CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 256

“Romeo e Giulietta”, un teatro della mente

CINETEATRO BARETTI
Via Giuseppe Baretti, 4 | 10125 – Torino
011 655187

 

venerdì 31 marzo 2023

ore 19:00 e ore 21:00

ROMEO E GIULIETTA

Un teatro della mente

tratto da William Shakespeare

regia e drammaturgia Luca Zilovich

scenofonia Raffaello Basiglio

tecnica Enzo Ventriglia

TEATRO DELLA JUTA

Un teatro che non è più luogo dove si vede, ma luogo dove si sente con tutto il corpo. Uno spettacolo sentito e non visto, un’esperienza immersiva che va a stimolare anche altri sensi, e soprattutto: la mente e l’immaginazione.

Un numero ristretto di spettatori assisterà allo spettacolo bendato e seduto al centro dello spazio scenico mentre attrici e attori reciteranno in mezzo a loro. Il pubblico verrà condotto in sala già bendato e inizierà a ricevere i primi stimoli sensoriali per entrare al meglio nella performance.
Oltre ovviamente all’udito che, grazie alla recitazione e alla musica, sarà la parte predominante dello spettacolo, il pubblico utilizzerà anche l’olfatto e, in forma minore, il tatto.
Il pubblico, una volta seduto, sarà quindi trasportato nell’azione scenica dalla voce degli attori, dagli odori che completeranno la drammaturgia delle scene, dai paesaggi sonori e dalla musica eseguita dal vivo.

Il progetto “Romeo e Giulietta – un teatro della mente” è nato grazie all’esperienza maturata dal Teatro della Juta.

Già da tempo l’Associazione Commedia Community collabora nella realizzazione di eventi accessibili alle persone con disabilità con Abilitando Onlus e da questa proficua collaborazione è nata un’idea assolutamente innovativa non solo nel panorama regionale, ma anche sul piano nazionale: la realizzazione di un progetto che si proponga di consentire a persone con disabilità visiva, uditiva e intellettiva di poter fruire pienamente e in condizione  di parità, di tutti gli spettacoli inseriti all’interno della stagione teatrale, fornendo gli strumenti idonei e necessari alla piena e completa accessibilità ad una pièce teatrale. Dalle suggestioni che il Teatro della Juta ha dato con la formazione e la sensibilizzazione verso le disabilità visive nasce quindi l’idea dei “Teatri della Mente”: degli spettacoli che possano essere fruiti nella stessa maniera da spettatori vedenti e non.

Più che di colonna sonora è più corretto parlare di ambienti sonori, ossia melodie, ma anche suoni e rumori che definiscono gli ambienti e le atmosfere. Il suono ricopre il ruolo che la scenografia occupa in uno spettacolo classico. Rumori di fondo si mischiano quindi a melodie eseguite con chitarra elettrica e cygar box, suonate con un archetto di un violino, uno scacciapensieri , delle bacchette di batteria e un e-bow. Il tutto verrà poi modulato elettronicamente per creare una colonna sonora ambient, con sonorità arcaiche che trascinerà lo spettatore nella narrazione dello
spettacolo.

Luca Zilovich è il regista e l’ideatore dello spettacolo. Ha lavorato con registi come Gabriele Vacis e Roberto Tarasco, Carlo Boso, Alberto Jona e Carlos Maria Alsina. È tra i fondatori del collettivo teatrale Officine Gorilla dove si occupa della regia e della drammaturgia.
Da 6 anni collabora come regista e dramaturgo per il teatro della Juta di Arquata Scrivia dove ha avviato il progetto di compagnia INTRO/ESTRO.

Raffaello Basiglio, curerà le musiche e gli ambienti sonori dello spettacolo.
22 anni, è un compositore di musica per il cinema e per il teatro e polistrumentista. Ha iniziato lo studio del violino all’età di 10 anni, per poi proseguire con quello del pianoforte e negli ultimi anni ha appreso lo studio di numerosi strumenti proveniente da diverse parti del mondo. Ha iniziato a scrivere musica per teatro per il corso di recitazione del suo liceo all’età di 16 anni e ora collabora con diversi registi e compagnie.

L’Associazione Culturale Commedia Community nasce nel 2004 con lo scopo di diffondere la cultura cinematografica e teatrale, legandosi in modo particolare al genere comico e commedia. In seguito, spazia la propria attività alla realizzazione di corsi di formazione per ragazzi e adulti, cercando di mantenere vivo il filo che la lega al territorio e ai suoi artisti.
Dal 2013 l’associazione gestisce il Teatro della Juta di Arquata Scrivia che sorge nei locali dove sorgeva lo storico jutificio di Arquata Scrivia, da tempo dismesso.

Questo spettacolo è parte del programma vincitore del Bando Corto Circuito 2022 della Fondazione Piemonte dal Vivo.

BIGLIETTERIA: INTERO 12€ / RIDOTTO 10€ (under25/over65)
È consigliato l’acquisto dei biglietti online su anyticket.it.
Informazioni tel 011 655 187 / info@cineteatrobaretti.com 

“Behind the Veil” di Eve Arnold, girato nell’harem di Dubai per la BBC

30 marzo| ore 18.30 | Gymnasium di CAMERA

Nel percorso di incontri pubblici di approfondimento sulla mostra “Eve Arnold. L’opera 1950-1980”, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone, giovedì 30 marzo alle ore 18.30 nel Gymnasium di CAMERA, la visione del documentario Behind the Veil realizzato da Eve Arnold per la BBC nel 1971.

Il documentario viene commissionato alla Arnold dopo la pubblicazione sul “The Sunday Times Magazine” dell’imponente progetto fotografico intitolato Behind the Veil (Oltre il velo) che, nel 1969, ha portato la fotografa americana, insieme alla scrittrice Lesley Blanch, in un viaggio durato diversi mesi attraverso l’Afghanistan, il Pakistan, il Turkmenistan, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. L’idea del progetto nasce l’anno precedente, ascoltando un comizio dove il presidente tunisino Habib Bourguiba esortava le donne a togliersi il velo. Nel corso del viaggio, Eve Arnold fotografa le persone in strada o durante cerimonie tradizionali, ma si concentra in particolare sulla condizione femminile, ritraendo donne negli harem, al lavoro o nelle scuole di Kabul, documentandone la vita senza cadere in stereotipi o semplificazioni.

Il lunedì dopo che la storia dell’harem è apparsa sul Sunday ho ricevuto due telefonate: una per chiedermi di fare un film per la BBC e l’altra per chiedermi di fare un film per la NBC in America. Ero lusingata ma dissi che non avevo mai fatto un film. Quelli che mi hanno chiamato hanno detto entrambi la stessa cosa: abbiamo cercato di entrare in un harem, ma senza successo. Io l’avevo fatto, loro no, quindi erano disposti a scommettere che sarei stata in grado di realizzare il film dell’harem. Chi avevano mandato a fare i loro film? Oh, i loro uomini migliori.

