Le riforme e la scuola: strade parallele

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3 Le riforme e la scuola: strade parallele

La storia della scuola, come ho già ho avuto modo di dire, è assai complessa e articolata.
Il sistema scolastico italiano si è da sempre modificato, riforma dopo riforma, nel tentativo di adattarsi alle richieste e alle necessità dei vari periodi storici.
E’ possibile dunque affermare che la scuola è, con tutti “i pro e i contro”, il riflesso dei mutamenti sociali. Essa è costantemente coinvolta in processi di adeguamento strutturali, organizzativi e didattici. L’argomento “scuola e riforme” è assai vasto, poiché alle tematiche più prettamente legate all’ambito educativo-didattico si annettono diverse problematiche come la dispersione scolastica (L. 496/94, L. 296/2006, DM 139/2007), l’obbligo scolastico (L. 144/99, L. 53/03), l’abolizione degli esami di riparazione (L. 352/95), l’edilizia scolastica (L. 23/96, DM 11 aprile 2013), e inoltre vi sono tutta una serie di normative che, pur essendo di diversa natura, toccano comunque il mondo della scuola. Come divincolarsi dunque in una materia così articolata ed arzigogolata? Proviamo a partire, come si suol dire, dall’inizio.  La prima importante riforma che è bene ricordare è la Legge Casati, promulgata dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati nel 1859, considerata come il vero e proprio atto di nascita della nostra scuola italiana. Tale norma pone a carico dello Stato la responsabilità dell’educazione del popolo e sancisce per la prima volta l’obbligatorietà e la gratuità della scuola elementare. Il primo ciclo scolastico, secondo tale normativa, era articolato su due bienni, (di cui solo il primo obbligatorio), a cui seguiva una duplice scelta: il ginnasio (a pagamento) o le scuole tecniche. Dopo questi anni di studio e formazione vi era l’università a cui però accedevano solo gli studenti che avevano frequentato il ginnasio, spesso figli di famiglie agiate e che potevano permettersi di supportare i giovani nello studio. Con la legge Casati, inoltre, si cerca di affrontare per la prima volta la grave problematica dell’analfabetismo dilagante in tutta la penisola: la situazione non viene risolta e tale aspetto si va a sommare con gli altri difetti della normativa, a noi evidenti.

Nel 1860 il ministro Terenzio Mamiani approva i primi programmi scolastici, che includono tra le materie fondamentali la religione cattolica e si propongono di assicurare un’alfabetizzazione di base per tutta la popolazione. Nel 1867 i programmi vengono modificati, lo spazio dedicato alla religione viene meno, e le ore dedicate a tale materia sono attribuite a educazione civica. Il 15 luglio 1877 venne promulgata la Legge Coppino, che porta l’obbligo elementare inferiore fino ai nove anni. Tale legge è assai importante per l’istruzione italiana in quanto contribuisce ad innalzare il tasso di alfabetizzazione. I risultati delle leggi attuate nel mondo della scuola iniziano a vedersi intorno agli inizi del XX secolo, il grado di analfabetismo cala visibilmente, eppure emergono nuove difficoltà, come il fenomeno della disoccupazione intellettuale e un generale malcontento diffuso tra la classe borghese, preoccupata per un possibile sconvolgimento dello “status quo” sociale.

In questo contesto si inserisce la Legge Orlando, promulgata l’8 luglio del 1904, con la quale si estende l’obbligo scolastico a 12 anni, si impone ai Comuni di istituire scuole fino alla classe quarta e si assicura assistenza economica agli alunni meno abbienti. Il provvedimento non riscuote i risultati sperati e a tale riguardo risultano emblematiche le parole di F.S. Nitti, (discorso pronunciato in Parlamento l’8 maggio 1907): “In Italia la popolazione scolastica è così scarsa ancora, dopo 50 anni di unità e dopo 30 anni di istruzione obbligatoria, che si può dire che lo scopo della legge del 1877 non fu mai realizzato. Vi sono almeno 4 milioni e mezzo di bambini che avrebbero l’obbligo di seguire le scuole, ma sono appena 2 milioni e 700 mila che le frequentano”.
Di certo una delle riforme più conosciute e discusse è la così detta Riforma Gentile. Il contesto storico in cui viene attuata la legge sono gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale: in questo periodo lo Stato è fermamente impegnato a dare un assetto organico al sistema scolastico, vengono riesaminate le norme in vigore e si rimuove dal sistema ciò che è considerato improduttivo o imperfetto. Viene eletto Ministro della Pubblica Istruzione il filosofo Giovanni Gentile, il quale afferma: “nella scuola lo Stato realizza se stesso. Perciò lo Stato insegna e deve insegnare. Deve mantenere e favorire le scuole”. Tale riforma consiste in una moltitudine di norme, decreti e regolamenti, raccolti in un T.U. (R.D. 5-2-1928, n. 577) e nel relativo regolamento di esecuzione (R.D. 26-4-1928, n. 1297) che interessano le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università. Sono previsti cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, suddivisi in un triennio e in un biennio, a cui segue la scelta di un duplice percorso, o un triennio professionale, (le scuole di avviamento) o un ginnasio; dopo di che vi sono le scuole superiori: tre anni per il liceo classico, quattro per il liceo scientifico, tre o quattro anni per gli istituti tecnici, magistrali o per i conservatori. Alle classi meno abbienti viene riservata l’ “educazione del lavoro”, svolta attraverso la frequenza della scuola di avviamento professionale, riordinata dalla L. 22-4-1932, n. 490, e le scuole dell’ordine tecnico.

