RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA
Jane Smiley “L’età del disincanto” -La Nuova Frontiera- euro 16,90
Jane Smiley (nata a Los Angeles nel 1949) è un gigante della letteratura americana contemporanea. Premio Pulitzer, autrice di oltre una ventina di opere di narrativa e saggistica, tutte di altissimo livello.
Questo romanzo, tradotto solo ora in italiano, in realtà è del 1987 e narra la crisi coniugale di una coppia di dentisti. Jane Smiley lo fa con estrema grazia e passo lieve, eppure riesce a scandagliare magistralmente due vite intere e due sensibilità caratterizzate da infinite sfaccettature.
Lei oggi -40 anni dopo e 4 matrimoni alle spalle- la ricetta giusta per far funzionare una coppia deve averla trovata; dato che con l’ultimo marito è felicemente sposata da 25 anni. Non litigano mai, si sono divisi chiaramente i compiti e trascorrono parte del tempo insieme scherzando.
Tornando al romanzo; Dana e Dave, apparentemente, sembrano aver formato una coppia consolidata e serena. Le loro carriere sono armoniosamente condivise e di successo, ed hanno tre figlie impegnative che richiedono attenzione.
Si sono conosciuti all’Università dove hanno studiato odontoiatria; una volta laureati, hanno aperto insieme uno studio dentistico all’avanguardia.
Ora, oltre alle bambine hanno anche due case; la seconda in campagna, dove, appena possono, si rifugiano per trascorrere ore di riposo vacanziero.
Tutto sembrerebbe quasi da “Mulino Bianco”; ma il condizionale è d’obbligo, perché in realtà qualche ombra c’è. A svelarle è la voce narrante di Dave.
Attraverso i suoi flash back scorrono i nodi fondamentali che legano la sua famiglia. Emerge che Dave ha imparato molto dalla moglie, con la quale, dopo aver studiato fianco a fianco, ora lavora applicando la stessa formula collaborativa.
Marito e moglie fanno tutto insieme: vanno e tornano dal lavoro, si occupano delle figlie e cercano di gestire con equilibrio anche i loro puntigli. Come quello della piccola Leah che improvvisamente vira dall’assoluta predilezione per Dana a quella esclusiva e totalizzante per Dave.
Lui rileva continui piccoli indizi e si allarma quando Dana gli confessa di essere spesso infelice; ma svicola, mentre il tempo del dubbio continua a dilatarsi.
Quando poi in studio arriva un nuovo paziente….ecco che il disincanto arriva. E vi appassionerete sempre di più, grazie alla maestria della scrittrice che sa condurvi nelle nicchie più segrete di questo matrimonio, pagina dopo pagina…
Joyce Carol Oates “Macellaio” -La nave di Teseo- euro 24,00
Joyce Carol Oates è una fuori classe della letteratura mondiale: 87 anni, fisico minuto ed esile, carattere immenso ed energia incontenibile.
Scrittrice tra le più prolifiche della storia, capace di spaziare -senza mai sbagliare un colpo- tra svariati generi letterari, con circa 100 libri pubblicati tra: romanzi, racconti, novelle, poesie, testi teatrali, saggi e libri scritti sotto pseudonimi. Tutt’oggi è docente universitaria ed un torrente in piena di creatività.
“Il macellaio” è l’ennesima prova della sua bravura. Un potente e crudo romanzo gotico di oltre 500 pagine, che in molte pagine fa quasi male per l’orrore che racconta.
Nasce dall’accurato lavoro di ricerca condotto dalla Oates sulle esperienze di tre medici vissuti tra 1800 e 1900 in un contesto realmente esistito e dove le donne erano considerate esseri inferiori, sia in termini biologici che sociali.
Tra l’altro, l’autrice vive a pochi chilometri di distanza dal manicomio di Trenton descritto nel “Macellaio”; teatro delle atrocità compiute dalla figura fittizia di Silas Aloysius Weir.
Ispirato al Dottor J. Marion Sims (1813-1883), fondatore della moderna ginecologia che, tra 1845 e 1849, in un ospedale improvvisato in Alabama, fece esperimenti chirurgici -senza anestesia- su schiave afroamericane.
La prima scena –agghiacciante- arriva in fretta. Il dottor Silas è alle prese con uno dei suoi raffazzonati e truculenti tentativi pseudo-scientifici su una neonata “difettosa” che ha comprato dalla madre indigente.
