CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 144

Qualcuno salvi la punteggiatura!

La difficile e faticosa vita delle virgoledei punti e la quasi estinzione dei punti e virgola

 

Come la maltrattiamo questa punteggiatura, la sviliamo e la sottovalutiamo prediligendo quasi esclusivamente l’ uso dei punti esclamativi, numerosi ed  invadenti, come se uno solo non bastasse a capire che siamo sorpresi, felici, increduli, e dei punti interrogativi che si mettono in fila sfacciati nelle nostre conversazioni digitali, anche lì, come se inserire l’unico previstoper convenzione, alla fine di una qualsivoglia domanda, non fosse sufficiente a dare il senso del dubbio o del rebus.

Se aggiungiamo a questa folla indesiderata di interpunzioni gli attualissimi emoticon, utilizzati nel bel mezzo di ciascuna locuzione per comunicare ogni tipo di sentimento, oggetto, cibo, animale o valutazione, talvolta col rischio di seri fraintendimenti, abbiamo una autentica giungla della scrittura la cui eccessiva semplificazione, dovuta essenzialmente al fattore velocità, prendeil posto di una corretta e composta redazione di pensieri e parole.

Non si vuole screditare totalmente i nuovi metodi di comunicazione scritta, spesso utili alle nostre vite frenetiche fatte di tempi ridotti, ma non possiamo assassinare la nostra bella lingua fatta anche di pause, di incisi e di sobrietà; questa vocazione geroglifica odierna che privilegia la rappresentazione istantanea, a scapito della scrittura tradizionale, deve essere perlomeno oggetto di riflessione.

Al contrario del punto e della virgola che, fortunatamente, rientrano ancora nella categoria delle specie protette della comunicazione scritta, l’agonizzante e sfortunato punto e virgola, utilizzato per la prima volta nel 1500 da Aldo Manuzio, stampatore veneziano, che è, o dovrebbe essere,  “uno stacco intermedio tra due preposizioni di un periodo: più forte della semplice virgola e meno forte del punto” (Treccani); indicato quindi  per dividere  due  frasi coordinate tra loro in caso di periodi lunghi e, inoltre, utilizzato anche negli elenchi e nelle enumerazioni, è praticamente ignorato. Il suo utilizzo riveste una funzione importante sia per lo scrittore che per il lettore: chi compone il testo è in grado di organizzare i periodi in maniera più ordinata e disciplinata e chi legge può evitare una seccante sospensione del respiro.

Esclamazioni interrogative, abuso di simboli tuttofare, abbreviazioni mortificanti di parole stanno umiliando dunque la nostra lingua, splendida e armoniosa, che Thomas Mann definiva la “lingua degli angeli”, “un idioma celeste”. E’ importante a questo punto rivalutare le regole, normalizzare nuovamente la scrittura evitando così che una forma di comunicazione così importante, di arte meravigliosa e determinante mezzo di trasmissione del sapere diventi unicamente uno schieramento di segni grafici.

 

Qualche tempo fa sul web girava una frase che dimostrava come,a seconda dell’utilizzo o meno della punteggiatura , il significato venisse stravolto completamente: “Vado a mangiare, nonna”  o “Vado a mangiare nonna”, tutto ciò a testimonianza che una virgola può salvare la vita, la vita della scrittura.

 

Maria La Barbera

Salvo Lombardo presenta a Collegno il 19 ottobre il nuovo lavoro SPORT

La performance Sport è il terzo capitolo della trilogia L’esemplare capovolto a cui il coreografo lavora con la sua compagnia Chiasma dal 2018. L’intero progetto si è mosso a partire dalla riscrittura di tre opere storiche del repertorio della danza accademica italiana di fine 800 che il coreografo Luigi Manzotti ideò per il Teatro alla Scala di Milano. Seguendo questa traiettoria Lombardo ha realizzato Excelsior (2018), basato su una lettura post-coloniale dell’originale Gran Ballo Excelsior, e poi Amor (2021), che indaga la fenomenologia del potere e le sue manifestazioni nei corpi in rapporto alle eredità iconografiche della classicità, per arrivare a Sport (2023) concepito come rinnovata occasione per ridiscutere i canoni e gli immaginari applicati alla corporeità in Occidente.

La performance SPORT di Salvo Lombardo individua nella condizione fisica della “caduta” una specifica dimensione esistenziale e allo stesso modo un pretesto per riposizionare gli ideali di agonismo e di prestazione normalmente fondati su principi di esclusione e di conformità a precise norme anatomiche, sociali, comportamentali, culturali. Nello specifico SPORT tenta di allargare lo sguardo sul concetto stesso di “performatività” del corpo, tanto nella performance artistica quanto in quella sportiva. In questo senso lo sport è indagato come una delle diverse articolazioni delle forme del potere dominante, nelle intersezioni tra espressione individuale e narrazione pubblica, al crocevia con la costruzione delle identità nazionali, culturali, di genere. SPORT di Salvo Lombardo è l’occasione per ridiscutere i canoni e gli immaginari contemporanei applicati alla corporeità in “Occidente” cercando di disvelare tanto il disperato tentativo di resistere alla sua caduta, quanto l’inevitabile, necessaria e a tratti “amorevole” accettazione del declino: di una condizione, di un sistema di narrazioni, di un mondo.

Salvo Lombardo a Collegno ha svolto numerosi momenti di residenza, incontrando anche le studentesse e gli studenti del Liceo Coreutico Primo di Torino ed essersi confrontato con sportivi e coach del CUS.

