CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 143

E se a Babbo Natale non funzionasse la “mail” …?

Allo “Spazio Kairòs” di Torino sarà un “Natale senza rete” per bimbi e famiglie

Domenica 3 dicembre, ore 16,30

Natale a teatro. Ma sarà un Natale di piena suspense, un “Natale senza rete”, come recita il titolo dello spettacolo in programma domenica 3 dicembre (ore 16,30) per i bimbi, dai tre anni, e le loro famiglie che risponderanno all’invito della Compagnia Teatrale “Onda Larsen” organizzatrice di un pomeriggio teatrale “ansiogeno” allo “Spazio Kairòs” di via Mottalciata 7, a Torino. Sul palco, la Compagnia torinese “La fabbrica delle bambole” con Serena Abbà e Martina D’Alonzo. Ma perché “Natale senza rete”? Perché proprio sul più bello, nei giorni dell’attesa dei tanto sospirati regali (quelli che se non fai il bravo Babbo Natale non te li porterà mai!) proprio l’enorme antenna di connessione del Polo Nord, la più potente al mondo, si rompe a seguito dello scioglimento del ghiacciaio “Ymir” sul quale era fissata. Apriti cielo! Perché? Perché Babbo Natale è, ormai anche lui, uomo super digitalizzato e non ha ancora finito di preparare tutti i regali: manca, in particolare, quello di un bambino. Non aveva ancora letto la sua “mail”. Come fare? Prima di tutto vuole cercare di riparare l’antenna e chiama tutti gli elfi a rapporto. Ma dove sono gli elfi? Hai un bel cercarli! Il buon uomo s’era dimenticato che gli elfi (i suoi piccoli “aiutanti” che arrivano nelle case la notte fra il 30 novembre ed il 1° dicembre per controllare se i bambini sono stati buoni o birbanti) erano migrati dal Polo Nord, dopo il licenziamento a seguito della costruzione della parabola, e avevano deciso di andare a vivere al caldo in zone di mare. Con il vecchio Babbo c’è solo  la sua governante, che lo aiuta a tenere la casa in ordine, e la sua renna fidata che ormai non vola più da anni. Vecchiotta e bella ingrassata! Entrambe non capiscono niente di elettronica e non sanno riparare l’antenna, il tempo è poco ed il desiderio dell’ultimo bambino deve essere esaudito. Il rischio è che, altrimenti, non creda più a Babbo Natale.

Idea! “Bisogna tornare ai vecchi tempi: dobbiamo andare a parlare al bambino di persona” suggerisce la badante. La renna, però, è troppo grassa (e chi la smuove?), gli elfi licenziati e la slitta impolverata: riuscirà Babbo Natale, con l’aiuto dei bambini, a consegnare l’ultimo regalo?

“Si tratta – dicono i responsabili – di uno spettacolo natalizio per riflettere sulla bellezza dell’incontro e dei regali fatti a mano, con ironia e sensibilità. Con l’aiuto dei bambini, Babbo Natale riuscirà infatti a scoprire la semplicità e il piacere di preparare un regalo fai-da-te”.

Ma il simpatico buon vecchio dal barbone bianco – vestito con giacca, pantaloni e cappello rossi con bordi di pelo bianco che viaggia per tutto il mondo distribuendo, la notte della vigilia di Natale, regali ai bambini – riuscirà a consegnarlo in tempo? Sediamoci, buoni buoni, e lo scopriremo!

Biglietto unico (con merenda omaggio alle 16): 8 euro.

Info: biglietteria@ondalarsen.org

g.m.

Nelle foto: immagini dallo spettacolo

Jump Cut. Al via il Nice Festival Torino – Identità e differenza

L’1 e 2 dicembre al Teatro Le Serre di Grugliasco in prima regionale

Un sofà – trampolino, un treno acrobatico e un drago sputafumo: è la scenografia unica di Jump Cut, spettacolo della compagnia belga Double Take – Cinematic Circus, con cui prende ufficialmente il via, venerdì 1° dicembre alle 21 al Teatro Le Serre di Grugliasco, il Nice Festival Torino. Lo spettacolo sarà in scena, in prima regionale, anche sabato 2 dicembre nell’ambito della stagione teatrale organizzata dal centro di produzione blucinQue/Nice in collaborazione con Fondazione Cirko Vertigo e Fondazione Piemonte dal Vivo. Mescolando il genere fantasy americano e il surrealismo francese, Raphaél Herault e Summer Hubbard offrono una prospettiva poetica su come affrontare la vita insieme. Ispirato a fatti realmente accaduti, Jump Cut non è solo uno spettacolo circense, ma un’esperienza cinematografica costruita su una sceneggiatura e una scenografia innovative. In una sorta di “pas de deux acrobatico”, il duo passa fluidamente da una tecnica circense all’altra. Jump Cut è un sogno a occhi aperti, uno spettacolo che viaggia nel tempo e nello spazio, dove si dà valore ai momenti più semplici della vita e poesia a quelli più tragici. Double Take – Cinematic Circus nasce nel 2016 per esplorare la natura delle connessioni e le contaminazioni tra circo e cinema con un approccio innovativo e interdisciplinare.

I biglietti (12 euro biglietto intero, 9 euro ridotto) sono acquistabili su Vivaticket, dall’APP blucinQue Nice scaricabile su tutti i dispositivi, presso la biglietteria di Fondazione Cirko Vertigo a Grugliasco (TO), telefonicamente tramite l’app Satispay e presso il Teatro Le Serre di Grugliasco, in via Tiziano Lanza 31, i giorni stessi di spettacolo a partire da un’ora e mezza prima dell’inizio. Per informazioni: biglietteria@blucinque.it – 011 07 14 488.

Chi acquista il biglietto per Jump Cut avrà diritto, mostrando il ticket in biglietteria, al biglietto a 3 euro per lo spettacolo RubeN di Compagnia Autoportante, in programma il 2 dicembre alle ore 19:30 presso lo Chapiteau Vertigo, all’interno del Parco Culturale Le Serre: uno spettacolo che parla dell’equilibrio, sia fisico che emozionale, dei cambiamenti, della (in)stabilità, della poesia e della vertigine che l’esplorazione dei lati sconosciuti dell’equilibrio porta con sé. Il linguaggio dell’equilibrio, che è precisione, costanza, sfida e fantasia, dialoga con la musica suonata dal vivo da Marco Meneghel, con la direzione musicale di Franca Pampaloni. In scena un filo teso, due artisti circensi – Emma Edvige Ungaro e Damian Elencwajg – e un musicista, che crea una colonna sonora in grado di colorare lo spettacolo con le note del tango, di Satie ma anche degli ZZ Top, fra tastiere, fisarmonica e clarinetto.

