La morte del Papa tra politica e storia - Il Torinese

La morte del Papa tra politica e storia

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
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Non ho titolo ad esprimere un’opinione personale su Papa Francesco perché gli storici devono formulare giudizi che vadano oltre le emozioni e la morte del Papa crea reazioni sentimentali inevitabili. Gli storici hanno tempo per esprimere una valutazione meditata e disincantata sul suo pontificato. Un pontificato si valuta  anche per gli effetti che produrrà nei tempi futuri. Oggi appare abbastanza chiaro un giudizio storico su Giovanni Paolo II, mentre ancora incerto è capire se  Benedetto XVI abbia lasciato un segno nella storia della Chiesa e nella storia in generale. La vicenda di Papa Francesco appare molto complessa, anche se il suo magistero può sembrare semplice e lineare. L’estrema resistenza alla vecchiaia e alla malattia appare come un atto eroico rispetto alle dimissioni del suo predecessore che preferì ritirarsi.
Va invece rilevato un vero e proprio  concerto rumoroso  di dichiarazioni da parte  della politica italiana quasi all’unisono: si tratta di gente che confonde un ruolo pubblico in uno Stato laico con i propri legittimi personali sentimenti religiosi che non andavano mescolati con le dichiarazioni istituzionali.
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Il Papa è riuscito a parlare a tutti e quindi appare scontato che tutti “non possano non dirsi cristiani”, come scriveva Croce, ma ci sono limiti invalicabili. Ma il dire da parte di sindaci e ministri che invitano a pregare per il Papa, chiedendo protezione “da lassù” appare una ingenuità istituzionale. È vero che il Papa ha saputo rivolgersi a credenti e non credenti, forse è perfino vero che si è rivolto soprattutto al mondo non cattolico, laico, ateo, lontano dall insegnamento del Vangelo: è la parabola del buon pastore capovolta perché il Papa è andato alla ricerca delle 99 (o quasi) pecorelle smarrite. Ma leggere che la scomparsa del Papa rende un ministro “attonito e sbigottito”  appare davvero fuori luogo perché nelle vesti istituzionali si usano altro linguaggi. Debbo
dire che ho apprezzato la Schlein e Conte che si sono limitati a parlare di Papa Francesco in termini politici così come ho disprezzato chi ha voluto vedere nel Papa un sostenitore della propria causa politica . Pochi altri hanno colto la differenza tra credenti e non credenti, come ha fatto Elisabetta Casellati.
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In fondo è proprio in quel rivolgersi agli uni e agli altri su temi che dovrebbero accomunarli ,il senso del pontificato di Francesco, che come il poverello d’Assisi preferì incontrare il sultano per superare il clima di scontro delle Crociate. La morte del Papa rivela una classe politica nel complesso culturalmente povera. C’è da domandarsi infine che valore possa avere una dichiarazione di un leader politico che non sa neppure trovare le parole adatte per la morte di un Papa. Una volta si diceva ad ogni morte di Papa con espressione impropria e profana. Qualche politico non ha neppure lontanamente seguito l’esempio del Papa domandandosi, prima di dichiarare: “Chi  sono io per … ?”  Molti, se l’avessero fatto, avrebbero taciuto.
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Lasciamo che sia la storia ad esprimersi sul Papa: ci vorrà del tempo per comprendere quale sia stato il senso di un impegno appassionato sia per la storia della Chiesa cattolica sia per il mondo. I due piani sono diversi e il giudizio storico difficilmente potrà coincidere. Quasi nessuno ha ricordato le interviste di Eugenio Scalfari al Papa che intrattenne con lui un dialogo che apparve fecondo. Sarà  interessante ripercorrerlo anche perché la raffinatezza intellettuale di Eugenio (lo scrive un pannunziano che non lo ha mai amato) appare oggi una merce molto rara. Il Centro “Pannunzio” che promosse un dibattito all’inizio del pontificato di Francesco, ha già programmato per il 9 maggio un incontro per  commemorare laicamente il Papa.
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