Venerdì 20 ottobre al Polo del ‘900 dalle ore 14:00 alle ore 17:30l’Università di Torino – Diupartimento di Studi Umanistici promuove il convegno Da Excelsior a Sport: fra archivio e re-enactment. L’appuntamento è il punto conclusivo del progetto Laboratorio Excelsior: ricerca e coreografia su potere, identità e nazione che ha avuto diversi attraversamenti nel 2023, grazie al sostegno della Fondazione CRT: la Residenza d’artista per student* e docenti al Liceo Artistico e Coreutico Primo e allo StudiumLab dell’Università degli Studi di Torino, la Residenza Sport della compagnia Chiasma di Salvo Lombardo alla Lavanderia a Vapore, oltre alle ricerche negli archivi della Biblioteca civica musicale “Andrea della Corte” e del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino.Il gruppo di ricerca DAMS insieme ad esperti, a Salvo Lombardo, a student* e docenti intende restituire il processo di lavoro approfondendone la portata storico-critica, attraverso la contestualizzazione internazionale e torinese dei balli di Luigi Manzotti (1835-1905), l’analisi di alcuni nodi concettuali come la decostruzione iconica e il re-enactment (André Lepecki), oltre a far emergere il valore geopolitico e la cultura pop della danza d’ispirazione manzottiana in alcuni casi studio.

Le immagini dello spettacolo sono di Eros Brancaleon

LiberAzioni Festival. I vincitori della quarta edizione

Si conclude  al Centro Studi Sereno Regis di Torino, la quarta edizione di LiberAzioni Festival – per un dialogo con il carcere. Nell’ambito del ricco programma di presentazioni, proiezioni, iniziative sociali e culturali molto partecipate, la manifestazione ha promosso, come di consueto, un concorso cinematografico dedicato ai cortometraggi. Alla chiusura del festival, sono stati assegnati i relativi premi.

 

 

Primo Premio LiberAzioni Cinema

La giuria, composta da Annalisa Cuzzocrea (presidente, vicedirettrice de La Stampa), Benedetta Perego (avvocata di StraLi e Antigone), Ambra Troiano (esercente) e dai bibliotecari detenuti del carcere Lorusso e Cutugno coordinati da Marco Monfredini, assegna il Primo Premio LiberAzioni Cinema, dedicato al regista Corrado Iannelli (del valore di 2.500 €), al film

 

Polvere di Paolo Carboni

 

Con la seguente motivazione: «Mi ha molto colpita sia per la realizzazione realistica che per il messaggio trasmesso alla fine dal protagonista: basta un attimo, un granello di polvere, e la vita ti cade addosso. Il dramma dei suicidi in carcere e la piaga della mala giustizia sono rappresentati con delicatezza forza e realismo», scrive Annalisa Cuzzocrea a nome della Giuria.

 

«Noi – aggiungono i bibliotecari della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino – votiamo all’unanimità il cortometraggio Polvere assegnando il primo posto. Siamo giunti a questo verdetto poiché in 29 minuti, concisi ma molto esaurienti, la tematica della cosiddetta malagiustizia è stata sviluppata in ogni sua sfumatura, a partire dall’origine del caso concreto fino alle più estreme conseguenze sotto il profilo umano. L’attore protagonista interpreta in maniera calzante la parte del giovane Aldo, sempre più inghiottito come vittima sacrificale in un labirinto giudiziario costruito erroneamente e con superficialità con lo scopo principale di accontentare l’opinione pubblica.

«L’ambiente spazio-temporale appare assai provinciale ma, al tempo stesso purtroppo, molto attuale, se si pensa ai risvolti del declino psico-fisico in cui decade il povero ragazzo. Vicenda ricostruita al meglio anche grazie ai flashback volto al passato e da cui si desume, con spiccata espressività emotiva, una giovane esistenza come tante altre, fra la quotidianità dei propri legami familiari e la dipendenza dagli stupefacenti condivisa con alcuni amici. È proprio per quest’ultimo fattore, così come per il fatto di abitare casualmente nei pressi del luogo della rapina finita male, che Aldo viene incastrato: elementi che la traccia del corto stigmatizza, in modo ottimale come circostanze determinanti della vicenda, mai giustificate dell’applicazione della misura cautelare in carcere inflitta ingiustamente a carico del protagonista».

“Un carrello carico di libri, così leggono i detenuti…”

 

«Il bibliotecario, negli Istituti Penitenziari, svolge un ruolo fondamentale, soprattutto per un recluso appena entrato – proseguono i bibliotecari del carcere torinese – perché il tempo scorre, nonostante la sua preziosità, da recluso non viene spesso apprezzata e bisogna far passare la giornata. La prima azione istintiva e spontanea, anche per chi non legge, è prendere un libro. Di conseguenza, nel cortometraggio, il bibliotecario è il fulcro, colui che socialmente senza accorgersene dona e crea l’atmosfera autentica dell’aiuto reciproco, ma allo stesso tempo, purtroppo, si ritrova a vivere attraverso i suoi occhi la drammaticità della morte, fortemente attuale in tutti gli Istituti Penitenziari d’Italia».

 

 

La presidente della Giuria del Primo Premio LiberAzioni assegna inoltre una segnalazione speciale a

 

Tana libera tutti di Valerio Filardo

 

Con la seguente motivazione: Perché fa sperare – attraverso lo sguardo dei bambini – in un destino meno ingiusto per chi cerca di raggiungere un posto sicuro e conquistarsi un pezzo di felicità.

 

 

La giuria del Primo Premio ha inoltre assegnato delle menzioni speciali.

 

I giorni delle arance di Matteo De Liberato

Con la seguente motivazione: abbiamo dimenticato cosa sono i totalitarismi, qui lo ricordiamo vedendo come la vita ne rimanga intrappolata per sempre, producendo le peggiori ingiustizie e annientando emozioni e sentimenti. O almeno provando ad annientarli, finché riemergono dove non te li aspetti, nel sorriso accennato di una condannata che ha perso tutto, ma sa cos’è l’amore materno (Annalisa Cuzzocrea).

 

Viva di Marianna Turturo e Alessandra Ardito

Con le seguenti motivazioni: per il lavoro fatto con le detenute del carcere di Trani e perché evidenzia la condizione particolarmente fragile delle donne detenute (Annalisa Cuzzocrea).