La riforma Gentile è complessa e articolata, è possibile comunque evidenziarne alcuni punti chiave, come l’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni, l’ istituzione di scuole speciali per allievi in condizione di disabilità sensoriali della vista e dell’udito, l’ istituzione di rigidi controlli per l’inadempienza dell’obbligo scolastico e la creazione di appositi istituti magistrali per la preparazione dei maestri elementari. I programmi delle scuole elementari ripristinano l’insegnamento della religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e valorizzano il canto, il disegno e le tradizioni.  La struttura del sistema scolastico italiano resta sostanzialmente improntata a tale modello anche dopo la fine del fascismo, ed i programmi della scuola elementare non subiscono variazioni significative per oltre quarant’anni.  Nel 1939 il Ministro Giuseppe Bottai propone una nuova riforma volta a sottolineare la necessità di una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al suo interno, che risponda alle esigenze economiche del paese e del governo. Tale riforma rimane però sulla carta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fa sì che venga approvata solo la Legge del 1940 riguardante la scuola media, che diventa così un unico triennio uguale per tutti i corsi inferiori ai licei e agli istituti tecnici e magistrali; rimane inalterato il sistema dell’avviamento professionale. Essenziale, per il nostro discorso sulle riforme scolastiche, è la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il documento dedica alcuni articoli all’istruzione, che viene considerata essenziale per procurare un maggior benessere alla collettività e per migliorare ed elevare le condizioni di vita dei cittadini. Si sottolinea la necessità di avere una scuola democratica, che sia d’aiuto alla formazione della persona e che prepari i singoli individui a vivere nella società, intesa come luogo di integrazione e di esplicazione della propria personalità.

La Costituzione è certamente un testo articolato e forse, in alcune parti, di difficile lettura, ma ogni cittadino dovrebbe impegnarsi a leggerla, almeno una volta, anche se non nella sua interezza. Per questo nostro discorso sulla scuola e l’istruzione, oltre all’art.33 c1 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), è bene soffermarsi sull’art. 34 che così recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria ed è gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Parole importanti, che richiederebbero una riflessione approfondita. La seconda metà del XX secolo è scandita da un ulteriore susseguirsi di cambiamenti. Nel 1962 viene abolita la scuola di avviamento a favore di un’unica tipologia di scuola media che permette agli studenti di accedere a tutti gli istituti superiori; nel 1969 gli ingressi all’università vengono estesi agli studenti provenienti da qualsiasi istituto superiore, togliendo così il privilegio al liceo classico. Nel 1974 vengono introdotte una serie di figure che diventano presto fondamentali per la scuola, ossia il rappresentante degli studenti, i rappresentanti dei collaboratori scolastici e i rappresentanti dei genitori. Di grande rilievo è la Legge Ferrucci del 1977 che introduce l’assegnazione di insegnanti di sostegno per gli studenti disabili. Gli anni Settanta si concludono con la rimozione del latino dalle discipline autonome delle scuole medie.

