un folto gruppo di invitati e promossa dal Club Unesco, attraverso l’associazione il Monferrato degli Infernot (www.monferratodegliinfernot.it).La chiesa (attualmente sconsacrata) prende il nome dall’Ordine dei Battuti, confraternita di laici del medioevo. La confraternita fu un gruppo di religiosi penitenziali, usi alle pene corporali per l’espiazione dei peccati, anche per mezzo dell’autoflagellazione, da cui deriva la denominazione ‘battuti’. Un po’ come dei ‘chierici vaganti’ giravano per i paesi raccogliendo l’elemosina per il sostentamento e la beneficenza, dediti anche nelle frequenti soste, alla preghiera e alle lodi. La piccola chiesa di Vignale Monferrato sovente era luogo di sosta e riunione dei chierici. Il soffitto ligneo del luogo di culto, è stato completamente ricostruito. All’ interno sono visibili la corale lignea dietro l’altare e gli affreschi della volta, tutti originali d’epoca. Il campanile in mattoni faccia a vista, è di sezione triangolare, dettaglio architettonico che lo rende di particolare interesse. La mostra offre la possibilità di vedere le tavole di Andrea Ferraris, in un contesto inusuale, esposte sulle pareti sbrecciate e in crudo, in una tipicità rustica e agreste al centro delle colline monferrine. Tavole originali colorate e inchiostrate dalla moglie Daniela. Utili a comprendere come il fumetto, venga prodotto e stampato, per mezzo di una riduzione dalla dimensione originale alla striscia stampata. Una occasione speciale per gli appassionati del genere, che potranno compiere facoltativamente con la visita alla mostra, anche la degustazione nella zona dei vini dei produttori locali, in particolare la barbera, il grignolino e la freisa. Rossi doc, forti e corposi. Tipici di Vignale Monferrato. Prosit.

Aldo Colonna

Rassegna mensile dei libri: Marzo

Letture di Marzo suggerite dagli iscritti al gruppo Facebook più frequentato della rete, almeno tra quelli in lingua italiana dedicati all’argomento; questo mese l’attenzione di nostri infaticabili lettori si è concentrata su tre titoli molto diversi tra loro.

La Regina Degli Scacchi, ultimo romanzo di Walter Tevis (Mondadori), dal quale è stata tratta anche una fortunata serie televisiva: secondo molti lettori il libro è inferiore ma è comunque una lettura molto avvincente; La Crepa E La Luce, di Gemma Calabresi Milite (Mondadori). Con una scrittura semplice ma delicatissima la Signora Calabresi ripercorre tutta la sua vita e ripercorre anni cruciali della storia d’Italia, dei quali è stata dolorosa testimone. I Rondoni, di Fernando Aramburu (Guanda). Il corposo diario, fatto di pensieri, riflessioni, ricordi, di un annoiato professore di filosofia intenzionato a suicidarsi.

Andar per libri e non solo…

Dopo il successo della prima edizione, torna Lucca Città di Carta, il festival dedicato ai libri, alla carta, all’arte e alla stampa. L’evento, organizzato dal doppio team targato Nati Per Scrivere e L’Ordinario, si terrà dal 23 al 25 aprile 2022. Tante le novità, dall’ampliamento degli spazi con la presenza anche di editoria fotografica e nuove collaborazioni; molti anche gli ospiti attesi, da Carlo Lucarelli ad Alessandro Barbaglia, passando per Marco Vichi, Leonardo Gori, Romana Petri, Marco Buticchi, Marco Pardini, Sara Fiorentino, Vanni Santoni e molti altri. Per il programma completo si può visitare il sito www.luccacittadicarta.it

Incontri con gli autori

In collaborazione con Novitainlibreria.it la nostra redazione ha intervistato la scrittrice genovese Patrizia Mazzini, autrice di Annetta Non E’ Una Buona Forchetta (NPS, 2021); Domenico Maria Grasso cultore della lingua siciliana e autore di Quadretti Semiseri Di Vita Siciliana…E Altro (Etabeta edizioni, 2021); Francesca Cappelli è un’altra autrice della scuderia di NPS, autrice de L’Altra Anima Della Città (NPS, 2021).

Per questo mese è tutto, vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura!

unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

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Parte la tournée italiana e internazionale de “La tempesta”,

Dopo il debutto torinese. Regista Alessandro Serra

 

“La tempesta” di William Shakespeare per la regia di Alessandro Serra, nuova produzione esecutiva del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, dopo il suo debutto torinese, che si è tenuto in prima nazionale alle Fonderie Limone di Moncalieri il 15 marzo 2022, sarà in tournée in Italia e all’estero.

Le recite a Torino andranno avanti fino a domenica 3 aprile 2022, dopo di che lo spettacolo andrà in scena a Reggio Emilia (5 – 6 aprile) e a Roma (28 aprile – 15 maggio), per continuare con le date in Lituania, a Klaipeda (31 maggio – 1 giugno), in Francia, al Festival d’Avignon (17 – 23 luglio), che è tra i coproduttori internazionali dello spettacolo insieme a MA scène nationale – Pays de Montbéliard, e poi in Polonia a Danzica, al Gdansk Shakespeare Theater (27 – 28 luglio).