La vera realtà delle detenute recluse che tratta svariate sensazioni e problematiche quotidiane. I sentimenti contrastanti tra una telefonata negativa che prevale su una stessa telefonata, ma al positivo. Il cortometraggio esprime la quotidianità carceraria: come viene realmente vissuta la giornata. Emotivamente toccante e suggestiva la scena finale dove una delle detenute, il giorno del suo fine pena, dopo tantissimi anni di reclusione, come prima azione da libera corre verso il mare, che in precedenza poteva solo vedere, respirandone il profumo attraverso le sbarre, simbolo rappresentativo di libertà e di inizio di vita (giuria composta dai detenuti bibliotecari).

 

Il posto del padre di Francesco D’Ascenzo

Con la seguente motivazione: un breve film-documentario che ben racconta, direttamente con le voci dei due protagonisti della storia e con tanto sano realismo, il rapporto fra un padre e un figlio che va ricostruito dopo molti anni di forzato distacco, causato dagli errori commessi nella precedente vita dal genitore (giuria composta dai detenuti bibliotecari).

I cinque punti di Andrea Deaglio insieme agli studenti del CPIA di Torino

Con la seguente motivazione: per lo sguardo così concreto e psicologico che il film ha offerto a ciascuno di noi, verso coloro i quali ci sono, ossia esistono per ogni recluso, fuori dalle mura detentive. L’emozione positiva e negativa che allo stesso tempo una madre e un padre provano verso il sé recluso (giuria composta dai detenuti bibliotecari).

 

 

Premio Marina Panarese

 

La giuria, composta da Ikram Mohamed OsmanSara SannaLuisa ZhouEmanuele Bobbio e Hassan Khorzom, assegna il Premio Marina Panarese (da 2.000 €) per autrici e autori di origine straniera, al film

 

When the Leaves Fall di Xin Alessandro Zheng

 

Con la seguente motivazione: per la capacità di tratteggiare un racconto universale, capace di toccare le corde di tutte e tutti noi con delicatezza, rispetto, semplicità. Il ritorno in Cina di Giacomo, giovane sinodiscendente cresciuto in Italia, viene così scandito da elementi che fanno eco a una storia condivisa, a prescindere da età e provenienze: la distanza intergenerazionale e i suoi silenzi, il ruolo della memoria, la ricerca di sé tra i dubbi di chi parte e le risposte di chi resta. A fare da fil rouge è il conflitto dello stesso Giacomo, sospeso tra il proprio sentire le aspettative del mondo “fuori”. Ad aggiungere valore alla scelta dell’opera vincitrice, infine, vi è la vicinanza all’eredità culturale e sociale di Marina Panarese, che da sempre si è battuta per avvicinare mondi lontani e diversi con uno sguardo critico e consapevole.

 

 

La giuria assegna inoltre una menzione speciale a

 

Near Light di Niccolò V. Salvato

 

Con la seguente motivazione: per la delicatezza con cui riflette sul tema del riscatto sociale e per il coinvolgimento di una giovane troupe internazionale.

 

 

 

Premio LiberAzioni Cinema Giovani

 

La giuria, composta da Costanza AgnellaRoberta BaciuIsadora MazonMatilde PacioniFrancesca SapeyAlberto Grometto e Giosuè Tedeschi, coordinati da Carlo Griseri e Alessandro Amato di Agenda del Cinema Torino, assegna il Premio LiberAzioni Cinema Giovani (da 1.000 €, con il sostegno di Nova Coop), al film

 

I giorni delle arance di Matteo De Liberato

 

Con la seguente motivazione: il film ha una poesia e un’intensità uniche, riesce a toccare il cuore, a emozionare, a catturare l’attenzione. Alla giuria è piaciuto davvero molto il feticcio-arancia, quasi una Madeleine proustiana, che richiama alla memoria un tempo infantile, di felicità, di limpidezza che sembra quasi di poter toccare, annusare insieme alla protagonista. Il rapporto che si instaura fra la detenuta e il prete forse figlio, forse semplicemente orfano, entra in profondità nonostante il tempo limitato del film, suggerendo un’apertura, una speranza subito troncata, ma non del tutto spenta.

 

 

 

LiberAzioni Festival è un progetto a cura dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema realizzato con il sostegno dell’Ufficio della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino, poi di Regione Piemonte, Fondazione CRT, Otto per Mille Battista, ITAS Solidale, NovaCoop e Cooperativa Arcobaleno. Il festival si svolge in collaborazione con: Direzione della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, Antigone Piemonte, Agenda del Cinema Torino, Mercuzio and Friends, Centro Studi Sereno Regis, ArTeMuDa, FreedHome, Cooperativa Extraliberi, Mosaico Refugees, Voci Erranti, i donatori della campagna di crowdfunding Tessiamo LiberAzioni, le amiche e gli amici di Marina Panarese.

A Torre Pellice le “Delizie” del pittore internazionale Giuseppe Attini

Nello spazio Open ADA dal 4 novembre

 

Nello spazio Open ADA di Torre Pellice a Torino, dal 4 novembre prossimo fino al 14 gennaio 2024, si terrà  la mostra ‘Delizie’, che espone in Italia l’inedita produzione del pittore internazionale Giuseppe Attini, nato a Torino nel 1960, artista dai trascorsi importanti in Russia e in Cina, di cui Lorenzo Alessandri fumentore naturale.

