La solidarietà, la speranza, la vittoria del noi sull’io, l’apertura agli altri, ai più deboli, agli emarginati contro l’egoismo e l’egocentrismo del singolo che si chiude in sè stesso: questo il messaggio dell’incontro tra Luciano Ligabue e il Cardinale Matteo Maria Zuppi al Salone Internazionale del Libro venerdì 16 maggio.
Il cantautore di Correggio e l’arcivescovo di Bologna, protagonista del recente Conclave che ha eletto papa Leone XIV, in un dialogo magistrale, hanno toccato i grandi temi che affliggono gli uomini in questi anni in cui Pandora sembra avere riaperto il vaso, liberando i mali del mondo: le epidemie e le pandemie, le carestie, le guerre. Partendo dalle esperienze personali, dai dolori, dai lutti che l’hanno portato a rendersi conto della propria fragilità e, al tempo stesso, della propria forza, il cardinale Zuppi ha introdotto una riflessione universale e profonda sul dolore dei bambini, quel dolore infinito che non si può non provare davanti ai piccoli migranti che muoiono di freddo, inseguendo un sogno destinato a infrangersi, quel dolore che ogni essere umano degno di questo nome non può non sentire di fronte a un bambino che soffre e muore vittima di una guerra. Le parole di Zuppi hanno rievocato le sublimi riflessioni di Dostoevskij che ne’ “I fratelli Karamazov” si interroga e si lacera sul dolore dei piccoli, cercando il “perché un bambino soffre?”.
E Dio dov’è in tutto questo dolore? Dio è presente, ribadisce, il cardinal Zuppi, il Vangelo è una storia che continua anche oggi con le nostre vite, nelle nostre vite e che ci insegna a guardare verso gli altri, a non essere indifferenti, dobbiamo solo coglierlo, ma non con gli occhi ai quali l’invisibile è essenziale, bensì con il cuore, citando l’immortale dialogo tra un piccolo principe che amava le rose e le stelle e una volpe.
Ligabue che si definisce laico, ma con un grande bisogno spirituale, e che ha scritto la canzone “Perché Dio non vuole stare solo” parla, a sua volta, del bisogno di umanizzare Dio per renderlo più vicino e per chiedersi se anche lui non possa sentirsi abbandonato dall’uomo, vittima di paure e di dubbi in una società profondamente ingiusta in cui 26 persone detengono la metà del patrimonio mondiale.
Eppure sul fondo del vaso di Pandora qualcosa è rimasto anche in questo XXI secolo di guerre e distruzione, in cui la tecnologia non dà risposte agli interrogativi dell’interiorità, Zuppi invita a tenerci la paura della guerra per trasformarla in consapevolezza e, infine, in speranza perché senza speranza non c’è futuro. Quando vennero liberati tutti i mali del mondo, infatti, nel vaso rimase la speranza. L’uomo è fragilissimo e solo insieme agli altri può superare le difficoltà. Il sovranismo non ha futuro perché chi ama la patria abbatte le frontiere e non le costruisce. E nelle accorate parole del Presidente della Cei sulla necessità di perseguire la pace e l’unione e nel sorriso con cui le accompagna non si può non ritrovare la passione e il sorriso di monsignor Bettazzi che fece della pace e della solidarietà, della vicinanza agli ultimi e agli emarginati il timone della propria esistenza.
Barbara Castellaro
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