Apro un elegante Adelphi a metà prezzo (e già questa è una tentazione) e l’aforisma di Cioran colpisce come una stilettata: “Niente si può dire di niente. Per questo non ci può essere limite al numero di libri”.
Tipico incontro da Portici di Carta: frugare tra le bancarelle, trovare un titolo a lungo cercato, scoprire qualcosa che non ci si aspettava, convincersi con un improvviso innamoramento – perché in fondo, questo è il rapporto che ogni buon lettore ha con i suoi libri – di non poter fare a meno proprio di quel testo, oppure, in un completo ribaltamento di prospettive, arrivare con l’idea fissa di trovare quel libro, quell’autore, magari completare una serie, una saga, addentrarsi ancor di più nelle pagine che una volta ci hanno colpito e fallire nella lunga caccia, tornando però a casa con chissà quanti altri trofei letterari da impilare, ripulire, sistemare soddisfatti, quasi dimenticando che in realtà quel testo – maledizione! – ancora manca alla vostra libreria, e chissà quali nuovi mondi e nuove ricerche vi apriranno i nuovi amici che avete accolto negli scaffali della vostra abitazione.Portici di Carta è una molteplicità di esperienze, un bouquet, e dico bouquet con l’accezione che la parola ha nel linguaggio del sommelier o del profumiere, perché davvero si tratta di un’esperienza assieme intellettuale e sensoriale, fisica e metafisica, un viaggio che si dipana in pieno centro, da Porta Nuova a Piazza Castello, su entrambi i lati di via Roma, attorno al Caval ‘d Brons, a piazza Carlo Felice.Qualche tempo fa, pareva addirittura che qualche ombra incombesse sul futuro dell’iniziativa, la quale non si conclude certo con la vendita di libri usati, ma si estende con iniziative culturali, letture e attività rispetto alle quali ciò che in queste righe si narra è, paradossalmente, solo una piccola parte.
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Portici di Carta è la controparte del primo autunno al Salone del Libro, è un’altra testimonianza del rapporto stretto e sempre di successo tra la città e i suoi libri, l’uno concentrato nel Lingotto, regolamentato dai biglietti, documentato su scala nazionale; l’altro è libero, attraversa il salotto buono di Torino, si guadagna al massimo la citazione al tiggì regionale, accompagna turisti, visitatori, passanti lasciando loro lo spazio di andare dove devono andare sussurrando appena “vieni a dare un’occhiata, non ti deluderò”; c’è l’elegante e sabaudo anziano signore con cappotto beige che discute di antiquariato e bibliofilia, ci sono padre e figlio che frugano tra i fumetti e non si capisce chi dei due si diverta di più, probabilmente il babbo, ma capita anche che, all’improvviso, il gruppetto di ragazzi o la coppietta intenta alla passeggiata mattutina scarti improvvisamente dal suo cartesiano recarsi in un luogo preciso ed all’ora precisa, per dare un’occhiata (” ma sì, non compro niente” oppure ” vediamo, tanto per vedere, se c’è qualcosa di interessante; anzi, adesso che mi viene in mente, chissà se ha…”) e ritrovarsi improvvisamente avvinti dalla ricerca, dallo scartabellare avanti e indietro, sotto le pile di libri disordinate oppure, con due delicate dita, togliendo il libro dalla fila nel quale è stato ordinatamente infilato e controllato con occhio vigile dal libraio poco distante.Al Salone del Libro si va perché si va, è scopo esso stesso; è un evento pop, ci va l’appassionato, il lettore medio, il lettore sporadico, ci si va per comprare, per affari o per conferenze di ogni genere, per l’autografo o per poter dire di esserci stati; di Portici di Carta, se non te ne ricordi o non ne sei appassionato, è probabile che te ne dimentichi, al massimo ti viene in mente passandoci: ah già, c’è Portici di Carta, è una manifestazione intimamente torinese, un po’ vintage, amante dell’understatement.