Verranno esposti per la prima volta nelle due sale dello spazio OPEN ADA di Torre Pellice,  a cura di Antonio Attini e Monica Mantelli, alcuni suoi pezzi unici, tele ad olio, dedicate alle Matrone, donne mature, sfatte o addirittura verso la fine del loro percorso terreno. A queste si affianca la serie di multipli Bambole,  bambine curatissime, dalle folte ciglia lunghe, spesso dagli occhi a mandorla, coccolate da acconciature fastose e ricche fogge d’abito, cariche di simboli e rimandi all’Oriente e all’Occidente. Sono editati in una preziosa serie di dieci pezzi l’una e realizzate in avveniristica stampa tridimensionale in plexiglas. Ad essi si affianca una serie di foulard stampati su seta. Inoltre sono presenti gli scrigni, vere e proprie scatole d’artista, metalliche  e tubolari,  aperte a ogni sorpresa. Infine le giravolte, inquietanti dipinti e disegni a matita in bianco e nero che recano assemblaggi noir di bambolotti galleggianti con le braccia tese, quasi in cerca di un patrono. In tutte queste opere le tenebre si fanno fiabe. Giuseppe Attini ha spaziato indomito nella ricerca della bellezza,  senza badare alle linee guida dogmatiche.

Le sue opere e l’operazione compiuta da Giuseppe Attini è una riesumazione storico artistica del suo tempo con Dina Foppa, musa e moglie di Lorenzo Alessandri, mecenate del Museo Comunale Alessandri, ad oggi sotto la brillante curatela di Concetta  Leto. Attraverso la sua arte figurativa dissacrante, ironica e perturbante, l’artista è  in grado di stralciare il velo che separa l’infanzia dalla vecchiaia.  DELIZIE rappresenta un ritorno a ciò che aveva iniziato molto decenni fa alla presenza di Dina e si rivela una produzione ancor oggi meravigliosamente misterica, strana e intimamente originale.

Giorni e orari della mostra

OPEN ADA, via Repubblica 6, Torre Pellice.

Visite   solo nei pomeriggi di sabato e domenica ore 15-18. Il venerdì su appuntamento  tel 3479756902

 

Mara Martellotta

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Melissa Harrison “L’aria innocente dell’estate” -Fazi Editore- euro 18,50

Questo romanzo della scrittrice inglese Melissa Harrison inizia con un ritratto bucolico della vita di campagna, negli anni Trenta, dopo la fine della Prima guerra mondiale; poi vira decisamente verso toni più cupi.

Protagonista è la 14enne Edith Mather, ragazzina che preferisce i libri alla compagnia dei coetanei. E’ tranquilla e irreprensibile, sempre pronta ad aiutare nella fattoria di famiglia, tra campi di grano, allevamenti e immense praterie dove la natura detta i ritmi di vita e lavoro.

E’ la minore di tre figli, a Wych Farm è rimasta con i genitori e il fratello Frank; mentre la sorella maggiore Mary, alla quale era legatissima, ora è sposata e con un bimbo piccolo e si è trasferita in città. Per Edith questa lontananza è dolorosa, anche perché il cognato non permette a Mary di andare a trovare la famiglia.

Da allora Edith è più irritabile ed è con una disposizione d’animo non propriamente aperta e benevola che vive l’arrivo da Londra della giornalista Constance FitAllen che gira di fattoria in fattoria, intervistando le persone per scrivere articoli dedicati a usi e costumi del luogo.

Minuziose descrizioni del paesaggio e dei lavori agricoli imprimono un ritmo lento al romanzo che mette in luce un ambiente rurale, arcaico, quasi di altri tempi. Su questo sfondo Edith cresce e diventa lentamente adulta, approfondendo anche il legame con la ventata di modernità rappresentata dall’indipendente ed emancipata Constance.

Ma non tutto è placido come sembra e la svolta inaspettata, con un fattaccio, vi aspetta tra le righe….

 

 

Goran Vojnović “All’ombra del fico” -Keller Editore-  euro 20,00

Questo è il romanzo potente dello scrittore, sceneggiatore e regista sloveno. Attraverso una saga familiare che si dipana durante anni cruciali per la storia dei Balcani, mette in primo piano la questione dell’identità, sullo sfondo della ex Jugoslavia.

Goran Vojnović è nato nel 1980, dopo la morte di Tito, ed appartiene a quella generazione che si è ritrovata senza una precisa collocazione in un paese sfaldato. Pertanto nei suoi scritti, e in questo suo terzo romanzo dai richiami autobiografici, ricorre sempre il concetto dell’“Heimat”, ovvero il senso di appartenenza di una persona.

Il protagonista Jadran Didzar è un 30enne che, mentre sta elaborando il lutto per la morte del nonno, viene abbandonato dalla moglie. Una tempesta emotiva che riporta a galla i ricordi e gli consente di ricostruire la storia della sua famiglia e quello che la guerra ha distrutto. Un’intensa saga che attraversa tre generazioni lungo il XX secolo.

A iniziare dal nonno Aleksandar che, dalla Slovenia, si era stabilito in Istria; lì aveva sposato la slovena Jana e fondato la sua famiglia.

Una genealogia familiare imbastita come un mosaico, in cui all’inizio i matrimoni tra etnie diverse erano comuni e non creavano problemi. Serbi, Croati, Sloveni convivevano ed intrecciavano i loro destini; poi la Storia li ha divisi e sono esplosi i conflitti.

Il protagonista torna nella casa del nonno e dà l’avvio ai ricordi che ricompongono le vicende di nuclei familiari; soprattutto le fratture tra i loro membri, riflesso e conseguenza della disgregazione del paese. Pagine intense che raccontano con profondità psicologica legami di sangue e modi di sentire, viaggi forzati da cause di forza maggiore, resi complicatissimi dai nuovi confini che si sono creati come brecce anche nei legami tra le persone della stessa famiglia.

Quando Jadran torna nella casa avita, ricorda il funerale del nonno e tutto quello che è accaduto dopo; è così che si rende conto che l’unica cosa ad aver resistito al tumulto della storia è l’albero di fico nel giardino.

 

Jón Kalman Stefánsson “La tua assenza è tenebra” -Iperborea- euro 21,50

Il famoso scrittore islandese in questo libro parla non solo della sua incredibile terra, ma soprattutto di: vita, morte, emozioni, sentimenti profondi, coraggio di vivere, rinascita…e molto altro ancora. Impossibile racchiudere in poche parole la valanga di pensieri che accompagnano queste pagine.