Eve Arnold (Estratto dal volume In Retrospect, 1996)

Superate numerose difficoltà, dovute soprattutto all’esigenza di comporre una troupe completamente femminile per girare negli spazi dell’harem, il film Behind the Veil (Dubai, 50’, 1971) mostra straordinariamente e, per la prima volta, l’interno di un harem di Dubai.

L’incontro sarà introdotto dalla curatrice della mostra “Eve Arnold. L’opera 1950-1980”, Monica Poggi.

Ingresso gratuito.

Per prenotazioni, www.camera.to.

“Non ci è lecito mollare”, Rosselli e Salvemini al Polo del ‘900

La presentazione del carteggio inedito fra Amelia Pincherle Rosselli e Gaetano Salvemini

Giovedì 30 marzo, ore 18

Il titolo “Non ci è lecito mollare” riprende il monito che aveva dato il nome al primo giornale clandestino dell’Italia antifascista, “Non Mollare”, fondato a Firenze nel 1925 (dopo aver firmato il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Croce) da Gaetano Salvemini e dai suoi giovani discepoli, fra cui i due fratelli Rosselli. Curato da Carla Ceresa e Valeria Mosca, con prefazione di Simone Visciola, il volume raccoglie il carteggio inedito tra Gaetano Salvemini (Molfetta, 1873 – Sorrento, 1957; scrittore, politico e antifascista italiano, fra i fondatori nel 1929, in esilio a Parigi, del movimento “Giustizia e Libertà – GL”) e Amelia Pincherle Rosselli (Venezia, 1870 – Firenze, 1954; scrittrice, anche lei fervente antifascista e madre di Carlo e Nello Rosselli, al cui fianco visse sempre nei luoghi del loro confino ed esilio) e copre l’intero arco di tempo compreso tra il 1915 e il 1954. Libro di profondo valore storico, etico e culturale, “Non ci è lecito mollare” verrà presentato giovedì 30 marzo, alle 18, al “Polo del ‘900” di via del Carmine 14, a Torino. L’iniziativa, promossa da “Polo del ‘900”, “Istoreto – Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società Contemporanea”, “Fondazione Luigi Einaudi onlus” di Torino ed “Edizioni effigi”, inaugura ufficialmente l’avvio delle celebrazioni del 150° anniversario della nascita di Gaetano Salvemini, di cui l’“Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini” di Torino è primo patrocinatore.

Nella loro densa corrispondenza, che copre prevalentemente il periodo intercorso tra il 1937, poco dopo l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli ( uccisi nel loro lungo esilio parigino, il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne, da formazioni locali di estrema destra probabilmente su ordine proveniente dagli stessi vertici del regime fascista italiano) e la prima metà degli anni Cinquanta, le voci di Amelia Rosselli e di Gaetano Salvemini sono unite da un imperativo comune, Non ci è lecito mollare.

Sorretti da profonda amicizia, Amelia e Gaetano portano avanti per diciassette anni un complesso “percorso di lavoro” volto a vivificare l’eredità culturale e civile dei due fratelli Rosselli, a fare chiarezza sui responsabili della loro morte (per mano delle milizie fasciste dei “cagoulards”, presumibilmente con la tacita approvazione dello stesso Mussolini e del ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano), ad organizzare la raccolta, la cura e la divulgazione dei loro scritti: “un’operazione umana e intellettuale – spiegano i curatori – di altissimo profilo che si avvale, fra Italia, Europa e Stati Uniti, della fitta rete di rapporti dei Rosselli oltre che del ‘network’salveminiano”“Il confronto tra Amelia e Gaetano tocca, inoltre, il processo di edificazione dell’Italia repubblicana. Un’esperienza che, nelle sue fasi più critiche, i due amici vissero e condivisero con passione, inquietudine e speranza, fissando riflessioni che si rivelano illuminanti per (ri)leggere, oggi, quella transizione cruciale della Storia dell’Italia contemporanea”.

L’incontro al “Polo del ‘900” sarà introdotto e moderato da Federico Trocini (“Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini”); a discutere del libro con le curatrici saranno gli storici Massimo L. Salvadori, Paolo Soddu e Giovanni De Luna. Con letture di Federica Tabbò, coordinatrice e responsabile dell’area educativa del “Polo del ‘900” e del “Museo Diffuso della Resistenza” di Torino.

Per info: “Polo del ‘900”, via del Carmine 14, Torino; tel. 011/0883200 o www.polodel900.it

g.m.

Visite nelle case museo dei personaggi illustri piemontesi il 1° e 2 aprile

Porte aperte per casa Alfieri, Cavassa, Pellico, Don Bosco, Galimberti, Mallé e Castello di Miradolo

L’iniziativa è promossa dell’Associazione Nazionale Case della Memoria

con il patrocinio del Ministero della Cultura e di Icom Italia

 

 Anche sette realtà piemontesi prendono parte alla seconda edizione delle Giornate nazionali delle Case dei personaggi illustri, promosse in tutta Italia nel fine settimana del 1° e 2 aprile dall’Associazione Nazionale Case della Memoria.

Quest’anno, a simbolica chiusura dell’anno del centenario della nascita di Ugo Tognazzi (1922-1990) l’iniziativa vede come ambasciatore d’eccezione Gianmarco Tognazzi che coordina la Casa della Memoria dedicata al grande attore, Casa Vecchia a Velletri. Inoltre, l’iniziativa ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Cultura, oltre che di Icom Italia.

Obbiettivo dell’associazione, che mette in rete 95 case museo in 14 regioni italiane, è ancora una volta celebrare questi luoghi e valorizzare la memoria del passato a tutto tondo. Per questo l’invito è stato esteso a tutte le case dei personaggi illustri italiani, non solo quelle facenti parte delle Case della Memoria. In Italia sono oltre 100 le case museo italiane che apriranno le porte: tra queste, in Piemonte, anche il Museo Alfieriano/Casa natale di Vittorio Alfieri di Asti, il Museo Casa Don Bosco a Valdocco (TO), Casa Cavassa e Casa Pellico a Saluzzo (CN), il Museo Casa Galimberti a Cuneo, la Fondazione Cosso con il Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo (TO) e il Museo Civico Luigi Mallé di Dronero (CN).

