“Il vicolo e altri racconti”, l’uomo e il cambiamento nel nuovo libro di Alessandro Valabrega

Dopo il romanzo “Tra i denti dello squalo” e la raccolta di poesie “Andante con moto”, la Paola Caramella Editrice ha pubblicato la nuova fatica letteraria del giornalista e fotografo Alessandro Valabrega, intitolata “Il vicolo e altri racconti”.
Un vicolo dove si incrociano i destini di quattro personaggi agli antipodi: una pornostar alle soglie della pensione, una giornalista alla ricerca di fumo, un’appassionata di musica balcanica in una sera d’estate e una misteriosa segretaria indiana. Questi, e molti altri, i protagonisti de “Il vicolo e altri racconti”, storie diverse con il tema centrale della realtà a fare da fil rouge, una realtà che, per essere compresa, chiede di abbattere le barriere dell’ipocrisia e del conformismo.

Se la realtà è il tema centrale e sfondo dell’opera, vi è una sua conseguenza, abbastanza evidente, che ancora meglio può descrivere quell’inquietudine, quella necessità di movimento, di cui Valabrega scrive e descrive con dovizia di particolari senza perdere l’incedere della narrazione, che ben rappresenta una sorta di malinconia novecentesca e le domande, terribili poiché primordiali, dell’uomo contemporaneo: la dimensione del cambiamento. I personaggi di Valabrega sembrano tutti un po’ in ritardo sull’orologio del cambiamento: un po’ clichè e opprimente nel cuore di chi lo incarna, una sorta di ombra per chi, incantato da una realtà più soggettiva che oggettiva, deve cambiare prospettiva, abitudini e riti, modellare un nuovo modo di essere anche attraverso il cambiamento dell’altro. Temi certamente contemporanei, ma che provengono da lontano, da quei prodromi mai del tutto interiorizzati, ma letterariamente molto amati, che giungono dalle opere di Kafka, se pensiamo al suo racconto più noto, “La metamorfosi”, in cui neppure la famiglia del povero, sventurato Gregor Samsa, può sopportare la mutazione in grosso insetto dell’incolpevole protagonista, o ancora Pirandello in “Uno, nessuno e centomila”, in cui il protagonista più intenso e vero è rappresentato dall’impotenza verso la propria identità, e poi Pessoa, il poeta della “sola moltitudine, e ancora i più moderni Tabucchi e Cortazar.

L’incedere della narrazione di Alessandro Valabrega sembra ripercorrere lo stile e le volontà delle opere e degli autori sopracitati. Una sorta di Imitatio, quel genere letterario incentrato sull’imitazione dei maestri, alla base della continuità della letteratura, mai visionaria, e paradossalmente attuale, come ai giorni nostri. Emergono fortemente, in quest’opera, le fasi che il cambiamento deve attraversare per evolvere in una realtà che tutti noi siamo abituati a indicare come “normalità”. Fasi e dimensioni che sembrano dover passare attraverso ciclici scandali e brutalità emotive, torture e aberrazioni visive, ma la realtà più scabrosa, e qui Valabrega ha evidenziato intensamente il vero fine della sua narrazione, è la nostra incapacità di affrontare veramente il cambiamento.

Mara Martellotta

Il Re ed IA

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

La rivista statunitense Time dedica sin dal 1927 l’ultima copertina di dicembre alla “Persona dell’anno”.

Nel 2024 era stata riservata al neoeletto presidente Trump, il quale non ha certo deluso le aspettative, diventando nell’anno appena trascorso il re delle cronache politiche, economiche e di costume (lo stesso Time aveva definito quella che stava iniziando “L’era di Trump”).

Le critiche nei confronti della sua gestione del potere sono sfociate nel “No Kings day”, celebrato il 14 giugno 2025, giorno del compleanno del POTUS, un’imponente manifestazione di protesta, organizzata dai movimenti progressisti Indivisible 50501, nata proprio per affermare che “in America non ci sono re” e per denunciare ciò che i promotori considerano derive autoritarie del governo federale.

Per il 2025 la scelta del Time è ricaduta sull’intelligenza artificiale e sui suoi architetti, raffigurati plasticamente seduti, in una rielaborazione della celebre fotografia del 1932, su di una trave dell’  RCA building di New York: “Per aver inaugurato l’era delle macchine pensanti, per aver stupito e inquietato l’umanità allo stesso tempo, e per aver trasformato il presente ampliando i confini del possibile”.

