Genesi rappresenta l’ultimo straordinario lavoro di Sebastião Salgado, fotoreporter documentario tra i più sensibili alle tematiche sociali ed ecologiche del nostro tempo. Nato in Brasile nel 1944, intraprende studi di Economia e soltanto agli inizi degli anni Settanta, ottenuto un incarico di lavoro nell’Africa equatoriale, inizia ad interessarsi alla fotografia. La vocazione amatoriale si trasforma rapidamente in progetto di vita. L’amore per l’Africa lo spinge a dedicare i primi grandi reportage al Sahel devastato dalla carestia e, negli anni Novanta, alle atrocità del genocidio in Ruanda. La pubblicazione La mano dell’uomo (1993) affronta con piglio critico, ma sempre empatico, le condizioni dei lavoratori impegnati nei lavori manuali che la meccanizzazione tecnologica sta sostituendo. In cammino (2000) illustra la tragedia dei lavoratori delle miniere d’oro in Serra Pelada nel Nord del Brasile i quali, espulsi dal processo di industrializzazione, finiscono per ingrossare la massa dei poveri nelle città. Documentando i grandi processi di trasformazione economica, sociale e ambientale in corso nel mondo, senza l’affanno di inseguire la stretta attualità, Salgado ha trovato una propria dimensione, unica nel panorama internazionale. Genesi costituisce un progetto di lungo respiro che Salgado inizia nel 2003 per concluderlo dieci anni dopo. Il lavoro è frutto di un lungo viaggio per il pianeta alla ricerca di luoghi non ancora offesi dall’uomo, dove è possibile catturare immagini che rivelino la magnificenza ancestrale e la potenza incontaminata della natura. L’opera finale si compone di duecento eccezionali fotografie che ritraggono regioni dove flora e fauna proliferano tuttora intatte ed in cui l’uomo vive in condizioni pressoché primitive. Lo sguardo consapevole ed amorevole di Salgado si posa sulle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea. Si leva in volo sui ghiacciai dell’Antartide e sulla taiga dell’Alaska. Ridiscende nuovamente verso i deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne del Cile, del Canada e della Siberia. Le sue fotografie, rese in un lucido bianco e nero, vanno a comporre un commovente itinerario fotografico, capace di catturare l’osservatore passo dopo passo, restituendo immutato l’incanto dei paesaggi come dei ritratti individuali o di gruppo.
Salgado si è messo alla ricerca del mondo a partire dalle origini, rivelando il percorso evolutivo svoltosi per milioni di anni prima dell’avvento dell’uomo. Il suo è un itinerario che si stende a perdita d’occhio per paesaggi terrestri e marini, laddove si fatica persino a distinguerne la linea di confine. Un itinerario alla scoperta di specie animali e popolazioni finora scampate all’abbraccio letale della vita moderna. La sua opera ci fornisce la prova che il nostro pianeta accoglie regioni immense e remote in cui la natura regna indiscussa, possente e silenziosa. La teoria di fotografie esposte ci suggerisce che i ghiacci dei poli, le foreste pluviali, le savane inospitali e le sabbie roventi costituiscono la superficie non solo più estesa ma soprattutto più ragguardevole della Terra. Sono queste regioni a proteggere con la loro vastità quasi inesplorata forme di vita la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. In queste lande il tempo scorre in modo circolare, le stagioni si succedono e ritornano seguendo un ritmo primigenio, lento, costante, che l’essere umano civilizzato ha finito per dimenticare.
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“Le fotografie di Genesi“, ha dichiarato la curatrice Lélia Wanick Salgado, “sono il tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere”. Oltre a esporre queste meraviglie misconosciute, appagando l’indubbio piacere estetico che ne deriva, Genesi rappresenta un monito severo che invita a una presa di coscienza. L’umanità non può continuare ad inquinare impunemente la terra che abita, occorre assumere un atteggiamento responsabile fondato sul rispetto per l’ambiente che ci circonda. È necessario agire per preservarlo, proteggendo le specie animali e i popoli che vivono ancora in simbiosi con la natura. Ci si può spingere persino oltre, provvedendo a riparare i danni che la modernizzazione più spinta ha provocato. Sebastião e Lélia Salgado hanno per primi dato l’esempio, contribuendo a riforestare una proprietà situata nel Sudest del Brasile. L’organizzazione no-profit che hanno creato per questo scopo, Instituto Terra, ha provveduto a piantare in quindici anni circa due milioni di alberi di oltre trecento specie diverse. Pianure e colline un tempo aride sono ora occupate dalla Mata Atlântica, la foresta pluviale subtropicale presente sulla costa intorno al Rio Grande. La ricostituzione di questo microclima ha richiamato uccelli e altri animali che erano scomparsi da decenni, permettendo il recupero della naturale biodiversità. Gli alberi sono inoltre in grado di assorbire il diossido di carbonio e, utilizzandolo per la fotosintesi, di liberare ossigeno. La riforestazione contribuisce quindi a limitare i danni prodotti dalle emissioni nell’atmosfera di questo gas serra responsabile del riscaldamento globale nonché dei cambiamenti climatici ad esso conseguenti Questo immenso e paziente lavoro di ripristino dell’ecosistema è stato descritto nell’ottimo documentario Il sale della terra, girato da Wim Wenders nel 2014. “Con gli alberi piantati”, hanno detto Sebastião e Lélia Salgado, “possiamo respirare meglio e nutrire speranze per il futuro del nostro pianeta”. Salgado non è mosso dall’idea di scattare fotografie belle o di inseguire la celebrità, ma da un senso di responsabilità che rappresenta anche la sua missione dichiarata: rendere visibile la rotta che l’umanità deve ripercorrere per salvaguardare il pianeta che abbiamo ereditato.
Paolo Maria Iraldi
Genesi, di Sebastião Salgado
Mostra organizzata da Civita Mostre
A cura di Lélia Wanick Salgado su progetto di Contrasto e Amazonas Images
Reggia di Venaria (To), Sale dei Paggi, dal 22 marzo al 16 settembre
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