Il Museo Alfieriano, Casa natale di Vittorio Alfieri di Asti, nel fine settimana del 1° e 2 aprile, propone ingresso ridotto e, alle ore 16, una visita guidata con la direttrice del Centro di Studi Alfieriani, dr.ssa Carla Forno, e del responsabile della rete museale di Fondazione Asti Musei, dr. Andrea Rocco. A Saluzzo (CN) sono aperte a ingresso ridotto Casa Cavassa (sabato 10-13 e 14-18; domenica 10-13 e 14-19), uno degli edifici-simbolo del Rinascirnento saluzzese, e Casa Pellico (solo domenica 2 aprile dalle 14 alle 19) che alle 15.30 di domenica 2 aprile mette in calendario la visita guidata “Silvio Pellico da Saluzzo”, alla scoperta della casa in cui nacque lo scrittore e patriota. Il percorso museale, che raccoglie cimeli e opere dello scrittore donati nel 1858 al Comune di Saluzzo dalla sorella Giuseppina, permette di indagare l’opera letteraria di Silvio Pellico e le vicissitudini che lo portarono da Saluzzo a Milano e poi al carcere dello Spielberg, fino al suo arrivo a Torino, ospite a Palazzo Barolo. La visita si concluderà alla Biblioteca Storica di Saluzzo, in prossimità di Casa Pellico, percorrendo un itinerario sulla vita dello scrittore a 360 gradi. Al termine dell’itinerario, alle ore 17, si terrà la presentazione della nuova acquisizione della collezione pellichiana. Orario: ore 15.30, partenza dalla biglietteria di Casa Pellico. Costo: 5 euro a persona (gratuito under 10).

Aperto sabato 1 e domenica 2 anche il Museo Casa Don Bosco di Valdocco (TO), che racconta la storia di una grande avventura educativa, a partire dai quei primi ragazzi a cui Don Giovanni Bosco ha offerto una casa, una scuola, una educazione, un futuro. Quell’anima profonda è custodita e resa viva nel racconto di quella storia e nella proposta di percorsi disponibili ai nostri visitatori. La visita in autonomia o guidata (prenotata a info@museocasadonbosco.it) è gratuita. Un’offerta è sempre gradita. Orari: 9.30-12.30 e 14.30-17.30.

Al Museo Casa Galimberti di Cuneo, nei due giorni, ecco invece visite guidate gratuite incentrate sulla figura dell’eroe Nazionale della Resistenza Antifascista, Duccio Galimberti, e sulla sua famiglia che hanno contribuito, in modo indelebile, allo sviluppo della Città di Cuneo, nel senso della libertà di scelta e di espressione. Due ingressi alle ore 15.30 e 17. Prenotazione obbligatoria. Ingresso gratuito.

Sabato 1 aprile (ore 11), al Castello di Miradolo di San Secondo di Pinerolo (TO), sede della Fondazione Cosso si terrà invece la passeggiata guidata “Il castello di Sofia“: un itinerario guidato a cura della Fondazione nel parco storico del Castello, alla scoperta della storia dell’antica dimora appartenuta ai conti Sofia ed Emanuele Cacherano di Bricherasio, ultimi eredi della nobile casata. Le loro storie si intrecciano con quelle di Federico Caprilli e della Cavalleria, di Lorenzo Delleani e del cenacolo culturale attivo a Miradolo in quegli anni, della fondazione dell’industria automobilistica piemontese. Ingresso e attività gratuita riservata esclusivamente a chi prenota nell’ambito delle Giornate nazionali delle Case dei personaggi illustri. Posti limitati. Visitabile a ingresso gratuito (dalle 15 alle 19) anche il Museo Civico Luigi Mallé di Dronero (CN) che ospita una collezione permanente, ubicata al primo piano di Casa Mallé, e una mostra temporanea allestita al secondo piano. Visite guidate con tablet e video-animazioni.

È possibile prenotare le visite fino al 30 marzo collegandosi al sito www.casedellamemoria.it, dove è presente l’elenco aggiornato delle case partecipanti corredato dalle indicazioni per prenotare.

James Gray e il ricordo di un’infanzia turbolenta

ARMAGEDDON TIME NELLE SALE

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Una cascata di “amarcord”, la spinta di tanti registi alla ricerca dei propri anni giovanili. Sorrentino alla ricerca del cinema nella Napoli degli anni Ottanta, Branagh tra le vie e le case semplici di Belfast, il Messico di Cuaròn, Sam Mendes che attraverso l’instabilità mentale della madre guarda con affetto al cinema come desiderio e vincente effetto taumaturgico, Steven Spielberg che con “I Fabelmans” ingiustamente dimenticati agli Oscar si rivede davanti alla prima macchina da presa e all’invenzione dei set e delle riprese costruiti con amici e parenti. Buon ultimo, postasi alle spalle l’avventura spaziale di “Ad Astra”, James Gray torna con “Armageddon Time” (nulla di visivamente apocalittico, semmai l’apocalisse sta nell’intimo delle persone come nell’America dell’epoca) a guardare al nucleo familiare (come in “I padroni della notte” o in “Two Lovers”), ai sentimenti e ai risentimenti, al chiuso della cucina e alle tavolate, alle chiacchierate fatte di parole alte e di quelle senza importanza, chiudendosi ad analizzare con occhio autobiografico la propria famiglia questa volta con toni più caldi, seppur legati da abbracci e sorrisi, da cinghiate e battaglie. Ambienta nel quartiere del Queens, ci dice dell’immigrazione e delle origini ucraine, del razzismo che serpeggia, dell’ascesa di Reagan, degli anni Ottanta che sono stati l’inizio della sua fanciullezza.

Paul, viso aperto e simpatico, zazzera in gran disordine, è il giovane rampollo di una borghese famiglia, nella classe della scuola pubblica che frequenta non è certo il modello da seguire, ama il disegno e l’arte che lo porta a inventare e a sognare un futuro libero e tutto suo, adora il vecchio nonno Anthony Hopkins che dispensa consigli e saggezze. Come ogni genitore che voglia tirar su un figlio all’interno di precise regole, Anne Hathaway e Jeremy Strong tentano le strade della dolcezza e della severità, dove lei usa il lasciar correre lui s’irrigidisce. Forse prevale lei, se in tavola viene messo ogni ben di dio è assurdo che il ragazzino s’inventi i ravioli del cinese: ma s’è già alzato da tavola, è già corso al telefono a scandire l’ordinazione e mamma arriverà con la carezza di sempre. A scuola Paul stringe amicizia con Johnny, ragazzo di colore, niente genitori e soltanto una donna malata che sarà costretto ad abbandonare, pronto a cullare una grande evasione (sogna la Nasa, sogna i voli spaziali e la luna), un esempio di ribellione che non è quanto l’insegnante vorrebbe, per cui ad ogni sfrontatezza via nel banco dell’angolo. I motivi di quel comportamento sono altro, la rabbia è soltanto punita. I due non fanno che simpatizzare, chiudersi nei bagni per provare l’emozione dello spinello, lasciare l’aula per inventarsi fuori qualsiasi cosa, anche il furto notturno di un computer all’interno della scuola: i genitori dividono i due ragazzini e Paul piglia la strada della scuola privata dei Trump, tutta ragazzini viziati e ricchi, tirata su a suon di sovvenzioni, là dove la sorella maggiore (Maryanne, che ha il cameo di Jessica Chastain) del futuro presidente conferma quanto sia ardua la strada del successo e come l’abbia scoperta da sola. In mezzo all’avversione di tutti, anche Paul non difende l’amico: sarà ancora il nonno a insegnargli come soltanto pochi decenni prima siano stati gli ebrei a essere perseguitati. Una parola ancora di affetto e di saggezza, seduto sulla panchina del grande parco.

