La Chiesa torinese affida alla Misericordia del Padre Don Carlo Franco, di appena 64 anni, parroco della Basilica Cattedrale Metropolitana, deceduto nelle prime ore di sabato 28 gennaio scorso, in seguito a una grave malattia.
Nato il 23 febbraio 1958 a Torino, era stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1987. Molti i ricordi da parte dei suoi parrocchiani, da cui era molto amato.
“Già dalla sua prima Messa in Duomo nel 2013 – afferma una persona molto attiva nella Diocesi – ho capito che si trattava di una persona speciale, poiché alla fine della celebrazione restava in fondo alla Chiesa a salutare i fedeli. Pensavo che lo facesse all’inizio per conoscere i parrocchiani, invece si trattava di un approccio che gli apparteneva e che ha creato un clima di amicizia in tutti questi anni.
Essere parroco del Duomo non è stato sempre semplice per lui. Solo noi conosciamo le sofferenze che, in silenzio, talvolta viveva intimamente.
Era un sacerdote dai tanti talenti: spirituali, teologici, musicali, culturali e digitali, uniti a uno spirito d’apertura nuovo e di fiducia verso i parrocchiani. Ricordo quando, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, gli dissi che le Chiese americane usavano i bancomat e che, considerati i numerosi turisti stranieri, potevamo provare a inserirlo anche in Duomo. E così la Cattedrale di Torino fu la seconda in Italia a utilizzare il bancomat. Un’esperienza bellissima per raccogliere fondi in pandemia fu l’invenzione degli ‘aperitorre’. Con alcuni parrocchiani volontari organizzavamo aperitivi in cima alla torre campanaria, in collaborazione con AIS (Associazione Italiana Sommelier), che accompagnava nella degustazione dei vini, e Don Carlo che raccontava duemila anni di storia in uno sguardo panoramico dall’alto. Altri bellissimi ricordi sono i concerti karaoke animati da Don Carlo con i suoi numerosi strumenti. Tutti sapevano del suo orecchio assoluto, riusciva a suonare qualsiasi strumento e qualsiasi musica. Amava così tanto la musica che, anche durante le Comunioni e le Cresime, regalava ai ragazzi un intermezzo al pianoforte.
Aveva mille impegni, si divideva tra le varie chiese di cui era referente, il Museo, l’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia, era spesso difficile da fermare, ma quando chiedevi di incontrarlo ti ascoltava profondamente e ti portava nel cuore. Questo ascolto, unito alla memoria, lo faceva essere presente con un messaggio a tutti i compleanni, anniversari o memorie. Aveva una conoscenza della liturgia altissima, che lo portava a preparare le varie parti della Messa (canti, letture, preghiere e allestimenti) con molta attenzione. Famose le sue slide ai catechisti per spiegare gli spostamenti delle varie parti delle prime Messe di Comunione o Cresime. Colto e appassionato nel celebrare bene la Liturgia, ha preteso da noi formazione. Tutti i suoi più stretti collaboratori hanno seguito corsi di formazione per diventare lettori o animatori liturgici e seguito approfondimenti sull’Eucarestia o Ministeri Straordinari dell’Eucarestia. Solo martedì scorso era collegato al corso sui Ministeri Istituiti”.
“Desidero evidenziare tre aspetti della persona di Don Carlo Franco – afferma un altro parrocchiano – la sensibilità, la fiducia nel buon Dio, il valore della liturgia. Il nostro parroco ha sempre sostenuto e dimostrato l’importanza della Liturgia non come forma in sé, ma come insieme di significati e di simboli che guidano sulla strada dello spirito e dell’infinito, effetto che riusciva a dare anche alle sue parole, tanto da richiamare alle celebrazioni eucaristiche da lui presiedute persone di altre parrocchie, alcune delle quali esclamava spesso ‘Come sono belle le sue omelie’. Nei suoi ricordi non mancava mai l’invocazione al buon Dio, che accompagnava sempre anche la sua sensibilità sia per la gioia sia nei confronti delle difficoltà di ogni fratello, che invitava sempre alla fiducia, proprio come faceva nei suoi messaggi settimanali che, anche durante i mesi della sofferenza, ci inviava ogni domenica.
Ho ascoltato e riascoltato l’ultimo audio nel quale, dimostrando il suo legame con la musica e richiamando la canzone ‘Apriti cuore’ di Lucio Dalla, ci inviava la sua ultima esortazione, augurandoci ‘un cammino sempre bello, un andare avanti sempre per il meglio e una settimana serena e gioiosa’”.