“Dopo due anni di sosta forzata, con La tempesta diretta da Alessandro Serra il Teatro Stabile di Torino ritrova finalmente una dimensione europea di ampio respiro – dichiara il Direttore Filippo Fonsatti. “Oltre alle date già programmate nel corso del 2022 in tre diversi Paesi, stiamo lavorando per esportare la produzione in altre prestigiose sedi. Ed è una fortunata coincidenza – conclude Fonsatti – che la ripresa della circolazione delle opere e degli artisti in questi tempi di guerra avvenga con l’ultimo capolavoro di Shakespeare, che ci parla di compassione, di perdono, di pace”.

La tempesta è una produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale con il Teatro di Roma – Teatro Nazionale, ERT – Teatro Nazionale, Sardegna Teatro, Festival d’Avignon, MA scène nationale – Pays de Montbéliard, in collaborazione con Fondazione I Teatri Reggio Emilia e Compagnia Teatropersona.

Dice Alessandro Serra: “Nella Tempesta tutti cercano di usurpare, consolidare o innalzare il proprio potere. Prospero trascura il governo, cioè gestisce male il potere. E subito suo fratello trama contro di lui insieme al re di Napoli e lo condanna a una morte per acqua. Gonzalo lo salva, fornendogli segretamente la fonte di un potere ben più grande di quello politico: la magia. Ma chi è sradicato non può che sradicare, dice Simone Weil, e così non appena giunto sull’isola, Prospero usa il suo potere magico per sottrarla a Caliban, che prima adotta come figlio e poi trasforma in schiavo. Lo stesso farà con Ariel: lo libera dalla schiavitù ma lo condanna a servirlo per dodici anni. Persino il suo atteggiamento nei confronti di Ferdinando e Miranda è dettato da un mero interesse dinastico. Anche nella Tempesta, come in tutti i romances, c’è il tema dell’unione di due regni. Non appena mettono piede sull’isola Antonio convince Sebastiano a uccidere suo fratello per divenire re di Napoli. Solo Gonzalo, in un mirabile monologo scritto da Shakespeare con le parole di Montaigne, vaneggia di una società ideale senza violenza in cui ogni bene sia in comune, senza alcuna sovranità, in simbiosi con la natura.

Ed è proprio di fronte alla natura che nella prima scena si ribaltano le gerarchie: in un mare in tempesta comanda il Nostromo, non il re, perché Che gliene importa ai cavalloni del titolo di re! Ma in realtà chi comanda davvero è la natura, e quando la natura decide di riprendersi il suo spazio i marinai non possono che intonare il loro saggio requiem: È tutto inutile, preghiamo! Siamo fottuti! Tutti sono sul punto di morire annegati, ma in realtà non muore nessuno, è più un’immersione battesimale, un’iniziazione nel proprio labirinto interiore al termine della quale, dice Gonzalo, noi tutti ritrovammo noi stessi quando nessuno era più padrone di sé.

Nella tempesta il sovrannaturale si inchina al servizio dell’uomo, Prospero è del tutto privo di trascendenza, eppure con la sua rozza magia imprigiona gli spiriti della natura, scatena la tempesta, e resuscita i morti. Ma sarà Ariel, uno spirito dell’aria, ad insegnargli la forza della compassione, e del perdono. Lo credi davvero, spirito? Io sì, se fossi umano.

Su quest’isola-palcoscenico tutti chiedono perdono e tutti si pentono ad eccezione di Antonio e Sebastiano, non a caso gli unici immuni dalla bellezza e dallo stato di estasi che pervade gli altri. Il fatto che Prospero rinunci alla vendetta proprio quando i suoi nemici sono distesi ai suoi piedi, ecco questo è il suo vero innalzamento spirituale, il sovrannaturale arriva quando Prospero vi rinuncia, rinuncia a usarlo come arma.

Ma il potere supremo, pare dirci Shakespeare, è il potere del Teatro. La tempesta è un inno al teatro fatto con il teatro la cui forza magica risiede proprio in questa possibilità unica e irripetibile di accedere a dimensioni metafisiche attraverso la cialtroneria di una compagnia di comici che calpestano quattro assi di legno, con pochi oggetti e un mucchietto di costumi rattoppati. Qui risiede il suo fascino ancestrale, nel fatto cioè che tutto avviene di fronte ai nostri occhi, che tutto è vero pur essendo così smaccatamente simulato, ma soprattutto che quella forza sovrumana si manifesta solo a condizione che ci sia un pubblico disposto ad ascoltare e a vedere, a immaginare, a condividere il silenzio per creare il rito. L’uomo avrà sempre nostalgia del teatro perché è rimasto l’unico luogo in cui gli esseri umani possono esercitare il proprio diritto all’atto magico.”

 

 

 

Sciamani & Co, viaggio spirituale nell’arte

Casa Museo ZonaRosato annuncia  la mostra personale di Simona Galeotti, Sciamani & Co.
Inaugurazione sabato 2 aprile – Finissage sabato 23 aprile, dalle 17h, nello spazio espositivo indipendente di Gerardo Rosato in Via Exilles 84.
In questa occasione, l’artista invita lo spettatore ad interrogarsi intorno a quesiti tanto semplici quanto esistenziali. Chi siamo? Da dove veniamo? Ma soprattutto, dove andiamo?

