CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 256

Rock Jazz e dintorni a Torino. Raf e Angelo Branduardi

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Cafè des Arts suonano i Lametia. Al teatro Colosseo arriva Raf.

Martedì. Al Blah Blah si esibiscono i Bikini Mood. Allo Spazio 211 è di scena Peter White. Al teatro Colosseo 2 concerti consecutivi con orchestra per i Modà. Al Jazz Club suona il trio Underbar.

Mercoledì. Al Jazz Club si esibisce Zelda & The Blues Society. All’Osteria Rabezzana suona Emanuele Cisi con i Four & More.

Giovedì. Al Mad Dog si esibisce il quartetto Twombao. Allo Spazio 211 è di scena Mick Harvey con J.P Shilo, la cantante Amanda Acevoe e il quartetto d’archi Sometimes With Others. Al Dash suona la Ukuele Turin Orchestra. All’Hiroshima Mon Amour sono di scena i Sick Tamburo. Al Jazz Club suona il quartetto MiTo Hammond.

Venerdì. Al teatro Colosseo Angelo Branduardi con Fabio Valdemarin, presenta “Confessioni di un malandrino”. Al Magazzino sul Po si esibisce Farina Tree e Follia Nuda. Al Concordia di Venaria è di scena Cosmo. Al Folk Club si esibisce Jon Gomm. All Hiroshima Mon Amour è di scena Lucio Corsi. Al Blah Blah suonano i Vicious Rumors. Allo Spazio 211 si esibiscono i Leatherette con i Hangarvain. A El Paso suonano i Regrowth, Middle Finger e Toxic Youth.

Sabato. Da Gilgamesh si esibiscono i Melty. Allo Spazio 211 suonano i The Soft Moon. Al Jazz Club  sono di scena i Son Machito. Al Blah Blah suonano gli Alma Thaur. Allo Spazio Kairòs si esibisce Lastanzadigreta. Al Cap 10100 sono di scena i rapper Rico Mendossa, Dani Faiv e Jack The Smoker.

Domenica. Al Jazz Club suonano i Soul Food Family. I Casino Royale suonano alle OGR.

Pier Luigi Fuggetta

Barbara, ti ricordi Venezia?

Ti ricordi quel freddo pomeriggio di fine inverno a Venezia? Ci eravamo persi tra le calli di Cannaregio, dove la città sfuma verso oriente nel silenzio ovattato da quella impalpabile nebbia.

 

Tu fotografavi e mi dicevi: “Adoro Venezia, perché ogni volta che ci torniamo è diversaogni volta che ci torniamo riusciamo a scorgere qualcosa di nuovo che la volta precedente ci era sfuggito”. E mentre parlavi ti stringevi a me. E io ti cingevo le spalle con un naturale gesto d’affetto e protezione. Camminavamo senza avvertire stanchezza, in cerca d’immagini ed emozioni. In fondo alle Fondamenta Nove, dove la laguna si fa larga e quasi mare, s’intravedeva la sagoma dell’isola di San Michele. Come un antico pesce galleggiava nella bruma, quasi sospesa tra l’acqua grigia e il cielo intonato al più brunito dei metalli. Oltre al cancello di ferro battuto, il silenzio del riposo dei morti: dei più umili e di quelli che, in vita, suscitarono passioni e invidie. E più giù, varcato il confine immaginario del sestiere del Castello, l’imponente edificio dell’Arsenale, per secoli il più grande del mondo, con i suoi leoni a far da immobili guardiani al cantiere e ai granai della Serenissima repubblica. Scattavi immagini e nelle pause, guardandomi negli occhi, mi sorridevi, felice. Felice di poter trattenere nella memoria della reflex i colori delle case e delle barche che si fondevano le une nelle altre, specchiandosi in quell’acqua che ha visto passare secoli di storie e di passioni. Di tanto in tanto s’intravvedeva qualche veneziano andare di fretta tra un ponte e l’altro, nei pressi delle chiese di San Zaccaria e San Giovanni in Bragora. Un brivido, un lungo brivido lo provammo quando, ormai persi senza meta, in prossimità del Ponte dei Conzafelzi incontrammo la Corta Botera dove un tempo c’erano i fabbricanti di botti. E più avanti la Corte Sconta detta Arcana di  Corto Maltese, marinaio mai sazio d’avventure. Seguendo la sua ombra e quella di chi gli diede la facoltà di vivere nel suo mondo di viaggi e d’amori di carta, scopriamo la “favola di Venezia”. Accompagnati dall’ombra di Hugo ci avviamo verso i tre luoghi magici e nascosti. Sembra d’udire la voce profonda, mediterranea, di Corto: “Uno in Calle dell’Amor degli Amici, un secondo vicino al Ponte delle Maravegie, il terzo in Calle dei Marrani, nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i Veneziani (qualche volta anche i Maltesi …) sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e, aprendo le Porte che stanno nel fondo di quelle Corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”. E noi, tornando a Venezia una, due, cento volte faremo lo stesso, schiudendo cancelli e abbassando la testa nei sotopòrteghi. Incontreremo per la strada ogni cinquanta, cento metri un ponte, e poi un altro e un altro ancora.  Una ventina di gradini da salire e altrettanti da scendere. Così continueremo ad andare, a salire e scendere, tra calli e campielli, canali e rii terà, scoprendo che Venezia non è piatta; è un continuo dislivello, tutta groppe, dossi, gnocchi, schiene gibbose, avvallamenti, depressioni, displuvi; le fondamenta digradano verso i rii, i campi sono trapuntati dai tombini come bottoni affondati nei gonfiori di una vecchia poltrona. Perdersi in lei, in compagnia di noi stessi, non ha alcun prezzo. Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Polo, Santa Croce e poi San Marco. Dipinti di Canaletto, Tiziano e Tiepolo nelle chiese, tra candele accese e vecchi altari. Calli, ponti e selciati ci porteranno dal mercato del pesce di Rialto fino a Campo SS. Giovanni e Paolo, dalla Basilica di Santa Maria della Salute – l’ex voto dei veneziani graziati dalla peste – alla Madonna dell’Orto, dove una delle statue degli apostoli contiene all’interno una delle trenta monete d’oro che furono date a  Giuda per tradire Gesù. Da un campo all’altro ci si troverà come d’incanto sull’orlo della laguna, dove Venezia da ogni parte incontra l’acqua, riflettendovi la sua immagine. Così camminando fino a sfinirci ci troveremo al Campo del Ghetto Nuovo, tra sinagoghe e nebbie, profumi di spezie della cucina kosher e vecchi rabbini di nero vestiti. E lì, stringendoti forte e dopo averti baciata, ti offrirò in dono i versi di un poeta turco nato a Salonicco quand’era ancora una città dell’impero ottomano. Versi scritti a mano su carta leggermente crespa: “Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto”. E ci riposeremo, abbracciati, con i versi di Nâzım Hikmet sulla bocca e nel cuore.