Dalla settimana successiva, un fitto cartellone di appuntamenti al Teatro Café Müller di Torino per il Nice Festival Torino. Si parte lunedì 4, in replica martedì 5 dicembre, alle 19:30 con Solo Due di Compagnia blucinQue, diretta da Caterina Mochi Sismondi. Un solo di danza, un solo di musica: Solo Due, con Alexandre Duarte e la musicista Bea Zanin. Una ricerca dell’identità in un corpo unico e frammentato, doppio. Una suite per corpo, elettronica e violoncello, dove il dialogo speculare tra lo strumento musicale, la voce e il movimento umano trovano un punto d’incontro nello spiazzamento, nella fragilità, nel limite, nell’effimero istante compiuto del momento sonoro che parte e riparte da frammenti cinematografici.

Lunedì 4 e martedì 5 dicembre per la stagione di blucinQue/Nice, e mercoledì 6, giovedì 7 e venerdì 8 dicembre alle ore 19, nell’ambito del Nice Festival, lo spettacolo in prima nazionale Handle with care nuova creazione della compagnia Funa. Immagini sfocate, scatti rubati, incontri e separazioni, tracce di ricordi che si mescolano e si sovrappongono come un affresco in continua evoluzione delle esperienze umane. In un tempo non lineare e frammentato, le scene emergono e scompaiono, creando un intreccio di momenti effimeri e suggestioni. Handle with care di Funa, collettivo di danza e danza verticale che nasce nel cuore del sud Italia, a Napoli, nel 2018, è un archivio, un viaggio nel tempo, dove le memorie si trasformano in tracce tangibili di un passato che si dissolve e si riforma incessantemente.

Mercoledì 6, giovedì 7, venerdì 8 e martedì 12 dicembre alle ore 19:30 sempre al Teatro Café Müller è la volta di Vuoto, di Compagnia Eklètik con Eleni Fotiou e Gabriel Taiar, uno spettacolo che utilizza il linguaggio circense e quello teatrale per dare corpo alla sensazione che rimane quando si perde una persona importante nel corso dalla propria vita. Eleni e Gabriel portano in scena, in stile tragicomico, diversi momenti dalla storia e della relazione che si instaura fra i loro due personaggi, rappresentati con l’ausilio di tre tecniche circensi: ruota Cyr, mano a mano e corda aerea.

Il Nice Festival Torino porterà in scena, fino a fine anno, dodici differenti titoli che spaziano dal circo contemporaneo al teatro fino alla danza e alla musica dal vivo, per un totale di 19 repliche, di cui una dedicata alle scuole della città di Grugliasco. La kermesse, a cura di Fondazione Cirko Vertigo, si articola fra Torino, Grugliasco e Moncalieri ed è realizzata con il contributo del Bando Circoscrizioni che spettacolo … dal vivo! e il sostegno di MIC- Ministero della Cultura e Città di Torino. Oltre agli spettacoli, sono in programma workshop aperti a bambini, ragazzi e anziani e tre laboratori per i detenuti dell’Istituto Penitenziario Minorile Ferrante Aporti, realizzati grazie alla collaborazione con l’Associazione L’Albero del Macramè e Spazio T Alghero. Obiettivo della manifestazione: offrire spettacoli di qualità, coinvolgere il territorio e la cittadinanza e creare opportunità per i giovani. Il tema al centro dell’iniziativa è quello dell’identità e delle differenze: il circo contemporaneo è infatti l’arte per eccellenza che celebra le differenze e la ricerca dell’autenticità.

INFO

www.blucinque.it

www.cirkovertigo.com

La rivolta delle immagini: quando l’arte si fa attivista

Schierati per la parità di genere, emergenza climatica e uguaglianza sociale

È ricomparsa.
La bella Venere botticelliana sta di nuovo facendo un giro del web, adesso in gradita compagnia di altri emblematici volti angelici, tra cui La ragazza con lorecchino di perladi Vermeer, lautoritratto di Frida Khalo e la Marylin Monroedi Andy Warhol.
Lultima volta che la dea aveva momentaneamente lasciato la sua conchiglia era stato per travestirsi da influencer, e, forse un poscocciata dalla monotonia delle coste di Zante, aveva deciso di prendersi una vacanza al grido del glamour e della mondanità.
Spogliata dellintrinseco valore culturale, ora la sorridente figlia della spuma del mare di Cipro si riappropria della preziosità storico-artistica che la contraddistingue e scende in campo nuda e cruda, ammutolendo le masse attraverso lesternazione estetica e visiva della realtà dei fatti.
Venere sostiene lo sguardo degli spettatori attraverso la grazia magnetica dei lineamenti sinuosi, nuovamente rimaneggiata, Afrodite ora si mostra tumefatta, con il volto deturpato e segnato da lividi, gli stessi che si possono notare sulle fattezze delle altre sette fascinose opere darte facenti parte dellinstallazione artistica realizzata dal Comune di Gazzo, in provincia di Padova, titolata Ogni donna è unopera darte; non sfregiarla, rispettala!, realizzata per celebrare il 25 Novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Ad ulteriore supporto dellopera, viene realizzato uno spot pubblicitario riguardante la violenza domestica, in cui una Gioconda sfregiata torna pian piano allantico splendore grazie allaiuto di una persona che la ripulisce dalle sofferte ferite.
In questo caso ben quattro secoli di pittura vengono scomodati, modificati e digitalizzati per riflettere sulla sempre più preoccupante questione della violenza di genere: ogni opera deturpata rievoca le tante mogli, madri, figlie e sorelle che ogni giorno sono costrette a subire violenza in tutte le sue sfaccettature: da quella fisica a quella psicologica e economica.(Ritratti di donne deturpati da lividi: così larte dice no alla violenza, articolo a cura di Paola Pilotti).
Linstallazione padovana non è certo un unicumnella storia contemporanea, infatti mai come in questultimo periodo larte si trova invischiata in proteste socio-politiche, sia quando si tratta di rielaborazioni grafiche, sia quando latto del contestatorecoinvolge le opere concretamente.
Si pensi ad esempio alla quantità di immagini di sculture o quadri rimaneggiati digitalmente circolano sul web con lo scopo di far riflettere la gente, o alle rivisitazioni decontestualizzate, come ad esempio Il baciodi Tvboy, attualizzazione ai tempi del COVID dellomonima opera di Hayez, fino ad arrivare alle azioni tangibili degli attivisti che agiscono direttamente sullopera, talvolta con la cognizione di preservare il bene culturale, talvolta con la volontà di deturparlo o distruggerlo.
Larte è simbolo, larte è mezzo di comunicazione, larte è rappresentazione, larte è ideale.
Essa serve a scuotere gli animi, è impiegata per ponderare concetti alti quali la bellezza, larmonia, la sensibilità dellanimo, ma luomo se ne può avvalere anche per gridare dissenso quando i diritti dei cittadini non sono rispettati.
Gli artisti da sempre svolgono un ruolo attivo allinterno della società civile, attraverso i loro elaborati offrono contributi essenziali per riflettere su sofferenze, guerre e momenti di difficoltà condivisa, essi portano a maturazione un sentimento privato e collettivo al tempo stesso attraverso unistintiva urgenza espressiva che sfocia nella responsabilità sociale.

