FINO AL 3 MARZO
In parete scatti fotografici, un paio di disegni e videoarte. Complessivamente sono una ventina le opere esposte nelle Sale torinesi dello Spazio Don Chisciotte della Fondazione Bottari Lattes (via della Rocca, 37b) realizzate da cinque artisti internazionali, attraverso le tecniche più varie, fra il 2016 e il 2017, con l’obiettivo comune di indagare sotto vari aspetti il tema dell’“Attesa”. Tema che rimanda al titolo stesso della rassegna e a cui era dedicata la quarta edizione dell’“Art Prize CBM 2017/2018”, il Premio Internazionale organizzato dal 2001 da Areacreativa42 e dedicato al pittore piemontese Carlo Bonatto Minella (1855 – 1878), allievo virtuoso dell’Accademia Albertina di Torino, scomparso giovanissimo e autore di una bellissima “Donna ebrea” del 1877, conservata alla GAM di Torino. Selezionati dalla Fondazione Bottari Lattes e da Areacreativa42, i cinque artisti sono fra i vincitori e i finalisti del Premio – che ha visto la partecipazione di artisti da oltre quaranta Paesi, per le sezioni Under e Over 30 – e allo Spazio Don Chisciotte portano opere inedite, mai esposte prima in città. Sono opere di sicuro interesse. Alcune assai coinvolgenti nell’artistica volontà di cristallizzare quel “tempo dell’attesa” che non è mai tempo immobile, ma cascata vorticosa (pur se silente) di passioni emozioni ansie inquietudini e ipotesi di futuro su cui grava l’incertezza del dolore o della gioia infinita. E’ infatti “nell’attesa stessa – suggerisce Karin Reisovà, presidente di Arecreativa42 e, insieme ad Antonio D’Amico, alla guida della giuria internazionale del Premio – che meditiamo, valutiamo possibilità, imbastiamo i semi del futuro, ci prepariamo per l’avvenire”. Concetti, riflessioni, interrogativi che, insieme a mille altri, avranno toccato le corde dell’animo e della mente dei cinque artisti in mostra. Ed ecco allora quello che è stato definito “l’analisi visiva parossistica dell’attesa”: il video proposto dal macedone (residente a Roma) Stefan Nestoroski che ripropone la scena chiave del film “Amleto” (1948) in cui un giovane Laurence Olivier, in mano un pugnale che pericolosamente titilla su e giù in quell’area del petto che sta dalle parti del cuore, si interroga a voce alta se farla finita una volta per tutte o soprassedere all’insano gesto. E la scena si ripete all’infinito, in attesa di qualcosa che mai avverrà. Oltre al video, di Nestoroski sono esposti anche due disegni, a inchiostro e matita su carta, forme minimali, “tracce dell’inconscio” di astratta gestualità, pittoricamente gradevoli. Così come lo sono i collages creati dalla portoricana (oggi residente a Milano) Patricia Fraser Silva, utilizzando il transfer polaroid e trasferendo – con effetti che paiono acquerellati – su supporto di carta il distacco dell’emulsione. Foto sequenze sospese fra memorie (di lei bambina, di affetti e luoghi lontani) e realtà. Il barlettano (anconetano d’adozione) Angelo Iodice, chimico di formazione, riversa invece sulla fotografia uno sguardo attento e particolare, artistico e scientifico insieme. E l’attesa (con tanto di matematica equazione a fianco dello scatto realizzato e a prova documentata dell’evento) può essere indifferentemente scandita dal passare del tempo nel processo di Nucleosintesi Stellare, così come dalle rovine di un terremoto su cui gravita pesante e immobile l’angoscia della ricostruzione o ancor più semplicemente da un lampione acceso affogato nel blu della notte. Calma piatta, appunto. Particolarmente toccanti le fotografie dell’israeliano (che oggi vive a Berlino) Ben Livne Weitzman che ha cercato di vedere Milano con gli occhi della nonna, scappata dopo la guerra dalla Germania verso la Palestina portandosi dietro il sogno – che riuscì a coronare – di passare a Milano per vedere La Scala. Le sue sono immagini volutamente opacizzate, in quanto vive e vissute nel ricordo e nell’attesa di un ricongiungimento con un qualcosa, un qualcuno e un passato che non può tornare. Dal fotoreportage arriva infine il moscovita oggi residente in Israele, Ilia Yefemovich, che in mostra porta scatti incentrati in particolare sul conflitto arabo-israeliano. Suggestiva l’immagine, di inquietante immobilità, fermata in “A girl”, dove la giovane donna fotografata a piedi nudi in una sorta di paesaggio fuori dal tempo e da spazi riconoscibili, appare sospesa fra il peso del passato e la ricerca di almeno un attimo di quiete. Il suo sguardo va lontano, in attesa di un qualcosa che verrà. O forse no. Proprio come per la “Donna ebrea” di Carlo Bonatto Minella.
Gianni Milani
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“Le forme dell’attesa”
Spazio Don Chisciotte – Fondazione Bottari Lattes, via della Rocca 37b, Torino, tel. 011/19771755-1; www.fondazionebottarilattes.it
Fino al 3 marzo. Orari: martedì – sabato, ore 10,30 – 12,30 e 15 – 19
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Le immagini:
– Patricia Fraser Silva: “Apnea”, Polaroid emulsion transfer, 2016