Sciamani & Co. riunisce i lavori di Galeotti con l’intento di dare delle possibili risposte; attraverso le opere dell’artista torinese emerge la necessità di un viaggio, non terreno ma spirituale, metafisico. Per l’artista il viaggio inizia nel 2001, quando incontra per la prima volta i personaggi delle sue opere, alla conferenza “Donne di Pace” al Sermig e in Valsavarenche per “La guarigione della madre terra” organizzate dall’ associazione Where The Eagle Fly di Costanzo Allione e Anna Saudin: si tratta di Sciamani, Guaritrici ed Ambasciatori di fede. I vari incontri esperenziali di questi personaggi si concentrano successivamente nella mostra personale al PAV di Torino per il decennale di “Donne di pace 2001 – 2011”, curata da Valentina Bonomonte.
Ciò che accomuna sotto un unico denominatore i soggetti rappresentati è la presenza di un bagliore che splende in ogni raffigurazione, creando un forte legame tra le opere. Il chiarore appare come una sorta di rivelazione, sintomo di una delle fasi sciamaniche, come la chiamata oppure la metamorfosi. Fasi che ogni sciamano deve accettare nella propria vita ed abbracciare come parte del proprio viaggio terreno ed ultraterreno.
L’ascesa, la levitazione e la tendenza verso l’alto sono dei tratti onnipresenti nella vita spirituale e terrena dei soggetti che l’artista rappresenta; infatti, attraverso un sapiente utilizzo della pittura e di diversi materiali (plastica, carta e pigmenti iridescenti, stoffe rare e gioielli), Galeotti è capace di far percepire i movimenti dei suoi personaggi.
L’incontro con queste persone ha portato l’artista a prendere coscienza di nuove dimensioni che ha scoperto di avere già dentro di sé. Ispirandosi al concetto di Africa interiore di Jean Paul Richter, dove nei meandri piu nascosti della mente fluttuano pensieri e vissuti che emergono inaspettatamente nel sogno della nostra realtà, la chiave di lettura dell’esposizione è da intendersi nell’unione di diverse dimensioni: corporeità e spiritualità, emotività e razionalità, quotidiano e metafisico.
Habiba ne è forse l’esempio più nitido. La guaritrice Uzbeka – come gli altri personaggi – tende le mani verso l’alto, quasi mantenendo una posizione di trance ottico-visiva; i suoi abiti e un amuleto lasciato pendere dalla mano destra danno l’idea di un movimento incoscio, come se fosse voluto da Altro e per Altro. Le mani, così come la presenza di precisi focus luminosi rappresentano il fil- rouge che conferisce alle opere una concreta lettura d’insieme.
Come lo sciamanesimo, l’arte di Simona Galeotti è un mezzo per esplorare gli stati di coscienza non ordinari, quelli che sono in comunione con una forza esterna o “spirito”. Per l’artista realizzare un’opera d’arte può implicare un processo di metamorfosi, intuizioni, visioni e sogni.
Collettività e confronto sono i presupposti per affrontare il viaggio ultraterreno che l’artista fa uscire dalle proprie opere: la volontà di concedere il proprio ego alla collettività è da leggersi come il primo passo verso la cosmovisione, un’apertura all’Altro e all’Oltre di sé.
Testo e curatela di Sonja Krstic e Neri Muccini Perfomance sonora di Stefano Giorgi
Sciamani & Co. Inaugurazione sabato 2 aprile – Finissage sabato 23 aprile giorni feriali su appuntamento.

Info: Gerry Rosato 333 163 00 65
Sonja Krstic 340 984 29 79 CasaMuseo ZonaRosato Via Exilles 84

“Cinemautismo 2022” Al Greenwich Village

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Ritorna in presenza la rassegna cinematografica dedicata allo “spettro autistico”

Sabato 2 aprile

Tre film. Tutti proiettati in una sola giornata, ad ingresso libero, al cinema “Greenwich Village”, in via Po 30, a Torino. L’appuntamento è per sabato 2 aprile, data in cui si celebra la “Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo 2022”. E data in cui ritorna “in presenza”, dopo due anni di proiezioni in streaming, “Cinemautismo”, la prima rassegna cinematografica italiana dedicata allo “spettro autistico” alla sua XIV edizione.

Curata da Marco Mastino e Ginevra Tomei e organizzata dall’“Associazione Museo Nazionale del Cinema” ( con il patrocinio di Regione Piemonte, Città Metropolitana, Città di Torino, Fondazione “Paideia” e “Comitato Siblings Onlus”), l’iniziativa offre al pubblico non solo la possibilità di condividere le storie raccontate dai film in programma, ma anche momenti di dibattito e confronto, da sempre caratteristiche distintive della rassegna. “La possibilità di ritornare in un cinema dopo questi anni ‘virtuali’ – commentano i curatori – ci emoziona moltissimo. Finalmente potremo tornare ad avere uno spazio di condivisione e dibattito perché ‘Cinemautismo’ è anche questo: un’esperienza individuale, ma anche collettiva, in cui ci si parla e ci si confronta, sempre a partire ovviamente dai film, sull’autismo, ma anche su vari aspetti della vita. Quest’anno con ‘Cinemautismo’ attraverseremo continenti (abbiamo film da Argentina, Stati Uniti e Israele) e varie fasi della vita. Parleremo di infanzia, ma anche del divenire adulti e delle relazioni. Cercheremo di affrontare molteplici temi, come molteplici sono gli aspetti della vita delle persone autistiche e – in effetti – di ognuno di noi”. Tre i film in programma, si diceva. Tre film che hanno ricevuto importanti riconoscimenti in alcuni dei più famosi festival cinematografici internazionali. Il tutto concentrato nella giornata di sabato 2 aprile.