Ecco perché il valore delloggetto artistico non risiede esclusivamente- nella connotazione estetica, bensì nella sua funzione civica, educativa, storica e pedagogica, poiché esso è capace di trasformare la cronaca in Storia.
I primi dunque ad utilizzare larte per cercare di far scaturire reazioni nelle persone sono gli artefici stessi, un esempio per tutti: Ai Weiwei. Artista totalecinese, designer, attivista, architetto, regista e gestore per alcuni anni di un blog di pagine autobiografiche e discorsi poetici, lui stesso parla chiaramente del suo operato: Non separo mai la mia arte dalle altre mie attività. C’è un impatto politico nelle mie opere e non smetto mai di essere artista quando mi occupo di diritti umani. Tutto è arte, tutto è politica.
Altri artisti-intellettuali, inscrivibili nel movimento definibile come Artivismo(neologismo utilizzato a partire dal 1997 e derivante dallinglese Artivism), che prediligono limpegno politico al semplice fare arte sono ad esempio Banksy, Anselm Kiefer, Maurizio Cattelan, Björk se si parla di musica, Gianfranco Rosi per quel che riguarda il cinema, fino ai fumetti di Zerocalcare. Non da meno è ancora il lavoro di Iena Cruz (Federico Massa), interessato alla realizzazione di murales con particolari vernici colorate capaci di intrappolare gli agenti inquinanti, come lo smog, contribuendo così a ripulire laria circostante e partecipando in prima linea alla risoluzione della problematica dellinquinamento e dellallerta climatica.
Vi sono poi i profanidellarte, gente più o meno esperta del settore che tuttavia ne riconosce il valore intrinseco e utilizza loggetto darte come mezzo per mandare un messaggio alla comunità.
Rientrano in questa categoria ad esempio i manifestanti per la parità di diritti di cui ancora oggi non tutti godono. La questione ha interessato in particolare gli Stati Uniti con il movimento Black Lives Matter, scaturito dalla vergognosa morte di George Floyd, tragico avvenimento che ha aperto un acceso dibattito culturale sul tema del razzismo. A seguito di queste proteste alcune statue commemorative di importanti figure storiche quali Cristoforo Colombo, Montanelli, Jefferson Davis, o il generale Robert Lee sono state rovinate o addirittura distrutte. Dalla cronaca si è passati ad un piano più ampio e concettuale che ha portato numerosi manifestanti a vandalizzare alcune opere darte intese dalla mentalità comune come simboli e icone di una tradizione razzista ancora vincolata a richiami di unideologia suprematista. La denuncia sociale necessita talvolta, per farsi sentire fino alle alte sfere, unazione forte e netta: la distruzione effettiva del simbolo, la dissoluzione dellarte che rappresenta quella storia.
È il finale auspicato anche da Alan Moore nel suo capolavoro illustrato da David Lloyd, V for Vendetta: lesplosione dello storico palazzo del Parlamento inglese come simbolo della vittoria contro un regime corrotto e totalitario.
Distruggere un bene culturale per distruggere unideologia, può essere giusto o eccessivo:ai posteri lardua sentenza.
Ancora inscrivibili in questa categoria sono i moderni eco-attivisti, particolarmente suscettibili alle questioni climatiche, si pensi ai gruppi Just Stop Oil, Extinction Rebellion, nonché laggregazione italiana Ultima Generazione. Si tratta di giovani se non del tutto giusti, quasi niente sbagliati” –parafrasando De André– che per sobillare gli animi lanciano cibaglie sui quadri esposti nei musei o si incollano ai vetri protettivi dei capolavori del passato. Tanto si è dibattuto su questo peculiare modo di manifestare, lopinione pubblica si dimostra assai sensibile al riguardo, concentrando tuttavia lattenzione sullazione e non sul significato di tale agire, finendo con lo sminuire leffettiva intenzione dei manifestanti. Tutto è iniziato il 29 maggio deL2022 al Louvre di Parigi, con limbrattamento del sorriso più conosciuto della storia dellarte, quello di Lisa Gherardini, meglio nota come Monnalisao Gioconda. Il dipinto viene preso di mira non solo perché conosciuto in tutto il mondo, ma per una motivazione decisamente più sottile e concettuale: gli attivisti ritengono Leonardo da Vinci come una sorta di loro precursore, in quanto egli è stato il primo acuto osservatore della natura e studioso meticoloso dei fenomeni naturali; lartista, con occhio scientifico e meticoloso, proponeva nei suoi lavori anche nellenigmatica Gioconda- la riproduzione di paesaggi realistici soggetti alle variazioni climatiche che egli osservava con costanza; con il medesimo zelo gli attivisti climatici osservano come faceva Leonardo- la natura che ci circonda, ne notano i drammatici cambiamenti e cercano di farli notare alla comunità.