È un film amarissimo “Armageddon Time” (la sceneggiatura è dello stesso Gray), pur nei suoi momenti di preteso alleggerimento, è condotto in maniera “piana” quando vorresti qualche sussulto che ti facesse riassaporare il Gray delle prove passate, è affettuosamente delicato nell’approccio ai vari componenti della famiglia, gode della fotografia di Darius Khondji fidato collaboratore di Woody Allen, il giovanissimo Banks Repeta è sfrenato e antipatico quanto si conviene, poggia su solide interpretazioni, Hathaway e Hopkins soprattutto in prima linea. Ma forse esci dalla sala con la sensazione forte che il regista, pur muovendosi e navigando nel mare tempestoso e turbolento della propria infanzia, non abbia saputo dirti tutto, narrarcela sino in fondo, addirittura con uno spirito più acceso, più spavaldo, più fuori dalle regole, che quei sussulti giovanili non abbiano trovato posto appieno nelle immagini del film.

La vita della marchesa Gozzani di San Giorgio

La vita della marchesa Gozzani di San Giorgio Monferrato attraversata da Napoleone, individuata dalle genealogie di Francesco Guasco e documentata da Idro Grignolio.

Armano Luigi Gozzano ricostruisce le vicende di Sofia nata a Torino il 28-12-1759 nel palazzo di famiglia detto ” della Palma”, sesta dei dieci figli di Alessandro Eleazaro di Ciriè e di Maria Cristina Damiano di Priocca. Battezzata nella chiesa di S.Eusebio,ebbe come padrini due poveri tra i più miserabili del quartiere scelti dai suoi genitori e ricevette come anche i suoi fratelli un nome di origine greco orientale.Sua madre morì nella cittadella di Torino,governata dal marito fin dal 1781.Il casato dei D’Oria titolare di Oneglia,nel 1576 con Giovanni Gerolamo lo scambiò con Ciriè con interesse specifico diretto di Emanuele Filiberto di Savoia,che così ottenne un secondo sbocco al mare oltre a Nizza.All’occasione il D’Oria ricevette la nomina di ciambellano di corte.
Nel 1700   i D’Oria possedevano il patrimonio del marchesato di Cavaglià,la contea di Casalmaggiore,il contado di Faule,due palazzi a Torino e il palazzo di Ciriè che venne utilizzato per la villeggiatura come già per i Savoia.Sofia nel 1782 sposò a Casale il marchese di San Giorgio Carlo Antonio Gozzani (1756-1791), luogotenente del reggimento provinciale.La dote di Sofia fu di
45000 lire comprese altre 5000 lire per il corredo matrimoniale.Nel 1784 Carlo Antonio era stato nominato gentiluomo di bocca del re e si era trasferito con la moglie a Torino nel palazzo San Giorgio in via Bogino 31, edificato dal padre Giovanni Battista dove ospitò l’imperatore Giuseppe II
nel 1769.Il palazzo fu poi rifatto dal barone Ignazio Alliaudi di Tavigliano allievo dello Juvarra,dove morì il conte Bogino nel 1837.
Dopo la vittoria di Marengo e mediante l’armistizio di Alessandria il Piemonte diventò territorio francese, inquadrato nella
27° divisione.Intanto Casale si stava trasformando,cambiavano i nomi delle strade e porte principali, venivano eliminati i conventi,i tesori delle chiese erano venduti all’asta e la città impoverita ridotta ad un villaggio.Il ministro dell’interno Champagny scelse come soggiorno di Napoleone e Giuseppina il palazzo Gozzani San Giorgio, proprietà di Sofia.Per questo motivo Sofia si trasferì nel proprio castello di San Giorgio,sollecitata dal sindaco Rivetta e dal proprio cognato Evasio Gozzani definito il pazzo marchese,entrato nelle segreterie di Roma come ministro del principe Camillo Borghese e della moglie Paolina Bonaparte.
Forse agí per orgoglio ma non figurò nella lista degli invitati a palazzo da Napoleone, avvertita anche dalla zia Maria Enrichetta monaca di Pinerolo che lo aveva definito un diavolo.Napoleone giunse a Casale il 6-7-1805 e soggiornò brevemente nella sala gialla del palazzo Gozzani per poi ripartire per la strada di Morano verso Torino. Sofia non partecipò neppure nel 1708 durante la visita a Casale del principe Borghese governatore del Piemonte.Carlo Giovanni Gozzani (1788-1843),unico figlio di Sofia,vide
incrementarsi il già notevole patrimonio con il palazzo di Torino e le tenute di Lucedio e
Castelmerlino.Capitano del reggimento cavalleria e guardia del corpo del re Carlo Felice,molto eccentrico e libertino, lasciò l’enorme patrimonio di 7000000 di lire al cugino austriaco Felice Carlo,in disaccordo con il cugino Giuseppe Gozzani figlio di Evasio per aver sposato una nobile tedesca di Dresda.In mancanza dei primogeniti austriaci la famiglia D’Oria e il manicomio di Torino impugnarono il testamento senza riuscirvi.Carlo Giovanni fu socio fondatore nel 1837 della Società Italiana del Gas per l’illuminazione di Torino.Non regalando una buona nuora e un nipote da accudire non riuscì a rendere felice la madre ,ormai vedova da 42 anni,morta il 24-1-1833 nel suo castello di San Giorgio.Il figlio morì a Torino nel 1843 e le cronache raccontano del ritrovamento delle tre tombe nella parte inferiore della chiesa di San Giorgio,sepolte in posizione verticale con ai piedi i nomi incisi su targhe in metallo.
Altro legame tra Ciriè e Casale é rappresentato dal matrimonio della marchesa Antonia Maria Emilia Deodata D’Oria (1826-1906),figlia dell’ultimo marchese di Ciriè Emanuele Filippo,con l’avvocato casalese Silvio Braccio.L’avvocato Luigi,figlio di Silvio, ritrovò nella biblioteca di Ciriè le lettere di Sofia scritte in francese al padre all’età di 10 anni e i documenti per poter ricostruire la genealogia della mamma Antonia,che riposa accanto al marito nel sepolcreto di famiglia di Casale.Il ritratto giovanile di Sofia nella quadreria D’Oria di Ciriè é firmato dal pittore Giovanni Panealbo (1742-1815) ritrattista di casa Savoia.I ritratti di Sofia e del marito nel palazzo Gozzani San Giorgio di Casale sono attribuiti a Vittorio Amedeo Grassi di Agliè  (1724-1800) pittore ufficiale di corte a Torino.
Un quadro del Grassi, l’angelo custode, spicca nel museo parrocchiale di Moncalvo.Nel palazzo Gozzani Treville di Casale potrebbe esistere un ritratto di Sofia di autore sconosciuto.Altri ritratti della famiglia Gozzani esistevano nel palazzo di Torino e nel castello di San Giorgio,ma sono andati perduti nei cambiamenti di proprietà.Nel 2010 a Villa Borghese venne allestita una visita virtuale con due guide d’eccezione, Paolina Bonaparte ed Evasio Gozzani, all’epoca curatore delle mostre nella galleria Borghese di Roma.
Giuliana Romano Bussola