Marco Travaglini

“Dance me to the end of love” è il titolo del cartellone 2023 di Torinodanza

In programma dal 14 settembre al 25 ottobre prossimi, vi si sposano perfettamente contemporaneo e classicità

 

Torinodanza 2023 sarà in programma dal 14 settembre al 25 ottobre prossimi e vuole fotografare le idee, i tumulti che caratterizzano questi tempi inquieti e i modi in cui si formano i nuovi immaginari culturali,  il bisogno di armonia e di condivisione, utilizzando il corpo come strumento per poter rispondere a nuovi interrogativi e opportunità che la società ci presenta quotidianamente.

Giusto alla sua 36esima edizione il programma di quest’anno  si intitola “Dance me to the end of love”. Un programma internazionale  che raccoglie 33 rappresentazioni, 3 luoghi teatrali, 4 prime nazionali, sette coproduzioni e 15 compagnie provenienti da otto diversi Paesi, tra cui Australia, Belgio, Germania, Israele, Italia,  Regno Unito, Spagna, Svizzera.

Il Festival   Torinodanza si conferma una vetrina molto importante realizzata dal Teatro Stabile di Torino e diretta da Anna Cremonini, che ha voluto sottolineare, fin dal manifesto, la relazione presente tra le produzioni più d’avanguardia e la tradizione classica.

“ La danza contemporanea  – ha sottolineato la direttrice Anna Cremonini – si avvale di danzatori che hanno una formazione tecnica classica molto accentuata,  che non impedisce di coniugarsi con un  linguaggio contemporaneo. Un problema abbastanza irrisolto riguarda il  concetto di classico, che è  patrimonio del repertorio lirico-sinfonico, mentre la danza contemporanea è  altrove, nei festival, nelle programmazioni dei teatri. In realtà  i due elementi sono strettamente legati, si guardano l’un l’altra

Infatti la coreografia contemporanea non si basa soltanto sui fondamenti della danza classica, ma spazia attraverso qualunque tipo di forma di ricerca e movimento.

Questo rapporto è  alla base di tutta la cultura contemporanea e verrà  esplorato attraverso il lavoro di artisti come Peeping Tom, Oona Doherty, la Sidney Dance Company o il Ballet du GrandThèatre di Ginevra, Akram Khan

Un’attenzione particolare è  rivolta alla scena italiana,  con una serie di spettacoli che intrecciano rapporti e esperienze, provando a superare barriere e distinzioni. Protagonisti italiani, ma di carattere internazionale della rassegna, saranno Silvia Gribaudi, Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi, Teodora Castellucci e Francesca Pennini.

A questi artisti si affiancheranno anche quelli selezionati nell’ambito del progetto  Art-Waves, con il sostegno  della Compagnia di San Paolo di Torino. Protagonisti, questa volta, saranno la Compagniia Egri Bianco Danza, il Balletto Teatro di Torino, la cordata For creata da Francesco Sgro’ e Album Arte con Daniele Ninnarello

Per questo motivo il titolo “Dance me to The end of Love” è  assolutamente emblematico.