Lopera rinascimentale è stata la prima ad aprire la strada a questo particolare sistema di protesta, in seguito molti altri capolavori sono stati colpiti-nel vero senso del termine- quali The Hay Waindi John Constable, La Primaveradi Botticelli, I girasolidi Vincent Van Gogh, Il pagliaiodi Monet, senza contare poi gli incatenamenti alla struttura che sostiene la scultura Forme uniche della continuità nello spaziodi Umberto Boccioni o ancora il presidio di tre giorni nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Per chi volesse ascoltare, i membri stessi di questi gruppi spiegano chiaramente il loro intento: Il nostro non è vandalismo, ma il grido di allarme di cittadini disperati che non si rassegnano ad andare incontro alla distruzione del Pianeta e, con esso, della propria vitae ancora: non ce ne faremo nulla dellarte e dei capolavori su un pianeta che brucia. Servirà a poco la bellezza quando non avremo acqua né cibo.
Tutto sta divenendo più complicato, anche comprendere larte, tanto più se si tratta di arte socialmente impegnata, o capire gli intenti dei nuovi manifestanti. Lideologia novecentesca della politica, delle problematiche sociali e civili, lascia ormai spazio ad un attivismo globaleostico da comprendere poiché intrinsecamente collegato a fenomeni di sensibilità diffusa, pulsioni e urgenze condivise su larga scala. Inoltre è ormai necessario fare i conti con il dilagare della spettacolarizzazione del mondo, così come denuncia Vincenzo Trione, nel suo ultimo libro Artivismo, edito Einaudi: Gli scenari più drammatici del nostro tempo, spesso, non evocano più choc, né rischi e neanche timori, esistono soprattutto come proiezioni, schermi, simulacri, spettacoli a oltranza, fatti di immagini prodotte dai media.
In questo periodo di profondo cambiamento, a modificarsi è soprattutto la comunicazione, pare soprattutto quella dei giovani. La dimensione virtuale dilaga a trecentosessanta gradi, tant’è che ormai pensare ad una vita priva della dimensione digitale è del tutto impossibile oltre che anacronistico, i social sono mezzo obbligato per dichiarare pensieri, sentimenti e bisogni, sia privati che pubblici, persino le notizie sono fruibili sulle pagine web prima ancora che attraverso i telegiornali.
Eppure, mentre il doppio tecnologico di noi stessi dilaga come il Nulla ne La storia infinita, alcuni elementi utili per salvare la nostra Fantàsia” permangono: la voglia di giustizia e parità, il sogno di un mondo migliore e larte, in tutte le sue sfaccettature.
Daltronde, dopo aver vinto i mondiali del 2006 tutti gli italiani cantavano di volere indietro la nostraGioconda, riconoscendone con felice ironia il valore inestimabile.
Ecco, ora che bene o male tutti sappiamo che larte è importante, non ci rimane che capire quanto sia importante studiarla e tramandarla alle generazioni successive, imparando anche ad usarlanon a sproposito.

 

ALESSIA CAGNOTTO

 

 

 

 

“Incipit Offresi”. Il tour continua … e siamo a nove edizioni

E’ attesa a Chivasso la nuova fermata della nona edizione del primo talent letterarioitinerante per aspiranti scrittori

Venerdì 1° dicembre, ore 18

Chivasso (Torino)

Dopo Cuorgné, sarà Chivasso ad ospitare, venerdì 1° dicembre (ore 18), presso la “Biblioteca Civica MoviMente” di piazzale XII maggio 1944 al civico 8, la nuova tappa della nona edizione di “Incipit Offresi”, il primo talent letterario itinerante dedicato agli aspiranti scrittori, ideato e promosso dalla “Fondazione ECM – Biblioteca Archimede”di Settimo Torinese, in sinergia con “Regione Piemonte”. A presentare l’appuntamento chivassese sarà l’autrice e attrice – comica Giorgia Goldini del torinese “Teatro della Caduta”.

Novità di questa edizione: la vincitrice o il vincitore di tappa si aggiudicherà un buono libri del valore di 50 euro. Non tanti, ma sempre ben accetti. Ma cos’è “Incipit Offresi”? Ne avevamo già più volte scritto. Ma per chi ancora non lo sapesse, informiamo trattarsi di un format letterario a tappe: la sfida si giocherà, per l’appunto, a colpi di “incipit” all’interno di Biblioteche e di luoghi di cultura, ma anche attraverso gare di scrittura e letture animate nei mercati. L’obiettivo – precisano gli organizzatori – non è premiare il romanzo inedito migliore, ma scovare nuovi talenti”.  In 8 anni “Incipit Offresi” ha scoperto più di 60 nuovi autori, pubblicato 70 libri e coinvolto più di 10mila persone, 30 case editrici e più di 50 Biblioteche e centri culturali. Incipit Trattasi insomma di un vero e proprio “talent della scrittura”, lo spazio dove tutti gli aspiranti scrittori possono presentare la propria idea di libro agli editori coinvolti nelle varie fasi del progetto.

I partecipanti, in una sfida uno contro uno, avranno 60 secondi di tempo per leggere il proprio “incipit” o raccontare il proprio libro. Il/la concorrente che, secondo il giudizio del pubblico in sala, avrà ottenuto più voti, passerà alla fase successiva, dove avrà ancora 30 secondi di tempo per la lettura del proprio “incipit” prima del giudizio della giuria tecnica che assegnerà un voto da 0 a 10. Una volta designato il/la vincitore/trice di tappa, si aprirà il voto del pubblico per il secondo classificato. Chi otterrà più voti potrà partecipare alla gara di ballottaggio. I primi classificati di ogni tappa e gli eventuali ripescaggi potranno accedere alle semifinali per giocarsi la possibilità di approdare alla finale, in programma a giugno 2024.

I concorrenti primo e secondo classificato riceveranno rispettivamente un premio in denaro di 1.500 e 750 euro; saranno inoltre messi in palio, fra tutti i partecipanti alla finale, il “Premio Italo Calvino”, “Indice dei Libri del Mese”, “Golem”, “Leone Verde”, “Circolo dei Lettori” ed eventuali altri premi assegnati dagli editori.