Non a caso, molti di questi “architetti” avevano presenziato alla fine dello scorso anno alla cerimonia di insediamento del presidente statunitense, dal quale raccolgono, così, idealmente il testimone.

La scelta, sebbene irrituale (la “persona” è sostituita, per la prima volta, da una realtà astratta) sembra cogliere perfettamente lo spirito dei tempi; siamo, infatti, nel pieno di una trasformazione paragonabile alla rivoluzione industriale o all’avvento di Internet, ma molto più rapida e pervasiva.

Nel 2025 non abbiamo semplicemente assistito all’ennesimo balzo tecnologico. Abbiamo varcato una soglia. L’intelligenza artificiale, per anni confinata nei laboratori, nei test pilota e nelle promesse futuristiche, è uscita dalla teoria ed è entrata con forza nell’ingranaggio quotidiano dell’economia globale.

Secondo il World Economic Forum, è stato l’anno in cui l’IA è diventata un’infrastruttura, non più un esperimento: ormai è presente in ogni settore, dalle fabbriche ai servizi, dalla sanità alla sicurezza digitale, ridisegnando l’idea stessa di tecnologia e il nostro rapporto con essa.

Ma la rivoluzione non è soltanto industriale: è cognitiva, culturale e geopolitica.

A gennaio, la startup cinese DeepSeek ha lanciato il suo modello R1, capace di ragionare quasi quanto i sistemi più avanzati ma sviluppato ad una frazione del costo. Quel rilascio, definito da TIME un “wake-up call”  (una sveglia, un campanello di allarme) per gli Stati Uniti, ha scosso il mercato globale e infranto l’idea che l’avanguardia dell’IA fosse un monopolio americano.

L’IA ha anche smesso di essere un bene d’élite: è diventata un’arma competitiva alla portata di molti e, anche per questo, tanto potente quanto pericolosa (per il suo utilizzo a fini criminali, per fare circolare notizie false e falsificare identità).

E non è più solo nei libri di fantascienza ma nella realtà quotidiana che possiamo trovare un’IA in grado di “pensare”, non certo nel senso umano del termine ma in quello tecnologico, con sistemi capaci di ragionare, pianificare, discutere, lavorare in autonomia ed interagire con il mondo attraverso molteplici modalità, linguaggio, immagini, suoni ed azioni.

Google, nel suo bilancio annuale, ha sottolineato come i nuovi modelli siano passati da strumenti a veri e propri “compagni cognitivi”, in grado di esplorare e collaborare con gli esseri umani in contesti sempre più complessi. Proprio Google ha lanciato a settembre Gemini 3, eletto, superando concorrenti come ChatGPT e Claude (sviluppata da Anthropic), miglior modello al mondo di intelligenza artificiale da LMArena, piattaforma pubblica, creata da ricercatori dell’Università di Berkeley e dell’organizzazione no profit LMSYS, per valutare e confrontare i modelli di intelligenza artificiale tramite votazioni umane in tempo reale.

Stiamo assistendo anche alla rivoluzione industriale 2.0, che utilizza massivamente robot più agili, sistemi autonomi più affidabili e processi automatizzati che hanno trasformato il lavoro fisico e intellettuale. Tesla, Amazon e decine di altri colossi hanno già introdotto robot antropomorfi capaci di manipolare oggetti delicati o svolgere compiti logistici avanzati.

Ciò che fino al 2024 sembrava sperimentale, nel 2025 è diventato routine: non si parla più di fabbriche intelligenti, ma di fabbriche sostenute dall’IA.

La rivoluzione, però, non è solo tecnologica ma anche economica e geopolitica.

Secondo uno studio di Jason Furman (economista di Harvard ed ex capo del Council of Economic Advisers) negli Stati Uniti gli investimenti in infrastrutture legate all’IA (data center, software, attrezzature informatiche) hanno rappresentato il 4% del PIL e hanno generato quasi il 92% della crescita del PIL nella prima metà del 2025.