MARA MARTELLOTTA

Il grande sax di Emanuele Cisi a Torino

Mercoledì prossimo arriva in Osteria Emanuele Cisi uno dei più bravi sassofonisti a livello Europeo. con:
Four & More: un programma di brani originali e di standard della grande tradizione jazz

Attivo dalla metà degli anni ’80, Emanuele Cisi è uno dei sassofonisti tenori più apprezzati sulla scena internazionale. Dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Russia al Sud America e al Sud Africa, il suo suono ha conquistato legioni di jazz fans. Ha inciso una dozzina di album a suo nome, di cui gli ultimi due per la Warner Music, e un centinaio come sideman. Emanuele Cisi si esibirà per la prima volta in Osteria accompagnato da un trio di eccellenti talenti che in periodi diversi del recente passato sono anche stati suoi studenti nella classe di Musica di Insieme Jazz al Conservatorio Verdi.
Con Emanuele Cisi, sax tenore
Gianluca Palazzo, chitarra
Veronica Perego, contrabbasso
Francesco Brancato, batteria

L’autobiografia della Vedova Calabresi tra perdono e memoria storica

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Sono stato ad una presentazione del libro  “La crepa e la luce – Sulla strada del perdono” (ed. Mondadori)  di Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi ammazzato dai sicari di Lotta continua nel 1972. La signora Calabresi coglie l’occasione per tracciare una sua autobiografia all’insegna del perdono,  essendo ormai giunta a 75 anni di età.  Incontrandola,  ho detto pubblicamente  che è riuscita a trasformare una tragedia in poesia. Ho seguito con attenzione e anche commozione le sue parole ed oggi ho letto il suo libro.  Sotto il profilo umano emerge una donna fragile e forte ad un tempo che ha trovato nella fede il superamento di ogni odio sicuramente comprensibile in una persona che perdette il marito all’età di venticinque anni.
La Signora Calabresi è mia coetanea ed è anche torinese di origine: la nostra memoria quasi coincide ed ho sentito un’attrazione sentimentale verso questa donna che è riuscita a vivere due matrimoni tanto diversi uno dall’altro. Io ho conosciuto il figlio Mario Calabresi in alcune occasioni. Venne anche al ricordo di Carlo Casalegno che tenni nel luogo in cui subì l’agguato mortale delle Br. Posso dire che la vedova di Carlo Casalegno Dedi  nutriva sentimenti  molto diversi da quelli della Signora Calabresi e di suo figlio Mario. Così debbo dire anche  di un mio carissimo amico, il maestro Massimo Coco, figlio del Procuratore Generale di Genova  Francesco Coco  freddato dai brigatisti con la sua scorta. Massimo Coco ha scritto un grande libro destinato ad entrare nella memorialistica  del Novecento “Ricordare stanca” che ho presentato in diverse occasioni in cui dice anche con chiarezza che lui non è disposto a perdonare perché gli assassini di suo padre non sono mai stati identificati. Gemma Calabresi ha cercato invece nel suo libro addirittura di identificarsi nella vita dei responsabili della morte di suo marito, pensando a gente che avrebbe potuto anche fare del bene oltre che del male. Nel libro si parla  inoltre dei suoi incontri con il pentito Leonardo  Marino e degli “esuli” francesi condannati per l’omicidio Calabresi che non hanno mai fatto un giorno di carcere  per l’accoglienza loro accordata da Mitterand e confermata di recente dalle autorità d’Oltralpe. La comprensione della vedova Calabresi è sicuramente rispettabile, ma poco condivisibile. Con lo stesso metro avrebbe accordato fiducia anche al pluriomicida Battisti.  Sofri, il mandante, il capo supremo di “Lotta continua”, e’ difficile da perdonare non fosse altro perché mando’ allo sbaraglio tanti giovani in anni in cui bastava una parola per uccidere.  Ho chiesto alla Signora Calabresi cosa pensasse del delirante ed infame manifesto pubblicato su “L’Espresso” nel 1971 che raccolse 757 firme di intellettuali o sedicenti tali, il Gotha della cultura oltre che del culturame.
Persone come Giorgio Amendola firmarono il manifesto  insieme a Bobbio che si dissociò  molto tardivamente. Natalia Ginzburg  interrogata anni dopo disse: ”Non so cosa si vuole da me , non ho niente da dichiarare“. Il famoso critico Giulio Carlo Argan disse di “non ricordare nulla e di non volerne più parlare“.
A suo tempo mi sorprese che una storica dell’arte torinese stimata Anna Maria Brizio fosse stata tra i promotori del manifesto insieme a Musatti, Paci e Salinari, quello dell’ agguato di Via Rasella.
Ho raccontato in articoli e in un libro come fosse stata carpita da Moravia a Mario Soldati  la firma.  La signora Calabresi ha minimizzato il significato dell’appello di quasi tutta la cultura italiana  che armò la mano agli assassini del marito, dicendo che molte adesioni vennero ricavate dagli indirizzari di alcune associazioni. Può essere vero, come è vero quanto scrivo io per Soldati, ma solo in pochissimi si dissociarono dopo parecchi  anni. Bobbio espresse orrore per il testo sottoscritto.
Comprendo benissimo che armare la mano degli assassini con delle parole deliranti non equivalga ad ammazzare qualcuno, ma speravo che la signora Calabresi si sarebbe espressa  in un altro modo – pur perdonando tutti – nei confronti del meglio e del peggio della cultura italiana di allora che giudicò quasi coralmente  suo marito un assassino con le mani sporche di sangue dell’anarchico Pinelli. Io non riesco a dimenticare l’infame manifesto e non posso non ricordare che Giampaolo Pansa, Marco Pannella, Alberto Asor Rosa   e Sandro Galante Garrone rifiutarono la firma: rari nantes in gurgite vasto del conformismo e della violenza che sfociò nel terrorismo armato di cui l’ammazzamento di Calabresi fu il tragico inizio.
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scrivere a quaglieni@gmail.com

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Susan Taubes “Divorzi” -Fazi Editore- euro 19,00

E’ l’unico romanzo della scrittrice ungherese –americana Susan Taubes, nata a Budapest nel 1928. Muore suicida a 41 anni, nel novembre 1969, gettandosi nell’oceano al largo di Long Island, pochi giorni dopo l’uscita di questo libro. Il suo cadavere ripescato in mare fu identificato dall’amica intellettuale e scrittrice Susan Sontang che imputò la causa scatenante del gesto estremo alla stroncatura della critica. Ma non fu l’unica molla a spingerla a congedarsi dalla vita.