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È in tono minore, ci sono editori, librai, robivecchi, si comincia con l’usato, l’antico, il consunto e l’antiquario, poi, nel primo tratto di via Roma, avanti piazza CLN, comincia la transizione verso il nuovo, oltre ci sono le librerie e gli espositori di qualche casa editrice locale; per quanto mi riguarda, dirò della magia del primo tratto, fino più o meno all’incrocio con via Cavour, perché è lì, al confine dove le bancarelle più di tutte simili ai boquinistes parigini si interrompono che la magia di Portici di Carta si esaurisce ed anche perché è lì- quasi sempre dopo aver percorso in almeno tre ore il primissimo tratto – che mi fermo, attraverso la strada e riprendo ad andare verso la stazione dalla parte opposta: le gambe cominciano a fare male e anche le finanze cominciano a scarseggiare, meglio passare dall’altro lato prima che sia troppo tardi. Inevitabilmente, il primo vantaggio di Portici di Carta è il notevole risparmio economico che quest’iniziativa garantisce all’acquirente, tanto più se questi è il tipico lettore forte, che saccheggia le librerie, non ha una particolare propensione all’estetica del libro, lui vuole, per prima cosa e su tutto, leggere, conoscere, vivere mille vite, ignora altri vizi e seduzioni ma in cuor suo sa che sì, se c’è una ragione per violare il settimo comandamento, i libri sono la Ragione per eccellenza, forse perché i libri sono una forma di fame e qualcuno ha cantato che non è peccato il rubare quando si ha fame.A questo genere di persona i costi della carta stampata sono ben noti, costi legati al grande dilemma aperto dalla necessità di pagare come dovuto chi lavora per la conoscenza e il bisogno, da parte di chi cerca la conoscenza, di potervi accedere a prezzi ragionevoli, dilemma non troppo diverso dal complicato dibattito che in rete si protrae tra open source e diritto d’autore.
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Portici di Carta è una buona soluzione: si possono spendere cifre relativamente alte -anzi, considerato che semel in anno… – ma con un prezzo medio per libro decisamente appetibile: da diversi anni, alla fine dei conti spendo per una ventina di libri circa 3,50 euro a volume; contemporaneamente, si accede a una quantità di testi variegata tanto in argomento, quanto in età e diffusione, si può fare il colpaccio acquistando un libro usato da pochi anni o risparmiare notevolmente acquistando testi di una quarantina e più di anni fa. Ce n’è per tutti i palati, edizioni eleganti ed altre decisamente scarse, libri in ottimo stato e libri che lo sono un po’ meno, ma d’altra parte, se l’occasione è unica, si può anche accettare un testo che esibisce fieramente le ferite del tempo. Occorre anche un po’ di pazienza, è vero, accettare di frugare in mezzo a tanti testi di dubbio valore, la fanno da padrone devozionali, santoni, chiromanti, esoteristi, erotismi di dubbia raffinatezza per non parlare dell’onnipresente letteratura sul fascismo (per non parlare di ninnoli, oggettistica ed altro materiale tra il nostalgico e il kitsch che qua e là si vede) e il nazismo, non sempre di alto valore storico, e gli ibridi un po’ inquietanti di erotismo esoterico o esoterismo nazista, ma, se si riesce ad attraversare questo strato ingombrante e superficiale – che deve però avere mercato, visto che altrimenti tali testi non sarebbero continuamente riproposti sulle bancarelle – praticamente in ogni bancarella troverete qualcosa che varrebbe la pena comprare, che soppeserete, confronterete, abbandonerete magari per ritornarvi alla fine del giro oppure ritroverete a un prezzo più o meno conveniente qualche stallo più avanti.Si diceva di Portici di Carta come esperienza: il consiglio è di andare a Portici di Carta come si va al mercato, oppure considerarlo un semplice diversivo alla passeggiata; specialmente se si è lettori appassionati, conviene organizzarsi, scarpe comode, zaini o trolley capienti, magari amici con i quali chiacchierare, scherzare, contendersi i testi furiosamente, scambiarsi consigli e passare tempo in compagnia.