La partecipazione è gratuita e aperta agli scrittori, esordienti e non, maggiorenni, di tutte le nazionalità. I candidati dovranno presentare le prime righe della propria opera: l’“incipit”, appunto, inedito (le opere autopubblicate sono parificate alle inedite poiché prive di regolare distribuzione) per un massimo di mille battutecon le quali catturare l’attenzione dei lettori e una descrizione dei contenuti dell’opera (massimo, 1.800 battute). La gara si svolgerà in lingua italiana. La possibilità di partecipare alle tappe è garantita fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Il “Premio Incipit” e il “campionato” sono dedicati alla memoria di Eugenio Pintore(Bonorva- Ss, 1956 – Gassino-To, 2019), uno dei massimi bibliofili e cultori dell’“arte bibliotecaria”, già direttore della Biblioteca di Settimo Torinese, dal 2003 dirigente della “Regione Piemonte” con l’incarico di riorganizzare tutta la rete dei sistemi bibliotecari e di dare avvio al “Sistema Bibliotecario Area Metropolitana” di Torino (con la partecipazione di circa settanta Comuni della prima e della seconda cintura torinese), fino al 2008 quando assunse l’incarico di Dirigente del “Settore Regionale Biblioteche, Archivi e Istituti Culturali”, con la responsabilità sul patrimonio archivistico, gli istituti della cultura e l’editoria. A lui si devono anche i progetti “Nati per leggere” e “Lingua Madre” ( introdotto al “Salone Internazionale del Libro” di Torino), nonché l’attuazione della “Legge per la Piccola Editoria piemontese”, tesa a favorire la promozione e la diffusione delle opere degli editori locali, anche attraverso il sostegno alle traduzioni e la loro partecipazione alle principali “Fiere nazionali” ed internazionali.

Per info: “Incipit Offresi”, tel. 339/5214819 o www.incipitoffresi.it

g.m.

Sulle tracce di Fenoglio, ad Alba nella terra del tartufo bianco

A cura di piemonteitalia.eu

Varie sono le ragioni che possono indurci a fare un giro ad Alba, la bella città langarola circondata da maestose colline. Oltre alle bellissime chiese e agli interessanti musei, Alba è la perla dell’enogastronomia italiana apprezzata in tutto il mondo per i suoi gustosi piatti e per i suoi deliziosi prodotti locali; primo fra tutti il Tartufo Bianco, protagonista della Fiera Internazionale che si svolge tutti gli anni a novembre.

Continua a leggere:

https://www.piemonteitalia.eu/it/esperienze/sulle-tracce-di-fenoglio-ad-alba-nella-terra-del-tartufo-bianco

Arriva da Washington a Chieri l’arte tessile giapponese

“KATAZOME”

 

Dal 1° al 23 dicembre

Chieri (Torino)

Dicesi “Katazome”, un processo di tintura tessile giapponese unico nel suo genere e storicamente significativo, che oggi si rinnova attraverso il lavoro di artisti contemporanei in tutto il mondo. Tradizionalmente usata per la tintura dei “kimono”, la tecnica “katazome” richiede l’applicazione di una pasta di riso resistente al colore sopra “stencils” di carta intagliati a mano (“katagami”) prima di tingere il tessuto, così da ottenere un motivo ornamentale ben definito. “Sia il ‘katazome’ che il ‘katagami’ sono tecniche tramandate nei secoli da generazioni di artigiani, la cui domanda è oggi minore rispetto al passato, ma artisti da varie parti del mondo continuano a scoprire nuovi modi di usare questa tecnica”. A parlare è l’artista giapponese, naturalizzata americana, Seiko Atsuta Purdue, docente al Dipartimento di “Arte e Storia dell’Arte” presso la “Western Washington University (USA)”, ospite, dal prossimo venerdì 1° dicembre fino a sabato 23 dicembre, del “Museo del Tessile” di Chieri, con la mostra “KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington a Chieri”. Prima sua mostra in Italia, Purdue esporrà a Chieri tre “pannelli d’artista”lavorati per l’appunto con questa antica tecnica originaria del Sol Levante per la stampa su tessuto. Tecnica di grande interesse, al di là dei suggestivi risultati ottenuti, proprio per la sua caratteristica di saper tradurre in chiave attuale antichi “saperi” tramandati nei secoli.

 

La mostra è frutto della collaborazione avviata tra “Fondazione Chierese per il Tessile” eSeiko Atsuta Purdue, con il sostegno della “Western Washington University” e grazie all’impegno della Famiglia Sicchiero di Chieri. Progettata nei minimi particolari dall’artista nipponica , è organizzata e allestita da Linda Smeins, già docente presso la medesima Università americana, in collaborazione con la presidente del chierese “Museo del Tessile”  e docente all’Accademia Albertina di Torino,  Melanie Zefferino.  In rassegna, sarà anche in visione un “telo” di Giulia Perin, artista in residenza stabile al “Museo del Tessile” e quattro opere delle artiste statunitensi Cheryl Lawrence e Karen Illman Miller. Vi saranno inoltre otto lavoridei giovani allievi di Purdue realizzati presso l’ateneo americano: Sara Trinneer, Keely B. Sandoz, Iris Christensen, Ryan Fisher, Linsey Ha e Jude Klemmeck.

Da ricordare anche che, il prossimo anno è prevista la residenza di Seiko Atsuta Purdue al “Museo” di Chieri dove, adiuvata da Giulia Perin, terrà un workshop a numero riservato a studenti e insegnanti di discipline artistiche, desiderosi di sperimentare la tecnica “katazome”. In quell’occasione si replicheranno pure alcuni disegni scelti dall’“Archivio Storico” della Fondazione con “katagami” appositamente realizzati. Nell’apprendere l’antica tecnica di tintura giapponese, impiegando pasta di riso e coloranti naturali, alcuni dei quali ricavati proprio dall’“Orto Botanico” del “Tessile”, disegni storici reinterpretati in chiave contemporanea andranno a decorare manufatti confezionati ex novo oppure rinnovati con l’antica tecnica del “katazome” attuando un “upcycling” secondo criteri di “moda circolare e sostenibile”. L’iniziativa persegue, dunque, anche alcuni obiettivi chiave dell’“Agenda ONU 2030” per lo sviluppo sostenibile, in linea con il “Documento di Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile (SRvS)” del Piemonte.

“KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington e Chieri” è l’evento conclusivo del triennio 2021-2023, per il quale la “Fondazione Chierese per il Tessile” ha ricevuto da “Regione Piemonte” il sostegno riservato agli enti culturali di rilevanza.

Un triennio – commenta la presidente Melanie Zefferinoche ha rappresentato ‘un’alba dai molti colori’ dopo il ‘buio’ della pandemia”. E prosegue: Con questa mostra, si vuole chiudere in bellezza un periodo impegnativo ma felicitante offrendo uno scorcio inedito sulle arti tessili e promuovere un dialogo fra culture e generazioni diverse che vada al di là dell’antica ‘Via della Seta’”.

g. m.

