Si è conclusa la tappa torinese di “Notre Dame de Paris” che ha illuminato il Pala Alpitour e che è stata caratterizzata dalla splendida prova dell’albanese Elhaida Dani che da quest’anno ha sostituito Lola Ponce nella parte di Esmeralda e che ci ha regalato un’interpretazione fresca e estremamente affascinante
Questo è il tempo delle cattedrali, ma potrebbe essere qualsiasi epoca, potrebbe essere oggi.
I fatti si svolgono a Parigi, ma potrebbero svolgersi in qualsiasi città. Il capolavoro di Victor Hugo, la musica senza tempo di Riccardo Cocciante si sono fusi creando un musical che continua ad emozionare e a parlare al cuore perché racconta la storia struggente dei “diversi”, dei diseredati alla ricerca disperata di un’occasione, di un riscatto che, purtroppo, non arriveranno. In un mondo in cui si costruiscono muri e barriere con gesti e parole, in cui si fomenta l’odio per chi non è allineato ai canoni stereotipati imposti dalla società, in cui i ponti vengono abbattuti e i barconi affondati, è di struggente attualità la storia di Esmeralda, la giovane zingara, condannata perché esotica e troppo bella, perché le sue danze turbano l’ordine e il buoncostume e di Quasimodo, il povero gobbo rinchiuso sulle torri di Notre Dame, in compagnia delle campane, perché il suo aspetto deforme scatena gli istinti primitivi di un popolo che non sa andare oltre l’aspetto fisico e che, invece di comprenderlo, sa solo deriderlo. Attorno a loro si muovono altri “diversi”, altri emarginati: un prete dannato dall’amore e dalla cattiveria, un capitano amorale, egoista e corrotto, la popolazione degli zingari di Parigi che lotta per avere un luogo dove vivere, per vedersi riconosciuto il diritto di esistere, il popolo parigino stesso, massa informe facilmente influenzabile e per questo vittima triste dei giochi politici dei potenti che lo soggiogano e ne piegano la volontà ai propri desideri. Victor Hugo scriveva che “l’unico pericolo sociale è l’ignoranza”. I suoi ultimi peccano per ignoranza e non conoscono riscatto per ignoranza. Ecco il grande male della società di allora. Ecco il grande male della società moderna, un male che non ha ancora trovato cura, un male per il quale la soluzione sembra essere lontana. Un male che si ripete, secolo dopo secolo, prendendo forme diverse come Proteo. “Notre Dame di Paris” non prevede riscatto come “I Miserabili”, non contempla il trionfo del bene sul male. In queste atmosfere cupe è la morte a trionfare e la vittoria dell’amore è rinviata in un aldilà dove le differenze scompariranno, dove la misericordia divina saprà restituire dignità e giustizia. Le atmosfere fosche dell’opera evocano tempi difficili e bui. Tutt’intorno è oscurità e non sembra che le tenebre possano diradarsi. Almeno per il momento. Eppure una luce c’è, una speranza di salvezza esiste: quella dell’arte. Amor, Mors, Ars hanno la stessa assonanza: la morte può trionfare sull’amore, gli amori non sono eterni, sono destinati a morire. Ma l’arte vince la morte perché solo l’arte sopravvive. È la bellezza delle cattedrali, della poesia, della scultura, della letteratura, della musica la speranza che salverà il mondo, lo strumento per elevare i popoli e per costruire un futuro diverso: questo è messaggio profondo dell’opera di Hugo, questo è il messaggio profondo della trasposizione di Cocciante.
Barbara Castellaro
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