Folletti e satanassi, gnomi e spiriti malvagi, fate e streghe, questi sono i protagonisti delle leggende del folcklore, personaggi grotteschi, nati per incutere paura e per far sorridere, sempre pronti ad impartire qualche lezione. Parlano una lingua tutta particolare, che si avvicina al dialetto dei nonni e dei contadini, vivono in posti strani, dove è meglio non avventurarsi, tra bizzarri massi giganti, calderoni e boschi vastissimi. Mettono in atto magie, procurano molestie, fastidi, fanno sgambetti, ci nascondono le cose, sghignazzano alle nostre spalle, cambiano forma e non si lasciano vedere, ma ogni tanto, se siamo buoni e risultiamo loro simpatici, ci portano anche dei regali. Questa serie di articoli vuole soffermarsi su una figura della tradizione popolare in particolare, le masche, le streghe del Piemonte, scontrose e dispettose, mai eccessivamente inique, donne “magiche” che si perdono nel tempo e nella memoria, di cui pochi ancora raccontano, ma se le loro peripezie paiono svanire nei meandri dei secoli passati, esse, le masche, non se ne andranno mai. Continueranno ad aggirarsi tra noi, non viste, procurandoci dispetti, mentre tutti – forse – fingiamo di non crederci, e continuiamo a “toccare ferro” affinchè la sfortuna e le masche non ci sfiorino. (ac)
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Masca, termine diffuso prevalentemente nel Roero, nelle Langhe, in Astesana, nel Biellese, nel Canavese, nelle Valli cuneesi e nell’Alessandrino, significa propriamente strega, fattucchiera, maga, incantatrice, fata. Per lo più il vocabolo è usato per disprezzo o ingiuria. Nel latino tardo, (VII sec.d.C.), era sinonimo di lamia, mostro con faccia di donna maliarda e vampiro. Il termine assume una certa rilevanza con l’Editto di Rotari, (643), dove viene utilizzato per indicare una strega i cui poteri sono molto temuti, una donna malvagia che divora i propri simili, e che è quindi contrassegnata con caratteristiche antropofaghe e pregne di reminiscenze pagane. La masca -strega è anche voce di ambito occitano e francoprovenzale, pur se più propriamente tipica del Piemonte. Molte sono le donne -masche piemontesi con un’identità specifica, delle quali ancora si racconta… C’era una volta una fanciulla, originaria di Barolo, di nome Micillina, conosciuta purtroppo per essere capace di produrre effetti negativi che si abbattevano sulla gente del suo villaggio, tanto che, secondo alcuni, essa si divertiva a causare al suo prossimo danni fisici e malattie. Un giorno Micillina decise di andarsene e si spostò a Pocapaglia, dove trovò marito e una nuova dimora. Non passò molto tempo, e anche qui gli abitanti della comunità notarono i malefici della nuova arrivata: tutti sospettavano che essa procurasse danni alle persone anche solo con lo sguardo, ben convinti che la giovane si dedicasse ad oscure arti magiche per portare malattie e disgrazie all’intero paese. Tali imputazioni non potevano però essere provate e così gli abitanti di Pocapaglia si limitarono a guardarla di sottecchi e a fare di tutto per non includerla nella vita del paese. La cattiva
reputazione della donna cresceva senza tregua, qualsiasi avvenimento sgradevole faceva capo a lei e le accuse divenivano sempre più colme di odio, finché arrivarono alle orecchie di Paucapelea, il marito di Micillina. Questi, invece di difendere la moglie, si schierò dalla parte dei compaesani, gridando a gran voce contro la compagna per distoglierla dagli insani interessi. Micillina però non cambiò nulla del suo comportamento, così le invettive contro di lei aumentarono ulteriormente. Fu allora che Paucapelea iniziò a picchiarla ogni giorno, dopo essere rientrato a casa dal lavoro, sempre nell’intento di cambiare l’indole della moglie: i suoi sforzi si rivelarono vani e si vide costretto a cacciare di casa la sposa. Avvenne però un fatto strano. Dopo qualche giorno dall’accaduto, il povero Paucapelea, cadde da un albero, sul quale si era arrampicato per raccogliere della frutta, rompendosi l’osso del collo. Micillina si trovò vedova e di nuovo in possesso della casa. Forse che la donna, con l’aiuto del Demonio, aveva messo lo zampino in tale sfortunato e sinistro avvenimento? La comunità non volle approfondire, tuttavia iniziò a temere in maggior misura la donna, che continuava ad aggirarsi per le strade del paese, guardando tutti malamente e sogghignando quando qualcuno inciampava o si feriva o si procurava qualche tipo di disgrazia. Un giorno il fornaio perse la pazienza e si infuriò con lei, e, per qualche bizzarra coincidenza, venne trovato morto sull’entrata del suo negozio la sera stessa. Di lì in avanti i compaesani iniziarono ad accusare la donna apertamente di aver cagionato loro ogni sorta di male, anche se non così grave e definitivo come la morte.


Alessia Cagnotto
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