 

Si inizia  con “Una escuela en Cerro Hueso” di Betania Cappato, delicato film argentino che racconta l’esperienza della piccola Ema e della sua famiglia in un nuovo villaggio e in una nuova scuola (ore 15.30 “Greenwich Village”). La regista, sorella di una persona autistica, ha ottenuto con questo suo primo lavoro autobiografico la menzione speciale della giuria al “Festival di Berlino” del 2021 nella Sezione “GenerationKPlus”.

La giornata prosegue con la proiezione di “Dina” di Dan Sickles e Antonio Santini, pluripremiato documentario americano – tra cui il Gran Premio della Giuria della sezioni documentari al “Sundance Film Festival” del 2017 – che racconta la storia d’amore tra Dina, eccentrica donna di periferia, e Scott, usciere dei magazzini “Walmart”, entrambi nello spettro autistico (ore 18.00 Greenwich Village).

La sera si conclude con “Here We Are” di Nir Bergman, pellicola israeliana selezionata in concorso ufficiale al “Festival di Cannes” del 2020, che racconta del rapporto tra un padre e il figlio autistico ormai divenuto adulto (ore 21Greenwich Village). Il film, distribuito da “Tucker Film”, uscirà il 5 maggio nelle sale italiane con il titolo “Noi due”.

g.m.

Per info: Cinema “Greenwich Village”, via Po 30, Torino; tel. 011/281823 o www.cinemautismo.it

Nelle foto:

–       “Una escuela en Cherro Hueso”

–       “Dina”

–       “Here We Are”

 

le marionette Grilli per “La Cenerentola”

Un’incredibile riduzione dell’opera di Gioacchino Rossini “La Cenerentola”, approda all’Alfa Teatro di Torino con le marionette della Compagnia Marionette GRILLI  

Tantissimi elementi della storia originale che erano stati trascurati sono stati reinseriti nella vicenda, grazie anche a una scenografia che muta in continuazione…
1-2 aprile alle ore 20.30 e il 3 aprile alle ore 17.00!!
INFO: +39 334 2617947
🎫PRENOTAZIONI E ACQUISTO BIGLIETTI
ONLINE: https://bit.ly/3iAEeSh
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“Joaquin Sorolla pittore di luce”, virtuosismi sotto il sole del Mediterraneo

Nelle sale di Palazzo Reale, a Milano, sino al 26 giugno

 

La luce, sopra ogni altra cosa. La luce che abbaglia, che riempie le stanze e i giardini e le spiagge di gioia, accecante e avvolgente, in alcuni tratti impressa violentemente, che colpisce con tagli diversi gli oggetti che incontra, che inonda, che si espande. “Pittore della luce” è l’immagine che accompagna quel nome, Sorolla – Joaquin Sorolla y Bastida – nella mostra, a cura di Micol Forti e Consuelo Luca de Tena, che Milano, nella sede di Palazzo Reale (dopo una precedente occasione, nel marzo 2012, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara), ha voluto dedicare, sino al 26 giugno, ad un grande artista – magnifico, a noi poco noto nonostante i rapporti e le frequentazioni italiani, non certo perché chiuso entro i confini di quella penisola sotto il cui sole era nato – spagnolo (nacque ne 1863, morì nel 1923), coprodotta dal Comune di Milano-Cultura e da CMS Cultura, realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura e lo Sport della Spagna, il Museo Sorolla e la Fundaciòn Museo Sorolla madrileni e altre prestigiose istituzioni museali pubbliche e private. “È stato un maestro di luce – sottolinea il sindaco Giuseppe Sala, nella presentazione in catalogo -, che nei suoi quadri ha l’intensità e il calore che risplende sui mari e nei cieli spagnoli. Grazie al suo virtuosismo cromatico, emergono dalla sua opera lampi di modernità che hanno innovato la pittura spagnola, aprendola alle nuove temperie artistiche affermatesi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento”.

Una pittura di gioia e di forte violenza, che già aveva spinto lo stesso Monet a definire il circa trentenne pittore di Valencia “un gaudente della luce”. Un artista che presto s’impegna a provare per schizzi, a frequentare corsi serali e che nel 1878, quindicenne, mette piede tra mille sacrifici all’Accademia di Belle Arti, lui orfano a soli due anni di entrambi i genitori e allevato con la sorella Eugenia in casa di una zia materna. Poi le opere di Velasquez al Prado che lo affascinano, e i concorsi e i primi premi, una borsa di studio nell’’85 per un soggiorno a Roma di tre anni, i viaggi a Venezia, a Pisa, a Napoli e a Firenze, sempre ad ammirare e studiare le opere dei Maestri, nello stesso anno per la prima volta a Parigi. Parigi ricca di stimoli e di idee, di fermenti non soltanto artistici ma pure sociali, una Parigi che vede in quello stesso anno la grande retrospettiva dedicata a Delacroix e la pubblicazione di “Germinal” di Zola, una città lambita dalle diverse angolazioni della pittura impressionista che lo spinge, lui poco più che ventenne, a ricercare l’indirizzo e l’esattezza e il tono definitivo della propria arte. Ci ritornerà nel 1900, in occasione della Esposizione Universale, per esporre – dopo lunghi ripensamenti – “Triste eredità”, un successo inimmaginato che gli frutterà l’ambitissimo “Grand Prix” e che gli aprirà le porte delle prestigiose gallerie d’arte della capitale francese e di gran parte dell’Europa.