E questo ci conduce alla storia della protagonista del romanzo, Sophie Blind, alter ego dell’autrice e portatrice come lei di un certo male di vivere. Il romanzo inizia con la morte di Sophie, in Avenue George V a Parigi, travolta e decapitata da un’automobile mentre attraversa la strada per prendere un taxi. Era appena stata dal parrucchiere e così muore sotto la pioggia, ma con la capigliatura in ordine.

Da morta Sophie ripercorre in ordine sparso – non cronologico ma sentimentale- gli eventi più importanti della sua vita.

Dopo 15 anni di soffocante matrimonio in cui è stata la moglie-trofeo, sempre al seguito del consorte in giro per il mondo, vuole il divorzio e riappropriarsi della sua esistenza.

E’ rimasta intrappolata in un destino diverso da quello che avrebbe voluto. Nelle pagine ricorre il desiderio di divorziare, anche perché tanto per cominciare non avrebbe mai voluto convolare a nozze.

La storia è semiautobiografica e la vita della Staubes fu parecchio complicata. Era emigrata negli Stati Uniti nel 1939 insieme al padre; lo psicoanalista (misogino e pioniere delle terapie freudiane) Sándor Fieldmann (seguace della scuola del celebre psicoanalista e psichiatra Ferenczi).

Tra le pagine del romanzo c’è anche molto del suo matrimonio infelice con il filosofo, teologo e rabbino Jacob Taubes, (uomo insopportabilmente pieno di sé) che si rivelerà inadeguato; così come lo saranno gli altri uomini della sua vita, incluso un nonno rabbino di cui subì il peso e l’influenza.

La Taubes fu un’intellettuale di alto livello, prima donna ad ottenere un dottorato ad Harvard in Storia e Filosofia della religione, insegnante alla Columbia University.

La Sophie del romanzo rivede l’intera sua vita, tra viaggi e amanti, compresa la fuga a Parigi d’accordo con il marito Ezra restio alla separazione. E punta il dito accusatore contro l’imperante maschilismo dei newyorkesi colti, ma parecchio ottusi nonostante il loro sapere. Questo è un libro che testimonia l’esigenza di una donna intelligente sopra la media di ridefinire la sua identità.

 

Lawrence Osborne “Il regno di vetro” -Adelphi- euro 20,00

Lo scrittore inglese 65enne Lawrence Osborne, nato a Londra e cresciuto in Inghilterra, viaggiatore, autore di saggi di viaggio e romanzi, da 10 anni vive in Thailandia, dopo aver girato mezzo mondo. Per 20 anni residente a New York, poi a Istanbul, Parigi, Marocco, Polonia e Messico.

Questo romanzo è ambientato nel complesso residenziale in cui lo scrittore vive da 10 anni a Bangkok, dove aleggia una certa atmosfera che lo intriga e lo ispira. Vivendo nel clima tropicale in cui la frescura si affaccia di notte, Osborne ha l’abitudine di scrivere nel silenzio dalle 10 di sera fino alle 4 del mattino, seduto alla scrivania sul balcone, circondato dai suoni della giungla.

Nel complesso di case a Bangkok in cui la storia è ambientata, composto da 4 torri di 21 piani collegate da passaggi di vetro, vivono parecchie persone che si spiano vicendevolmente, e quasi tutte nascondono qualche segreto.

Sono i “farang”, ovvero viziati e viziosi turisti occidentali, planati nella capitale thailandese sperando di vivere in un paradiso-rifugio esotico, lontano dalla frenesia dei loro paesi di origine. Per lo più sono uomini d’affari giapponesi, dirigenti di azienda americani, ma anche sudamericani e in genere persone in cerca di avventure, che non disdegnano escort asiatiche di alto bordo.

Tra di loro c’è anche la protagonista, Sarah Mullins, giovane americana fuggita in Thailandia con una valigetta piena di soldi di dubbia provenienza . Lei è una segretaria che ha truffato la scrittrice per cui lavorava e ora cerca rifugio lontano dal paese del misfatto.

Senza anticiparvi troppo, la Bangkok che nei suoi progetti doveva essere il rifugio in cui costruirsi una nuova identità e vita, si rivela invece un inferno, tra tumulti politici, karma negativo, un regno di vetro che è una lussuosa trappola.

 

 

Lawrence Osborne “Cacciatori nel buio” -Adelphi- euro 19,00

C’è tutto il fascino dei templi Khmer di Angkor Wat e della giungla cambogiana in questo romanzo del 2015, in cui Osborne dipinge una nazione enigmatica, impenetrabile per la sua natura, terra bellissima ma come gravata da una maledizione. Paese dell’Indocina con una storia recente spaventosa: il genocidio sotto il regime dei Khmer Rossi di Pol Pot che ha sistematicamente eliminato un terzo della popolazione.