E’ il racconto delle complesse vicende umane sullo sfondo di un’Islanda dai paesaggi caratterizzati da potenti contrasti; tanti personaggi che sullo scivoloso ghiacciaio dell’esistenza si muovono, commuovono, avanzano, arretrano, nascono, vivono e muoiono.

Siamo nei Fiordi islandesi, e un uomo si ritrova -senza neanche sapere perché e come ci sia arrivato- nel cimitero di una chiesa di campagna, dove a entrargli nell’anima è l’iscrizione su una tomba: “La tua assenza è tenebra”. Da questa immagine inizia il complesso viaggio dell’autore che racconta l’essere umano, e lo fa attraverso continui flash back, paesaggi unici e desolati, tranche di vite, senso profondo dello scorrere del tempo, assenze e presenze, pensieri filosofici, emozioni che chiedono di essere espresse con le parole.

Si avvicendano incontri, storie di famiglie, lutti devastanti, rimpianti, ricordi sfocati, incontri fondamentali, nostalgie e rimpianti. Tutto ambientato nella brughiera islandese che rimane nei nostri occhi anche dopo l’avventurosa lettura di questo libro in cui c’è davvero il vivere in senso lato.

Viaggiando anche attraverso le epoche, la profonda cultura di Stefánsson ci immerge in amori, tradimenti, sogni, delusioni e avventure dei vari personaggi. Dal giovane musicista e il suo dramma familiare, alla prima femminista islandese a inizi Novecento; passando per altri protagonisti che in comune hanno il senso di vuoto, perdita….e tantissimo altro ancora.

 

 

Jane Harper “Dopo questo esilio” -Bompiani- euro 23,00

Jane Harper, giornalista e scrittrice, che ha inanellato una serie di prestigiosi premi letterari, oggi vive a Melbourne con il marito e i due figli, ed è una delle autrici di maggior successo non solo in Australia. Al suo attivo ha una serie di best sellers internazionali, pubblicati in 40 paesi. E dal suo precedente successo “Chi è senza peccato” è stato tratto anche un film interpretato da Eric Bana.

In questo suo ultimo thriller siamo nel sud dell’Australia, nella Marralee Valley, dove aleggia un mistero irrisolto. Tempo prima, durante il Festival del vino, era sparita Kim Gillespie, lasciando sola nel passeggino la figlioletta di appena 6 mesi, Zoe. Da allora più nulla si è saputo della fine che ha fatto.

Un anno dopo, a chiedersi quale potrebbe essere stato il destino di Kim c’è il marito Rohan, convinto che la donna non se ne sia andata di sua volontà, ma che qualcosa di terribile sia successo.

Rohan e Zara, (la figlia che Kim aveva avuto 16 anni prima con un altro compagno) lanciano appelli accorati affinché qualcuno indaghi sulla scomparsa.

Ed è così che l’agente Aaron Falk, ospite del collega Greg Raco e della moglie, che l’hanno scelto come padrino del loro neonato, si ritrova catapultato da quella che doveva essere una tranquilla vacanza in un’indagine dolorosa e difficile.

Non vi resta che seguire il dinoccolato agente federale Falk che, sullo sfondo di vigneti e atmosfere particolari, tra colpi di scena e pathos, indaga e man mano scopre che spesso le apparenze ingannano……

“Donne di terre estreme” in mostra al Forte di Bard

 

Le immagini fotografiche di “donne e luoghi ai margini”, raccolte nei luoghi più “estremi” del Pianeta da Caterina Borgato

Fino al 5 novembre

Bard (Aosta)

“Ad Harar si cammina in mezzo a uomini che non sanno più pensare … Per strada, donne e uomini parlano con qualcuno che non esiste, che non si vede. Alcuni predicano, altri urlano. Forse è Harar che fa impazzire o trasporta l’anima in un’altra dimensione. Una giovane donna raccoglie bottiglie di plastica da terra, le schiaccia con un piede scalzo e le incastra nel turbante di stracci che le copre i capelli”. Ignoto il nome della giovane donna con “in testa un’opera d’arte”, che trascina senza sosta la sua vita per le strade ( ai suoi occhi tutte uguali) della città santa di Harar Jugol, nella parte orientale dell’Etiopia.

 

E’ la “pazza di Harar … stralunata e bellissima” protagonista di un racconto tratto dal volume “Donne di terre estreme”, pubblicato (a sostegno del progetto di solidarietà internazionale “Una Ger Per Tutti”) nel 2021 dalla veneziana di Mirano, Caterina Borgato. Grande scrittrice ma anche eccellente, poetica fotografa: due mestieri nati insieme, inseparabili gemelli, nutriti giorno dopo giorno dall’immenso amore dell’artista per il “Viaggio”. Dalle pagine del libro, pubblicato per “Montura Editing”, nasce così l’attuale, omonima mostra ospitata, fino a domenica 5 novembre, alle “Scuderie” del valdostano “Forte di Bard”. Rassegna di grande suggestione, di forte impatto visivo nell’incontro-scontro con volti femminili senza tempo in cui pare difficile recuperare il senso della speranza, eppure magnifici nella scultorea fissità di ancestrali, ormai sopportabili rassegnazioni, il percorso espositivo racconta di una ricerca dedicata alla realtà del mondo femminile che la Borgato ha incontrato in regioni della Terra considerate geograficamente, e culturalmente, “estreme”.