“Mi viene naturale pensare a Don Carlo – afferma un diciannovenne che fa parte del gruppo dei giovani della Chiesa di San Tommaso, di cui Don Carlo Franco era parroco – come a un nonno, un nonno che sa di dover trasmettere i valori più importanti del puro divertimento, a costo di sembrare un po’ noioso. Soprattutto quel nonno che sa divertirsi anche più dei nipoti, quando si presenta l’occasione. Mi ricordo un giorno, quando ero alle scuole medie (Adesso frequento l’Università) che dovevamo vederci col gruppo degli ‘ultrayoung’ (gruppo dei giovani della Chiesa di San Tommaso) per il nostro incontro settimanale. Era sempre un momento di gioia perché Betta, la capo scout del nostro gruppo, inventava sempre giochi, sfide e progetti nuovi per farci pregare, ascoltare testimonianze di felicità e sofferenza, riflettere insieme, ma sempre col sorriso, perché con lei non ci si poteva annoiare. Quel giorno Betta aveva avuto un contrattempo, e noi eravamo rimasti con Don Carlo, con cui, forse, avevamo un po’ meno confidenza e pensavamo di annoiarci, credendo di dover pregare il Rosario per un’ora intera. Ci avviammo verso il salone dove si svolgevano gli incontri, un ambiente spazioso in cui, a volte, giocavamo anche a calcio. Ci sedemmo ad aspettare Don Carlo, intento a cercare qualcosa nell’armadio. Don Carlo tornò con un pallone mezzo sgonfio e ci guardò con aria di sfida. Noi non capivamo e decidemmo di fare i finti tonti: ‘Don, che ci fa con un pallone in mano? Lo sa che è vietato giocare a calcio qui?’ E lui:’ infatti non è calcio, è palla prigioniera! Avanti, veloci, dividetevi in due squadre e giochiamo!’.
Iniziò così la partita di palla prigioniera più pazza che abbia mai giocato. All’ inizio eravamo titubanti, lanciavamo la palla senza troppa convinzione, ‘Ma gioca anche il Don? Non è che gli facciamo male se tiriamo troppo forte?’
Ormai avevamo iniziato a giocare e così lasciammo andare tutti i dubbi, lasciando spazio al solo divertimento, anche perché chi si stava divertendo più di tutti in quel momento era proprio Don Carlo. Aveva scelto appositamente un pallone leggero, un vecchio Super Tele, così da non far male a nessuno e avere la possibilità di scagliare il pallone con tutta la forza possibile.
Non giocava, come spesso fanno gli adulti, per far piacere ai ragazzini (sapeva che con dei tredicenni non avrebbe funzionato), lui giocava per un altro motivo, qualcosa che gli riempiva il volto di gioia.
Non ricordo chi vinse la partita, ma penso che quel pomeriggio avessimo vinto tutti perché, come dice Gaston Champignon, allenatore delle ‘Cipolline’, ‘Chi si diverte non perde mai!’”.
“Don Carlo, per noi volontari del Museo Diocesano, era il direttore, avendo iniziato a occuparsi del Museo dal settembre del 2015, e dirigendolo con mano ferma, affetto e creatività (aveva l’animo dell’artista), fino a giovedì mattina del 26 gennaio, giorno di un particolare evento in Museo, prima della sua improvvisa, tragica fine. Il Museo Diocesano è diventato un organismo vivo, con mostre temporanee, eventi, conferenze, presentazioni di libri e scrittori, restauri di capolavori, tra cui il ‘Pagliotto d’altare’ del Paroletto, acquisizione di capolavori d’arte, quali il trionfo della morte di Giovan Battista della Rovere, il ‘Pagliotto d’altare’ del Bonzanigo. Amante e conoscitore dell’arte contemporanea (e per questo contestato dai suoi volontari), ha creato un piccolo settore, la Sala Golgota, destinata a ospitare opere di artisti contemporanei, molti dei quali ancora in vita.
Ha fortemente voluto una grande mostra, promossa tra settembre e novembre 2022, di un artista astratto assai noto che, provocando non pochi dibattiti, ha investito il Museo di una ventata d’interesse. La morte ce lo ha sottratto mentre stava impostando grandi progetti per il Museo, progetti che i suoi volontari cercheranno di realizzare per onorare la sua memoria”.
“Ma con tutti i Diaconi che ci sono nella Diocesi – testimonia una persona del gruppo parrocchiale che ha ben conosciuto Don Carlo – proprio un Diacono ‘hooligan’ mi doveva capitare?”
“Lo so, Don, sono una brutta bestia”.
“Se tu fossi una brutta bestia, con me non saresti durata due mesi”.
“Queste alcune battute della nostra ultima telefonata. Il nostro rapporto era fatto così, fatto di prese in giro, sfogarsi, costruire, scontrarsi, cercare equilibrio e tentare di fare progetti. Erano gli ingredienti vari di un rapporto quotidiano per oltre quattro anni. “Il bastone di Don Carlo”, così mi aveva chiamato qualcuno. Un bastone? Forse non è l’immagine giusta. Una canna fragile, alla quale sapeva di non potersi appoggiare completamente, senza avere brutte sorprese. Quando sono stato assegnato da Sua Eccellenza Monsignor Nosiglia, alla parrocchia del Duomo, un compagno di seminario di Cir (Don Carlo Franco), mi ha detto: ‘Sei veramente fortunato, Cir ti riconciglia con una certa idea di Chiesa’. Col tempo avrei compreso esattamente la dimensione di quella conciliazione. Non ci avrei messo mesi, ma giorni. Ero appena arrivato quando, agli amici più intimi, nella cui cerchia mi aveva prontamente incluso, è arrivato un messaggio di questo tenore: ‘C’è un pianoforte in Duomo e non è una cosa bella lasciarlo lì da solo; vi aspetto per un momento di condivisone con la musica’.