L’IA ha trainato il mercato, ridefinito la concorrenza globale e costretto interi Paesi a ripensare la propria strategia industriale. L’India ha lanciato un piano da 500 miliardi di dollari per diventare una superpotenza dell’IA, mentre Stati Uniti e Cina si sono trovati a ridefinire ruoli e priorità in una competizione sempre più serrata. La posta in gioco non è più solo l’innovazione: è la leadership sul futuro.

Infine, c’è la rivoluzione sociale. L’IA ha cambiato il modo in cui pensiamo, scriviamo, creiamo, ci informiamo. Ha riscritto il concetto di lavoro, costringendo milioni di professionisti a reinventarsi, introdotto interrogativi etici urgenti e ridefinito la frontiera tra autonomia umana ed automazione.

Per molti tutto ciò è fonte di fascinazione; per altri, di inquietudine ma per tutti è ormai impossibile da ignorare.

L’impatto si è sentito anche nei mercati finanziari, trainati dalle società tecnologiche legate all’esplosione degli investimenti nell’intelligenza artificiale (in particolare negli Stati Uniti).

Per gli investitori europei, però, buona parte del rendimento generato dal mercato statunitense è stato vanificato dalla debolezza del dollaro e ci si interroga se il 2026 sarà dominato dagli stessi temi o se emergeranno nuove tendenze.

La crescita economica mondiale rimarrà probabilmente sostenuta, intorno al 2,5%, in leggero rallentamento rispetto al 2025, ma rimangono ancora tutti da scoprire gli impatti positivi, sulla produttività delle imprese, o negativi, sulla creazione di nuovi posti di lavoro, che deriveranno dagli enormi investimenti fin qui realizzati.

Per quanto riguarda i mercati finanziari, gli analisti finanziari prevedono, così come avveniva l’anno scorso, dei ritorni moderatamente positivi (tra il 5 e il 10%) che sono, per la verità, piuttosto rari: nella storia, infatti, prevalgono largamente le forti salite (la pace in Ucraina sarebbe di aiuto) o, molto più raramente, discese (la ripartenza dell’inflazione, a causa dei dazi, potrebbe innescare una forte correzione) …

Prepariamoci, dunque, ad essere nuovamente sorpresi e che il nuovo anno superi di gran lunga le vostre più rosee aspettative!

Più risorse per la competitività delle imprese

La Giunta regionale, su proposta degli assessori Andrea Tronzano e Matteo Marnati, ha approvato un incremento di 9 milioni di euro per la misura “Voucher certificazioni PMI per competitività e sostenibilità”, portando la dotazione complessiva a 17 milioni di euro.

L’intervento, finanziato nell’ambito del Programma Regionale FESR 2021-2027, Priorità I “RSI, competitività e transizione digitale”, risponde all’elevata domanda da parte delle imprese: sono pervenute 968 richieste, per un fabbisogno superiore al budget iniziale di 8 milioni stanziato nello scorso mese di maggio.

“Con questo nuovo intervento – dichiarano il presidente della Regione Alberto Cirio e gli assessori alle Attività produttive Andrea Tronzano e all’Innovazione Matteo Marnati – diamo una risposta immediata a quasi mille imprese che hanno creduto nella misura, premiando il loro impegno verso qualità e sostenibilità. Le certificazioni non sono un costo, ma un investimento strategico: aprono mercati, qualificano l’impresa e creano fiducia. In questo modo la Regione aiuta chi investe nel futuro produttivo del territorio, supportando chi vuole crescere, innovare ed essere competitivo”.

La misura prevede contributi a fondo perduto per le micro, piccole e medie imprese che intendono dotarsi di certificazioni volontarie (ISO, EMAS, ecc.), strumento sempre più richiesto per accedere a mercati internazionali, gare pubbliche, filiere industriali e programmi di sostenibilità.

Grazie al nuovo stanziamento sarà possibile scorrere integralmente la graduatoria delle imprese che hanno presentato domanda, evitando esclusioni e valorizzando la forte adesione dimostrata dal tessuto produttivo piemontese.

Giardini Madre Teresa, quasi 200 pasticche di MDMA e cocaina: arrestato 29enne

Mille euro in contanti, 191 pasticche di MDMA, 3 panetti di hashish, diversi involucri di marijuana e cocaina e un coltello con residui di sostanze stupefacenti: arrestato 29enne.