Donne e luoghi ai margini: nella depressione desertica della Dancalia etiopica, nell’inaccessibile isola di Socotra (Yemen), come sui remoti altipiani della Mongolia occidentale, ai confini con la Siberia. Il “Viaggio” è, da sempre, componente impetuosa e preponderante del suo “dna”, per lei nata da una famiglia di alpinisti e viaggiatori. Laureata in Scienze Politiche, Caterina Borgato imposta, da subito, la ragione del suo “essere”, del suo vivere, sulla scoperta della cultura del Mondo e dell’altro. Vive e lavora, dunque, nel “Mondo”, viaggia e si immerge in realtà non facilmente immaginabili, anche nell’Africa sub Sahariana ed Equatoriale, in Asia, in Medio Oriente ed in Sud America. Del “viaggio” dice che è “scuola di umiltà” e l’incontro con l’umanità una “preziosa ricchezza”. Dal 2004 è “expert on tour” per “Kel 12 National Geographic Expedition”. Viaggiare, scrivere, fotografare. Conoscere. Conoscere gli altri. Per meglio conoscere sé stessa, proprio attraverso la contezza degli altri. Attraverso il mondo femminile, soprattutto. Che, ovunque, riesce ad integrarsi attraverso imperscrutabili vie d’accesso. Di incontro fra realtà tanto più diverse quanto più uguali. Quanto più comunicanti e voci alte di uguali sentimenti, attese, speranze. “Donne di terre estreme”, racconta la stessa Borgato, vuole essere “una testimonianza della coesione del mondo femminile, di un tacito ‘patto sociale’ che esiste fra tutte le donne e che rappresenta le solide fondamenta di queste società sconosciute o dimenticate”. “Vuole essere – prosegue – un messaggio per continuare a riflettere sulla condizione femminile, sugli squilibri e sulle disgregazioni che, anche nelle società del benessere diffuso, non solo in quelle ‘estreme’ rendono ancora difficile l’affermazione sociale delle donne”.

Parole che rendono meno arduo, e perfino dolce, l’itinerario di una mostra che, in forma perfetta e miracolosa, riesce ad esprimere un “credo” che in toto guida, ad ogni passo, lo stare al mondo di Caterina Borgato. “Credo nell’intreccio straordinario e travolgente dell’immagine e della scrittura, una danza sensuale di particolari che messi insieme riescono a contenere tutto l’universo. Mi piacciono i poeti, gli esploratori, i sognatori”. Parole che ti staccano dalle pochezze terrene, per portarti in cieli alti.

Gianni Milani

“Donne di terre estreme”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emnuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino a domenica 5 novembre

Orari: feriali 10/18; sab. dom. festivi 10/19 

La statunitense Karen Russell è la vincitrice del Premio Lattes Grinzane

Con il suo romanzo I donatori di sonno (Edizioni Sur, traduzione di Martina Testa), la statunitense Karen Russell è la vincitrice della XIII edizione del Premio Lattes Grinzane, il riconoscimento internazionale intitolato a Mario Lattes e promosso dalla Fondazione Bottari Lattes, che anche quest’anno ha visto concorrere insieme i migliori libri di narrativa italiana e straniera pubblicati nell’ultimo anno.

La cerimonia di premiazione, condotta da Alessandro Mari, si è svolta sabato 14 ottobre 2023 al Teatro Sociale Busca di Alba (CN). A determinare la vittoria di Russell sono stati i voti di 400 studentesse e studenti di 25 giurie scolastiche delle scuole superiori in tutta Italia, più una di Parigi.

Si legge come motivazione della Giuria Tecnica del Premio, che aveva selezionato I donatori di sonno tra i finalisti: «La qualità di certe storie del terrore si può misurare con la quantità di sonno che sottrae, per l’eccitazione che non fa chiudere occhio. Poi si cede, altrimenti il corpo collassa. Come ne I donatori di sonno, dove Karen Russell trasforma l’insonnia stessa in un incubo di massa: la misteriosa epidemia che impedisce di dormire fiacca la mente e il corpo fino alla morte. È l’apocalisse, bianca. Ci sono alcuni donatori, che con il loro sonno idratano le menti dei malati, ma rischiano di infettarli con gli incubi. Il genere umano rischia l’estinzione. L’unica speranza sono i bambini, il sonno purissimo. A scoprirlo è la voce narrante del romanzo, che ha perso la sorella, tra le prime vittime della pandemia: la sua storia è una ferita pulsante, perché la usa per convince i più riluttanti a donare, come il padre di una bambina prodigiosa. Così la distopia diventa riflessione sul senso del dono, il sacrificio per la salvezza, il potere delle storie. E il romanzo, uscito negli Usa nel 2014, non si riduce a profezia del Covid, ma re-invenzione del mito di Morfeo-Hypnos. Con uno stile essenziale, tra guizzi psicologici e colpi d’ala dell’immaginazione, Russell ci ricorda che certi traumi non si superano, ma possono venire trasformati in storie che danno senso al dolore e alla paura di tutti. E la letteratura è far proprio, incubare, ciò che è stato sognato da altri».

Domani Karen Russell terrà una masterclass alla Scuola Holdendi Torino, con la quale da quest’anno il Premio Lattes Grinzane ha avviato una nuova collaborazione preceduta da una lezione introduttiva a cura di Loredana Lipperini. Al centro, il tema della letteratura di genere secondo l’autrice, con un approfondimento sul suo metodo di lavoro. Informazioni sul sito scuolaholden.it

Jonathan Safran Foer, pubblicato in Italia da Guanda, è il vincitore del Premio Speciale Lattes Grinzane, attribuito ogni anno a un’autrice o a un autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Durante la cerimonia, secondo la tradizione, lo scrittore ha tenuto una lectio magistralis dal titolo Cuori di macchina, tradotta in italiano da Irene Abigail Piccinini, incentrata sul rapporto tra il valore del tempo e la società tecnologica in cui viviamo: «Cambierà tutto» è ciò di cui si vanta qualunque novità tecnologica di rilievo. Ma questo cambiamento ha una direzione, e come facciamo a sapere per certo che si tratti di una direzione positiva? È un progresso?   

È possibile rivedere l’intera cerimonia sulla pagina Facebook e sul sito della Fondazione Bottari Lattes.