Nelle feste clandestine in Duomo c’era sempre un’atmosfera carbonara che si riconciliava con l’idea di Chiesa. Lo stesso compagno di seminario a cui confidai la mia destinazione dopo l’ordinazione diaconale mi disse: ‘ C’è una cosa che invidio tanto a Cir, che riesce a far suonare qualunque cosa’. Ogni oggetto, nelle sue manone forti e delicate, non poteva fare a meno di suonare. Persino uno strumento scordato”.
“Don Carlo Franco – afferma un parrocchiano – si esprimeva in particolare tramite la musica e il canto. Si definiva autodidatta, amava preparare bela la celebrazione della Santa Messa con la musica e il canto per rendere la Liturgia più bella e partecipata. Gradiva inoltre condividere momenti ludici in cui cantava e suonava strumenti vari, il suo modo migliore per relazionarsi e comunicare”.
“Ho conosciuto Don Carlo sei anni orsono durante la preparazione di un concerto in Duomo – spiega un maestro di musica – dedicato allo ‘Stabat mater’ di Boccherini, e scattò fra noi un’immediata simpatia. Ricordo ancora la prima volta che, invitato a cena da alcuni miei amici, imbracciò la chitarra e ci cantò ‘Il bombarolo’ di De Andrè. Scoprì poi che aveva una band, la “Scleralclero Band”, con la quale portava in giro un programma dal titolo ‘Carpe Deum’. Geniale, davvero geniale, con una onnivora conoscenza musicale e un talento naturale da far tremare i polsi a tanti maestri di Conservatorio. Fu lui che, dopo il successo di pubblico per quel fatidico ‘Stabat Mater’, circa settecento persone, suggerì di proporre altri eventi in Duomo. Nel 2017 nacque l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, quale centro d’irradiazione culturale ad ampio respiro, con tanto di orchestra, detta ‘I virtuosi dell’Accademia di San Giovanni’, e con un progetto ben definito dal nome ‘Lo spirituale nell’arte’. Alla prima riunione dei soci fu eletto Presidente per acclamazione, e ora più che mai continueremo a operare in rispetto alla sua bellissima intuizione e al suo sconfinato amore per la musica d’ogni tempo e genere”-
Una parrocchiana lo ricorda come una persona umile e accogliente, non potendo dimenticare, quella volta a cena, in cui ha suonato la chitarra creando una bellissima atmosfera.
Un altro parrocchiano rammenta come Don Carlo, in cima al campanile del Duomo, si fosse messo a raccontare tutte le province e le zone di montagna vicine a Torino.
“Mi stupì perché conosceva anche la località di montagna frequentata da mio padre, Montoso. Seppur non l’abbia vissuto quanto altri, mi incuriosì la gioia con cui ci intratteneva”.
“Don Carlo Franco – afferma una sua parrocchiana – era un uomo buono, un uomo solare che sapeva leggere nei sentimenti delle persone. L’ho conosciuto davanti a un piatto di cous cous. Si è dimostrato ospitale, pronto a sentire il mio racconto. Durante la prima Messa, nella Chiesa di San Tommaso, giunse la mia richiesta così strana.
‘Don, mi può benedire il mio digestivo?’; e lui lo fece con parole gentili, perché Don Carlo Franco era così, vicino a tutti, capace di cogliere le cose importanti e renderle semplici”.
L’Istituzione dei Musei Reali di Torino ricorda Don Carlo Franco come un grande amico.
“Il 23 settembre scorso, a Palazzo Reale, abbiamo presentato il volume dal titolo ‘La Cappella della Sindone tra storia e restauro”, esito degli studi e delle ricerche che hanno raccolto il patrimonio di conoscenze sulla storia, i momenti dell’emergenza post incendio, gli studi e sperimentazioni che hanno condotto agli interventi di riabilitazione strutturale e di restauro architettonico del più importante monumento barocco europeo, parte del percorso di visita dei Musei Reali. Pensammo, per consentire a Don Carlo di partecipare all’evento, la presentazione andasse trasmessa in streaming. Il nostro carissimo amico partecipò da remoto. Don Carlo sarà sempre con noi, non solo ripensando ai numerosi eventi di comunicazione che hanno coinvolto i Musei Reali e il Duomo di Torino, ma soprattutto in ogni momento di gioia indimenticabile e insostituibile”.
Mara Martellotta
(Foto Massimo Masone – La Voce e il Tempo)
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