La bimba ha il cranio malforme, simile a un melone asimmetrico, e il medico cerca di aggiustarla asportandone alcune parti… inutile dire come andrà a finire.
La Oates usa l’espediente di una biografia polifonica, curata da Jonathan Franklin Weir, figlio del defunto Silas Weir; che per 35 anni è stato il direttore dell’Istituto del New Jersey per donne malate di mente, a Trenton.
Il romanzo è ambientato nell’America nel 1836, quando gli anestetici non erano in uso e Silas Weir si dilettava a devastare le parti intime delle sue pazienti; tutte di classi inferiori, ricoverate per comportamenti ritenuti non conformi alle norme.
Su di loro usava un armamentario di punteruoli, forcipi e pinze arroventate ed altri strumenti mostruosi che straziavano le loro carni.
Pratiche di pura macelleria sadica spacciate per sperimentazione medica, in nome di una Gino-Psichiatria basata sulla convinzione che le femmine fossero più inclini degli uomini all’isteria. La sede sarebbe stata l’utero, organo ripugnante, così come pure i genitali e l’intero corpo femminile.
Isteria deriva infatti dal latino “Histerëcus”, che significa utero. Inoltre, bastava ribellarsi ad una famiglia opprimente per essere ritenute pazze e venire rinchiuse.
Nell’ultima parte, invece, la voce cambia ed è quella dell’orfana Brigit Kinealy, che fu la prima paziente di Silas: una serva irlandese, albina, sordomuta per la quale il medico sviluppò un’ossessione.
Nel suo diario, pubblicato nel 1868, Brigit ci porta dritti nella stanza degli orrori, dove Silas sperimenta per la prima volta, senza anestesia, dopo ripetuti tentativi, la tecnica di riparazione di una fistola della vescica. Pratica per cui diventerà famoso.
Poi la promuoverà sua assistente, obbligandola a diventare sua complice nell’infliggere supplizi indicibili ad altre disgraziate… fino all’epilogo …
Cristiana Ferrini “ Mio padre, il capitano dei capitani” -Cairo- euro 16,50
E’ la splendida dichiarazione d’amore scritta da una figlia al padre, immenso e famoso, che la morte le ha portato via quando lei aveva appena 12 anni…e ancora bisogno del suo sguardo azzurro che -con la forza e la tenerezza di un abbraccio pieno di amore- sapeva guidarla ed avvolgerla.
Lei è Cristiana Ferrini, stessi occhi, colori, tenacia e forza di carattere -da mula triestina- di suo padre, Giorgio Ferrini. Il capitano più longevo e carismatico della storia granata. Morto a soli 37 anni, con un palma res di primati impareggiabile che lo ha catapultato dritto in rete al mito, e travalicato il silenzio dell’eternità.
Cristiana ha scritto queste pagine con il cuore che ancora rincorre ricordi, emozioni, echi e rimpianti, per quel bagliore fulmineo, troppo breve, concesso dal destino. Questa intensità si sente ed arriva dritta al nucleo più sensibile di chi legge.
Non è un libro solo per tifosi di inscalfibile fede granata; ma una storia che suggerisco a tutti di leggere.
Perché è il commovente ritratto, disegnato a mano libera da chi ha il privilegio di indossare -come una seconda pelle- lo stesso cognome dell’uomo che è stato: un figlio di cui andare orgogliosi, un marito esemplare, un padre dolcissimo, un capitano unico, un amico fidato e molto altro…
Il suo fugace passaggio sulla terra è stata una luminosissima
cometa per chi ha avuto la fortuna di incrociarne la traiettoria. Portatore di valori profondi: poche parole, ma fatti e concretezza; Dna da leader, senza neanche accorgersene; grande cuore granata buono e generoso, però mai sbandierato; strenuo lavoratore con senso del sacrificio già dall’infanzia. Agli inizi si stupì persino che lo pagassero per fare quello che più gli piaceva, tirare calci al pallone!
Era la sua passione fin da piccolo; ma giocava scalzo perché aveva un solo paio di scarpe, e quelle servivano per andare a scuola.