È questo quanto emerso durante i controlli ai “Giardini di Madre Teresa di Calcutta”, quando la Squadra Mobile ha notato un gruppo di persone, una delle quali stava contando del denaro contante. Secondo quanto ricostruito, due di loro avrebbero fischiato per avvertire la persona dell’arrivo dei poliziotti. Il segnale però non è bastato: gli agenti sono intervenuti riuscendo a fermare uno dei presenti, un 29enne di origine ghanese, arrestato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.

Dalla perquisizione il ragazzo aveva con sé 1.000 euro in contanti, 191 pasticche di MDMA, tre panetti di hashish, diversi involucri di marijuana e di cocaina, oltre a un coltello con residui riconducibili al taglio e al confezionamento delle sostanze. La Procura ha chiesto la convalida dell’arresto, che è stata concessa. Il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari e, fino a una sentenza definitiva, l’indagato è considerato non colpevole.

VI.G

“La clessidra di bambù”: Li Po, Mussapi e un’indagine sull’energia cosmica

“La clessidra di bambù”, nuova curatela del poeta Roberto Mussapi, recentemente pubblicata da Bibliotheka Edizioni e incentrata sulla figura di Li Po, leggendario poeta vissuto nell’ottavo secolo dopo Cristo, tra i massimi dell’intera letteratura cinese, è in libreria con quella che sembra essere la più completa e rappresentativa selezione di testi poetici del genio della Dinasta Tang, magistralmente tradotti da una penna fra le più importanti della poesia contemporanea.

Impregnato di taoismo e mistica ascensionale, il libro si presenta come un’indagine sull’ energia cosmica, che dal sublime vira verso il nostalgico, dal mistico al sentimentale, dal realistico al tragico, illuminata da quei bagliori notturni in cui il poeta scorge l’infinito. Se il sole genera vita, la luna la suscita, la muove, ne scandisce nascite e maree, tempeste e quiete, un’energia che è simbolo della Grande Madre, della ricettività, dei sogni e dell’inconscio, governatrice dell’intuizione, protettrice notturna dell’amore e della rinascita. Tutti elementi viscerali che Mussapi ci consegna in questa sua curatela del grande Li Po, che leggenda narra essere affogato nel fiume, cercando di afferrare la luna.

Proprio la contemplazione lunare – importante fil rouge magico e letterario tra Li Po e Roberto Mussapi – evidenzia il forte legame del poeta cinese con temi d’influenza taoista, espressi in quanto solitudine e rifugio nella libertà interiore, liberazione da ogni convenzione e ricerca d’armonia con la natura, di cui diventa estremo e tragico rappresentante nel momento della loro celebrazione, il più delle volte accompagnata dallo stesso vino di cui Baudelaire scrisse nel suo “Paradisi artificiali”. In sintesi, lo stile di Li Po è un’illuminazione di lirismo spontaneo e immaginifico, “capace di sogni improvvisi”, come ha scritto Roberto Mussapi, magistrale nell’aver saputo evocare il potere trasformativo della poesia: la magia di generare voce dove vige il silenzio, il poeta che diventa suono e significato del tempo passato, ormai proiettato nel futuro.

“Assetato d’infinito quanto Baudelaire, sapiente quanto Coleridge e Goethe, pulsante di vita quanto il mitico Villon. È questo il profilo intellettuale di Li Po, (701-762), il più grande di una straordinaria stagione di poeti che nell’ottavo secolo d.C. hanno dato vita in Cina a un fenomeno artistico paragonabile a quello dei poeti latini dell’età augustea, degli elisabettiani, degli stilnovisti, dei rinascimentali, dei romantici.Un narratore unico: mistico, visionario, capace di sogni improvvisi. Quasi shakespeariano nella sua incessante sperimentazione di ogni gamma narrativa: dal sublime al nostalgico, dal mistico al sentimentale, dal realistico al tragico. Un autore di intramontabile grandezza ammirato e venerato da Mahler, Pound, Hesse e Bukowski”.