 

“KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington a Chieri”

Museo del Tessile (Sala della Porta del Tessile), via Santa Clara 10, Chieri Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org

Dal 1° al 23 dicembre

Orari: mart. 10/12, merc. 15,30/17,30 e sab. 14/18

 

Nelle foto:

–       Seiko Atsuta Purdue al lavoro in studio

–       “Katazome”, dettaglio

 

Sugli schermi del Torino Film Festival. Una parabola per raccontarsi la violenza che ci circonda

Umori amari, confessioni dolorose e tragedie del passato ancora non rimarginate, tradimenti, infelicità e solitudini quotidiane, una giustizia che non esiste o che tarda ad arrivare, invidie e luoghi sognati come rifugio estremo, fughe, si trova di tutto al TFF per farti temere (forse inorridire) di questa epoca e di questo mondo in cui viviamo, se c’è un sorriso è sghembo, improvviso e immediatamente da trangugiare. Si respira anche qui l’aria malsana che ormai siamo abituati a respirare, tutto all’insegna del non si salva nessuno, tutto costruito per cullare l’angoscia. Sembra un complotto ben orchestrato o qualcosa del genere. Alla sezione “Crazies”, lo specchio migliore di una simile constatazione dell’odierno vivere sembra essere “Vincent doit mourir”, angosciosa opera seconda del francese Stéphan Castang, che un paio d’anni fa aveva esordito nel cinema horror e che qui mantiene le proprie promesse con i suoi “mostri” più o meno viventi. Un tranquillo luogo di lavoro, colleghi tranquilli uno accanto all’altro a considerare idee differenti, il disegnatore Vincent all’improvviso colpito da un giovane stagista a schiaffoni con il peso non indifferente di un portatile. Il giorno dopo, il gesto di un altro collega, egualmente banale e violento, che lo pugnala al braccio con una biro. Quasi un incubo per il poveretto che decide di rifugiarsi in campagna, nella casa abitata dal padre, mentre ognuno, in un clima di ossessione cruenta e generale, soltanto incrociando lo sguardo di un proprio simile, si fa un probabile assassino. Razionalità in ombra, certo, piuttosto un male oscuro, un contagio, una pandemia, non può essere che questo; un clochard che sembra uscito da un film del vecchio George Romero, una bambina poco affidabile, un paio di ragazzini da cui difendersi, un vicino o un automobilista pronto a colpirti, gli ingorghi di macchine, le fughe e gli inseguimenti, un clima di distruzione che coinvolge tutti. Soltanto il ringhio del tuo cane ti può mettere in salvo. La collettività del male, una parabola che ha nulla di religioso, lo sguardo impietoso di Castang sulla nostra epoca, senza lentezze anzi con un ritmo inarrestabile, sulla vita di ognuno allo sfacelo, paranoia allo stato purissimo, la paura di vedere sullo schermo quello che ormai siamo abituati ad assaggiare amaramente nelle strade, nelle case, nelle famiglie ogni santo giorno. Un’attualità autentica e bruciante, impietosa, corale, senza vie d’uscita, anche se certi eccessi ancora possono spingere alla secca risata. Una storia – e un film – perfetta nella sua prima parte, che poi magari tende a ripetersi e a mollare un po’ gli ormeggi: ma che rimane tra i migliori appuntamenti del festival. Il tutto visto attraverso gli occhi e il faccione mansueto dell’eccellente Karim Leklou, una certa goffaggine anche in amore, cercato con la camiere di un locale in cerca di futuro e di libertà, un uomo dabbene che tenta di arginare con tutte le sue forze questo mondo ormai inarginabile.

Dall’Argentina (in concorso) arriva “Arturo a los 30”, diretto e interpretato da Martìn Shanly, velleitario piuttosto che concreto, folle e disordinato, che vuole tanto essere carino con il pubblico (guardate che galleria di ritratti e ritrattini è riuscito a sfornare) ma che finisce col girare tremendamente a vuoto. Vicino alla maturità, certo, ma pronto a dare in pasto ad un diario personale, attraverso disegni semplici e fanciulleschi, il suo mondo che va avanti giorno dopo giorno in grande confusione, buono per metterci dentro tutto e niente, un incidente d’auto in cui viene coinvolto, i rapporti con la madre, il matrimonio di un amico, le chiacchierate disordinate delle amiche, una mancata pomiciata con il suo ex, un approccio un po’ più d’appresso con un sorridente cameriere acciuffato al ricco buffet del matrimonio, un brindisi in più e un po’ d’erba, i conti con se stesso e con tutti gli altri. Intenzioni buone se non fosse per la scarsità della resa, per una certa ristrettezza d’invenzioni, insomma uscite dalla sala e non vi è rimasto nemmeno un fotogramma.

Di ben diverso spessore, ancora in concorso, in tutta la crudeltà del suo esporsi mano a mano, è “Kalak” firmato dalla regista Isabella Eklöf, nazionalità Svezia/Danimarca. Crudeltà morale e fisica, fin dalla scena iniziale, scopertamente crudele nel chiuso della casa di famiglia, un abuso che negli anni, per anni, interiorizzazione di un dolore, si cementerà nell’animo di Jan (Emil Johnsen, convincente e intimamente convinto interprete) giovane infermiere di Copenhagen, una moglie e due figli biondi, trasferitosi nel cuore della Groenlandia per lavoro e forse proprio per dare un diverso panorama ai propri incubi, alla ricerca di pace interiore. Un lavoro che è completa dedizione e continua gentilezza in un paese e presso una popolazione al cui interno Jan cerca di integrarsi: lui, anche al bar con gli altri, anche con una pacca sulle spalle, sarà sempre uno”sporco groenlandese” o forse riuscirà a trovare quello (o quella) che alla fine lo apostroferà “vero groenlandese”. Ma i fantasmi sono lì, tra i ghiacci e le case rosse, tra la carne di foca tagliata e venduta e le serate fredde, negli incontri con altre solitudini, mentre cerca una affettività e nuovi rapporti che in casa hanno ormai qualcosa di spento e fuggitivo. Che cosa ha lasciato in lui quel traumatico inizio? Le ricerche e gli incontri, i momenti solitari, il sesso sprecato, i visi femminili nuovi fanno qualcosa sulla strada della guarigione? Un medico gli offre la strada per ovviare a quello stato di debolezza e di confusione, che può ben presto tramutarsi in depressione profonda, pericolosa a sé e a chi gli sta accanto: dalle cassette dell’ospedale si possono sottrarre psicofarmaci, l’unione dell’uno e dell’altro possono dare risultati anche maggiori. Si possono fare vittime, anche una ragazza che chiede aiuto, un po’ d’affetto, ma che al rifiuto preferirà sparire tra le fiamme della propria casa. Si nega un aiuto, si resta chiusi in se stessi, quel passato è inevitabilmente troppo cruento. Il cammino scelto dalla Eklöf è forse eccessivamente lungo (una qualche sforbiciata non avrebbe fatto male al film: ma dalla sua completezza non si esce indifferenti) nell’addentrarsi nelle giornate contorte di Jan, anche se lo scavo di quell’esistenza è affondato in quanto di più doloroso e umanamente forte si possa desiderare. Dall’altra parte del mare, il padre di Jan combatte contro il cancro, perché a differenza di un tempo non ha più voglia di andarsene, scrivendo al figlio lettere che il figlio tarda ad aprire e leggere: Jan tornerà a casa, ma soltanto per fare i conti, tragici e definitivi, con il proprio passato.

