Una storia tutta sbagliata e attori che non convincono

Nelle sale “La ragazza dei tulipani” di Justin Chadwick

 Non credo davvero che il pasticciaccio che è diventato La ragazza dei tulipani sia soltanto il fatto di essersi ritrovato invischiato nel terremoto del pianeta Weinstein – giunto con l’occasione al capolinea del suo tragitto di produttore arrapato e onnipotente -, qualcuno alla fine deve essersi per forza accorto che il tessuto cinematografico non era dei migliori. Per carità, la gestazione del progetto è stata lunga e stiracchiata. Un progetto che veniva alla luce nel 2004, che vedeva John Madden dietro la macchina da presa e Spielberg produttore, la coppia Jude Law/Natalie Portman nelle vesti dei due giovani innamorati: stoppato a poche settimane dalle riprese a causa dell’abolizione della legge sulle agevolazioni fiscali in Inghilterra, colpevoli di aggiungere una buona fetta al budget iniziale. Il tycoon hollywoodiano, colui che fece man bassa di Oscar per Shakespeare in love, ricomprò i diritti del romanzo di Deborah Moggach nel 2013, dando il via alla nuova avventura.

 

Che è la classica ciambella venuta davvero male. Navigando all’interno del secolo d’oro olandese (siamo ad Amsterdam, nel 1634), in atmosfere che tentano di farci intravedere in grande lontananza il mondo di Vermeer e quel piccolo capolavoro della Ragazza con l’orecchino di perla – il film come il libro della Chevalier – Justin Chadwick tiene dietro ad un plot che più surreale non si potrebbe, condanna il per altre volte geniale sceneggiatore Tom Stoppard al vituperio perpetuo, non sa, con grande imbarazzo, che strada narrativa scegliere, se abbracciare gli elementi pittorici o la commedia o il dramma amoroso, naufraga, con gran disastro, nel feuilleton finale, strizza l’occhiolino provocatore ad una nuova avventura tra il boccaccesco e il più drammatico “la sventurata risposa” di manzoniana memoria. Avendo voglia di entrare più nel dettaglio e accantonando per un attimo il desiderio di dimenticare tutto al completo, c’è la giovane orfana che, risucchiata dal convento, va sposa ad un mercante ricco quanto vecchio, che esige un figlio e che per tramandare ai posteri la bellezza della sposa (e l’immagine delle proprie sostanze) chiama un giovane pittore a ritrarre la coppia. Colpo di fulmine tra i due giovani che cercando di approfittare delle febbre dei tulipani che ha invaso cuori e saccocce, prima speculazione della storia, tentano di arraffare il grosso gruzzolo e fuggirsene via: mentre in un gran bailamme è tutta un’invenzione di gravidanze e doglie e parti della serva della signora, di darla a bere al vecchione (che ha visto “crescere” la pancia della sua signora) che la pargoletta nuova arrivata sia sua, della fedigrafa pronta a farsi chiudere in una bara pur di raggiungere il ritrattista di turno e di pentirsene subito dopo amaramente, dell’occasione di una spiccia badessa a ricongiungere le due anime belle verso un domani di cui nemmeno vogliamo sapere. Se non fosse la Moggach di oggi sarebbe la Carolina Invernizio di ieri, poco importa. Ovvero si corre verso il ridicolo, le sottostorie appesantiscono e a volte rubano spazio alla trama principale dove i giovani Alicia Vikander (che ci accorgiamo sempre più sopravvalutata) e Dane De Haan (espressivo quanto un foglio di carta bianco) non funzionano e non riescono a farci respirare emozioni. Christoph Waltz come l’intera vicenda non riesce a prendere corpo, soltanto una sempre grande Judy Dench si fa ammirare nel suo piccolo personaggio a lato. A volte, si ha – per finire con i peccatacci di Chadwick – l’impressione di ritrovarci in una confusione mentale che scomoda anche gli intermezzi comici (il ginecologo, l’amico ubriacone che non arriverà mai con il guadagno) per posizionarli malamente, ci si imbatte in un montaggio, di Rick Russell, a singhiozzo, e in una voce fuori campo, fastidiosa, superflua come tante pagine del film. Possiamo le scenografie e i costumi: ma rimangono davvero ben poca cosa.

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