Sognava un pallone vero, ma non si poteva. Sua madre fece scendere in campo il suo ingegno e gliene confezionò uno artigianale; di gommapiuma rivestita con scampoli di stoffe robuste, cucite con infinito amore a guidare ago e filo.
Ecco come si è forgiato l’uomo dei primati: schiena dritta, sacrifici, sudore, impegno, tutto d’un pezzo.
Ha giocato sempre e solo con la maglia del Toro e collezionato 566 presenze, di cui 404 in Serie A, nell’arco di 16 stagioni.
Il Torino è stato fondato nel 1906 e nel corso della sua storia lunga quasi 120 anni, nessuno ha mai disputato così tante partite con la sua maglia, né è rimasto in squadra per 16 stagioni da giocatore.
Ad oggi Ferrini è l’unico del Toro che può vantare i numeri più alti: 442 presenze in campionato; 80 in Coppa Italia; 45 nelle coppe europee; 30 derby giocati.
Infinito il n. 8 al quale è legata l’intera vita di Ferrini, a partire da quello cucito sulla sua maglia di capitano, l’unico nella storia granata ad aver portato la fascia per 12 stagioni consecutive.
La sua dedizione alla squadra era l’aria che respirava e nessuno è mai stato capitano più di lui e come lui.
Sua figlia Cristiana è un vulcano di simpatia, idee, spigliata, creativa, straordinaria creatrice di eventi, una ne fa e cento ne pensa. Da sempre il Toro le scorre impetuoso nelle vene ed è una fans sfegatata che porta alto il ricordo del suo mitico papà.
Lo fa anche con immagini e ricordi vari della carriera del capitano, conservati in un baule, e che ora mette a disposizione di tutti voi.
Basta che clicchiate con il vostro cellulare sul QR code sul risvolto di copertina. Vi collega alla pagina Instagram Giorgio Ferrini 8, dove Cristiana carica costantemente materiale inedito e prezioso.
Perché lei sa benissimo che, il capitano dei capitani, non è solo il suo mitico “Papitano”, ma anche nei cuori di tutti i tifosi che ancora lo rimpiangono.
Simonetta Agnello Hornby “Con la giustizia in testa” -Mondadori- euro 19,00
Questo libro è diverso dagli altri della scrittrice, nata a Palermo nel 1945, e con cittadinanza britannica, dato che dal 1972 vive a Londra dove è stata giudice e avvocato dei minori.
Un testo più privato, nato da un’ossessione; quella di pretendere prima di tutto da se stessa, poi dagli altri, comportamenti giusti. Non è un saggio, e nemmeno una lezione giuridica.
Piuttosto è partita dal personale, da come lei ha vissuto la giustizia, in modo attivo e passivo, iniziando dalla famiglia. E qui il discorso conduce a cavallo delle due isole che sono le sponde tra le quali divide la sua vita; due terre diverse quanto a storia, identità e civiltà.
Una è la Sicilia in cui è nata, dal barone Francesco Agnello Cangitano di Signefari ed Elena Giudice Caramazza. Famiglia di stampo patriarcale e tradizionale, in cui
l’educazione era rigorosa. Come tutti i focolari domestici del mondo, il nucleo in cui si si impara ad essere giusti, ma anche a subire i primi torti.
Poi, la Gran Bretagna, terra di adozione dove incontra l’amore, lo sposa e lo segue in giro per il mondo. Salvo ritornare a Londra ed impostare un direzione precisa alla sua vita, il cui perno è proprio la giustizia.
Oltre alla laurea in Giurisprudenza conseguita a Palermo nel 1967, durante le due gravidanze studia per diventare avvocato solicitor. E subito dopo inizia a lavorare nel campo del diritto di famiglia.
Poi il discorso diventa più ampio ed abbraccia l’ingiustizia sociale, l’amministrazione della giustizia, l’educazione di figli e nipoti ai quali inculca il senso di giustizia. Analizza anche come viene raccontata e interpretata nell’arte, in letteratura, nella cultura popolare e nella sensibilità civile.
E tra i molteplici aspetti della giustizia, analizzati dalla Hornby, un posto d’onore è assegnato all’ambito familiare; lì poi scende in campo tutta la sua vasta esperienza in materia. Si sofferma, per esempio, su una delle scelte più problematiche che spettano ad un giudice minorile: decidere se togliere oppure lasciare un piccolo ai genitori oppure no.
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