Una immagine forte e “sgradevole”, la comunione della bellezza del mare rappresentato en plein air secondo un imperativo che il pittore fece suo per tutta la vita e un “soggetto emotivamente e socialmente carico”, un folto gruppo di bambini, i piccoli corpi nudi colpiti dalla luce del sole, poliomielitici, rachitici, storpi, ciechi, rudimentali bastoni a reggerne alcuni, che un Fratello del vicino Ospedale dell’Ordine di San Giovanni di Dio ha accompagnato un giorno sulla spiaggia di Malvarrosa, vicino Valencia. Il titolo originale doveva essere “I figli del piacere” – all’epoca simili ragazzi erano ritenuti il frutto di esistenze rovinate da vizi e alcol -, dipinto l’anno precedente, titolo mutato su consiglio dell’amico Vicente Blasco Ibànez, repubblicano e socialista convinto, uomo d’intensa attività politica, che già aveva dato alle stampe vari romanzi nelle cui pagine aveva descritto le miserie dei pescatori e dei contadini valenciani, che spingeva l’artista a guardare con occhio sempre più critico e intenso ad una società malata e colpevole, povertà e prostituzione non ultimi peccati. Nasce “Giorno felice” (o “Ritorno dalla prima comunione”, 1892) per l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Madrid, il miserevole ambiente di una baracca sulla spiaggia di Valencia, un nonno cieco e una nipotina che lo ossequia con un bacio sulla mano, appena tornata dalla prima comunione, l’abito bianco e la luce del sole che filtra tra le assi in cattivo stato senza toccare minimamente i personaggi in primo piano mentre forse un lembo di speranza è dato da quell’apertura sulla spiaggia carica di sole, il mare sullo sfondo. Nasce soprattutto “La tratta delle bianche” (1894), quattro povere prostitute, addormentate e chiuse nei loro scialli a riscaldarsi come possono, tutte in giovane età, pochi bagagli in primo piano, trasportate all’interno di un vagone ferroviario sotto l’occhio di una vecchia sorvegliante: il passaggio da un luogo di lavoro ad un altro, triste pratica diffusa all’epoca, un’opera di estremo realismo, le pareti del claustrofobico, soffocante vagone a far da confine con il mondo, la dolcezza triste dei visi, una tela dai colori cupi, dove il solo rosa di una gonna sembra portare con sé un sottile senso di leggerezza, una tela che racchiude un’intera narrazione, un passato e un futuro, l’esistenza delle vittime, una struggente emozione assai potente.

La luce torna a inondare “Cucendo la vela” (1896, con grande felicità degli organizzatori l’artista accetterà di presentarla alla Biennale veneziana del 1905), lo sguardo del pittore pronto a catturare nell’immediatezza le scene che gli cadono sotto gli occhi. Qui un gruppo di donne, i visi aperti al sorriso, due uomini in secondo piano, in un momento di pausa della pesca rammendano quelle parti che le tempeste possono aver rovinato. È un’allegria quella vela, i grumi di luce buttati qua e là e le brevi piccole quasi impercettibili ombre (qualcuno ha parlato di “latente luminosità delle ombre”), l’esplosione del tessuto, le pieghe e l’arruffarsi vaporoso; è un’allegria la tavolozza di colori e le pennellate vigorose, il sole che passa attraverso e i giochi cromatici impressi sulla tela, la gioia sincera del lavoro, è un’allegria quella distesa di piante e di fiori che occupano gran parte dell’interno, come nel “Giorno felice” ancora un pezzo di mare e di cieli azzurri sullo sfondo, anche ad aprire un varco al cambiamento. È un’allegria tutto quel bianco che riempie le spiagge nella quotidianità delle gite o dei soggiorni di Clotilde, la moglie di Sorolla, e dei loro figli (“Istantanea, Biarritz”, 1906, lei con una piccola Kodak tra le mani a riprendere gli attimi più preziosi, anche qui pennellate rapide e la materia del colore che s’imprime prezioso sulla tela, pennellate “sfrangiate” che stringono forte il personaggio e lo sfondo), l’incedere di Maria, la figlia maggiore, sulla spiaggia, mentre i raggi del sole colpiscono lo schiumeggiare della riva, gli abiti immacolati secondo le leggi della moda (“Antonio Garcia”, 1909). Il bianco, il dilagare del colore, di questo colore, diviene predominante, allontana la necessità, come era in passato, di dare tratti esatti ai volti. Ne nascono capolavori come “Sotto la tenda, la spiaggia di Zarauz” (1910), un tripudio di sole e di ombre, di vesti e di ombrellini e di cappelli di paglia, adagiati sull’aranciato della sabbia; o come “La siesta” (1911), dove l’artista ritrae la famiglia al completo nel riposo di un pomeriggio, solo l’abito di Clotilde spruzzato di un tenue rosato, immersi tutti nella forte, compatta macchia fatta di verde e di giallo che li circonda.