Maledette anche le vicende dei personaggi. Protagonista è il giovane professore d’inglese Robert Grieve che, stufo della sua vita, ha deciso di lasciare per un po’ l’uggioso Sussex ed è partito all’avventura sul confine tra Thailandia e Cambogia.

E’ un barang, ovvero uno straniero, e viaggia con la guida cambogiana Ouksa che lo conduce in un casinò dove Robert inaspettatamente vince una bella somma; di quelle con cui nel paese asiatico si può vivere a lungo e bene. Una vincita che però innescherà una serie di eventi e incontri che finiranno per sparigliare le carte del suo destino.

Durante il viaggio incontra un altro barang che caratterialmente è il suo opposto. Si chiama Samuel Beauchamp: una sorta di dandy americano dell’upper class, debosciato e dedito alle droghe, che ha usato l’eredità del nonno per vagabondare nel mondo.

In Cambogia si accompagna ad una sensuale ed enigmatica donna del luogo. Quando conosce Robert lo invita a una partita di scacchi che dire insidiosa è poco.

Ma per l’ingenuo inglese sarà anche l’occasione da cogliere per diventare come invisibile, ed imprimere una svolta alla sua esistenza mimetizzandosi nel paese asiatico.

Ulteriori sviluppi ed altri incontri attendono Robert, compreso quello con il controverso poliziotto Davuth, “fantasma “ del truce passato dell’Angar di Pol Pot.

Sarà proprio questo ex aguzzino -che odia i barang e si diletta ad attendere, ripescare e derubare di tutto gli averi i loro cadaveri restituiti dal fiume- a sospettare la vera identità del protagonista.

Un romanzo a tratti tenebroso o fiabesco in bilico continuo tra vita e morte, vivere e non vivere, destino e karma, sullo sfondo di una Cambogia che è unica al mondo e se vi capita l’occasione vale la pena visitare.

 

Dominique Fortier “Le città di carta” -Alter Ego- euro 16,00

Questo breve ma intenso libro della scrittrice canadese è ispirato alla vita quasi monastica della poetessa Emily Dickinson, nata nel 1830 nella zona residenziale di Homestead della cittadina di Amherst in Massachussets, morta nella stessa casa nel 1886.

Quando era stata edificata dal nonno della scrittrice era la prima dimora in mattoni della città, poi l’antenato l’aveva persa ed era stato il padre di Emily a riscattarla nel 1855, riconducendovi la famiglia e la figlia 25enne che ritrovò così il nido sicuro dell’infanzia.

E’ lì tra quelle mura e nell’ampio parco-giardino circostante che Emily trascorre tutto il suo tempo terreno, coltivando non solo i fiori ma soprattutto il suo delicatissimo sentire interiore. Gran parte dell’ispirazione per le sue liriche arriva da quel giardino che è la più grande delle galassie in cui Emily si annulla «..Scompare dietro il filo d’erba che, senza di lei, non avremmo mai visto. Non scrive per esprimersi: qui è vissuto un fiore, per tre giorni di luglio dell’anno… ucciso una mattina da un acquazzone. Ogni poema è una minuscola tomba eretta in memoria dell’invisibile».

Aveva una certa frequentazione della morte, dapprima sviluppata tra i 10 e i 25anni nella casa temporanea in Pleasant Street, davanti a un cimitero; e più volte al mese vedeva «dalla finestra la morte passare in processione». Da allora con la sua scrittura sottile compone pensieri che prendono spunto dal verde e dalla natura che la circonda, poi li lascia volare dentro di sé per farli planare in versi poetici tra i più intensi mai scritti.

E non va dimenticato lo strepitoso erbarium realizzato dalla Dickinson durante l’adolescenza: 66 pagine, 420 esemplari di fiori e piante, disposti con una cura dettata da una preoccupazione estetica, più che dal rigore scientifico.

Una vita trascorsa tra le pareti di casa e in famiglia, apparentemente senza fatti degni di nota. In realtà quando si chiudeva nella sua stanza, nel silenzio sentiva le potentissime voci e i pensieri che abitavano nella sua testa.

 

“The Best of cycling 2022” al Forte di Bard

Le più belle e suggestive immagini di un’annata di ciclismo esposte al valdostano “Forte di Bard”

Fino al 10 settembre

Bard (Aosta)

