Una mostra per Dario Argento, la “sua” Torino tra i sogni e gli incubi

Alla Mole, fino al 16 gennaio

È nato il 7 settembre 1940, tra pochi mesi arriveranno gli ottantadue. “Mi chiamo
Dario Argento. Sono nato a Roma, in via del Tritone 197. A quell’indirizzo c’era lo
Studio Luxardo, un importante studio fotografico dove lavorava mia madre Elda. Sono
nato sotto i riflettori, dunque. Mio padre, Salvatore, era figlio di un ferroviere. Lavorava
all’Unitalia, un ente del Ministero dello Spettacolo che faceva propaganda per il
cinema italiano nel mondo. Dell’infanzia ho pochi e confusi lampi di memoria”. Tutto
questo è l’inizio, poi le prime curiosità in quello studio e l’abbandono del liceo classico
al secondo anno, quasi una fuga a Parigi e l’impiego in un quotidiano romano come
critico, alcune sceneggiature per alcuni film di genere; e trentenne una scommessa
che s’intitola “L’uccello dalle piume di cristallo” (immediati altri due successi, “Il gatto
a nove code” e “4 mosche di velluto grigio”, restando ben fermo in ambito animalier),
una digressione celentanesca a buttar l’occhio sulle “Cinque giornate” e il capolavoro
di “Profondo rosso” con David Hammings e Gabriele Lavia che di notte s’aggirano in
piazza Cln sotto lo sguardo illuminato di un ricostruito “Blue Bar” di hopperiano
sapore, mentre Macha Meril viene trucidata nel riquadro della finestra lassù in alto –
rivalutando il film a più di dodici anni dall’uscita, Giovanni Grazzini, critico del
“Corriere della Sera”, aveva scritto: “Se l’estrema ambizione di Dario Argento è di
restituire ai reduci dai suoi spettacoli il gaudio di sobbalzare ad ogni scricchiolio, di
guardare sotto il letto e raddoppiare la dose di tranquillante, il “terrorista” del cinema
italiano può dirsi contento. Era infatti da un bel po’ che un film non prendeva
altrettanto allo stomaco e popolava i nostri sonni di incubi così barbari”.
Poi giù giù lungo un percorso cinematografico – venti titoli, senza contare le incursioni
televisive – sino al recente “Occhiali neri”, girato dopo un silenzio di dieci anni. Oggi il
Museo Nazionale del Cinema di Torino – la sua “città feticcio”, se non sbagliamo i conti
sette film girati qui – gli dedica una mostra, “Dario Argento – The Exhibit”, a cura di
Marcello Garofalo e Domenico De Gaetano (sino al 16 gennaio), in collaborazione con
Solares-Fondazione delle Arti, la Regione Piemonte e la Città di Torino, la Fondazione
Compagnia San Paolo e la Fondazione CRT, una carrellata cronologica, un universo di
terrore che sale lungo la rampa elicoidale della Mole attraverso video, copioni, bozzetti
scenografici, costumi, oggetti più o meno raccapriccianti e mortiferi, locandine
originali, fotografie di scena, musiche (chi se li scorda i Goblin e gli apporti di Giorgio
Gaslini?) che riempiono il vasto ambiente.
Come re riconosciuto del giallo e dell’horror, caposcuola dei tanti epigoni che lo hanno
seguito, civetta anche un po’ all’inaugurazione della mostra. “Io non so esattamente
chi sia Dario Argento, non lo conosco tanto bene”, dice mentre arrivano gli applausi di
un pubblico foltissimo e i flash incombono e lui si perde con lo sguardo verso quei
pezzi di cinema che gli ricordano una vita intera. E forse, a pensarci bene, non ha tutti
i torti: sarà riuscito in tutti questi anni a decifrarsi o saranno stati in molti a decifrarlo,
a mettere completamente allo scoperto i sogni e gli incubi, le psicologie e anche quei
rimandi artistici che attraversano le sue opere? È anche emozionato, “forse non merito
tutto questo, non so come ringraziarvi, solo Torino, la mia città (!), poteva rendermi un
omaggio simile. Una città che davvero amo tanto, io ci verrei a vivere qui, tra questi
bei palazzi, i cinema e i teatri, tra queste piazze che mi hanno suggerito molto, tra le
architetture liberty e quelle fasciste, ma a Roma ho le figlie e i parenti e me ne
rimango là”. Mentre gli sta alle spalle l’immagine di Hitchcock in atto di stringere un
cappio, intona una brevissima lezione di cinema, un pensiero che estrae dai suoi titoli:
“Ho un grandissimo rispetto per “Psyco”, un film che amo molto, ma a dirla tutta con
una sceneggiatura anche un po’ banalotta per cui non sarebbe un granché: ma è
l’apporto di un maestro come Hitchcock che dà il successo al film, non è la storia ma
come si mette in scena la storia”.
Osservando anche noi quella rampa che sale titolo dopo titolo, confessiamo che tutti
siamo stati coinvolti, non solo dalle storie, dagli ambienti, dalle paure, dalle invenzioni
​assassine, ma ancora dai tanti particolari con cui il regista ha saputo intrappolarci, con
la scrittura, con gli sguardi, con le soggettive, con quei montaggi nervosi che sono
stati negli anni uno dei suoi più alti punti di forza. Sottolinea Marcello Garofalo: “Tutti i
protagonisti del cinema di Dario Argento hanno in comune il fatto di assomigliarci,
perché possiedono, prima ancora di una psicologia e di un comportamento, la
tendenza a vedere sempre troppo o troppo poco, a essere vittime di abbagli e di
visioni, fino a non distinguere più ciò che è vero da ciò che è falso. In tutta la sua
opera il sogno diventa spazio, quasi come una rete invisibile e l’onirico si insinua nella
realtà, non perché in contrapposizione, ma in quanto terribilmente somigliante a
essa”.
Guarda indietro il nostro Maestro del brivido ma anche ad un futuro non troppo
lontano che lo vede impegnato in Francia, con una nuova produzione. Guarda
emozionato al suo pubblico: “In un film che ho realizzato nel 1993, “Trauma”, mentre
scorrono i titoli di coda l’obiettivo si sposta, continuando a raccontare possibili inizi di
altre vicende. Questo perché mi piace credere che i miei film possano conquistare un
grande spazio nella memoria dei miei spettatori, diventando anche dopo la visione un
tutt’uno con la loro vita”. Ascolta la motivazione al conferimento della “Stella della
Mole” che Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema, gli consegna: “Un
regista ma anche un artista. Il suo cinema visionario dialoga costantemente con le
altre arti, creando universi visivi seducenti e messe in scena sontuose attraverso un
uso vitale e libero della macchina da presa”. Dario Argento ascolta, sorride e stringe
quel premio che gli è uno tra i più cari, dono di una città affascinante e misteriosa che
ha attraversato la sua vita.
Elio Rabbione
Nelle immagini, il presidente Enzo Ghigo consegna a Dario Argento la “Stella della
Mole”; un angolo della mostra riguardante “Profondo rosso”; infine la testa del
pupazzo meccanico inventata da Carlo Rambaldi e utilizzata in “Profondo rosso”
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