Anche l’interesse per la luce e i colori dei giardini colpisce inevitabilmente la pittura di Joaquin Sorolla, siano essi giardini privati o quelli dell’Alcazar di Siviglia o dell’Alhambra di Granada (sia quello della grande casa che il pittore s’era fatto costruire nel 1911 dall’architetto Enrique Marìa Repullés a Madrid, a racchiudere le aree di abitazione e di lavoro), un susseguirsi di archi e portali e distese di fiori che si riflettono in fresche vasche d’acqua. Mentre il successo europeo s’ingigantisce; mentre affida la propria arte ai ritratti (“l’anima di un ritratto è impalpabile e sfuggente e deve essere colta dal pittore con maggiore precisione e rapidità di quella che serve per rendere la tinta di una nube o il riflesso della luce su un’onda che si frange”, ebbe a sottolineare Sorolla), al chiuso di una sala o all’aperto, come quello newyorkese, esuberante, “grandioso”, di Louis Comfort Tiffany, ancora un signore in abito bianco, la tavolozza in mano e la tela davanti, inondato alle sue spalle di una quantità inverosimile di fiori, dai più svariati colori, ancora offerti con pennellate calde e ampie, robuste e concrete; mentre lega la propria arte allo studio del mondo greco (in Grecia non metterà mai piede ma subirà il completo fascino dei fregi del Partenone durante un suo soggiorno londinese, in occasione di una personale nel 1908 alle Grafton Gallieries) e romano (in passato, duranti gli anni del suo apprendistato, la possibilità di studiare l’antichità della capitale), ricavandone calde suggestioni nella composizione e nel gusto per le figure monumentali – basterebbe il solo esempio della “Veste rosa” (1916), “uno dei migliori che abbia mai realizzato”, due donne colte dopo il bagno, al riparo all’interno di una cabina dei raggi del sole che provengono dalla spiaggia attraverso i legni sconnessi, il corpo della ragazza bruna con indosso una veste rosata che aderisce con sensualità, a rappresentare in perfetto esempio statue antiche dal panneggio bagnato; in questo momento di nuovi lavori e di idee da sviluppare, fondamentale è l’incontro con il mecenate americano Archer Milton Huntington, appassionato di arte e scultura spagnole e fondatore nel 1904 dell’Hispanic Society of America di New York. L’uomo ha conosciuto l’arte di Sorolla a Londra, ne è rimasto entusiasta: la mostra nell’Upper Manhattan ottiene un successo senza precedenti e viene replicata con altrettanta affluenza di spettatori e di acquirenti a Boston e a Buffalo, due anni più tardi a Chicago e Saint Louis. Tra il 1910 e il 1911 Sorolla accetta una committenza straordinaria da parte di Huntington, un lavoro che assorbirà gran parte delle sue forze negli ultimi anni della vita: il ciclo “Visione della Spagna”, pannelli a olio di tre metri e mezzo d’altezza per una lunghezza complessiva di 70 metri, che lo vedrà impegnato sino al 1919 e per il quale l’artista si vedrà costretto a viaggiare e a documentare i costumi e l’umanità delle varie realtà del paese, i paesaggi e gli abiti tipici e i visi e il folklore.

L’ultima immagine di Joaquin Sorolla è quel giardino di casa sua, tanto desiderato, ancora un’occasione perché ogni colore trovi la propria esplosione, perché le luci e le ombre s’imprimano ancora una volta, perché ogni angolo prenda vita, i vasi di gerani, il roseto, i colonnati, lo stagno, le buganvillee che tutto invadono. Tra quelle visioni, le ultime, il pittore nel 1920 verrà colpito da quell’ictus che lo terrà lontano dal suo lavoro e che tre anni dopo, il 10 agosto 1923, lo porterà alla morte. Tra le ultime tele di Sorolla, “Giardino di casa Sorolla con sedia vuota”, le ombre e le luci che filtrano attraverso l’intricarsi delle foglie, i ricami sul terreno e sulla casa sullo sfondo. Consuelo Luca de Tena ricorda: “La poltrona di vimini su cui Sorolla siede in tante fotografie, mentre chiacchiera o dipinge, è vuota. Come un commiato.”

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, nell’ordine: “Istantanea, Biarritz”, 1906, olio su tela, Madrid Museo Sorolla; “Cucendo la tela”, 1896, olio su tela, Galleria Int. d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Venezia; “Tratta delle bianche”, 1894, olio su tela, Madrid Casa Sorolla; “Triste eredità”, 1899, olio su tela, Colleciòn Fundaciòn Bancaja, Valencia; “Sotto alla tenda, la spiaggia di Zarauz”, 1910, olio su tela, Madrid Museo Sorolla; “Giardino di casa Sorolla”, 1918-1919, olio su tela, Madrid Museo Sorolla; “Ritratto di Louis Comfort Tiffany”, 1911, olio su tela, The Hispanic Society of America, New York.