Elio Rabbione

Nelle immagini: scene tratte da “Vincent doit mourir” diretto da Stéphan Castang, “Arturo a los 30” di Martìn Shanly e “Kalak” firmato dalla regista Isabella Eklöf.

Castagnoli, compositore e uomo di cultura

RITRATTI TORINESI

Castagnoli, profondo conoscitore di musica nato a Roma da una famiglia di scienziati è docente di composizione al conservatorio G. Verdi di Torino. Nel capoluogo piemontese ha tenuto corsi al DAMS, diretto la rivista Quaderni della Musica Nuova, studiato lettere antiche e archeologia all’università, laureato in storia della musica e diplomato in composizione con Gilberto Bosco, Carlo Pinelli, Ruggero Maghini e in pianoforte con Maria Golia. Si è perfezionato con Brian Ferneyhough alla Hochschule di Friburgo e con Franco Donatoni alla Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, dove aveva insegnato presso la Scuola Nazionale di Cinema. Il padre Carlo era originario di Gonzaga, terra di origine della celebre famiglia signori di Mantova dove per molti anni fu vicepresidente dell’Accademia Virgiliana. Studiò alla normale di Pisa e fu docente alle università di Roma, Parma e Torino. Scoprì l’esistenza dell’antiprotone esposto alla radiazione cosmica, fu pioniere della fisica astro particellare organizzando e contribuendo alla realizzazione dei laboratori sotto al Monte Bianco, Gran Sasso e sul Cervino. A Torino fu direttore dell’Istituto di Cosmo Geofisica e fu commemorato all’Accademia delle Scienze come socio onorario. Diresse per 40 anni il Giornale di Fisica e la città di Mantova gli dedicò un monumento nei giardini locali. A Roma conobbe la moglie Giuliana Cini, torinese di nascita che contribuì allo studio del flusso dei raggi cosmici sulla terra e alla comprensione fisica del rapporto terra-sole.
Il loro figlio Giulio Castagnoli vinse i concorsi internazionali di composizione ad Amsterdam, il premio Bucchi a Roma e il Gran Prix Italia con la Radio Opera prodotta per Rai-Radio Tre su libretto del pittore Ugo Nespolo. Collabora con i compositori Sergio Liberovici e Giacinto Scelsi, a cui dedica un saggio pubblicato in Germania. Aperto a diversi contesti artistici, collabora con i poeti Carlo Cignetti e Mary de Rachewiltz (figlia di Ezra Pound), con lo scrittore Dario Voltolini e il regista e attore teatrale Glauco Mauri. Incontrò John Cage, compositore e teorico musicale americano, una delle personalità più significative nell’evoluzione della musica contemporanea del ‘900. Conobbe Luciano Berio, altro suo saggio mentore che diresse a Bologna i madrigali di Castagnoli e insieme pubblicarono un’opera per Casa Ricordi. Berio gli commissionò il concerto per violoncello e doppia orchestra per la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia. Nella primavera del 1972, Berio diresse la trasmissione “C’è musica e musica” sul canale Rai Nazionale, proponendo una alternativa musicale analizzando le composizioni dai Beatles a Beethoven.
Castagnoli ha all’attivo oltre 150 composizioni e riceve commissioni per le principali istituzioni ed enti in Europa (Rai, Biennale di Venezia, Teatro Regio di Torino, Radio France, Deutschland Radio, Radio Genève) e in Asia, Usa, Australia, Argentina, Cuba e Giappone. In Norvegia ha partecipato alla composizione di un’opera simultanea connessa ad internet tra Copenaghen, S. Francisco e New York. È invitato a conferenze internazionali e fu selezionato per le Giornate Mondiali della musica ISCM di Hong Kong ed è stato compositore ospite del Senato di Berlino e di Daad per gli anni 1998-99. Pubblica saggi sulla politica musicale, libri e inserti musicali in particolare sui lieder di Schumann. È pronipote del compositore e pianista fiorentino Edgardo Del Valle de Paz della comunità di Livorno e cura la rassegna musicale organizzata dalla Comunità della Sinagoga di Casale Monferrato dedicata ad autori di tradizione ebraica o legati all’ebraismo, come Mario Castelnuovo-Tedesco, allievo di Edgardo Del Valle e amico di Andrés Segovia. Inoltre ha composto la Missa Sancti Evasii per coro, orchestra e strumenti barocchi commissionata dal vescovo Zaccheo, eseguita nel duomo di Casale con una fusione musicale visionaria tra Oriente e Occidente.
Utilizza gli strumenti musicali per le loro proprietà fisiche, senza dimenticare che i genitori erano filosofi della materia. La sua struttura compositiva complessa, coraggiosa, unica e arbitraria utilizza tecniche innovative come la musica elettronica e non permette alterazioni come adottate in passato da Max Brod sulle opere di Kafka e Janácek, vittime indifese del provincialismo ceko, proteggendo così la propria esecuzione integrale come solo  Stravinskij e Beckett hanno saputo fare. In età giovanile, Castagnoli fu componente di un gruppo musicale in qualità di sassofonista e al maestro non è sfuggita l’armonia e la melodia del jazz adottate dallo stesso Stravinskij e da Gershwin con versioni personali non solo dei songs negri ma anche con fraseggi di Bach, Mozart e Chopin, come pure Duke Ellington trascriveva musiche di Grieg e Tchaikovskj. Castagnoli ha il piacere di inventare con sottili riflessioni e sorprendere con estatica fantasia, trasformando con chiarezza ogni nota in grande arte raffinata ed espressiva come un irreale messaggio cifrato.
È direttore artistico del Casale Coro, il nostro gruppo vocale classico che si è esibito con il Musikkollegium di Berna, Filarmonica della Romania ad Alba Music Festival Italy&Usa, Orchestra e Coro della Cappella Sistina da papa Francesco a Roma, Festival estivo di Cap Ferrat in Costa Azzurra e in numerose chiese e basiliche torinesi. Risiede tra Torino e Casale, dove abita con il figlio Carlo e la moglie Erika Patrucco (violoncellista) figlia di musicisti (il padre Mario violista e critico musicale e la madre Luciana pianista). Dotato di un geniale senso compositivo, ha incentrato la sua poetica su concetti, stili e immagini di mondi sonori di diverse civiltà musicali, proseguendo le evoluzioni secolari del grande fiume della musica ed evitando la forma poco meditata degli ultimi decenni.
Armano Luigi Gozzano
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“Sensing Painting”. Al Castello di Rivoli le opere di cinquanta giovani artisti