“E volo volo volo con i piedi nell’acqua e un caffè nella pancia…”

Music Tales, la rubrica musicale 

“E volo volo volo con i piedi nell’acqua

e un caffè nella pancia

per mangiare con te”

Figlia d’arte (il padre, Gino Malanima, era un clarinettista), Nada Malanima è nata a Gabbro, una frazione di Rosignano Marittimo in provincia di Livorno (Toscana) il 17 novembre 1953.

Ci credereste che fu la madre, Viviana Fenzi, a scegliere l’insolito nome quando una zingara le predisse, leggendole la mano, che avrebbe avuto una figlia e che questa avrebbe viaggiato e avuto successo.

Viviana, chiedendole cosa potesse fare per ringraziarla, ricevette come risposta “Nada, nada”, cioè “niente” in spagnolo.

 Viene scoperta da Roberto Davini, ex cantante divenuto talent-scout dell’RCA Italiana.

Dopo un primo 45 giri contenente una cover in italiano di “Les bicyclettes de Belsize”, a soli quindici anni debutta al Festival di Sanremo 1969 con “Ma che freddo fa” (in abbinamento con i Rokes), singolo inciso per la RCA Talent che la spinge al primo posto in hit-parade per cinque settimane regalandole un’enorme e improvvisa popolarità in Italia, Spagna, Giappone e altri paesi;

viene soprannominata Il pulcino del Gabbro per la sua giovanissima età.

Sempre nel 1969 pubblica il suo primo album Nada.

Ma Nada è anche attrice.

Nei primi anni settanta frequenta la scuola di recitazione di Alessandro Fersen e la scuola di ballo di Nadia Chiatti che le consentono una preparazione artistica più completa. Perchè un tempo se non sapevi fare non facevi (n.d.r.)

Il suo curriculum di attrice vanta anche collaborazioni teatrali di successo con Dario Fo ne “L’opera dello Sghignazzo” e con Marco Messeri in “Amore e Vapore”.

Le hanno dedicato un film:

«La bambina che non voleva cantare»

Il film racconta la storia della vita di Nada, una ragazza che viene dalla provincia toscana e che, grazie alla sua incredibile voce e al suo timbro unico, diventa una delle protagoniste del panorama musicale italiano, diventandone una vera e propria icona.

 Siamo negli anni Sessanta nella campagna toscana, dove vive Nada, insieme all’amatissima nonna Mora, alla sorella Miria, al papà Gino, e alla mamma Viviana, che soffre di una forte depressione, che la tengono lontana dalla figlia e dal mondo in generale.

 Il talento di Nada viene scoperto da suor Margherita, e la ragazzina si convince che la sua voce possa guarire la mamma.

Tra la gioia di veder la madre finalmente felice e la paura che la malattia si possa riaffacciare all’orizzonte, Nada cresce accettando ciò che Viviana desidera per lei, fino a quando quel grande talento sopravvivrà persino alle sue stesse paure,

Di lei, forse se stessa, dice: “In casa erano tutti preoccupati, qualcuno pensava che fossi ritardata o che avessi problemi di salute, nessuno riusciva a indovinare lo stato di ebrezza in cui mi trovavo, e leggevo e leggevo. (…) Scrivevo poesie tristi, dolorose, la mia faccia assunse un’espressione malinconica, sospesa chissà dove (…) Iniziai a dormire di giorno perché volevo sognare (…) parlavo nel sogno di notte e anche di giorno (…) nessuno riusciva a trovare una giusta soluzione, e alla fine mia madre disse: uccidiamola.”

Buon ascolto di “abbassando” che pochi forse conoscono

CHIARA DE CARLO

https://www.youtube.com/watch?v=tKUkkCjFL8s&ab_channel=Mannick73

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

GIOVEDÌ 30 MARZO H. 21 

Rareș live – open act: Maelstrom

Rares torna in tour per presentare Femmina, un nuovo album che è un vero e proprio coming out artistico, tra pop e sperimentazione. Femmina è un prisma luminoso in cui si rifrangono l’electro pop, il punk, il romanticismo e l’hyperpop che incontrano l’eclettismo alla Frank Zappa. Questo nuovo lavoro mette insieme materiali nati di getto, da improvvisazioni istintive, assieme a composizioni che già facevano parte del suo canzoniere ai tempi dei primi lavori. Femmina è un terzo lavoro che ha l’urgenza di un esordio e il cesello del capolavoro. Verrà presentato in formazione completa al Magazzino sul Po.

Ingresso 7€ con tessera Arci

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“Credici un po’, sei su Radiofreccia…guardati in faccia!” 🎶 Radiofreccia in trio acustico, la tribute band di Ligabue, ti aspetta nel nostro Sapori&Sorrisi giovedì 6 aprile! Dai un’occhiata al programma della serata ⤵️

🔸 Alle 19:30 cena con noi con un delizioso menù, a soli 19,90€ (bevande escluse):

🤍Lasagnette bianche con zucchine e prosciutto cotto
🦑Calamarata con asparagi e toma
🐮Stracotto di manzo con porri e mandorle
💚Tortino di zucchine e seirass con vellutata di gorgonzola e noci
🥦Contorno di stagione
🍮Dolce

🔸 Alle 20:30 goditi lo spettacolo della tribute band e canta con noi!

📞 Prenota al numero 3519652883!

 

 

 

Senza far nomi, la Spoon River di Giulio Martinoli

Sabato 1 aprile , alle ore 17, la Biblioteca Civica di Omegna Gianni Rodari ospiterà la presentazione del libro “Senza far nomi (Storie di famiglia)”  di Giulio Martinoli.