Maria Adelaide d’Asburgo Lorena: “Un angelo sul trono di Sardegna”

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Venerdì 1° aprile, primo incontro di approfondimento

Scrisse di lei Costanza d’Azeglio, scrittrice, animatrice di salotti frequentati da vari patrioti (fra cui Cavour e Pellico) e sposa di Roberto Taparelli d’Azeglio, fratello di Luigi e del più celebre Massimo: “Principessa che tutti ammiravano per la sua bellezza e che conquistava i cuori per qualche cosa di angelico negli sguardi, nei gesti e nelle parole che ne rivelavano l’animo”. Profondamente colta, caritatevole e devotissima alla Vergine Consolata (all’interno del Santuario un grande monumento in marmo bianco di Carrara opera di Vincenzo Vela, la raffigura inginocchiata al fianco della suocera Maria Teresa mentre il Comune di Torino le dedicò la piccola via a fianco dello stesso Santuario) a Maria Adelaide d’Asburgo Lorena – passata alla storia come la “non regina d’Italia”, in quanto sposa di Vittorio Emanuele II che divenne Re d’Italia solo nel 1861, sei anni dopo la sua prematura scomparsa, a soli 32 anni – la “Palazzina di Caccia” di Stupinigi dedica una mostra di grande interesse in occasione del bicentenario della nascita. L’esposizione (inaugurata lo scorso 25 marzo), organizzata dal “Centro Studi Vittorio Emanuele II”, è allestita nella “Galleria di Ponente” e rientra nel percorso di visita alla Palazzina, dove potrà essere visitata fino a domenica 1° maggio. In mostra troviamo oggetti, fotografie storiche, abiti, a cui si affiancano gli approfondimenti a cura di Maura Aimar con il “Centro Studi Principe Oddone”. In particolare, venerdì 1° maggio si terrà il primo approfondimento (obbligatoria la prenotazione)  dal titolo “Maria Adelaide: famiglia e figli” in cui si racconterà attraverso curiosità e aneddoti, la vita di Maria Adelaide e del suo matrimonio con Vittorio Emanuele II da cui nacquero otto figli: la primogenita Maria Clotilde, serva di Dio (la “santa” di Moncalieri); Umberto I Re d’Italia dal 1878 al 1900 (ucciso a Monza, il 29 luglio); Amedeo I Re di Spagna; Oddone Eugenio, nato con una grave malattia genetica e posto ai margini della vita di corte di casa Savoia; Maria Pia, regina del Portogallo dal 1862 al 1889 e altri morti in tenera età. Figlia secondogenita dell’arciduca Ranieri d’Asburgo (viceré del Lombardo-Veneto) e di Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella di re Carlo Alberto, Maria Adelaide nacque a Milano il 3 giugno 1822. Adele, come veniva chiamata in famiglia, ricevette un’ottima educazione, studiò diverse lingue, amava la lettura, ricamare e lavorare a maglia, ma anche – si dice – ballare. Come era consuetudine nella case regnanti, fu destinata, insieme alle sorelle, al matrimonio col cugino principe Vittorio Emanuele che, come allora si vociferava, avrebbe preferito la sorella maggiore Maria Carolina. Nell’agosto del 1840 fu organizzato a Racconigi l’incontro. Il fidanzamento, a causa di una lunga negoziazione, durò due anni. Il matrimonio fu celebrato a Stupinigi il 12 aprile 1842. Alcune curiosità: il suocero Carlo Alberto era anche suo zio, fratello della madre. La suocera, Maria Teresa d’Asburgo-Toscana, era anche sua cugina di primo grado. Maria Adelaide era inoltre pronipote di Maria Antonietta, ultima regina di Francia. Nel 1849, dopo l’abdicazione del suocero, Maria Adelaide divenne regina di Sardegna. Gentile e premurosa, adempì sempre con scrupolo ai doveri di sovrana, anche se il marito, pur stimandola, la tradiva ripetutamente, in particolare con Rosa Vercellana, la “Bela Rosin”, che poi, rimasto vedovo, sposò morganaticamente. Mite e remissiva, Maria Adelaide soffrì in silenzio, sostenuta da una fede profonda e dedicandosi all’educazione dei figli e alle opere di carità. Le continue gravidanze ne minarono in pochi anni il fisico. L’8 gennaio 1855, alla sua ottava tormentata gravidanza, diede alla luce un figlio che ebbe pochi mesi di vita. Qualche mese prima era morto, a tre anni, un altro figlio. Tutto ciò la minò profondamente nel fisico, finché un’ improvvisa e violenta gastroenterite la colpì – era il 16 gennaio – mentre in carrozza rientrava a palazzo dopo aver assistito al funerale della suocera che per lei era stata quasi una madre. Morì, assistita dal marito, il 20 gennaio 1855. Il funerale fu celebrato nella Chiesa di San Lorenzo, e fu poi sepolta nella Basilica di Superga.

  1. m.