Nel corso della cerimonia, come stabilito lo scorso aprile dalla Giuria Tecnica in accordo con la casa editrice Bompiani, è stato reso pubblicamente omaggio ad Hanif Kureishi. “Grande scrittore contemporaneo che, colpito da un malore durante lo scorso Natale, ha subito una lesione spinale perdendo l’uso degli arti e che, nonostante la gravissima condizione, ha continuato a servire e onorare la scrittura dettando i suoi tweet e, subito dopo, una newsletter che raccoglie i suoi testi, dove racconta di ‘scrivere con una voce più libera le parole che in qualche modo si erano bloccate o inceppate’. Un segnale di grande speranza e coraggio nei confronti della letteratura, e della vita”.

Nell’ambito del progetto, sono state inviate alcune opere dell’autore ai ragazzi delle scuole superiori che compongono le Giurie Scolastiche.

Gli altri finalisti di questa edizione sono stati Una notte di Giosuè Calaciura (Sellerio), Melancolia di Mircea Cărtărescu (La Nave di Teseo, traduzione di Bruno Mazzoni), Avere tutto di Marco Missiroli (Einaudi) e Stupore di Zeruya Shalev (Feltrinelli, traduzione di Elena Loewenthal).

I cinque romanzi finalisti, così come il Premio Speciale, sono stati selezionati dalla Giuria Tecnica, composta da otto membri tra docenti, giornalisti, critici e scrittori. Successivamente ai 400 studenti e studentesse che compongono le Giurie Scolastiche è stato affidato il compito di leggere, giudicare e individuare il vincitore di quest’anno. I giovani coinvolti provengono da tutta Italia, da Aosta a Messina, da Volterra a Salerno, fino a Parigi, per un totale di 25 scuole partecipanti. Nella mattinata di oggi, i finalisti hanno incontrato gli studenti e le studentesse delle scuole in giuria al Castello di Grinzane Cavour.

Bio premiati

Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a New York. Ha esordito a venticinque anni con Ogni cosa è illuminata (2002), bestseller internazionale e vincitore del National Jewish Book Award e del Guardian First Book Award; ugualmente fortunato il secondo romanzo, Molto forte, incredibilmente vicino (2005). Da entrambi i romanzi sono stati tratti film di successo. Nel 2010 è uscito il suo saggio-reportage Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, mentre l’ultimo romanzo, Eccomi, del 2016, è stato scelto come miglior libro dell’anno dalla giuria della Lettura – Corriere della Sera. Nel 2019 è uscito il saggio Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Guanda.

Karen Russell (Miami, 1981) ha pubblicato tre raccolte di racconti (di cui in Italia sono uscite per Elliot Un vampiro tra i limoni e Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi), ed è stata finalista al Premio Pulitzer con il romanzo Swamplandia! (Elliot, 2011). Ha ricevuto le due più importanti borse di studio americane per le arti, quella della MacArthur e della Guggenheim Foundation.

 

Le giurie

I cinque romanzi finalisti e il vincitore del Premio Speciale sono stati scelti dalla Giuria Tecnica: presidente Loredana Lipperini (scrittrice, giornalista, conduttrice radiofonica), Marco Balzano (scrittore, poeta, italianista), Valter Boggione (docente di Letteratura italiana all’Università di Torino), Anna Dolfi (docente di Letteratura italiana nelle Università degli Studi di Trento e Firenze), Paola Italia (docente di Filologia della Letteratura Italiana all’Università di Bologna), Alessandro Mari (scrittore, editor), Luca Mastrantonio (giornalista, critico letterario) e Bruno Ventavoli (giornalista, critico letterario).

Le 25 scuole che costituiscono le Giurie Scolastiche 2023 sono: Liceo Classico Statale “G. Govone” di Alba (Cn), Licei “Giolitti-Gandino” di Bra (Cn), Istituto di Istruzione Superiore “Baruffi” di Ceva (Cn), Liceo Classico “Alfieri” di Torino, Istituto di Istruzione Superiore “Amaldi -Sraffa” di Orbassano (To), Liceo Scientifico “G.P. Viesseux” di Imperia, Istituzione Scolastica di Istruzione Liceale, Tecnica e Professionale di Verrès (Ao), Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese, Liceo delle Scienze Umane e Artistico “Giovanni Pascoli” di Bolzano, Liceo Ginnasio Statale “A. Canova” di Treviso, Liceo Scientifico “Michelangelo Grigoletti” di Pordenone, Liceo Statale “Volta-Fellini” di Riccione, Istituto

Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “F. Niccolini” di Volterra, Convitto Nazionale “Principe di Napoli” di Assisi, Liceo Classico Linguistico “Giacomo Leopardi” di Macerata, Liceo Ginnasio Statale “Virgilio” di Roma, Convitto Nazionale “Melchiorre Delfico” di Teramo, Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno, Liceo Statale “G. M. Galanti” di Campobasso, Liceo Classico Statale “Quinto Orazio Flacco” di Potenza, Liceo Classico “V. Lanza” di Foggia, Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Reggio Calabria, Istituto di Istruzione Superiore “La Farina-Basile” di Messina, Liceo Scientifico “Pacinotti” di Cagliari, Istituto Italiano Statale Comprensivo “Leonardo Da Vinci” di Parigi.

Amalia, una grande donna di inizio ‘900. Origini, passioni e delusioni

 