Siamo ormai giunti a tempi decisamente più recenti. Le riforme che avvengono tra gli anni Novanta e Duemila seguono pedestremente l’andamento della scena politica e l’alternarsi delle “fazioni” vincitrici.  Berlinguer, con il “Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione”, dichiara la volontà di annullare la distinzione tra formazione culturale e formazione professionale, tale scritto sottolinea inoltre la volontà di introdurre un’istruzione, successiva alla scuola materna, a due cicli oppure a ciclo unico. Il 3 giugno 1997 il governo, con la presentazione della “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione”, vota per l’introduzione di un sistema educativo a due cicli, primario e secondario. Il primo ciclo ha come obbiettivi sia la formazione della personalità dello studente, attraverso la promozione dell’alfabetizzazione e dell’apprendimento di conoscenze fondamentali, sia il favorire la nascita di un’attitudine all’apprendimento, perché vengano riconosciuti i valori della convivenza civile e democratica.
Il secondo ciclo deve invece fornire agli studenti le competenze necessarie ad affrontare gli studi universitari o il mondo del lavoro, a seconda degli obiettivi e delle capacità di ogni alunno.
Tale riordino riguarda tutti i cicli scolastici, anche le università nelle quali vengono introdotte le lauree triennali e le specialistiche. Inoltre viene innalzato l’obbligo scolastico fino ai 16 anni.
La riforma Berlinguer, viene approvata nel 2000 ma è destinata a non entrare in vigore.

Arriviamo dunque alla Riforma Moratti, promulgata con la Legge del 28 marzo 2003 n.53, con la quale viene abolita la precedente riforma Berlinguer e vengono effettuate diverse modifiche sull’ordinamento delle istituzioni. La normativa interessa tutti gli ordini scolastici, a partire dalla scuola dell’infanzia fino alle università. Tra le disposizioni principali ricordiamo l’introduzione dello studio della lingua inglese e dell’informatica già dal primo anno della primaria, l’abolizione dell’esame alla fine del primo ciclo d’istruzione, mentre alle superiori viene inserita l’alternanza scuola-lavoro e ancora all’università viene introdotta l’idoneità scientifica nazionale, requisito fondamentale per accedere ai concorsi per professori universitari.
I provvedimenti del Ministro Moratti vengono frenati dal Ministro Fioroni.
Per me le riforme Moratti e Gelmini sono reminiscenze del liceo, le prime manifestazioni a cui si partecipava “in massa”, con il fervore accresciuto dalla sensazione di far parte di qualcosa. Ricordo che con quasi tutta la classe ci si ritrovava o a Palazzo Nuovo, (luogo comodo per una ex giobertina) o in Piazza Albarello, poi partiva il corteo; si cantava e si mostravano gli striscioni alla cittadinanza con la certezza che quelle azioni non violente e svolte con razionalità e giudizio, avrebbero sicuramente cambiato la storia.
Protestavamo, ma le riforme venivano promulgate costantemente, come se ai piani alti nessuno si interessasse di noi poveri studenti delusi.
Nel 2008 il Ministro Mariastella Gelmini dà il via ad un’altra riforma scolastica, i suoi provvedimenti riguardano prevalentemente degli ingenti tagli economici, in generale provocano scontento e scalpore, come il ripristino del maestro unico e la reintroduzione del voto in condotta.

Senza essere troppo di parte, va detto che da tale programma non siamo più tornati indietro.
Infine arriviamo alla Legge 13 luglio 2015, n. 107, nota come “La Buona Scuola”, che è la riforma del sistema nazionale di istruzione, formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Essa comprende, tra il resto, il Regolamento dell’Autonomia, il Fondo di Funzionamento, il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, il Percorso formativo degli studenti, l’Alternanza scuola-lavoro, l’Innovazione digitale, la Didattica Laboratoriale. Riformare la scuola non è facile, come dimostrano tanti progetti rimasti incompleti nel corso del tempo. “La Buona Scuola” è un progetto di riforma di ampio respiro, con al suo interno numerosi aspetti positivi, come ad esempio l’organico dell’autonomia, cui si collega l’assunzione di tantissimi precari. Ampi poteri vengono conferiti al Dirigente Scolastico, che viene ad assumere effettivamente la figura di Preside manager. La scuola è un organismo complesso, fatto di componenti diverse che devono muoversi in sinergia, il che richiede grandi capacità gestionali, impegno assiduo, intelligente assunzione di responsabilità da parte di chi la dirige.
Sin dagli anni Novanta, gran parte dell’ Europa è impegnata nel comune intento di migliorare le politiche autonomistiche nel campo dell’ istruzione, nella prospettiva di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.  Cosa stia accadendo ora all’intero delle scuole, devo ammettere, non è chiaro. Il virus imperversa quasi incontrastato e costringe sia professori (me compresa) che studenti in condizioni difficoltose e scomode, destabilizzanti per un buon funzionamento della macchina scolastica, ma la situazione attuale impone spirito di sacrificio.

Alessia Cagnotto

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