Camilleri, indagatore dell’animo umano

Sono uno dei tanti che ha conosciuto, forse colpevolmente, il commissario Montalbano piú dalla tv che dai libri, uno dei tanti che si sente un po’ straniato a pensare al commissariato di Vigata senza la pelata di Luca Zingaretti o i baffetti di Cesare Bocci.

Se c’è un modo per comprendere la particolarità dell’opera di Camilleri, però, è di guardare fuori dall’Italia, andando a cercare su Youtube i teaser delle serie di Montalbano cosí come vengono proposte all’estero: solitamente, in Germania, in Russia, in Gran Bretagna, vengono montate le scene più concitate, si indugia un po’ sullo stereotipo italiano del buon cibo o del poliziotto donnaiolo, ogni tanto tutta la pubblicità si incentra su una scena di sparatoria.


Ora, chiunque abbia visto Montalbano sa che trovare una sparatoria o una sequenza di azione nei suoi sceneggiati è un fatto più unico che raro, e a volte è dura resistere quasi fino a mezzanotte, ogni lunedì sera, per capire come andrà a finire un’indagine solitamente lentissima e costellata di sottintesi.


Perché in questo sta l’unicità di Montalbano: il genere è sicuramente poliziesco, c’è il sangue, c’è la morte, la mafia, il sesso, ma non è questo quello che importa se uno vuole davvero apprezzare le sue indagini.


Quello che importa è l’animo umano, le sue debolezze, gli abissi a volte ripugnanti che è capace di sondare ordendo un crimine, i personaggi grotteschi, talvolta persino ferini, cosí vicini all’autore della letteratura italiana piú vicino a Camilleri, Luigi Pirandello: chi più di Catarella incarna l’umorismo, il sentimento del contrario, lo sdoppiamento della personalità tra l’incapace generoso e il genio del computer?
C’è Pirandello, c’è Sciascia, c’è forse anche di De Roberto e Tomasi di Lampedusa in Camilleri, quel senso di immutabilitá e a volte di rassegnazione spesso denunciato come causa di tanti mali della Sicilia, la mafia non come boss supercattivi cui dare la caccia, ma come qualcosa di sottile, tentacolare, cui si accenna sapendo che tende sempre le fila del crimine a Vigata, da demolire pezzo per pezzo, moralmente, senza scendere a patti o compromessi, prima ancora che penalmente.


Non si può pensare a Camilleri senza pensare all’universo narrativo che ha creato, Vigata, provincia di Montelusa,  è la sua tolkieniana Terra di Mezzo: la sua lingua a cui dare dei personaggi che la parlino, la sua storia che affonda fin nell’Ottocento, la libertà di crearsi un mondo che è il più grande privilegio accordato a uno scrittore e la più grande testimonianza di piacere e gioia che c’è nello scrivere, la sua genealogia, dai romanzi sull’Italia appena unita ai racconti del giovane Montalbano che fanno dell’opera di Camilleri, a pieno titolo, una Saga, una lunga, ininterrotta, sfumata e onnicomprensiva, dunque cosmica, narrazione.


E poi c’è la Sicilia, gli squarci di paesaggio fuori dal tempo, il divenire cronologico sospeso dalla calura, le piste in terra battuta e le automobili vecchie e scassatissime, un eterno meriggiare pallido e assorto in cui il passato può irrompere nel presente (sarà che i gialli in cui si incrociano passato e presente, come Il cane di terracotta o Un’estate del ’43 sono tra i miei preferiti, assieme al malinconico L’età del dubbio) e la verità che domanda di emergere, improvvisa e sovente mai del tutto chiara, – chi conosce un uomo fino in fondo? – da un crimine.

Questa è la grandezza di Montalbano, senza mascella quadrata alla Schwarzenegger ma con una calvizie da palla da biliardo, sensibile al fascino femminile come James Bond ma con i suoi acciacchi e i sensi di colpa, antitecnologico, umano, riflesso dell’impegno civile di Camilleri.
Un commissario cui capita addirittura di arrendersi, di nascondere qualcosa che ha scoperto per il bene di qualche disgraziata umanità, o, al contrario, quando la giustizia domanderebbe prepotentemente di essere fatta, di rimbalzare contro il muro di gomma dei piani alti istituzionali, che però non molla mai e può meritatamente godersi, alla fine, la sua lunga, iconica nuotata e la voluttuosa teglia di maestosi arancini.

 

Andrea Rubiola

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