L’amicizia con Gozzano, iniziata nella Società della Cultura, fece molto scalpore tra i contemporanei. Amalia, molto sensibile, raffinata ed elegante, incarnava il modello di donna colta e sofisticata secondo la moda parigina dell’epoca. Durante i mesi del loro breve rapporto, lui scelse la libertà personale e la solitudine come sostituti dell’amore man mano che la salute gli veniva a mancare, contrastando i desideri di Amalia. La poetessa riuscì ad avere con Gozzano una amicizia letteraria e, nonostante fosse ispirata da motivi anche scabrosi, fu apprezzata mantenendo con lui una buona corrispondenza.
I due scrittori non erano certo a conoscenza delle loro comuni origini della Valstrona. Il poeta discendeva da un esponente emigrato ad Agliè da Luzzogno alla fine del XVI° secolo; Amalia discendeva da una famiglia di artigiani originaria di Sambughetto della stessa Valstrona ed era sicuramente a conoscenza della storia dei suoi nonni. La sua origine è stata tratta dall’archivio parrocchiale di Sambughetto emersa grazie alle ricerche di Giuseppe Femia. Il trisavolo Giacomo Antonio e la moglie Antonia Maria Vittoni erano i capostipiti. Il bisnonno Pietro, ottavo dei nove figli di Giacomo, passato a Cravanzana nelle Langhe, si trasferì a Torino nel 1851 ed abitò nella centralissima via Cappel Verde nella zona di piazza San Giovanni. Fu inventore della famosa borraccia in legno per il Regio Esercito. Pietro, con il fratello primogenito Nicola e Giovanni Beltrami, un tornitore di Casale Corte Cerro, si erano presentati all’accademia delle scienze di Torino nel 1826 per ottenere un brevetto sostenendo di essere riusciti a far muovere un carro definito volante composto da leve meccaniche e ruote dentate, sostituendo così la forza animale. Tentativo fallito.
 Il dottor Ernesto, originario di un’altra famiglia Guglielminetti, fu l’inventore dell’attuale asfalto stradale. Rimasta orfana del padre a soli cinque anni, Amalia fu accolta con la mamma Felicita Avezzato e i fratelli Ernesto, Emma ed Erminia nella casa dei nonni Lorenzo (terzogenito dei sei figli di Pietro) e Monnalisa Monza. Sui Guglielminetti è utile consultare quanto pubblicato da Maria Chiara Acciarini, moglie di Marziano (figlio di Giovanni Amabile, quartogenito di Pietro) professore di storia e letteratura italiana, direttore del centro studi Gozzano dell’università di Torino e prefatore del manoscritto “La via del rifugio” di Gozzano, in contatto con il poeta monferrino Piero Ravasenga di Borgo San Martino. La signorina Amalia, cugina di Marziano, furba, ammaliatrice, emancipata e seducente ma molto lontano dalla mediocrità femminista, si oppose fermamente di stare all’ombra di un solo uomo padrone assoluto.
L’amica Lyda Borelli, regina del cinema muto, interpretò alcune scene tratte da una pubblicazione provocante di Amalia, mandando in visibilio il salotto “Donna di Torino”. Il giornalista ebreo Pittigrilli, di dodici anni più giovane di lei, brillante torinese legato alla polizia fascista e collaboratore letterario rifiutato da Giorgio Almirante, fu un amante turbolento di Amalia, vicenda giudiziaria di pubblico dominio. Di questa sua avventura, Gozzano scrisse: “Ecco una delle sue solite crisi di bontà, meglio rimanesse perfida”. Lasciò come da testamento il patrimonio allo Stato, poi rinunciato dalla Finanza, vincolandolo a due condizioni, l’istituzione di un premio annuale di poesia classica a lei intitolato e l’erezione del suo monumento funebre a forma di piramide egizia. Amalia non voleva riposare per terra ma in alto e la piramide doveva misurare cinque metri sia alla base che in altezza.
Scelta non causale, dato che il numero cinque simboleggia esotericamente la volontà, l’intelligenza, l’individualità, la genialità e l’ispirazione. L’ultima casa in via San Donato, dove iniziò la fortuna economica dei genitori, fu ereditata dai fratelli mentre la sua ultima residenza fu l’albergo Principi di Piemonte. Amalia, graffiante e spigliata, non era certo la signorina Felicita ovvero la ricerca della felicità, immobile come le bambole di ceramica o nelle vesti campagnole di un tempo. La sua immagine di poetessa fu deteriorata, dimenticata e nessuna delle sue volontà fu rispettata. Non ebbe miglior fortuna nell’amore, anche se sicuramente fece il possibile per piacere ai suoi amanti, ricchi di opposti entusiasmi. Ma D’Annunzio l’aveva ben valorizzata, definendola “L’unica poetessa che oggi abbia l’Italia”. Anche la città di Torino non la dimenticò, intitolandole una via nel quartiere di Santa Rita.
Armano Luigi Gozzano

Minotti Cerini e Gros-Pietro a Verbania

Sabato 21 ottobre, alle ore 18, l’Associazione culturale LetterAltura organizza nel parco di Villa Giulia a Pallanza l’incontro Scrittori in dialogo tra storia e immaginazione con Wilma Minotti Cerini e Sandro Gros-Pietro. Nell’occasione, introdotti da Amadio Taddei, presidente di LetterAltura, verranno presentati due libri.

In Viaggio intorno a me stessa Wilma Minotti Cerini racconta la sua infanzia infelice contrassegnata dalla perdita del padre, Medaglia d’Oro ed eroe della Resistenza milanese, subito seguita da quella della madre e della nonna. Le vicende della vita personale diventano metafora della storia di un paese che rinasce alla democrazia e alla libertà. Nata poco dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, la scrittrice ( milanese d’origine e verbanese d’adozione) descrive l’inatteso riscatto italiano dalle ceneri della guerra e la sua ascesa vertiginosa che da fanalino di coda dell’Europa occidentale diventa la terza forza ispiratrice dell’Unione Europea, insieme a Germania e Francia, sviluppando una cultura e uno stile di vita che si sono imposti come modello di realizzazione delle facoltà espressive e del modo di vivere a livello internazionale. Il libro di Sandro Gros-Pietro si intitola Totocaelo, parola che equivale a totalmente, comprendendo ogni cosa reale e immaginaria passata, presente e futura. La vicenda di Shanti, donna tailandese divenuta europea e poi cittadina del mondo, rappresenta un ponte tra l’Occidente e l’Oriente, tra realtà e fantascienza, coinvolgendo l’intero pianeta nella narrazione di una utopia che è saldamente radicata nella realtà mondana del secolo in cui viviamo e del probabile prossimo futuro che ci aspetta dietro l’angolo.

Marco Travaglini