“Che mai ci azzeccano – verrebbe da chiedersi in prima lettura – due ufficiali della cavalleria ungherese, con tanto di uniformi storiche e spada sguainata, lì a tirar la corsa a quattro impegnatissimi ciclisti (anch’essi in impeccabile divisa sportiva e caschi – bici d’ultima generazione incollati in testa), attori – non lì per caso – dietro il meraviglioso giallo chiaro di paradisiaci campi di colza?” La scena carpita al volo da una “fotocamera Reflex” che ben sapeva (apprezzamento riferito a chi la teneva fra le mani e a portata d’occhio) il fatto suo, è davvero, in tutti i casi, esemplare. Da massimo dei voti. Pittoricamente quasi astratta per la nitida e perfetta geometria degli spazi narrativi e l’urlante (in senso positivo) vigoria dei colori. Tant’è che proprio a questa foto è andato il primo premio del “The Best of cycling 2022”, concorso di fotogiornalismo ciclistico organizzato come sempre, dal 2017, da Roberto Bettini, decano dei fotografi di ciclismo. L’autore dello scatto è il giovane Luca Bettini, figlio d’arte, milanese e fra i nomi più prestigiosi della “Sprint Cycling Agency” e della “Gazzetta dello Sport”. Il suo scatto immortala alcuni partecipanti al “Giro d’Italia 2022” (edizione 105 della “Corsa Rosa”, vinta dall’australiano Jai Hindley) durante una delle prime tappe svoltesi in Ungheria, con partenza dalla piazza degli Eroi di Budapest. Ebbene, la foto di Bettini è oggi esposta, insieme ad una cinquantina di altre immaginipartecipanti al concorso e fino al 10 settembre, nella nuova edizione della mostra (7mila i visitatori dello scorso anno) allestita alle “Scuderie” del “Forte di Bard”, con la curatela di Federico Bona e il contributo di due campioni quali Claudio Chiappucci e Paolo Bettini. “Il Forte si propone così – dicono i responsabili – di essere a suo modo protagonista della grande ‘Festa Rosa’ che vedrà il prossimo 19 maggio il ‘Giro d’Italia’ percorrere le strade della Valle d’Aosta nella tappa che porterà la corsa da Borgofranco d’Ivrea a Crans Montana, in Svizzera. Una delle tappe più impegnative dell’edizione 2023, che ancora una volta passerà proprio sotto le maestose mura del Forte di Bard”.

Giunto alla sua sesta edizione, “The Best of cycling”  riunisce, in una perfetta cornice, una rassegna di scatti, rigorosamente riferiti alla scorsa stagione, che hanno l’obiettivo di “suscitare emozione, valorizzando quel patrimonio unico che è il ciclismo, nei suoi più svariati aspetti”. Arduo, come sempre, il compito dei giurati chiamati a decretare il vincitore. Quest’anno la Giuria ha dovuto valutare 163 immagini proposte da 55 fotografi di 14 diverse nazioni, che hanno immortalato momenti dei “Grandi Giri” e delle “corse minori”, su palcoscenici noti a tutti o in sperduti angoli del mondo, sempre dando un tocco di originalità ai propri scatti.

Alle spalle del primo classificato, Luca Bettini, il concorso ha visto il piazzamento dello statunitense James Startt, al secondo posto, e terzi, a pari merito, il francese Xavier Pereyron e il romano Ilario Biondi, soprannominato “Fellini” da amici e colleghi.

Per questa seconda edizione al “Forte di Bard”, la mostra “The Best of Cycling” si avvale di una prestigiosa partnership con “Colnago”, azienda produttrice di biciclette da corsa di alta gamma fondata a Cambiago (Mi), nel 1954, rivelandosi ben presto come una delle produttrici più creative e vivaci. E a Bard, in occasione della rassegna l’azienda milanese esporrà i modelli “Prototipo”, che ha debuttato al “Tour de France 2022”, conquistando il secondo posto finale con Tadej Pogačar e la “TT1”, prima bicicletta “Colnago” espressamente studiata per le prove a cronometro.

Gianni Milani

“The Best of cycling”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 10 settembre

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19

Nelle foto:

–       Luca Bettini: “Giro d’Italia 2022”, foto vincitrice “The Best of cycling”

–       Veduta “Forte di Bard”

La galleria torinese Spazio 44 celebra l’originale e variegata arte della giovane artista iraniana Hanieh Eshtehardi

Ha inaugurato venerdì 5 maggio scorso, alle 18.30, presso la Galleria Spazio 44, in via Maria Vittoria 44/DEF, la personale della giovane artista iraniana Hanieh Eshtehardi dal titolo “Risveglio”, in visione fino al 26 maggio prossimo.

“Da alcuni anni seguo il lavoro di Hanieh Eshtehardi, giovane iraniana diplomata all’Accademia Albertina  di Belle Arti – spiega Edoardo Di Mauro. La mia convinzione  sulla qualità e serietà  del suo lavoro sta conoscendo conferme crescenti.

Hanieh, da anni residente in Italia, rappresenta la componente cosmopolita del suo Paese, anche se si richiama alla tradizione millenaria storica della Persia, prima dell’avvento del regime khomeinista che, nel lontano 1979, aveva illuso sulla bontà delle sue intenzioni, provocando una politica di repressione delle principali libertà individuali”.

“L’arte di Hanieh Eshtehardi ha conosciuto – precisa  il direttore Edoardo Di Mauro – due diverse fasi di sviluppo, apparentemente diverse, ma in realtà intimamente collegate, portatrici di una ricerca pittorica di estrema raffinatezza formale. A Torino è stata protagonista di una personale  presso la Galleria del Museo di Arte Urbana, e tale raffinatezza è  erede della grande tradizione iconografica persiana, dove il lavoro risulta meticoloso  e rappresenta una adesione spirituale ai valori del medesimo.

Le opere della prima fase di ricerca  sarà possibile ammirarle in questa ampia personale presso la Galleria Spazio 44. Esse indagano la condizione femminile e l’ossessione per l’immagine e la cura del corpo”.

