“Caro Maigret, probabilmente si stupirà di ricevere una lettera da me, visto che sono orami passati circa sette anni da quando ci siamo lasciati. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario del giorno in cui ci siamo conosciuti. Lei aveva circa quarantacinque anni. Io ne avevo venticinque. Ma lei ha avuto la fortuna, in seguito, di trascorrere un certo numero d’anni senza invecchiare”.
Con queste parole lo scrittore belga George Simenon si rivolgeva all’indimenticabile commissario creato dalla sua penna Jules Maigret per celebrare il 50° anniversario della sua “nascita” come personaggio letterario.
Nel 1929 il personaggio del commissario Maigret compare per la prima volta nel romanzo “Pietr il Lettone” e, nel corso degli anni, diventa il protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, una parte importante della vastissima produzione di Simenon, uno autore prolifico che aveva la capacità di scrivere in pochi giorni un testo letterario senza incontrare alcuna difficoltà.
Maigret è qualcosa di più di una creatura cartacea e non soltanto per le numerose trasposizioni televisive e cinematografiche che l’hanno dotato di volti, voci, persino lingue diverse, ma perché con una straordinaria forza demiurgica Simenon è riuscito a trasmettergli, attraverso l’inchiostro, vita propria, staccandolo da sé e rendendolo autonomo.
La figura che esce dalle pagine dei romanzi è estremamente viva: un uomo massiccio e corpulento, con l’inseparabile pipa, percorre a piedi o in taxi o in metropolitana la Parigi dei bistrot e dei locali notturni di Pigalle, del lungo Senna e del Quai des Orfevres dove si trovano gli uffici della polizia giudiziaria, di Montmartre con i suoi alberghi a ore e le sue camere ammobiliate spesso rifugio di disperati, sempre alla ricerca della verità, una verità che raggiunge cercando di capire, mai condannando.
La giustizia di Maigret ha uno sguardo umano nei confronti dei piccoli delinquenti, delle prostitute e di tutti coloro che le difficoltà della vita e gli scherzi di un destino spesso crudele e inclemente hanno spinto sulla strada della colpa, del crimine, del delitto.
In un’intervista al “Corriere della Sera”, rilasciata nel 1985, Simenon dichiarava “Di veramente mio… ho dato a Maigret una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare, perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli”.
Il commissario Maigret, insofferente alla burocrazia, alla vita rinchiuso in ufficio, alle pratiche e, alle regole dettate dai superiori, ai giochi e ai compromessi imposti dal potere e dalla politica, è prima di tutto un uomo con le sue debolezze, le sue piccole manie, la sua passione per la cucina, le sue tappe nei bistrot per assaporare una birra, un bicchiere di bianco, un pernod o un calvados.
Vive in boulevard Richard Lenoir da sempre, insieme alla moglie alsaziana della quale soltanto qualche fedele lettore ricorda il nome di battesimo, Louise, perché il commissario, romanzo dopo romanzo, continua a chiamarla “signora Maigret”, un’ottima cuoca, una donna abituata alle assenze del marito, ai folli orari delle inchieste, una presenza attenta e costante che lo attende e lo accompagna nelle semplici uscite di una coppia normale: a cena in qualche ristorante o a casa degli unici amici, il dottor Pardon e signora, al cinema in Boulevard Bonne Nouvelle.
Il metodo Maigret, così famoso da diventare oggetto di studio da parte dei colleghi stranieri, consiste, in realtà, nella capacità dell’ispettore di immergersi nelle atmosfere del delitto, muovendosi nelle strade, vivendo continuamente a contatto con la gente comune: con le portinaie che, con i loro pettegolezzi, sono in grado di indicargli una via da seguire, con i padroni dei piccoli bistrot, con informatori che vivono nell’anticamera del crimine.
E poi ci sono i momenti morti, quelli in cui Maigret non riesce a trovare il bandolo della matassa, quelli in cui deve “ruminare” dentro di sé le informazioni, notizie, semplici voci fino ad arrivare a capire, a cogliere i motivi, a scoprire l’assassino, a ricostruire la situazione che l’ha spinto al delitto.
Al termine di molte inchieste troviamo un Maigret stanco che cerca nelle abitudini quotidiane, nella vita domestica, nel riposo, l’evasione da un mondo dove, in molti casi, le circostanze assurde della vita hanno spinto un povero disgraziato verso la prigione.
E’ difficile reggere il peso della giustizia.
Camilleri vedrà nel commissario creato da Simenon un punto di riferimento per il suo Montalbano: la ricerca del silenzio, il bisogno di riflettere, la passione per la buona cucina, la necessità di immergersi nell’atmosfera del delitto fino ad esserne avvolto, nauseato persino disgustato e, infine, la ricerca di una catarsi, di una purificazione di se stessi: Maigret con il sonno, Montalbano con un tuffo in mare.
Quest’anno Maigret compie 90 anni. George Simenon è scomparso da 30 anni esatti.
Chissà quale augurio di compleanno l’autore belga avrebbe indirizzato al suo commissario, diventato ormai un amico.
Possiamo fare molte ipotesi, ma non lo sapremo mai.
Quello che è certo è che Simenon a Maigret ha regalato l’immortalità.
Barbara Castellaro
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