Nello Spazio “Scoperte” della Galleria Sabauda, sino al 7 novembre
Cosa racconta un quadro? Una persona o un gruppo di persone, ci racconta, riproducendole realisticamente o idealmente, le loro fattezze, ci lascia entrare nelle differenti personalità offrendoci sguardi ed espressioni, le stesse emozioni colte nell’attimo.
Allinea particolari chiarificatori, dalla posa ai gesti delle mani allo spazio che li circonda, scavando nel terreno psicologico, dalle iscrizioni agli elementi araldici – dove l’inganno è sempre in agguato, a causa dell’aggiunta di aggiornamenti, di ridimensionamenti, del cambio di cornici di diversa epoca, di accostamenti errati, di reinterpretazioni che si discostano più o meno infedelmente dai soggetti originali e di problemi attributivi che con insuperabili difficoltà tentano di far luce -, dagli abiti ai gioielli, tutti a testimoniare lo status, l’affermazione del prestigio, il potere, la ricchezza raggiunti. Anche alcuni animali, posti accanto al personaggio ad evocare innanzitutto le sue virtù, indizi in qualche occasione di difficile o controversa interpretazione. Tre secoli di storia, studi, metodi, approfondimenti, azzardi, intuizioni, certezze affrontati in occasione della mostra “Come parla un ritratto. Dipinti poco noti dalle collezioni reali” da quaranta studenti del Corso di Laurea magistrale in Storia dell’Arte, un continuo confronto con docenti, studiosi, conservatori e restauratori, la conclusione di un progetto didattico-formativo avviato tre anni fa con il Dipartimento Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino.
Nello Spazio “Scoperte” della Galleria Sabauda (sino al 7 novembre prossimo) il visitatore si trova ad ammirare una mostra – felicissime ri-scoperte! – che ha il merito di aver raccolto alcuni straordinari esempi di ritratti di corte poco noti, provenienti dalle collezioni di Palazzo Reale e della Galleria Sabauda (ma si è guardato anche ai castelli di Moncalieri e di Racconigi, alla Reggia di Venaria, alla Basilica di Superga), “portando alla ribalta documenti figurativi che permettono di ricostruire vicende dinastiche, avvenimenti familiari, strategie matrimoniali, successi politici e militari, mostrando la vivacità e la complessità della corte sabauda e dell’alta società europea”, negli anni che corrono tra il tardo Cinquecento e il primo Settecento “e svelando usanze, aspirazioni e illusioni di un’epoca”.
Quattro le sezioni tematiche. “L’immagine del potere” racchiude il periodo che va dal trasferimento della capitale del ducato a Torino (1563) alla nomina di Vittorio Amedeo II a re di Sicilia prima (1713) e di Sardegna poi (1720) e che allinea la suggestiva sequenza dei “ritratti di Stato”, dove è esaltato il carattere pubblico degli effigiati, ponendo in risalto la posa, la fisionomia idealizzata, gli abiti e altri segnali come la croce dell’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro o il collare dell’Annunziata; dove una celebrazione particolare è riservata al ritratto equestre, un esempio tra tutti “Il giovane dignitario” che dovrebbe essere letto con probabilità come Carlo Emanuele II, opera di un pittore attivo alla corte, databile 1640, un sovrano preziosamente vestito, un ampio cappello piumato nella mano destra e mosso in segno di saluto, in sella ad un destriero bianco, sullo sfondo, sul lato sinistro, la silhouette dell’antico palazzo Madama. Alla “corte femminile” (qui le attribuzioni si sprecano, i punti interrogativi si leggono con rigore quasi su ogni etichetta che accompagni il quadro) è dedicato il passo successivo, volto a dare tutta l’importanza che la donna ebbe nelle principali monarchie europee, con lo sguardo principale alla corte sabauda, da Caterina d’Asburgo, andata sposa a Carlo Emanuele I alle due Madame Reali, Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours: interessanti i quattordici ritratti di duchesse, marchese e baronesse, consorti di conti e gentiluomini di camera, dovuti ancora ad artisti di corte (dal 1655 al 1664). Opera pregevole il “Ritratto di coniugi” di un anonimo pittore bergamasco sul finire del XVI secolo (che forse ha guardato al Moretto o al Romanino, azzardiamo), forse dovuta a Sofonisba Anguissola una probabile “Margherita di Savoia” (qualcuno la dice Caterina Micaela, figlia di Filippo II di Spagna; inizio del XVII), posta all’interno di una camera, un sontuoso abito color oro e avorio, secondo i dettami della moda in auge presso la corte spagnola dell’epoca, il diadema a falce lunare che allude alla purezza della giovane, nell’atto di posare la destra sulla testa di un leone posto accanto a lei, suggerito simbolo di fedeltà coniugale.
Numero tre, “Legami di famiglia. L’infanzia”. Nei bambini, sin dalla fine del Cinquecento, vengono riprese quelle caratteristiche riscontrate negli adulti, le pose solenni, gli abiti sontuosi, i preziosi gioielli. I loro ritratti preannunciano già l’excursus all’interno del ruolo istituzionale come pure la rappresentazione della prolifica discendenza dei duchi: e nella sontuosità della vita di corte non mancano altresì i momenti affettivi, gli oggetti della vita quotidiana, gli animali domestici, i semplici giochi. Si fanno (nascondendoli al riparo del solito “pittore attivo alla corte sabauda), come ad esempio per i (ancora una volta) probabili ”Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II” – i figli di Vittorio Amedeo I, il primo morto a sei anni) -, i nomi del fiammingo Giovanni Caracca o di Antoon van Dyck (così Roberto d’Azeglio) o di Francesco Cairo (così tra gli altri Angela Griseri e Federico Zeri), operante durante due soggiorni torinesi, in particolare il primo, collocato tra il luglio del 1633 e il 1639. Non meno importanti, in ultimo, “Le alleanze internazionali”, in cui i ritratti esposti sono esempi della fitta rete che i Savoia, in linea con le varie corti europee, tessono per approdare a proficue “presentazioni”, ad unioni politiche, alle trattative matrimoniali. Con l’effigie di principesse e di dignitari e di cortigiani si è contribuito a fare un bel pezzo di strada nella Storia. Tra le opere esposte, di Domenico Duprà (“regio pittore per li ritratti” tra il 1750 e 1770, con il fratello Giuseppe) è il giovanile ritratto di “Maria Giuseppina di Savoia, contessa di Provenza”, primogenita di Vittorio Amedeo III. Nel 1771 sposò Luigi Saverio di Provenza, figlio del delfino di Francia Luigi Ferdinando e fratello minore di Luigi XVI: allo scoppio della rivoluzione, con la morte del re, Luigi Saverio fu costretto a fuggire in esilio, di paese in paese, durato più di ventitré anni sino al tramonto napoleonico, con la moglie. Maria Giuseppina morì durante il periodo inglese del confino, quattro anni prima che il marito salisse al trono francese con il nome di Luigi XVIII. Una Savoia mancata alla corte di Francia.
Elio Rabbione
Nelle immagini, opere di pittori attivi alla corte sabauda: Infanti di casa Savoia, Palazzo Reale di Torino; sullo sfondo, “Carlo Emanuele II (?)”, circa 1640, Palazzo Reale di Torino; a sinistra, “Francesco Giacinto e Carlo Emanuele II” (1636-1637), Galleria Sabauda; Louis Elle, detto Ferdinand, “Anna Maria Luisa d’Orléans, duchessa di Montpensier” (1647-1652), Galleria Sabauda (la tela è posta in una cornice ottocentesca)
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