Si tratta di una delle ultime propaggini dell’avanguardia novecentesca che, negli anni Settanta,  diede vita alla body art, disciplina in cui il corpo si liberava dai vincoli in cui per secoli era stato ingabbiato e dalla cui sudditanza  non era mai stato pienamente emancipato.  Il corpo, attraverso la “body art” si liberava dai vincoli, ma soprattutto riscopriva  se stesso come elemento comunicante e artistico, fondendosi empaticamente con l’esterno e l’altro da sé, a partire dalla propria condizione di terrore e consapevolezza”.

Hanieh Eshtehardi ha realizzato ritratti di uomini e donne delle classi altolocate, riprendendo la tecnica delle opere originali risalenti ai secoli diciassettesimo e diciottesimo. L’artista è,  però,intervenuta sui volti e corpi dei soggetti raffigurati, modificati con immagini anatomiche contemporanee,  che sono state oggetto di manipolazioni estetiche, ottenute tramite interventi di chirurgia plastica. L’artista ha posto in essere due diverse versioni della bellezza, quella classica e quella contemporanea, intrisa di superficialità,  con un corto circuito spazio temporale profondo, non percettibile nell’immediato, ma con un procedimento che si inoltra  verso la dimensione mistica del postumano.

I lavori dell’artista appartenenti al periodo più recente possono apparire assai distinti come esiti, virando in maniera decisa verso l’aniconicità, ma in realtà rappresentano una prosecuzione della stessa linea di ricerca, in direzione di una essenzializzazioneformale.

L’arte persiana classica rappresenta sempre la forma primaria di ispirazione, anche se la dimensione simbolica e spirituale della composizione vira verso un linguaggio postmoderno e postmoderno dell’astrazione. Armonia e minuziosità del dettaglio si liberano da gabbie compositive  per esprimere in tutta la loropotenza il colore  e il ritmo visivo.

Il ritmo è  quello delle tonalità primarie indirizzato in direzione di un’astrazione distante, comunque, dalla gabbia geometrica primo novecentesca.

Spazio 44, via Maria Vittoria 44

MARA MARTELLOTTA

Storia di un bambino e di un pinguino. Favole a merenda

Sonic Blossom di LEE Mingwei e Buddha10 reloaded, in mostra al Mao

Sonic Blossom

6 maggio – 4 giugno 2023

 

Buddha10 Reloaded

6 maggio – 3 settembre 2023

 

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

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Lee Mingwei, Sonic Blossom, 2013 | 2015. Performance view at the Metropolitan Museum of Art, New York, USA

Photo Courtesy of LEE Studio, Photo by Anita Kan

Commissionata per l’inaugurazione del National Museum of Modern and Contemporary Art, Corea, nel 2013, e dopo essere stata presentata nelle più prestigiose istituzioni internazionali quali il Centre Pompidou di Parigi e il Metropolitan Museum of Art di New York, la performance partecipativa dell’artista taiwanese-americano LEE Mingwei arriva per la prima volta in Italia al MAO, dove sarà visibile per un mese.

Sonic Blossom è parte dell’evoluzione della mostra Buddha10. Frammenti, derive e rifrazioni dell’immaginario visivo buddhista, che apre al pubblico il 6 maggio profondamente rinnovata.

 

Il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Torino e con l’Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia, ha il piacere di presentare per la prima volta in Italia la performance Sonic blossom dell’artista LEE Mingwei (Taiwan, 1964).

Dal 6 maggio al 4 giugno 2023 Sonic Blossom verrà performata al MAO, nel Salone Mazzonis, dando vita a un dialogo con il pubblico, con le opere delle collezioni permanenti e con la mostra temporanea Buddha10. Frammenti, derive e rifrazioni dell’immaginario visivo buddhista.

Per cinque settimane nelle sale del museo si avvicenderanno sette cantanti della Scuola di musica vocale da camera di Erik Battaglia del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, selezionati e formati da Lee Mingwei in collaborazione con lo stesso professor Battaglia.

Fra tutti i visitatori che incontreranno, ne sceglieranno uno a cui offrire in dono un Lied di Schubert; se questa persona accetterà l’offerta, sarà condotta nel Salone Mazzonis al primo piano e avrà inizio la performance.

Le esibizioni sono strettamente legate alla partecipazione dei visitatori e si svolgeranno il martedì, il mercoledì e il giovedì dalle ore 15 alle ore 17; il venerdì, il sabato e la domenica dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 17.

Sonic Blossom è stata concepita da LEE Mingwei a seguito di un’esperienza personale e intima: “Sonic Blossom è nata mentre assistevo mia madre nella convalescenza dopo un intervento chirurgico. Trovavamo entrambi un grande conforto nell’ascoltare i Lieder di Franz Schubert. Quei brani si presentavano a noi come doni inaspettati, che ci tranquillizzavano e senza dubbio contribuivano alla guarigione. A un altro livello, vedere mia madre debole e malata rendeva di colpo molto reale la sua (e la mia) mortalità; l’invecchiamento, la malattia e la morte per me non erano più un’astrazione, ma qualcosa di immediato e presente. Un giorno lei non ci sarà più… e nemmeno io. Come i Lieder di Schubert, le nostre stesse vite sono brevi, ma tanto più belle in virtù di questo.