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Portici di Carta è la quintessenza della flânerie letteraria, e dunque occorre atteggiarsi a flâneur, passarci ore, andando pian piano senza saltare nulla, godersi l’umidità triste di questo principio di autunno ormai irreversibilmente diretto verso il freddo, senza più la settembrina illusione estiva, il profumo di libri, di vecchio, di sigaro dei librai, sostando per arrivare finalmente faccia a faccia con i volumi, i veri protagonisti. Ognuno di essi, proprio perché usato, ha una storia, ha una vita che lo accompagna che incrocia la vostra e non attende nient’altro che diventarvi compagno fedele, ha trasceso la sua dimensione di oggetto e pure quella un po’ ingombrante, capace di intimorire, di severo custode della conoscenza: ce n’è per tutti i gusti, da una ricca messe di fumetti, di ogni genere e spesso pronti a farvi ritrovare quel numero che vi mancava, ai romanzi fino a ricchissima e interessante saggistica, molto spesso non più ripubblicata. Si può scherzare su certi titoli bizzarri, ci si può commuovere per qualche istante pensoso di fronte a una raccolta di libri raffinata, varia e interessante, evidentemente appartenuta alla stessa persona i cui parenti, alla sua dipartita, hanno deciso un nuovo destino per quei testi letti, amati, appuntati, un destino che può essere incarnato dal passante che li incrocerà e si deciderà a metter mano al portafoglio riportandoli al caldo di una casa e all’amore di un lettore; si può sfogliare un testo che pure non si comprerà, senza timore, per la curiosità di vedere quello che contiene; si potrà pensare a quale Jorge da Burgos abbia scritto il minaccioso cartello che invita a non bagnarsi i polpastrelli per sfogliare libri vecchi e preziosi, e non importa che il divieto sia dovuto al pericolo di guastarli con macchie antiestetiche; si potrà viaggiare nel tempo tenendo tra le mani fotografie, cartoline, oggetti da collezione o testi antiquati che pure, sicuramente, avrebbero tanto da raccontarci e rivelarci, si potrà acquistare un testo meravigliandosi della sua perfezione, del suo essere intonso dopo quarant’anni o, al contrario, incuriosirsi propri per quella dedica o quelle fitte note che un altro testo contiene; si potrà restare a lungo indecisi sul da farsi, se comprare o meno, sapendo che certi treni, per i libri come nella vita, passano una volta sola, oppure agire d’istinto, sapendo che bisogna avere quel libro, come mi è capitato trovandomi improvvisamente tra le mani una copia de “Il ponte di San Luis Rey” tornato di attualità dopo i recenti fatti di Genova e consigliato da Montanelli ad ogni giornalista, oppure acquistare senza sapere bene perché il libro che probabilmente traguarderete a lungo, abbandonato su qualche scaffale, senza ricordare il motivo preciso per il quale abbiate deciso di farlo diventare vostro compagno di strada, per poi ricordarsi che ogni libro usato è prima di tutto un incontro, e di ogni incontro porta con sé le dimensioni della scoperta e della curiosità, dell’amicizia non necessariamente istantanea, il colpo di fulmine o l’inaspettato e l’altro. Ogni anno, ad un certo punto, la passeggiata arriva alla fine, più di questo non si compra non solo perché il budget si è esaurito, ma perché sì è soddisfatti, più di così quest’anno la manifestazione non poteva dare al lettore, che può felicemente ingrandire l’infinita lista di libri che lo attendono, pronto a svicolare all’eterna domanda del povero di spirito, se li leggerà mai tutti, attendendo l’anno prossimo per quel mattino di ottobre in cui avrà di nuovo da camminare a lungo per la sua bella Torino godendo di queste semplici bancarelle dove i libri si mescolano al tempo e alla vita, ricordandoci perché da così tanti millenni siamo incapaci di fare a meno della lettura e della parola scritta.
Andrea Rubiola
(foto: il Torinese)
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