L’evento, a cura dell’associazione I Lamberti, è patrocinato dalla città di Omegna. Dopo l’introduzione vi saranno le letture dell’attore Giuseppe Maranta e un commento dello psicoterapeuta Mauro Bozzola. Dal 1885 ai nostri giorni, attraverso i ricordi e dove i ricordi non arrivano, con l’aiuto dell’immaginazione, Giulio Martinoli prova a stabilire i nessi tra le vite dei famigliari che lo hanno preceduto, a Jersey, i laghi d’Orta, di Como, di Lugano, Omegna, attraverso una ridda di costumi, lingue e dialetti. Un album di fotografie di famiglia e molto più di questo perché quell’album restituisce, oltre alla memoria, anche le atmosfere e quasi gli odori di un tempo passato. Attraverso una narrazione piacevolissima, l’autore porta per mano il lettore alla ricerca di qualcosa che si cela proprio nelle pieghe di tante biografie intrecciate, divise, coerenti con l’andamento di una storia collettiva. Senza far nomi è un romanzo, un libro sulla memoria, una biografia di persone che non sono più. Carlo Carena, grande traduttore e critico letterario, ha definito il libro “un raro esempio e insegnamento di pietas filiale, che delinea una storia secolare tramandata o documentata, e la ricrea sorreggendola e integrandola con una brillante immaginazione”. Aggiungendo di riconoscere tra le pagine “l’autenticità dei personaggi, delle vicende, dei paesaggi e degli ambienti; famiglie numerose, donne e uomini che penarono e sacrificarono la loro esistenza per i familiari  o furono protagonisti di grandi avventure, artigiani e operai nel loro piccolo lago o migranti nel grande Nord, coinvolti in brutte guerre o seduti attorno a una buona tavola allestita dalla massaia”. Lo sguardo dell’autore sembra indugiare su vecchie foto in bianco e nero o virate color seppia che svelano vicende ormai lontane, racchiuse in un tempo dilatato che parte dall’infelice inizio del 1885 quando morì il bisnonno in Valle Strona, a Sambughetto, fino al doloroso racconto della scomparsa dei genitori. Come un cronista d’antan, Giulio Martinoli intinge la penna nell’inchiostro del calamaio, descrive e ricostruisce facendo leva sull’immaginazione, vecchie carte e documenti, testimonianze riportate o dirette, il complesso filo invisibile delle relazioni di una vicenda corale e originale, per lunghi tratti comune a molte altre così da contribuire per propria parte a quella storia con la esse maiuscola che è poi la somma delle vicende di collettività e generazioni, paesi e nazioni. Anche i luoghi e i viaggi contano, e contano molto. Legami di famiglia che si intrecciano sulle sponde del Cusio, Lario e Ceresio, tra le vie di Omegna e i sentieri della valle dei gratagamul, sapienti artigiani del legno; durante gli anni passati sulla più grande delle isole del Canale della Manica ( Jersey, a una ventina di km dalla costa della Normandia, dove nel 1942 è nato l’autore); i viaggi marini e transoceanici del padre maître che si ribellò giovanissimo al destino di diventare operaio per forza; le vecchie e sbuffanti locomotive su rotaie in parte oggi in disuso e i battelli che procedevano a zig zag tra i vari scali lacustri mentre gli ingranaggi “facevano mulinare le grandi ruote laterali a pale dipinte di rosso”. Nelle storie i luoghi, i viaggi, gli incontri sembrano avvolti da un alone d’avventura che rimanda ai racconti di Salgari, Conrad o Melville anche se non è davvero necessario scomodare troppo l’immaginazione o fare ricorso ai sotterfugi dell’abbellimento ai sotterfugi della potenza creativa considerando che si tratta pur sempre della semplice verità. I tempi difficili, le scelte che potevano imprimere svolte improvvise nella vita e segnare i destini dei singoli e di interi rami della grande famiglia allargata (la principale protagonista della storia), i drammi e le gioie, le avarizie di affetti e gli sconfinati amori, gli immancabili diverbi e i dispetti narrati con puntuta ironia, le grandezze e le miserie, i rovesci e le fortune ci conducono all’incontro con altre vicende – dalle più grandi alle meno note – che a loro modo contribuirono a fare epoca. Gli scorci sui costumi, le abitudini, i mestieri del tempo (operai e cavallanti, cuochi e modiste, camerieri e barcaioli, artigiani e bottegai) restituiscono dettagliati fotogrammi di vita vissuta dove si delineano caratteri e personalità di donne e di uomini per certi versi originali, sia che fossero remissivi o indisciplinati, spesso ribelli nello spirito e ben disposti verso il rischio e l’avventura, affrontando l’ignoto senza indulgere però nell’azzardo. Dei periodi che intercorrono tra le due guerre mondiali fino ai concitati anni del dopoguerra, dopo aver vissuto gli ultimi mesi del conflitto tra i due laghi, quelli d’Orta e di Como , e in valle, nel paese natale della nonna, si intuisce perfettamente lo spirito di quei tempi che furono tutt’altro che facili. Nell’incedere dell’esposizione l’equilibrato uso delle parole rende scorrevole e avvincente la lettura, senza tralasciare il giusto riferimento ai termini dialettali con la gamma vasta delle “lingue popolari” infarcite dalle inflessioni ticinesi e dell’alto Piemonte che si mescolano con le asprezze fonetiche valstronesi. Ai suoi genitori dedica le ultime pagine, tra le più belle e difficili, senza necessariamente far torto alle altre. Lì si riannodano vicende e sentimenti, segnati dalla prematura scomparsa dell’amatissimo padre (morì il 15 settembre del 1973, a nemmeno 65 anni, “quattro giorni dopo Salvador Allende, che era suo coetaneo, più anziano di lui di qualche mese”) e alla tragica fine della madre. Scrive, Giulio Martinoli: “Aveva vissuto tutta una vita votata al sacrificio, si era sempre donata, ora che non aveva più nulla da dare aveva forse pensato che fosse meglio troncare, che Dio l’avrebbe comunque perdonata..”. In conclusione del racconto, nonostante fosse partito con l’intenzione di non fare nomi, offre in appendice a chi legge un elenco di persone e di luoghi, “più o meno in ordine di apparizione”. Nel racconto, in parte autobiografico, i legami di un gruppo famigliare si intrecciano con la storia d’Italia sotto un profilo nuovo. Le memorie private, singole e personali, diventano storie universali, collettive, scritte “dal basso”. In fondo quella raccontata in “Senza far nomi” è a tutti gli effetti parte integrante della storia di un Paese e aiuta, senza retorica e in maniera schietta e onesta, a comprendere il mondo dove viviamo, la nostra società, noi stessi.