Per la sua capacità di generare una connessione profonda fra due individui fino a quel momento estranei, l’installazione performativa partecipativa Sonic Blossom è un dono trasformativo offerto ai visitatori del museo, un commovente invito alla fiducia e alla consapevolezza di sé.

La performance di LEE Mingwei – una mostra senza oggetti – è parte integrante del nuovo allestimento di Buddha10, che proprio il 6 maggio apre al pubblico profondamente rinnovata. Il legame con quest’ultimo progetto è particolarmente significativo e profondo: uno degli aspetti più rilevanti del buddhismo è infatti la pratica della compassione e del dono – comunicato da cuore a cuore – nucleo vibrante dell’opera Sonic Blossom.

Nel rinnovato percorso di mostra entra anche un’altra opera di LEE Mingwei: si tratta di Spirit house, video che racconta l’omonima installazione partecipativa realizzata per l’Art Gallery of New South Wales nel 2022, e troverà collocazione nell’ultima sala della mostra, in sostituzione di Moving Gods di Lu Yang.

Kan Xuan, A monk, 2006, video in bianco e nero / black and white video

A sostituire Prana, opera site specific realizzata da Andrea Anastasio e Stefano Mancuso per la prima sala della mostra, sarà invece un’installazione di Francesco Simeti (Palermo, 1968) dal titolo Come un limone lunare: una grande macchina scenica che parte da una serie di immagini di animali, foglie, fiori per riflettere sulla loro percezione e sul contrasto fra i concetti di natura e artificio.

Nella stessa sala sarà installata anche un’altra opera di Simeti, il video di animazione Billowing, ispirato al dipinto cinese The Manchu Army Regaining East and West Lianzhen in 1855.

Per ragioni conservative e curatoriali saranno sostituite anche numerose statue buddhiste, fra cui il Buddha assiso a mani giunte, che lascerà il posto al lavoro dell’artista Qiu Zhijie (Zhangzhou, 1969) incentrato sulla riscrittura del Sutra in chiave contemporanea e attraverso differenti media.

Nei giardini giapponesi troveranno spazio il nuovo video di Wu Chi-Tsung (Taipei, 1981) dal titolo Drawing Studies – MAO Bodhissatva Guanyin, Ming – Ging Dynasty, realizzato filmando l’omonima opera delle collezioni permanenti, e una nuova installazione di Sun Xun (Fuxin, 1980).

Anche l’allestimento del Salone Mazzonis sarà rivoluzionato: l’esperienza in VR della grotta 17 dei templi buddhisti di Tianlongshan, realizzata in collaborazione con lo studio QZR e la Chicago University, lascerà il posto alla statua del Buddha assiso in dhyānamudrā, che verrà sottoposto a restauro live dalla Doneux e Soci. Il pubblico potrà assistere alla pulitura e al ripristino dell’opera, facendo esperienza di un processo fondamentale per la vita del museo che, normalmente, si svolge dietro le quinte ed è inaccessibile ai più.

In questo spazio i visitatori saranno avvolti anche dall’installazione sonora site specific Oro – Huángjīn realizzata dalle musiciste e compositrici Valentina Ciardelli (Pietrasanta, 1989) e Anna Astesano (Savigliano, 1993): una suite ascetica per guquin, contrabbasso e arpa in 7 micro movimenti che accompagna l’ascoltatore in un viaggio meditativo di contemplazione dei tre strumenti come ensemble e, al contempo, come voci singole.

In quanto dispositivo aperto e piattaforma per uno studio permanente delle opere della collezione del museo, il nuovo allestimento di Buddha10 è anche l’occasione per presentare gli esiti degli studi eseguiti dal Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale su alcune delle statue buddhiste esposte: dalle analisi realizzate in questi mesi sono infatti emersi dati inattesi che hanno consentito agli studiosi di individuare nuove possibili letture delle opere in mostra.

La mostra prosegue infine al Mercato Centrale, dove troverà spazio Co-existence,installazione sonora site specific di Shigeru Ishihara (DJ Scotch Egg/Scotch Rolex) curata da Chiara Lee e freddie Murphy. L’installazione sonora, che unisce tracce realizzate in tempi e luoghi diversi, fra cui il MAO e le Antiche Ghiacciaie del Mercato Centrale, innesca un processo di contaminazione e avvicinamento interessante e inedito.

L’opera è completata da un video realizzato da Alessandro Muner.

Per presentare il suo lavoro al pubblico torinese, Lee Mingwei terrà una presentazione/recital speciale il 4 maggio alle ore 20.30 al Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi di Torino, mentre il 1 giugno, in occasione del finissage della mostra, un altro recital serale sarà presentato nei giardini di Villa della Regina.

La mostra sarà nuovamente accompagnata da un public program curato da Chiara Lee e freddie Murphy, che porteranno al MAO Miya Masaoka, Arushi Jain e Evicshen.

 

Grazie alla convenzione con L’Istituto dei Sordi di Torino, i contenuti della mostra sono disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana e in versione audio.

MAO Museo d’Arte Orientale

Via San Domenico, 11, Torino

ORARI

martedì – domenica: 10 – 18. Lunedì chiuso.

La biglietteria chiude un’ora prima. Ultimo ingresso ore 17.

BIGLIETTI

Intero 10 €; ridotto 8 €

MAO Museo d’Arte Orientale – Via San Domenico 11, Torino – www.maotorino.it