“Maria Adelaide d’Asburgo Lorena”

Palazzina di Caccia, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (Torino); tel. 011/6200634 o www.ordinemauriziano.it

Fino al 1° maggio

Orari: dal mart. alla dom. ore 10/17,30

Nelle foto:

–       “Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide” (Gruppo Storico del Pozzo della Cisterna di Reano)

–       “Maria Adelaide d’Asburgo Lorena”

 

Emergenza climatica, alla Cavallerizza la proiezione del documentario Legacy 

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Il Glasgow Climate Pact e gli aggiornamenti scientifici dal VI Assessment Report dell’IPCC

 

Università di Torino, Aula Magna della Cavallerizza Reale Venerdì 1° aprile 2022, ore 16:00-19:45

INCONTRO E PROIEZIONE DEL FILM LEGACY
ALL’INTERNO DELLA ‘NOTTE DELLA GEOGRAFIA’

 

Il Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università di Torino – Corso di Laurea Magistrale in Economia dell’Ambiente, della Cultura e del Territorio e il Green Office di Ateneo UniToGO, in collaborazione con il Festival CinemAmbiente, organizzano, venerdì 1° aprile, dalle 16 alle 19.45, presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale, un incontro di discussione interdisciplinare sull’emergenza climatica, che si concluderà con la proiezione del documentario Legacy di Yann Arthus-Bertrand, proiettato a Glasgow in apertura della 26° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. …

“Tempora mutantur”, secondo concerto di primavera

L’Orchestra Polledro impegnata al teatro Vittoria martedì  5 aprile, nell’ambito della rassegna musicale 

 

Sarà  la musica di Wolfgang Amadeus Mozart protagonista del secondo concerto di primavera in programma martedì  5 aprile prossimo, alle 21, al teatro Vittoria, con l’Orchestra Polledro, nell’ambito della rassegna “Tempora mutantur”.

Sul podio Federico Bisio, direttore stabile d’orchestra, e primo oboe il maestro Carlo Romano, già primo oboe dell’Orchestra della RAI.

In programma la Serenata in Si bemolle maggiore KV 361 denominata  “Gran Partita”, con  Carlo Romano come oboe.

La Serenata n. 10 in Si bemolle maggiore K 361, nota anche come “Gran Partita”, fu probabilmente eseguita il 23 marzo 1784 nell’ambito di una “academie” del clarinettista Anton Stadler, presso il National Hoftheater di Vienna. Un articolo uscito in quell’occasione sul Wiener Blattchen annunciava di “un importante concerto di musica per fiati di un genere particolare, composto dal signor Mozart”.

Il resoconto di Gabriel Wilhelm Steinfeld conferma  che si doveva trattare della “Gran partita”, titolo non originale, ma apposto da mano ignota sul manoscritto  il quale, dopo un passaggio di proprietà, divenne accessibile agli studiosi solo dopo il 1942.

Notizie certe di una esecuzione della “Gran Partita” ci conducono a Vienna nel 1784, quando quattro movimenti della Serenata furono eseguiti  dalla Harmonie, gruppo di fiati di un’orchestra, della Corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton Stadler.

Questa composizione, il cui manoscritto è conservato presso la Gertrude Clarke Whittall Foundation Collection, nella Libreria del Congresso a Washington, si discosta dal tema galante che risultatipico di molte serenate mozartiane precedenti. Questo brano prevede ben tredici strumenti, di cui dodici a fiato e contrabbasso, e rappresenta la più ampia e complessa delle opere di questo compositore. La presenza del contrabbasso ha lo scopo di rendere piena e corposa la linea del basso e, per questo motivo, non è  corretto riferirsi a questa composizione come Serenata per tredici strumenti a fiato. La partitura originale non prevedeva la sostituzione del contrabbasso con il controfagotto; per la prima volta in una partitura di Mozart compare il corno di bassetto, un particolare tipo di clarinetto che suona una quinta sotto e che verrà utilizzato da Mozart anche ne “Il ratto del serraglio” e nel Concerto K 622, per il suo timbro  più scuro e pastoso rispetto al clarinetto classico.

Nel catalogo mozartiano la Gran Partita occupa una posizione di particolare rilievo per la grandiosità  della sua struttura formale, che conta ben sette movimenti, per la felicità dell’invenzione melodica  e armonica, oltre che per l’originalità dell’organico strumentale. Al complesso tradizionale di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che fanno per la prima volta la loro comparsa nell’opus mozartiano.

L’impianto, che è quello della Serenata, presenta il primo movimento, un Largo, che si apre con un’introduzione lenta, quasi sinfonica, che verrà  utilizzata poche altre volte dal musicista. L’introduzione così lenta in una Serenata risulta un aspetto piuttosto insolito, mentre sarebbe più usuale ritrovarla in una sinfonia o un in un quartetto.

L’Allegro molto, successivo, è  costituito da un solo tema che si sviluppa nella capacità  di dialogo tra i vari strumenti; i successivi sono due Minuetti con trii, che evocano melodie popolari. Tra di loro è racchiuso il celebre Adagio, che costituisce il punto più elevato della composizione e uno dei vertici della musica mozartiana sia per la ricercatezza del suono sia per la dolcezza della melodia e per la sua novità strutturale. Una sola coppia di corni sostiene e accompagna ora l’oboe, ora il clarinetto, ora il fagotto. Una Romanza anticipa il Tema con variazioni, in cui Mozart di volta in volta aggrega timbri strumentali.

Il finale è affidato a un Rondò. Allegro molto è un brano di grande colore, simile a una marcia, dove trova un’efficace espressione lo spirito gioviale e allegro del compositore, trattenuto solo da un uso contenuto del volume degli strumenti.

MARA MARTELLOTTA 

Ente organizzatore:

Orchestra da Camera Giovanni Battista Polledro

info@orchestrapolledro.eu

Biglietti in prevendita 15 euro su www.ticket.it

20 euro la sera del concerto presso il Teatro Vittoria, via Gramsci 4, a Torino, a partire dalle ore 20.