Marco Travaglini

Villa Cimena, una bellezza nascosta

È un classico gioiello del nostro patrimonio artistico, poco conosciuto e inaccessibile, ma grazie ai volontari del Fai, il Fondo per l’ambiente italiano, ha aperto le sue porte al pubblico per la prima volta con le tradizionali giornate Fai di primavera.
È Villa Cimena, perla del Seicento nascosta tra alberi secolari e nobili aiuole sulla collina di Castagneto Po, a pochi chilometri da Torino. Solenne si presenta la facciata della dimora con un doppio portico che fa pensare alle ville palladiane con il particolare che le colonne hanno il capitello ionico in basso e quello corinzio nella parte superiore. Da là si gode uno splendido panorama sulle colline, sulle Alpi e sulla pianura segnata dal Po tra Gassino e Chivasso. Un’occasione speciale per conoscerla e visitarla. Circondata da un grande parco e dal bosco, la Villa, anticamente chiamata il “Palazzo”, fu edificata nel 1663 dai marchesi Turinetti di Priero come residenza di campagna e conobbe il suo massimo splendore alla metà dell’Ottocento quando venne completamente ristrutturata dai marchesi Thaon di Revel che la trasformarono in una villa neoclassica, così come la vediamo oggi. I lavori per la progettazione furono affidati alle mani sapienti di Carlo Sada di Bellagio, l’architetto di spicco del tempo e fedelissimo di re Carlo Alberto. Allievo di Pelagio Palagi, Sada lavorò a Racconigi e a Pollenzo realizzando in particolare opere neoclassiche in Piemonte. Il magnifico parco con i giardini all’inglese fu disegnato nel 1847 dal torinese Marcellino Roda, geniale architetto del paesaggio italiano. Le sale della villa padronale sono distribuite su tre piani e ospitano manufatti di ebanisti piemontesi e opere di importanti pittori quali Francesco Beaumont e Vittorio Amedeo Cignaroli, bronzetti di Pierre Philippe Thomire e arredi dello scultore ed ebanista astigiano Giuseppe Maria Bonzanigo.
La Villa e il suo parco sono talmente incantevoli da essere utilizzati sovente come set cinematografico. Più volte si sono visti nelle scene di diversi film e serie televisive come “La donna della domenica”, Cento Vetrine e La Traviata. I marchesi Thaon di Revel vissero nella tenuta fino al 1969 quando fu venduta a un industriale che restaurò e arricchì gli interni con preziose opere. Nel 2015 Villa Cimena fu ceduta ad una società commerciale che l’affitta per matrimoni e ricevimenti, una classica location. É quindi aperta al pubblico soltanto in particolari occasioni o su prenotazione.
Filippo Re

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Jodi Picoult “Vorrei che fossi qui” -Fazi Editore- euro 19,00

E’ intrigante e sorprendente l’ultimo romanzo della scrittrice americana 56enne, e pare che Netflix abbia già comprato i diritti per trasformarlo in un film.

Al centro della storia c’è una coppia di giovani newyorkesi, Diana e Finn; lei è esperta di arte e lavora per Sotheby’s, lui è specializzando in chirurgia e lavora presso il Presbyterian Hospital. Stanno insieme da tempo, il loro rapporto sembra perfettamente collaudato e avviato verso un rassicurante futuro.

Diana sta per compiere 30 anni e i due hanno programmato un viaggio alle Galápagos; dove lei si aspetta che lui colga l’occasione della romantica cornice tropicale per chiederle di sposarlo.

Fin qui il progetto, poi però dilaga il virus assassino e Finn resta relegato in ospedale per far fronte all’epidemia che scopriamo presto essere di Covid.

Finn incita Diana a partire lo stesso sebbene senza di lui, che pensa magari di raggiungerla appena possibile.

Ma la pandemia sta uccidendo persone in massa, nessuno la conosce bene e nemmeno sa come fronteggiarla; le scene assumono i connotati che ormai conosciamo e Finn non può lasciare l’ospedale.

Diana parte lo stesso e arriva a Isabela, dove però sta chiudendo tutto: niente hotel o ristoranti, lei si ritrova sola e pure senza i bagagli che sono andati smarriti.

Di fatto resta bloccata e isolata in un paradiso dal mare cristallino che cerca di difendersi dal virus con una serrata generale.

Riesce a trovare ospitalità presso una donna del luogo, poi fa la conoscenza di una ragazzina problematica e di suo padre. Buona parte del romanzo racconta la forzata lontananza dagli affetti più cari e dalle certezze in cui Diana si era cullata prima che tutto venisse stravolto.

Le comunicazioni con Finn sono stentate e sporadiche. Lui è costretto a turni massacranti per aiutare i moribondi e nelle sue email c’è tutta la tragedia vista dal versante di chi la combatte in prima persona in corsia.

Intanto Diana va alla scoperta della splendida natura del luogo, tra immersioni memorabili e una forzata solitudine che diventa occasione per ripensare ai suoi progetti, alle priorità, agli affetti e ai dolori. Allontanarsi da tutto per riconsiderare la vita da una prospettiva nuova.

Però ovviamente la trama non finisce qui, e non anticipo di più, se non che la Picoult stupirà in modo repentino ed imprevisto con un colpo di bravura spiazzante per i lettori. E non è solo un romanzo sul Covid, col suo bagaglio di sofferenza e lutti; ma una storia che parla di capacità di adattamento e della necessità di fare il punto sulle nostre vite.

 

 

Eve Babitz “La mia Hollywood” -Bompiani- euro 20,00

Eve Babitz e’ stata un’icona: artista, giornalista, musa, it girl, party girl, autrice di copertine di album rock. Nata nel 1943 a Hollywood, figlia del primo violinista dell’orchestra della 20th Century Fox e di un’artista, è morta nel dicembre 2021. Suo padrino fu Stravinskij, Jim Morrison per lei scrisse “L.A. Woman”, fu fotografata mentre giocava a scacchi nuda con Duchamp, e visse gli anni d’oro di una Hollywood che non c’è più.

Questo è il primo dei suoi libri, uscito nel 1974, quando aveva 30 anni, e lo definiva ironicamente “romanzo confessionale”. E’ una raccolta di saggi autobiografici che ripercorrono la sua infanzia e giovinezza alle prese con un mondo bizzarro e affascinante.

Ci sono gli incontri con personaggi eccentrici, a tratti quasi paradossali.

Tra i ritratti, a volte racchiusi in pochissime righe, emergono la figura di Vera Stravinskij, il bizzarro mecenate inglese dei surrealisti Edward James, attori, avventurieri, musicisti e rockstar, surfisti e perdigiorno, in un caleidoscopico racconto di Los Angeles.

Emblematica la frase scritta nel libro da Eve Babitz in merito agli anni della Depressione in cui «le persone intelligenti se ne andavano a New York, quelle belle venivano sulla West Coast».

