Di Pier Franco Quaglieni
Il Giorno del Ricordo a Torino nella Sala Rossa del Consiglio Comunale è stato dominato dall’intervento del Prefetto di Torino Renato Saccone che con poche parole meditate ha evidenziato come, a 70 anni dalla firma a Parigi del Trattato di pace successivo alla II Guerra mondiale, il 10 febbraio 1947, si debbano storicizzare le vicende drammatiche delle foibe e dell’esodo giuliano, dalmata ed istriano , andando oltre gli oblii interessati e i rancori inevitabilmente generati dall’orrore. Soprattutto il Prefetto ha posto in evidenza come sia indispensabile una lettura condivisa dei fatti ,attraverso la ricerca della verità storica e ha parlato di “fratelli italiani dell’esodo”.
Le tragedie successive all’armistizio dell’8 settembre e al Trattato di pace
vanno rivissute come italiani appartenenti alla stessa comunità nazionale e da europei che superano le ferite lasciate dalla II Guerra mondiale, vedendo nel ricordo “un seme di concordia” che ci consenta di guardare al futuro. Chi scrive ha partecipato ,anche parlando in prima persona ,a tanti eventi del Giorno del Ricordo, a partire dal primo, nel 2005,a Palazzo Carignano, quando si tenne il più rilevante convegno torinese in cui si confrontarono politici come Luciano Violante e storici come Aldo Visalberghi, moderati da Alberto Sinigaglia, con la partecipazione delle massime autorità.
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A quell’evento partecipò anche il grande Ottavio Missoni ,sindaco del Comune di Zara in esilio.
Ma questa edizione del Giorno del Ricordo ha assunto un rilievo speciale con l’intervento del Prefetto di Torino per il taglio che ha impresso alla cerimonia. Sono state importanti le parole del presidente del Consiglio Comunale Fabio Versaci che ha dimostrato coraggio nel parlare di” odio politico e ideologico”,della Sindaca Appendino che ha ricordato gli 8.000 profughi istriani e dalmati arrivati a Torino,del Presidente del Comitato regionale per la Resistenza e la Costituzione Boeti che ha fatto un excursus storico particolarmente penetrante,denunciando anche il “disinteresse delle nuove generazioni” verso questi temi,del presidente dell’ANVGD Antonio Vatta che visse in prima persona il dolore del profugo e poi dell’”esule in Patria”. L’intervento del Prefetto ha segnato però la differenza tra le edizioni precedenti e quella del 2017. Una linea di continuità del 10 febbraio è stata data invece dall’assenza delle istituzioni scolastiche(docenti e soprattutto allievi) alle manifestazioni. C’è da domandarsi il perché la scuola torinese,dopo un buon inizio negli anni 2005/7 (all’istituto Avogadro venivano promossi incontri in orario di lezione con allievi di quasi tutte le scuole torinesi)sia rimasta inspiegabilmente ferma nel sottovalutare gli eventi del nostro confine orientale, limitandosi alla Giornata della Memoria il 27 gennaio che pure è importantissima ed irrinunciabile.
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Forse certi professorini di storia sono rimasti vittime delle loro radicata faziosità ideologica e neppure sanno che la legge n.42 del 2004 prescrive la promozione di iniziative anche nelle scuole, il 10 febbraio di ogni anno. Così purtroppo accade in quasi tutta Italia, ma il vizio dell’oblìo è un dato precipuo di buona parte della scuola torinese. Soprattutto ci sarebbe da ridire sulla scarsa coscienza professionale di certi prof. saccenti e intolleranti, epigoni di un sessantottismo invecchiato male, se, alla fine, essi, magari senza dichiararlo esplicitamente, preferiscono occultare alcune verità storiche, per non fare i conti con esse e soprattutto con sé stessi. Luciano Violante e Piero Fassino quei conti seppero invece farli fino in fondo e, se la legge del 2004 venne approvata con il solo voto contrario di Rifondazione, è anche merito loro, oltre che dei parlamentari di AN promotori della legge approvata nel 2004. Tra i tanti aggiornamenti a cui il corpo docente dovrebbe sottoporsi, ci sarebbe sicuramente anche un ciclo di incontri storici sulle foibe e sull’esodo. Farebbe loro assai bene, magari in alternativa al pedagogismo infruttuoso che predomina nella scuola d’oggi e che ha portato 600 professori universitari italiani(in verità, pochi i docenti torinesi e solo una ricercatrice dell’Università del Piemonte orientale ) a denunciare i livelli inaccettabili di impreparazione che la scuola offre oggi ai suoi utenti.
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