Gian Giacomo Della Porta

L’anno che verrà: Torino e l’auto alla prova del futuro. Mirafiori tra cassa integrazione e rilancio

Torino e il Piemonte restano il punto di riferimento storico dell’auto in Italia, ma stanno attraversando una stagione tra le più difficili degli ultimi decenni. Il passaggio alle nuove motorizzazioni, il rallentamento del mercato europeo, l’aumento dei costi industriali e la pressione della concorrenza globale stanno modificando in modo sostanziale il peso del territorio nelle strategie di Stellantis, con effetti evidenti sulla quantità di vetture prodotte e sui livelli occupazionali.

Negli ultimi anni il contributo italiano alla produzione del gruppo si è progressivamente ridotto. Il 2024 ha segnato uno dei momenti più critici, con volumi nazionali scesi sotto le 500 mila unità e un crollo superiore al 30% rispetto all’anno precedente. Anche l’avvio del 2025 non ha mostrato segnali di inversione: nei primi sei mesi dell’anno le vetture assemblate sono state poco più di 220 mila, circa un quarto in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Le proiezioni indicano che, a fine anno, il totale potrebbe attestarsi intorno alle 440 mila auto, confermando una riduzione strutturale del peso produttivo italiano all’interno del gruppo.

Il territorio più colpito è quello torinese, e in particolare Mirafiori, stabilimento simbolo della storia industriale nazionale. Oggi l’attività è quasi interamente concentrata sulla 500 elettrica, mentre le produzioni Maserati hanno numeri marginali. Nel primo semestre del 2025 da Mirafiori sono uscite poco più di 15 mila vetture, oltre il 20% in meno rispetto all’anno precedente, valori lontanissimi da quelli che per decenni hanno collocato il complesso tra i maggiori siti automobilistici europei. Le difficoltà commerciali della 500 a batteria, frenata da prezzi elevati e da una domanda ancora debole, hanno ridotto in modo sensibile il grado di utilizzo degli impianti.

Sul piano del lavoro l’impatto è stato pesante. L’utilizzo della cassa integrazione e dei contratti di solidarietà si è trasformato in una condizione quasi permanente. A Mirafiori migliaia di addetti hanno alternato periodi di attività a fasi di riduzione dell’orario o di sospensione delle linee. In tutto il Piemonte le ore di ammortizzatori sociali nel comparto metalmeccanico e automotive sono cresciute in maniera marcata, segno che la crisi non riguarda solo la fabbrica torinese ma l’intero sistema di imprese dell’indotto che ruota attorno a Stellantis.

In uno scenario ancora fragile, le prospettive per Mirafiori e per l’industria dell’auto piemontese dipendono soprattutto dalla possibilità di rilanciare i volumi con nuovi modelli. L’elemento più atteso è l’introduzione, avviata dalla fine del 2025, della nuova 500 ibrida, che potrebbe intercettare una platea più ampia di clienti rispetto alla versione elettrica. Le stime parlano di una potenzialità di circa 100 mila unità annue a regime, numeri che potrebbero contribuire a ridurre l’uso degli ammortizzatori e a dare maggiore stabilità all’occupazione, pur in un contesto in cui restano aperti anche programmi di uscite volontarie e di riorganizzazione del personale.

Il futuro dell’automotive torinese e piemontese si gioca quindi su un equilibrio complesso: accompagnare il cambiamento tecnologico senza perdere la massa critica necessaria a sostenere lavoro e filiera. Sarà decisivo il contributo delle istituzioni attraverso politiche industriali, incentivi al mercato, investimenti in infrastrutture e formazione. Mirafiori, più che una semplice fabbrica, continua a rappresentare il simbolo di questa partita: dalla sua capacità di ritrovare centralità dipenderà in larga parte il destino dell’industria dell’auto in Piemonte.

Nessuna persona investita dalla valanga a Claviere

Nessuna persona sarebbe stata investita dalla valanga distaccatasi a Claviere in alta valle di Susa. Grazie a un sorvolo in elicottero, i vigili del fuoco hanno visto quattro tracce di sciatori in ingresso e altrettante in uscita dall’area interessata . Ciò dimostra che i quattro sono usciti  dalla massa di neve. I soccorritori non escludono che il distacco si sia verificato al passaggio degli sciatori.