Lei a New York ci andò giovanissima come segretaria di redazione in una rivista underground e fu sempre contro il luogo comune per cui Los Angeles sarebbe stata una “Terra desolata” culturalmente parlando.

Fu una gran lettrice curiosa di tutto, e descrisse benissimo la Hollywood dell’arte e della boheme; assetata di esperienze e vita, si mosse vorticosamente tra amanti, alcol e droghe, in un susseguirsi di party ed avventure sopra le righe. Un libro ricco di aneddoti e spaccati di vita che rimandano al fascino anche un po’ perverso della Hollywood tra anni 50 e 60, raccontati da chi c’era e se la viveva a piene mani.

 

Emma Straub “Domani a quest’ora” -Neri Pozza- euro 19,00

Emma Straub, 42 anni e due figli, non è solo una scrittrice di bestseller (5 tradotti in più di 20 lingue), ma anche libraia; proprietaria insieme al marito, il graphic designer Michael Fusco, della libreria indipendente “Books are magic” al 225 di Smith Street, a Brooklyn.

Nel 2016 dopo la nascita del secondo figlio la coppia si trasferì a Coble Hill, vicino a una libreria che amavano, “Book Court”. E quando i proprietari decisero di vendere, Emma e Michael la comprarono.

Questo per dire che la Straub ha anche l’occhio allenato alle ultime novità e tra gli scaffali della sua “Books are magic” ha spesso l’occasione di conoscere altri scrittori e confrontarsi con il pubblico.

In “Domani a quest’ora” (che facilmente diventerà un film e la Straubb sta lavorando alla sceneggiatura), la protagonista Alice Stern, che è alla soglia dei 40 anni, una mattina si risveglia adolescente negli anni 90.

Il romanzo è ambientato nella New York tanto amata dalla scrittrice. Alice è una donna indipendente, newyorkese purosangue che vive nello stesso appartamento di quando era studentessa ed ha una vita tranquilla, senza la foga della carriera, ma in grado di consentirle alcune certezze nella confort zone che si è ritagliata.

La sera del suo 40esimo compleanno, dopo una notevole sbronza, si risveglia nel corpo di una 16enne; è perfettamente consapevole di quello che le sta capitando ed ha intatti i ricordi e la realtà dei suoi 40 anni…. solo che è tornata al tempo del liceo. Allora molte cose erano diverse, a partire dal padre che all’epoca stava benissimo, mentre ora si ritrova in ospedale per i suoi ultimi giorni. E’ Leonard Stern, scrittore di fantascienza, ispirato al padre della scrittrice Peter Straub, che è stato un autore di libri horror e se n’è andato poco tempo fa per le complicanze di una frattura del bacino.

Tutto il romanzo è giocato sull’alternanza dei pensieri di Alice 16enne il cui un futuro deve ancora essere scritto e, dall’altra, la consapevolezza della donna matura che sta affrontando la malattia e la morte del padre al quale avrebbe tanto voluto salvare la vita.

Se lei potesse davvero tornare indietro cosa cambierebbe? Quali decisioni hanno finito per rivelarsi davvero decisive per la sua vita? Se avesse cambiato qualcosa, per esempio il fidanzatino del liceo o scelto un altro lavoro o ancora aiutato il padre a smettere di fumare……quante cose sarebbero andate diversamente?

Un romanzo che invita a farsi domande anche profonde, così come se le è poste la Straub in queste pagine che ha iniziato a scrivere nel 2020 in piena pandemia. Alice non è esattamente lei, ma molti sentimenti sono i suoi ed oltre all’amore per New York che traspare in ogni pagina, ci sono sensibilità e profondità di pensieri che non lasciano indifferente il lettore.

 

A cura di Nadia Fusini e Luca Scarlini “Virginia Woolf e Bloomsbury inventing life” -Electa- euro 29,00

Questo volume è il catalogo della mostra allestita a Roma in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra, per celebrare lo spirito che animò il gruppo di Bloomsbury, enclave di grandi menti artistiche (e non solo) che sperimentarono idee e opere, nonché un nuovo modo di convivere che scardinava i rigidi principi vittoriani.

Rimasti orfani nel 1904, Virginia Stephen (non ancora sposata con Leonard Woolf) e i fratelli Vanessa, Thoby e Adrian lasciano la casa paterna nell’altolocato quartiere di Kensington e si trasferiscono nel quartiere più bohémienne di Bloomsbury. E’ lì che imprimono un nuovo significato alla convivenza, alla vita artistica e intellettuale ed aprono le porte agli amici, tutti intellettuali di altissimo ingegno e livello. L’esposizione capitolina ha voluto raccontare proprio quel nuovo modo di concepire l’amicizia intellettuale e i suoi corollari attraverso dipinti, foto, libri, parole ed oggetti appartenuti al gruppo.

Nelle stanze di Gordon Square a Bloomsbury nasce un nuovo concetto di coabitazione, tra libertà totale e fervore creativo, pittura, lettere, studi e amicizia. Le sorelle Stephen riescono così a dare libero sfogo ai loro talenti; Virginia scrivendo, Vanessa dipingendo, e in un certo senso quella fu la loro università. Nell’ampio soggiorno del primo piano tutto è concepito per ospitare gli amici delle sorelle e dei fratelli Stephen.

A Bloosmbury transitano e si soffermano personaggi che diventeranno poi economisti, storici, filosofi ed artisti famosi; condividono motivazioni sociali, idee artistiche innovative, teorie rivoluzionarie e relazioni romantiche, tra discorsi, analisi profonde ma anche scherzi giocosi.

Tra i nomi di spicco, John Maynard Keynes che rivoluzionerà il pensiero economico mettendo le basi del welfare state; Lytton Strachey che inventerà un nuovo modo di scrivere e raccontare storia e biografie, sarà il biografo per eccellenza in terra britannica, autore di due strepitosi ritratti delle vite delle sovrane Elisabetta I e la Regina Vittoria.

E ancora, il futuro marito di Virginia, Leonard Woolf che sogna una società nuova e con la scrittrice fonderà la casa editrice Hogarth Press; Clive Bell che sposerà Vanessa; il pittore Duncan Grant e il critico Roger Fry che svelerà oltre Manica le nuove tendenze artistiche parigine.

E le donne nel gruppo faranno la loro parte dando un nuovo peso alle loro intelligenze.

A Bloomsbury transitano Vita Sackville –West, Dora Carrington, Lady Ottoline Morrel, Katherine Mansfield. Ma sono molti di più i personaggi che incroceranno Bloomsbury e li trovate tutti nel libro della mostra che dedica ad ognuno un capitolo, tra foto d’epoca, quadri, disegni e materiali inediti.