Acquisite attraverso “ColtivArte” dalla “Fondazione CRC”

Fino al 28 gennaio 2024

Rivoli (Torino)

“Sensing Painting”, come dire “Pittura sensoriale”, da osservare con occhi e anima, da toccare e sentire nelle sue componenti materiali e spirituali, gesto colore segno, in un contesto narrativo lontano da enigmatiche ed evanescenti cifre stilistiche in cui è spesso gioco forza tentare univoci pressapochismi, quasi sempre defaticanti se non inutili ed inefficaci sul piano della reale comprensibilità. Nasce e cammina per questa strada la mostra “Sensing Painting. Opere dalla Collezione d’arte della ‘Fondazione CRC’” ospitata, fino al 28 gennaio 2024 al “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”, in cui si presentano 50 opere appartenenti alla Collezione della “Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo”, raccolte dal 2017 ad oggi attraverso “ColtivArte”, progetto promosso dalla stessa “Fondazione” e coordinato da una Commissione Scientifica di alto profilo composta dal Direttore del “Castello di Rivoli” Carolyn Christov-Bakargiev, dal Direttore dell’“Art Institute” presso la “Academy of Art and Design FHNW” di Basilea Chus Martínez e dal Direttore del “Consorzio delle Residenze Reali Sabaude” Guido Curto.

Sotto la curatela di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, la rassegna valorizza appieno le linee guida in base alle quali è stata concepita e costruita la “Collezione”: tra queste in particolare la forte presenza di opere d’arte di giovani artisti del territorio piemontese e italiano, l’attenzione al panorama contemporaneo internazionale e la preminenza di opere pittoriche“Il progetto espositivo – dicono le curatrici – evidenzia come la pittura mantenga un ruolo fondamentale quale linguaggio espressivo, soprattutto nel contesto dell’attuale era digitale. Rispetto alla smaterializzazione che caratterizza un’ampia parte della quotidianità, la mostra invita il pubblico a un incontro attivo e diretto con le opere d’arte, dall’insostituibile valore esperienziale, fisico e sensoriale”. In linea, inoltre, con la grande attenzione che “Fondazione CRC” e “Castello di Rivoli” dedicano alle giovani generazioni e al tema dell’educazione, la mostra offre un ricco programma di laboratori gratuiti dedicati alle scuole. Per le scuole primarie e secondarie di primo grado, le attività saranno curate dal cuneese “Rondò dei Talenti” e dall’Associazione Culturale “Scatola Gialla”, con la supervisione del “Dipartimento Educazione” del Castello di Rivoli. Per le scuole secondarie di secondo grado, è previsto un ricco programma inedito di “visite” e “workshop” correlati alla mostra e alla “Collezione” del Castello di Rivoli, a cura del “Dipartimento Educazione” del Museo, per ripensare alla storia della pittura in chiave contemporanea.
Inoltre, per promuovere la visita alla mostra, la “Fondazione CRC” mette a disposizione biglietti gratuiti d’ingresso per ogni residente in provincia di Cuneo e per un accompagnatore.

Afferma Carolyn Christov-Bagakargiev: Attraverso il progetto ‘ColtivArte’, questa nuova collezione piemontese è capace di testimoniare le ricerche principalmente in pittura più avanzate dei giovani, sia a livello locale sia internazionale. La pittura che potrebbe sembrare un mezzo obsoleto nell’era digitale, si riafferma come mezzo sensibile di verifica del proprio essere vivente, come nel titolo, ‘Sensing Painting’, che Marcella Beccaria, co-curatrice della mostra ha voluto attribuire a questo importante progetto”.

Gianni Milani

“Sensing Painting”

“Castello di Rivoli- Museo d’Arte Contemporanea”, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: da merc. a ven. 10/17; sab. e dom. 11/18

Nelle foto:

–       Nora Berman: “Ruffles” (Increspature), inchiostro olio e pastello su mussola, 2016; Ph. Gina Folly

–       Carolyn Christov-Bakargiev

–       Giangiacomo Rossetti: “Soggetto danzante”,olio su tavola, 2016; Ph. Ravaioli Fotografi

L’artigiano della musica

Si chiama MICHELE POLIERI il cantautore che tra un mattone e un colpo di cazzuola crea le sue canzoni. A volte sono cose surreali, con testi ironici e scherzosi. Altre profonde, che toccano i pensieri più profondi. Nascono così “Ciccillo”, “La cozza pelosa” e altri brani capaci di coinvolgere e mettere allegria a chi li ascolta, specie in serate live. Poi c’è l’altro Michele Polieri, quello che dopo avere ascoltato “Ciccillo” ti stupisce con testi come “Non c’è più tempo” dedicato all’ambiente o “Ragazza dei sogni”, tra l’altro musicate in simbiosi con uno degli autori più importanti nel panorama italiano: Andrea Amati. Michele Polieri al Palafiori di Sanremo, nel periodo del Festival della Canzone Italiana 2024 presenterà il suo nuovo singolo. E sarà un successo