Gli States… in cornice

Al “Forte di Bard”, grande mostra fotografica incentrata sul “racconto” degli Stati Uniti d’America con foto in arrivo dall’Agenzia “Magnum Photos”

Fino all’8 marzo 2026

Bard (Aosta)

Polo culturale d’eccellenza della Vallée, il sabaudo “Forte di Bard” appare sempre più orientato a diventare un vero e proprio “centro nevralgico” per quanto riguarda le esposizioni dedicate all’arte fotografica. Da poco conclusesi le rassegne “Oltre lo scatto” e “Gianfranco Ferré, dentro l’obiettivo”, e ancora in corso “Bird Photographer of the Year 2025”, l’ottocentesca Fortezza torna a proporre una nuova esposizione, a soggetto gli “States”, attingendo niente meno che dagli Archivi dell’Agenzia “Magnum Photos”, una delle più importanti Agenzie Fotografiche a livello mondiale, oggi guidata da Cristina de Middel e fondata ( inizialmente con due sedi, a New York e a Parigi) nel 1947 da Maestri del calibro di un Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William (detto Bill) e Rita Vandivert.

“Magnum America. United States”, é il titolo dell’attuale rassegna allestita nelle sale delle “Cantine” fino a domenica 8 marzo 2026, promossa, nel solco di un’ormai consolidata collaborazione sul fronte della fotografia storica e del costume dal “Forte” valdostano e da “Magnum”, e curata dalla critica d’arte Andrèa Holzherr, responsabile della promozione dell’“Archivio Magnum”. Organizzata in capitoli decennali, dagli anni ’40 ai giorni nostri, “l’esposizione – sottolineano gli organizzatori – ha quale primo obiettivo quello di porre a confronto persone ed eventi ordinari e straordinari, offrendo un’interpretazione commovente del passato e del presente degli Stati Uniti d’America, mettendone al contempo in discussione il futuro”. Il futuro di un Paese, cui “Magnum Photos” fin dai suoi inizi ha guardato con interesse e profonda analisi critica, com’era e com’é necessario per una nazione da sempre simbolo di “libertà” e “abbondanza”, ma anche di tensioni sociali, sconvolgimenti culturali e divisioni politiche non di poco conto e quasi sempre proiettate, nel bene e nel male, sul destino del resto del Pianeta.

Ecco allora, fra gli scatti in parete, l’iconica immagine di profilo di “Malcolm X” (Malcolm Little) attivista politico, leader nella lotta degli afroamericani per i “diritti umani”, assassinato durante un discorso pubblico ad Harlem all’età di soli 39 anni, da membri della “NOI – Nation of Islam”, gruppo “nazionalista nero” che predicava la creazione di una “nazione nera” separata all’interno degli States. Lo scatto è a firma della fotografa americana Eve Arnold, la prima free lance donna della “Magnum”. Di Bruce Gilden, ritrattista eccezionale di gente comune incontrata a Coney Island, piuttosto che a New York centro, è toccante il primo piano sofferente e affaticato di “Nathen”, ragazzo di campagna dell’Iowa, che non nasconde all’obiettivo la libera “voce” delle sue lacrime. E poi la grandiosa “Ella Fitzgerald” di Wayne Forest Miller, fra i primi fotografi occidentali a documentare la distruzione di Hiroshima, insieme al curioso caotico intrecciarsi di mani fra “John Fitzgerald Kennedy” e la folla dei sostenitori in un comizio per le “Presidenziali” del 1960.

Per molti dei fondatori europei di “Magnum”, l’America rappresentava “sia una nuova frontiera che un banco di prova per la narrazione fotografica”Robert Capa ha catturato il glamour di Hollywood e l’ottimismo del dopoguerra, mentre l’occhio attento di Henri Cartier-Bresson ha analizzato i rituali e i ritmi del Paese “con uno sguardo distaccato e antropologico”. Con la crescita dell’Agenzia, fotografi americani come Eve ArnoldElliott Erwitt e Bruce Davidson hanno contribuito con prospettive privilegiate, documentando tutto o quasi: dal movimento per i diritti civili e le proteste contro la “Guerra del Vietnam”, ai ritratti di comune quotidianità nelle piccole città e nelle grandi metropoli. Dai grandi trionfi ai più profondi traumi: il “V-day” (“Victory in Europa Day”), la Marcia su Washington, Woodstock, l’11 settembre, le campagne presidenziali, gli eventi sportivi, le manifestazioni culturali, i disastri naturali e le profonde cicatrici della disuguaglianza razziale ed economica. “Insieme, queste immagini formano un mosaico – concludono gli organizzatori – a volte celebrativo, a volte critico, sempre alla ricerca e che continua ad interrogarsi su cosa sia l’America e cosa potrebbe diventare”.

Gianni Milani

“Magnum America”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino all’8 marzo 2026

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Eve Arnold / Magnum Photos “Malcolm X”, Chicago, USA, 1961; Bruce Gilden / Magnum Photos “ Nathen, a farm boy”, Iowa, USA, 2017; Wayne Miller / Magnum Photos “Ella Fitzgerald”, Chicago, USA, 1948

Quattordici titoli a riproporre l’universo cinematografico di Mario Martone

Il mese di gennaio 2026 al Cinema Massimo

L’anno nuovo del Cinema Massimo si aprirà con la retrospettiva (9 – 24 gennaio) dedicata a Mario Martone, regista di punta del panorama cinematografico degli ultimi decenni (il punto d’inizio fu “Morte di un matematico napoletano” sulla figura di Renato Caccioppoli, 1992, Gran Premio della Giuria a Venezia e David di Donatello quale miglior regista esordiente) come pure di quello teatrale (dal 2007 al 2017 direttore artistico dello Stabile Torinese, indimenticabili tra i tanti titoli le “Operette morali” da Leopardi e “Morte di Danton” di Büchner) e lirico, napoletano di nascita, 66enne, retrospettiva che è momento eccellente per affrontare ancora una volta un universo dove possono riemergere non pochi successi – “È sempre una questione di eredità. Il cinema di Mario Martone si pone, testo dopo testo, di fronte a una dialettica di conoscenza e di passaggio, tra il passato e il presente (alla ricerca di qualcosa da far rivivere) e tra contrasti diversi, talvolta lontani, talvolta confinanti, mettendo in primo piano la tensione politica ed etica di un discorso teso verso il futuro” -, alcuni occasione altresì per un confronto con il pubblico. Il regista sarà presente infatti in sala sabato 10 (ore 20,30) per presentare “Fuori”, interprete Valeria Golino a dar vita al ritratto di Goliarda Sapienza, e domenica 11 (ore 16) per introdurre “Noi credevamo”, le tre vite e la missione rivoluzionaria di Domenico, Angelo e Salvatore, la volontà maturata dalla feroce repressione borbonica dei moti del 1828 di affiliarsi alla Giovine Italia di Mazzini, in un susseguirsi umano e storico di “rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche.”

Quattordici titoli di una filmografia che attraversa allo stesso tempo la sfera privata e pubblica, la Storia e il nostro presente, che attinge alla letteratura (Anna Banti ed Eduardo, Ermanno Rea e Goffredo Parise, Sapienza ed Elena Ferrante), da “Rasoi” a “Capri-Revolution”, da “Il giovane favoloso” con un grande Elio Germano a impersonare il poeta di Recanati a “Nostalgia”, da “Teatro di guerra” a “L’odore del sangue” a “Qui rido io”, non tralasciando (del 2023) “Laggiù qualcuno mi ama”, un ritratto di Massimo Troisi a settant’anni dalla nascita, il mito e la ventata di genialità racchiusi anche in materiali inediti, gli inizi e il tramonto di una carriera terminata troppo presto, sotto lo sguardo della napoletaneità che accomuna entrambi. In programma venerdì 9 (ore 16) e sabato 17 (ore 16).

Ancora dal 26 gennaio al 1° febbraio un focus sul cinema giapponese (“Viaggio in… Giappone”) degli anni Cinquanta e Sessanta con una selezione di opere rare, proiettate in pellicola, che permetteranno di esplorare il periodo d’oro della cinematografia nipponica attraverso opere fondamentali di registi meno celebrati ma altrettanto originali come Kinoshita Keisuke, Shindō Kaneto e Uchida Tomu. Tra drammatiche riflessioni sociali e poetiche storie di speranza, questi capolavori raccontano il Giappone dell’immediato dopoguerra, la sua evoluzione e le sue contraddizioni.

e. rb.

Nelle immagini, scene da “Noi credevamo” con Luigi Lo Cascio e “Nostalgia” con Pierfrancesco Favino.